Una Difesa dell`Aborto

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Judith Jarvis Thomson
Una Difesa dell’Aborto
Fonte: Philosophy & Public Affairs, Vol. 1, no. 1 (Fall 1971)
L’opposizione all’aborto si basa principalmente sulla premessa che fin dal concepimento il feto è
un essere umano, una persona. A sostegno di tale premessa vengono presentati argomenti, ma, a
mio avviso, non in modo convincente. Prendiamo, ad esempio, l’argomento più comune.
Anzitutto, ci viene richiesto di prendere buona nota del fatto che lo sviluppo di un essere umano
dal concepimento alla nascita fino alla fanciullezza è un processo continuo. Allora, così si
prosegue, tracciare una linea divisoria, scegliere un punto in questo processo di sviluppo e dire
«prima di questo punto non è una persona, dopo questo punto è una persona» significa fare una
scelta arbitraria, una scelta che non può trovare ragione nella natura delle cose. La conclusione è
che il feto è, o almeno faremmo meglio a dire che è, una persona fin dal momento del
concepimento. Ma siffatta conclusione non segue dalla premessa. Qualcosa di simile si potrebbe
dire dello sviluppo di una ghianda in una quercia, ma da ciò non segue che le ghiande sono
querce, o che faremmo meglio a dire sono querce. Argomenti di questo tipo sono talvolta
chiamati «argomenti del piano inclinato» – l’espressione si spiega da sé – ed è costernante che gli
avversari dell’aborto vi ricorrano in modo così esclusivo e acritico.
Sono tuttavia propensa a ammettere che non vi sono prospettive promettenti nell’idea di
«tracciare una linea divisoria» nello sviluppo del feto. Dovremmo probabilmente anche convenire
sul fatto che il feto è già diventato una persona umana ben prima della nascita. Invero, si resta
sorpresi quando si viene a apprendere quanto precoce sia l’inizio dell’acquisizione delle
caratteristiche umane. Alla decima settimana, per esempio, il feto ha già un volto, braccia e
gambe, e le dita delle mani e dei piedi; possiede organi interni, ed è rilevabile attività cerebrale.
D’altra parte, penso che la premessa dell’argomento antiabortista sia falsa, non è vero che il feto
sia una persona fin dal momento del concepimento. Un ovulo fecondato da poco, un
agglomerato di cellule da poco impiantato, non è una persona più di quanto una ghianda non sia
un albero di quercia. Ma non discuterò queste questioni. Mi sembra infatti del massimo interesse
indagare quello che accade se, per amore dell’argomento, accettiamo la premessa. In che
modo, precisamente, siamo tenuti a concludere da questa premessa alla inammissibilità morale
dell’aborto? Gli avversari dell’aborto di solito impiegano la maggior parte delle loro energie a
stabilire che il feto è una persona, ma quasi mai spiegano il passaggio da questa tesi alla
inammissibilità dell’aborto. Forse pensano che sia troppo semplice e ovvio per richiedere un
commento. O forse stanno semplicemente applicando un principio di economia
nell’argomentazione. Molti di coloro che sono a favore dell’aborto si basano infatti sulla premessa
che il feto non è una persona, ma solo un insieme di tessuti biologici che diventerà una persona
all’atto della nascita: perché allora offrire più argomenti del necessario? Qualsiasi sia la
spiegazione dell’atteggiamento degli antiabortisti, suggerisco che il passaggio argomentivo che
assumono non è né facile né ovvio, che, al contrario, esso esige un esame più accurato di quello
solito, e che, una volta esaminato più accuratamente, ci sentiremo più propensi a rifiutarlo.
Propongo allora di riconoscere che il feto è una persona fin dal momento del concepimento.
Assumo che l’argomento continui grosso modo così. Ogni persona ha diritto alla vita. Pertanto il
feto ha diritto alla vita. Indubbiamente, la madre ha il diritto di decidere cosa avverrà del suo
corpo o al suo interno; ciò verrà ammesso da chiunque. Ma è certo che il diritto alla vita di una
persona è più forte e più cogente del diritto della madre di decidere cosa avverrà del suo corpo o
al suo interno, e quindi prevale su di esso. Pertanto il feto non può essere ucciso e l’aborto non può
essere effettuato.
Tutto ciò appare plausibile. Ma ora vi chiedo di immaginare questa situazione. Una mattina vi
svegliate distesi al fianco di un violinista privo di conoscenza, un violinista molto famoso. Gli è stata
diagnosticata una grave insufficienza renale, la società dei musicofilí ha consultato tutti gli archivi
medici disponibili e ha scoperto che siete gli unici a possedere il tipo di sangue adatto per la
trasfusione. Vi hanno rapito, e la notte precedente il sistema circolatorio del violinista è stato
collegato al vostro, in modo che i vostri reni possono depurare il suo sangue così come fanno con il
vostro. Il direttore dell’ospedale vi dice ora: «Guardi, siamo spiacenti che la società di musícofili le
abbia fatto questo – non l’avremmo mai permesso se l’avessimo saputo. Tuttavia l’hanno fatto e
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ora il violinista è collegato al suo corpo. Staccarsi vorrebbe dire ucciderlo. Ma non c’è da
preoccuparsi, è solo per nove mesi. Per allora sarà guarito dalla sua insufficienza, e potrà essere
staccato senza pericoli.» Avete il dovere morale di acconsentire a questa situazione? Farlo sarebbe
senza dubbio gentile da parte vostra, molto gentile. Ma dovete acconsentirvi? Che dire se non si
trattasse di nove mesi ma di nove anni? O di un periodo ancora più lungo? E se il direttore
dell’ospedale dicesse: «È stato sfortunato, ma ora deve rimanere a letto, con il violinista collegato
al suo corpo, per il resto dei suoi giorni. Ricordi che ogni persona ha diritto alla vita, e i violinisti sono
persone. Certo, lei ha il diritto di decidere cosa avverrà del suo corpo o al suo interno, ma il diritto
alla vita di una persona prevale sul suo diritto a decidere cosa avverrà del suo corpo o al suo
interno.» Immagino che considerereste queste parole come un affronto, e ciò suggerisce che
effettivamente c’è qualcosa di sbagliato in quell’argomento così apparentemente plausibile che
ho menzionato poco fa.
In questo caso, naturalmente, siete rimaste vittime di un rapimento, non vi siete sottoposti
volontariamente all’intervento chirurgico che ha collegato il violinista ai vostri reni. Coloro che si
oppongono all’aborto in base al diritto alla vita del feto possono fare un’eccezione per le
gravidanze dovute a violenza carnale? Certo. Si può sostenere che le persone hanno diritto alla
vita solo se la loro esistenza non è dovuta a violenza carnale, oppure si può affermare che tutte le
persone hanno diritto alla vita, ma che alcune ne hanno meno di altre, in particolare quelle la cui
esistenza è dovuta a violenza carnale. Siffatte affermazioni suonano piuttosto sgradevoli. È chiaro
che la questione circa l’avere o meno diritto alla vita, o di quanto diritto si abbia, non dovrebbe
dipendere dalla questione circa l’essere o meno il prodotto di una violenza carnale.
Del resto gli avversari dell’aborto non ammettono eccezioni nel caso che la madre debba
trascorrere a letto i nove mesi della gravidanza. Converrebbero che si tratta di un grosso
inconveniente, difficile da sopportare per la madre; ma nondimeno, tutte le persone hanno diritto
alla vita, il feto è una persona, e così via. Sospetto, in verità, che non farebbero un’eccezione
nemmeno se, per un caso prodigioso, la gravidanza occupasse nove anni, o addirittura il resto
della vita della madre.
Alcuni non vorranno ammettere eccezioni nemmeno nel caso in cui il proseguimento della
gravidanza avrà come probabile conseguenza quello di abbreviare la vita della madre;
considerano l’aborto inammissibile anche a costo della vita della madre. Oggi questi casi sono
molto rari, e molti avversari dell’aborto non accettano questa tesi estrema. Nondimeno, essa offre
un buon punto di partenza per la discussione in quanto consente di sollevare alcune questioni di
notevole interesse.
1.
Denominiamo la tesi secondo cui l’aborto è inammissibile anche a costo della vita della madre
«tesi estrema». Desidero suggerire anzitutto che questa tesi non deriva dall’argomento menzionato
in precedenza a meno che non si aggiungano alcune premesse piuttosto forti. Supponiamo che
una donna incinta apprenda di avere un vizio cardiaco che le impedisce di portare a termine la
gravidanza senza andare incontro a morte sicura. Cosa si può fare per lei? Il feto, essendo una
persona, ha diritto alla vita. Presumibilmente, essi hanno un eguale diritto alla vita. Come si arriva
allora a sostenere che non si può abortire nemmeno in questo caso? Se madre e bambino hanno
un eguale diritto alla vita, non dovremmo forse decidere con la monetina? O dovremmo
aggiungere al diritto alla vita della madre il suo diritto a decidere del suo corpo, diritto che
chiunque sembra disposto a riconoscerle – con ciò facendo prevalere la somma dei suoi diritti sul
diritto alla vita del feto?
L’argomento più comune a questo riguardo è il seguente. Si sostiene che eseguire l’aborto
significherebbe uccidere direttamente il bambino, mentre non far niente non comporterebbe
l’uccisione della madre ma solo lasciarla morire. Inoltre, con l’uccisione del bambino, si
ucciderebbe un innocente, perché il bambino non ha commesso alcun crimine e non mira alla
morte della madre. A questo punto ci sono molti modi in cui l’argomento potrebbe proseguire.
(1) Poiché uccidere direttamente un innocente è sempre e assolutamente inammissibile, non si
può abortire. Oppure,
(2) poiché uccidere direttamente un innocente è omicidio, e l’omicidio è sempre e assolutamente
inammissibile, non si può abortire. O ancora,
(3) poiché il dovere di astenersi dall’uccidere direttamente un innocente è più cogente del dovere
di salvare una persona dalla morte, non si può abortire. O infine,
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(4) se le uniche opzioni disponibili sono uccidere direttamente un innocente o lasciar morire una
persona, allora si deve preferire lasciar morire la persona, e pertanto non si può abortire.
Alcuni sembrano sostenere che non si tratta qui di premesse ulteriori che devono essere aggiunte
per arrivare alla conclusione desiderata; al contrario, esse deriverebbero dal solo fatto che un
innocente ha diritto alla vita. Questo mi sembra un errore, e forse il modo più semplice di mostrarlo
è di spiegare come, mentre dobbiamo certamente riconoscere che persone innocenti hanno
diritto alla vita, le tesi da (1) a (4) sono tutte false. Consideriamo, per esempio, la (2). Se l’uccisione
diretta di un innocente è omicidio, e pertanto inammissibile, allora l’uccisione da parte della
madre dell’innocente che è in lei è omicidio, e pertanto è inammissibile. Ma non si può seriamente
considerare l’idea dell’omicidio se la madre abortisce per salvarsi la vita. Non si può affermare sul
serio che ella deve astenersi dal farlo, che deve attendere passivamente la propria morte.
Torniamo al caso del violinista. Siete stesi al fianco del violinista e il direttore dell’ospedale vi dice:
«So che si tratta di una situazione angosciosa, e ne ho profonda compassione, ma lo sforzo
aggiuntivo cui vengono sottoposti i reni la condurrà a morte nel giro di un mese. Nondimeno, deve
restare dov’è. Perché staccare l’apparecchiatura significherebbe uccidere direttamente un
violinista innocente, e questo è omicidio, ed è inammissibile.» Ma se c’è una verità al mondo,
questa è senz’altro che non si commette omicidio, non si fa nulla di inammissibile, se ci si volta
dall’altra parte e si stacca il collegamento con il violinista al fine di salvare la propria vita.
Negli scritti sul problema dell’aborto l’attenzione è stata concentrata principalmente su quello che
una terza parte può o non può fare in risposta a una richiesta di aborto da parte di una donna. In
un certo senso, ciò è comprensibile. Allo stato delle cose, non c’è molto che una donna possa fare
per abortire da sola. Così la questione è che cosa una terza parte può fare, mentre quello che può
fare la madre, se pure viene menzionata, viene dedotto, come conseguenza secondaria, da ciò
che viene concluso circa quello che la terza parte può fare. Ma trattare la questione in questo
modo, mi sembra, significa rifiutare di riconoscere alla madre proprio quello status di persona su cui
tanto si insiste per il feto: non possiamo stabilire quello che una persona può fare in base a quello
che può fare una terza persona. Supponiamo che vi troviate intrappolati in una casa angusta con
un bambino in fase di crescita. La casa è estremamente angusta e il bambino cresce
rapidamente. Siete già costretti contro il muro della casa e fra pochi minuti resterete schiacciati
contro la parete. D’altra parte il bambino non corre pericolo di restare schiacciato; se la sua
crescita non viene fermata si farà male, ma alla fine gli basterà sfondare le mura di casa e se ne
andrà libero per il mondo. Ora sarebbe comprensibile se un terzo astante dovesse dire: «Non c’è
niente che possiamo fare per voi. Non possiamo scegliere tra la vostra vita e la sua, non possiamo
essere noi a decidere chi deve vivere, non possiamo intervenire.» Ma da ciò non segue che
nemmeno voi possiate fare niente, che non potete attaccarlo per salvarvi la vita. Per quanto
innocente possa essere il bambino, non avete il dovere di attendere passivamente mentre vi
schiaccia a morte. Forse c’è la vaga sensazione che una donna incinta abbia lo status di una
casa, cui non riconosciamo il diritto di autodifesa. Ma se la donna ospita il bambino, non andrebbe
dimenticato che è una persona che lo ospita.
Forse, a questo punto, dovrei dichiarare in modo esplicito che non sto sostenendo che le persone
hanno il diritto di fare qualsiasi cosa per salvare la propria vita. Penso, piuttosto, che vi siano limiti
severi al diritto di autodifesa. Se qualcuno vi minaccia di morte a meno che non torturiate qualcun
altro a morte, credo che non abbiate il diritto di farlo anche a costo della vostra vita. Ma il caso
considerato qui è molto diverso. Nel nostro caso vi sono solo due persone coinvolte, una la cui vita
viene minacciata e l’altra che la minaccia. Entrambi sono innocenti: chi viene minacciato non lo è
a causa di una qualche colpa, chi minaccia non lo fa a causa di una colpa. Per questa ragione
possiamo pensare che noi, dall’esterno, non possiamo intervenire. Ma la persona minacciata può.
In breve, una donna può certamente difendere la sua vita contro la minaccia portata da un
bambino non-nato, anche se ciò comporta la morte di quest’ultimo. E ciò mostra non solo che le
tesi da (1) a (4) sono false; mostra anche che la tesi estrema sull’aborto è falsa, e quindi non è
necessario passare in rassegna tutti gli altri modi possibili di arrivare ad essa partendo
dall’argomento menzionato all’inizio.
2.
La tesi estrema potrebbe naturalmente essere indebolita in modo da sostenere che mentre
l’aborto è ammissibile per salvare la vita della madre, non può essere effettuato da terzi ma solo
dalla madre. Ma nemmeno ciò è corretto. Dobbiamo tenere presente che la madre e il bambino
non-nato non sono come due inquilini in una casa piccola che, per uno sfortunato errore, è stata
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affittata a entrambi; è la madre a essere proprietari della casa. Questa circostanza fa aumentare
l’intollerabilità del dedurre la conclusione che la madre non può fare niente dalla supposizione che
dei terzi non possano far niente. Ma c’è di più: esso getta luce sulla stessa supposizione che dei
terzi non possano fare niente. Di certo ci consente di vedere come una terza persona che dica:
«Non posso scegliere tra di voi» e reputi ciò imparzialità, si stia solo prendendo in giro. Se Jones ha
trovato un cappotto, di cui ha bisogno per proteggersi dal freddo, ma di cui ha bisogno anche
Smith per la stessa ragione, non è per imparzialità che si può dire «non posso scegliere tra di voi» se
è Smith il proprietario del cappotto. Le donne hanno ripetuto tante volte «il corpo è mio!» e hanno
ragione di sentirsi in collera, di pensare che sono state parole gettate al vento. Dopo tutto, Smith
difficilmente ci ringrazierà se gli diciamo: «Certo che è il tuo cappotto, chiunque lo
riconoscerebbe. Ma nessuno può scegliere tra te e Jones che ha finito per averlo.»
Dovremmo in realtà domandarci cosa significa dire «nessuno può scegliere» di fronte al fatto che il
corpo che ospita il bambino è quello della madre. Può trattarsi semplicemente di un mancato
apprezzamento di questo fatto. Ma può trattarsi di qualcosa di più interessante, cioè che si ha il
diritto di rifiutarsi di esercitare violenza contro le persone, anche quando sarebbe giusto e equo
farlo, anche quando la giustizia sembra esigere che qualcuno lo faccia. Quindi la giustizia
potrebbe richiedere che qualcuno riprenda da Jones il cappotto di Smith, e tuttavia si ha il diritto
di rifiutare di essere la persona che mette le mani addosso a Jones, si ha il diritto di rifiutarsi di
esercitare violenza contro di lui. Penso che ciò debba essere riconosciuto. Ma allora non si deve
dire «nessuno può scegliere», ma solo «io non posso scegliere», e a rigore nemmeno questo, ma «io
non lo farò», senza escludere che qualcun altro possa o debba farlo, in particolare chi, ricoprendo
una posizione di responsabilità con il compito di garantire i diritti delle persone, ne ha sia il potere
sia il dovere. Non si pone qui alcuna difficoltà. Non ho sostenuto che chiunque deve acconsentire
alla richiesta della madre di effettuare un’aborto per salvarle la vita, ho solo affermato che può
farlo.
Secondo parecchie concezioni della vita umana, suppongo, il corpo della madre le è dato solo in
prestito, e il prestito non le conferisce alcun genere di pretesa prioritaria su di esso. Chi sostiene
questa tesi potrebbe reputare conforme a imparzialità dire «non posso scegliere». Mi limiterò a
ignorare questa possibilità. Credo che se c’è una cosa su cui un essere umano ha una pretesa
prioritaria e giusta, questa è il proprio corpo. E forse non c’è nemmeno bisogno di presentare
argomenti a favore, dal momento che, come ho accennato, gli argomenti contro l’aborto che
stiamo esaminando riconoscono che la donna ha il diritto di decidere cosa avverrà del suo corpo
o al suo interno.
Ma nonostante tale riconoscimento, ho cercato di mostrare che essi non prendono sul serio ciò
che va fatto per riconoscere effettivamente siffatto diritto. Suggerisco che lo stesso problema si
presenterà in modo ancora più chiaro se ci distogliamo dai casi in cui è in pericolo la vita della
madre e prendiamo a occuparci, come mi propongo di fare da ora in avanti, dei casi molto più
comuni in cui una donna desidera abortire per ragioni meno urgenti della salvezza della propria
vita.
3.
Quando la vita della madre non è in pericolo, l’argomento menzionato all’inizio sembra avere una
forza maggiore. «Ognuno ha diritto alla vita, dunque la persona non-nata ha diritto alla vita.» E non
e’ forse vero che il diritto alla vita del bambino ha un peso maggiore di qualsiasi altra ragione che
la madre potrebbe avanzare per giustificare l’aborto, che non sia il diritto alla vita della madre
stessa?
Questo argomento tratta il diritto alla vita come qualcosa di non problematico. Invece problemi ve
ne sono, e proprio il non avvedersene mi sembra la fonte dell’errore.
Dobbiamo ora chiederci finalmente cosa significa avere diritto alla vita. Secondo alcune
concezioni, avere diritto alla vita include un diritto a ricevere almeno lo stretto necessario per
continuare a vivere. Ma supponiamo che ciò che di fatto è lo stretto necessario di cui un essere
umano ha bisogno per continuare a vivere sia costituito da qualcosa su cui non si ha alcun diritto.
Se giaccio mortalmente malata, e la sola cosa che può salvarmi è il tocco della fredda mano di
Henry Fonda sulla mia fronte febbricitante, nondimeno non ho il diritto di ricevere il tocco della
fredda mano di Henry Fonda sulla mia testa febbricitante. Sarebbe estremamente gentile da parte
sua volare dalla West Coast per questo. Sarebbe meno gentile se dei miei amici, senza dubbio con
le migliori intenzioni, andassero a prelevare Henry Fonda dalla sua casa. Ma io non ho alcun diritto
che qualcuno faccia questo per me. O ancora, per tornare all’esempio precedente, il fatto che
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per mantenersi in vita quel violinista abbia bisogno dell’uso continuo dei vostri reni non prova che
egli abbia diritto all’uso continuo dei vostri reni. Certamente non ha un diritto nei vostri confronti per
cui voi dovreste concedergli l’uso continuo dei reni. Nessuno infatti ha diritto a usare i vostri reni a
meno che non siate voi a concedergli tale diritto; e nessuno ha il diritto nei vostri confronti di aver
concesso questo diritto – se gli permettete di usare i vostri reni, è una vostra gentilezza, non
qualcosa che si può pretendere come dovuto. Né ha un diritto nei confronti di altri per cui
dovrebbero essere loro a procurargli l’uso continuo dei vostri reni. Certamente il violinista non ha il
diritto nei confronti della società dei musicofili di far sì che siano loro a collegarlo con voi. E se ora
cominciate a staccare i collegamenti, dopo aver appreso che altrimenti dovrete trascorrere nove
anni al suo fianco in ospedale, non c’è nessuno al mondo che deve cercare di impedirvelo in base
alla ragione che così facendo gli viene negato qualcosa cui ha diritto.
Alcuni danno del diritto alla vita una interpretazione più ristretta. Secondo la loro concezione, esso
non comprende un diritto positivo a qualcosa ma equivale al diritto a non essere uccisi da
nessuno, e solo a questo. Ma qui sorge una difficoltà. Se tutti devono astenersi dall’uccidere il
violinista, allora tutti devono astenersi dal fare un gran numero di cose. Nessuno deve tagliargli la
gola, nessuno deve sparargli e nessuno deve staccare i collegamenti tra lui e voi. Ma ha un diritto
nei confronti di chiunque per cui chiunque deve astenersi dallo staccare i collegamenti tra lui e
voi? Non fare ciò significa permettergli di continuare a usare i vostri reni. Si potrebbe sostenere che
ha un diritto nei nostri confronti per cui noi dovremmo permettergli di continuare a usare i vostri
reni. Vale a dire, mentre non ha un diritto nei nostri confronti per cui dovremmo procurargli l’uso dei
vostri reni, si potrebbe sostenere che egli ha comunque un diritto ora al nostro non-intervento, che,
altrimenti, lo priverebbe dell’uso dei vostri reni. Tornerò in seguito sulla questione dell’intervento di
terzi. Ma di certo il violinista non ha un diritto nei vostri confronti per cui voi dovreste permettergli di
continuare a usare i vostri reni. Come ho detto prima, se gli permettete di usarli è per vostra
gentilezza non per qualcosa che gli dovete.
La difficoltà che ho indicato qui non è esclusiva del diritto alla vita. Si presenta in connessione con
tutti gli altri diritti naturali; e deve essere fronteggiata da ogni teoria dei diritti che voglia essere
adeguata. Per i nostri scopi è sufficiente averne preso nota. Ma voglio sottolineare che non sto
sostenendo che le persone non hanno diritto alla vita – al contrario, mi sembra che il principale
controllo cui dobbiamo sottoporre l’accettabilità di una teoria dei diritti è che deve essere una
verità di quella teoria che le persone hanno diritto alla vita. Sostengo solo che avere diritto alla vita
non garantisce avere un diritto né all’uso né alla concessione dell’uso continuativo del corpo di
un’altra persona – anche nel caso in cui ciò sia necessario per la vita stessa del beneficiario.
Pertanto il diritto alla vita non può essere usato per la causa antiabortista in quel modo diretto e
chiaro che tanti avversari dell’aborto sembrano aver creduto possibile.
4.
C’è un altro modo di porre in evidenza la difficoltà di cui si sta discutendo. Nei casi più comuni,
privare una persona di qualcosa cui ha diritto significa trattarla in modo contrario a giustizia.
Supponiamo che un ragazzo e suo fratello minore abbiano ricevuto in regalo per Natale una
scatola di cioccolatini. Se il ragazzo più grande prende la scatola e non dà nemmeno un
cioccolatino al fratello, è ingiusto nei suoi confronti, perché il fratello ha diritto a metà del
contenuto della scatola. Ma supponiamo ora che, dopo aver appreso che altrimenti dovrete
passare nove anni accanto al violinista in ospedale, stacchiate le apparecchiature che vi
collegano. Sicuramente non vi state comportando in modo ingiusto verso di lui, dal momento che
non gli avete concesso il diritto di usare i vostri reni e nessun altro può concedere al violinista un
diritto siffatto. Ma dobbiamo tenere presente altresì che mentre staccate le apparecchiature in
realtà lo state uccidendo, e i violinisti, come chiunque altro, hanno diritto alla vita, e quindi,
secondo la tesi che stiamo considerando, hanno il diritto di non essere uccisi. Pertanto, in questo
caso, staccando i collegamenti, fate qualcosa che il violinista ha diritto che voi non facciate, ma
nel farla non agite in modo ingiusto verso di lui.
La revisione che può essere introdotta a questo punto è la seguente: il diritto alla vita consiste non
nel diritto a non essere uccisi, ma piuttosto nel diritto a non essere uccisi ingiustamente. Ciò
comporta un rischio di circolarità, ma non importa: ci consente comunque di rendere compatibili il
fatto che il violinista ha diritto alla vita con il fatto che non si agisce ingiustamente nei suoi confronti
staccandosi dall’apparecchiatura, e con ciò uccidendolo. Infatti, se non lo si uccide
ingiustamente, non si viola il suo diritto alla vita, e quindi non c’è da meravigliarsi se non gli si fa
ingiustizia.
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Ma se questa versione rivista del diritto alla vita viene accettata, la debolezza dell’argomento
contro l’aborto si mostra nel modo più chiaro: non è sufficiente mostrare che il feto è una persona
e rammentarci che tutte le persone hanno diritto alla vita – occorre che ci si mostri anche che
uccidere il feto viola il suo diritto alla vita, vale a dire che l’aborto è una uccisione ingiusta. Ma lo
è?
Suppongo che possiamo dare per scontato che in caso di gravidanza dovuta a violenza carnale
la madre non ha concesso alla persona non nata il diritto di usare il suo corpo per cibo e riparo. E
in realtà, in quale caso si potrebbe supporre che la madre abbia concesso alla persona non-nata
un diritto siffatto? Non ci sono cose come persone non-nate fluttuanti nell’aria in attesa che una
donna desiderosa di avere un bambino dica loro: «Prego, accomodatevi.»
Ma si potrebbe sostenere che esistono altri modi in cui si può acquisire un diritto all’uso del corpo di
un’altra persona, modi diversi da quello di essere invitati a usarlo da parte della persona in
questione. Supponiamo che una donna abbia volontariamente rapporti sessuali, consapevole
della probabilità di restare incinta, e resti effettivamente incinta; non è forse in parte responsabile
per la presenza, di fatto per l’esistenza, della persona non-nata dentro di lei? Senza dubbio non
l’ha invitata. Ma la stessa parziale responsabilità della donna per la sua presenza non dà forse alla
persona non-nata il diritto di usare il suo corpo? Se così, allora l’aborto sarebbe più simile al caso
del ragazzo che s’impossessa dei cioccolatini che alla interruzione dei collegamenti con
l’apparecchiatura che tiene in vita il violinista – agire in questo modo significherebbe privare il nonnato di qualcosa cui ha diritto, e quindi significherebbe commettere un’ingiustizia nei suoi
confronti.
E allora ci si potrebbe anche tornare a chiedere se la donna può uccidere o meno il non-nato, sia
pure per salvare la propria vita: se lo ha volontariamente chiamato all’esistenza come può ora
ucciderlo, sia pure per autodifesa?
La prima osservazione da fare a questo proposito è che si tratta di un argomento nuovo. Gli
avversari dell’aborto si sono talmente preoccupati di sottolineare l’indipendenza del feto al fine di
porre il suo diritto alla vita sullo stesso piano di quello della madre, che hanno in genere sorvolato
sul possibile sostegno ottenibile in base alla circostanza che il feto dipende dalla madre, al fine di
stabilire una speciale responsabilità di quest’ultima nei suoi confronti, una responsabilità che dà al
feto nei confronti della madre diritti non posseduti da nessuna persona indipendente – come il
violinista con insufficienza renale che le è completamente estraneo.
D’altra parte, questo argomento darebbe alla persona non-nata un diritto al corpo di sua madre
solo se la sua gravidanza risultasse da un atto volontario, intrapreso con piena consapevolezza
della probabilità di una gravidanza come suo risultato. L’argomento escluderebbe invece
completamente la persona non-nata la cui esistenza è dovuta a violenza carnale. A meno di non
disporre di ulteriori argomenti, allora, giungiamo alla conclusione che persone non-nate la cui
esistenza è dovuta a violenza carnale non hanno diritto all’uso dei corpi delle loro madri, e
pertanto abortire in questi casi non significa privarli di qualcosa cui hanno diritto e quindi non si
tratta di uccisione ingiusta.
E dovremmo anche osservare che non è per nulla scontato che questo argomento mantenga
tutto quello che promette. Vi sono casi molto diversi tra loro, e i dettagli fanno la differenza. Se
nella stanza c’è aria viziata, e apro la finestra per cambiarla, e un ladro ne approfitta per entrare a
rubare in casa, sarebbe assurdo dire: «Ah, ora il ladro può anche restare, lei gli ha dato il diritto di
usare la propria casa – infatti è parzialmente responsabile per la presenza del ladro lì, perché ha
volontariamente fatto ciò che ha consentito al ladro di entrare, con la piena consapevolezza che
esistono i ladri e i ladri rubano.» Sarebbe ancora più assurdo dire ciò, se avessi avuto sbarre alla
finestre, proprio per impedire ai ladri di entrare, e un ladro fosse riuscito a entrare a causa di un
difetto delle sbarre. Resta parimenti assurdo se immaginiamo che non sia un ladro a entrare ma
una persona innocente per sbaglio o per caso. Consideriamo questa situazione: semi di persone
fluttuano nell’aria come polline, se aprite le finestre uno di questi semi può entrare e mettere radici
sul tappeto o sulla tappezzeria. Non desiderate avere bambini, pertanto fissate alle finestre delle
cortine di protezione a reticolo, le migliori sul mercato. Ma come talvolta, molto di rado, accade,
una delle maglie del reticolo è difettosa; un seme entra in casa e mette radici. La persona-pianta
che ora prende a svilupparsi ha il diritto di usare la casa? Sicuramente no – nonostante il fatto che
siate state voi ad aprire volontariamente le finestre, a tenere in casa tappeti e tappezzerie,
consapevoli che a volte le cortine di protezione presentano delle smagliature. Qualcuno vorrà
sostenere che siete responsabili per il seme che ha messo radici, che quindi ha diritto alla vostra
casa, perché dopo tutto avreste potuto vivere senza tappeti né tappezzerie, o con finestre e porte
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sprangate. Ma tutto questo non va – allo stesso modo, infatti, si può evitare una gravidanza dovuta
a violenza carnale con una isterectomia, o badando a non uscire di casa privi di un’arma
(affidabile!).
A mio avviso, l’argomento che stiamo esaminando può al massimo stabilire che vi sono alcuni casi
in cui la persona non-nata ha diritto all’uso del corpo di sua madre, e pertanto in alcuni casi
l’aborto è un’uccisione ingiusta. C’è poi da precisare quali siano questi casi, se pure ve ne sono.
Ma credo che possiamo lasciare la questione aperta, visto che in ogni caso l’argomento non
stabilisce che 1’aborto è sempre un’uccisione ingiusta.
5.
Tuttavia, c’è ancora spazio per un altro argomento a questo riguardo. Dobbiamo certo tutti
riconoscere che possono darsi casi in cui sarebbe moralmente indecente staccare una persona
dal vostro corpo a costo della sua vita. Supponiamo di venire a sapere che il violinista non ha
bisogno di nove anni della vostra vita ma solo di un’ora: tutto quello che dovete fare per salvargli
la vita è trascorrere un’ora in quel letto di ospedale vicino a lui. Supponiamo anche che lasciargli
usare i vostri reni non danneggerà minimamente la vostra salute. Certo, siete stati rapiti e non
avete dato a nessuno il permesso di collegarvi all’apparecchiatura. Nondimeno, mi sembra chiaro
che avreste il dovere di permettergli di usare i vostri reni per quell’ora: rifiutare sarebbe contrario
alla decenza morale.
Di nuovo, supponiamo che la gravidanza duri solo un’ora, e non costituisca minaccia alcuna alla
vita e alla salute. E supponiamo che una donna resti incinta dopo aver subito violenza carnale.
Certo, non ha fatto nulla di sua volontà per portare all’esistenza un bambino. Certo, non ha fatto
assolutamente nulla per dare alla persona non-nata il diritto di usare il suo corpo. Eppure si
potrebbe ben dire, come nell’ultima versione rivista della storia del violinista, che la donna avrebbe
il dovere di permettergli di restare per quell’ora necessaria – sarebbe moralmente indecente
rifiutarsi di farlo.
Ora, alcuni sono inclini a usare il termine ‘diritto’ in modo tale che dal fatto che dovreste
permettere a una persona di usare il vostro corpo per l’ora di cui ha bisogno, segue che quella
persona ha un diritto a ciò, anche se quel diritto non gli è stato concesso da nessuno attraverso atti
né dichiarazioni. Ne segue anche, si può proseguire, che se rifiutate agite in modo ingiusto nei suoi
confronti. Questo uso del termine ‘diritto’ è forse così comune da non poter essere detto sbagliato;
nondimeno, mi sembra una estensione infelice di un concetto che faremmo meglio a tenere sotto
stretto controllo. Supponiamo che la scatola di cioccolatini menzionata prima non sia stata donata
ai due ragazzi congiuntamente, ma solo al maggiore dei fratelli, il quale comincia a mangiare con
fare indifferente i cioccolatini sotto gli sguardi pieni di invidia del fratello più piccolo. A questo
punto forse gli diremmo: «Non devi essere così egoista, Devi lasciare qualche cioccolatino anche a
tuo fratello.» La mia tesi è che semplicemente non segue dalla verità di quanto detto che il fratello
minore ha diritto a dei cioccolatini, Se il ragazzo rifiuta di darne al fratello, si mostra goloso,
meschino, insensibile – ma non ingiusto. Suppongo che le persone che ho in mente diranno invece
che il fratello ha diritto a qualche cioccolatino, e pertanto l’altro agisce in modo ingiusto se rifiuta
di darne al fratello. Ma sostenere ciò significa oscurate una distinzione importante, vale a dire la
differenza tra il rifiuto del ragazzo in questo caso e il suo rifiuto nel caso precedente, quando la
scatola di cioccolatini viene data a entrambi i ragazzi congiuntamente, e il fratello minore ha così
titolo, da ogni punto di vista, a metà dei cioccolatini.
Una ulteriore obiezione all’uso del termine ‘diritto’ nel senso che dal fatto che A deve fare una
cosa per B segue che B ha un diritto nei confronti di A per cui A deve fare quella cosa per lui, fa
osservare come in questo modo la questione dell’avere o meno diritto a una cosa viene fatta
dipendere dalla facilità con cui questa cosa può essere fornita; e ciò appare non solo sgradevole,
ma moralmente inaccettabile. Consideriamo di nuovo il caso di Henry Fonda. Ho affermato prima
di non avere alcun diritto al tocco della sua fredda mano sulla mia fronte febbricitante, anche se
questo fosse l’unico modo di salvarmi la vita. Ho anche affermato che sarebbe estremamente
gentile da parte sua volare dalla West Coast per salvarmi, ma non ho un diritto nei suoi confronti
per cui sarebbe tenuto a fare così. Ma supponiamo ora che non viva sulla West Coast: deve solo
entrare dall’altra stanza, porre una mano sulla mia fronte – e, miracolo, la mia vita è salva. In
questo caso sarebbe tenuto a farlo, rifiutarsi sarebbe moralmente indecente. Si può forse dire:
«Bene, ne segue che lei ha diritto al tocco della sua mano sulla fronte, e sarebbe ingiusto da parte
sua rifiutarsi di farlo»? Si può forse sostenere che ho un diritto a qualcosa quando è facile da
procurare, ma che questo diritto non c’è quando è difficile farlo? È un’idea piuttosto strana che i
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diritti di una persona si indeboliscano e scompaiano man mano che diventi più difficile accordarli
con le esigenze di chi dovrebbe soddisfarli.
La mia tesi è pertanto che anche se sarebbe opportuno permettere al violinista l’uso dei vostri reni
per l’ora di tempo necessaria, non dovremmo concluderne che egli ha diritto a ciò – piuttosto,
dovremmo dire che se rifiutate, siete, come il ragazzino che si prende tutti i cioccolatini senza
lasciarne nessuno, egoisti e insensibili, di fatto moralmente indecenti, ma non ingiusti. E
analogamente, anche immaginando un caso in cui una donna incinta a seguito di violenza
carnale dovrebbe permettere alla persona non-nata l’uso del suo corpo per l’ora di tempo
necessaria, non dovremmo essere condotti alla conclusione che la persona non-nata ha diritto a
ciò; la conclusione è, piuttosto, che sarebbe egoista, insensibile, moralmente indecente, da parte
della donna, rifiutarsi di farlo, ma non ingiusto. Certo, le critiche non sono meno gravi; sono
semplicemente diverse. Tuttavia, non c’è bisogno di insistere su questo punto. Se si desidera
dedurre «egli ha un diritto» da «tu devi», si deve nondimeno riconoscere che si danno casi in cui
non si è moralmente tenuti a consentire a quel violinista l’uso dei propri reni, casi in cui egli non ha il
diritto di usarli e infine casi in cui non ci si comporta ingiustamente verso di lui se ci si rifiuta. E questo
vale anche nel caso della madre e del bambino non-nato. Ad eccezione dei casi in cui la persona
non-nata ha il diritto di esigerlo – e abbiamo lasciato aperta la possibilità che tali casi possano darsi
– nessuno è moralmente tenuto a sacrificare parti importanti della propria salute, o dei propri
interessi e affetti, o dei propri doveri e impegni, per nove anni, o anche per nove mesi, al fine di
mantenere in vita un’altra persona.
6.
Dobbiamo distinguere due specie di samaritani: il buon samaritano e quello che potremmo
chiamare il samaritano minimale, che soddisfa i criteri della decenza morale. La parabola del buon
samaritano è nota:
Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e s’imbatté nei ladri, i quali lo spogliarono,
lo caricarono di percosse e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Ora, un sacerdote,
per caso, scendeva per la medesima strada, lo vide, ma passò oltre. Così pure un levita,
sopraggiunto in quel luogo, lo vide e tirò innanzi. Ma un samaritano, che era in viaggio,
arrivatogli vicino, lo vide e n’ebbe pietà. Gli si accostò, fasciò le sue ferite, versandovi olio
e vino; poi, fattolo salire sul suo giumento, lo condusse all’albergo e ebbe cura di lui. Il
giorno dopo prese due denari e li diede all’albergatore dicendogli: «Abbi cura di lui, e
quanto spenderai dì più, io te lo .restituirò al mio ritorno». (Luca 10: 30-35).
Il buon samaritano deviò dal suo cammino, con qualche costo per sé, per aiutare un altro che ne
aveva bisogno. Non ci viene detto quali fossero le opzioni, vale a dire, se il sacerdote o il levita
avrebbero potuto prestare aiuto con meno di quanto fece il buon samaritano, ma assumendo che
l’avrebbero potuto fare, allora il fatto che non abbiano mosso un dito mostra come non fossero
nemmeno samaritani minimali, non perché non erano samaritani ma perché non raggiungevano
la soglia minima di decenza morale.
Tutto questo, naturalmente, è questione di grado, ma una differenza c’è e risulta forse nel modo
più chiaro nella storia di Kítty Genovese, assassinata mentre trentotto persone rimasero a guardare
o ascoltare, senza fare nulla per aiutarla. Un buon samaritano si sarebbe precipitato a aiutarla
contro l’assassino. 0 forse sarebbe stato necessario un samaritano eccezionale, dal momento che
l’intervento avrebbe messo a repentaglio la sua vita. Ma le trentotto persone non solo non fecero
questo, non si presero neppure il disturbo di usare il telefono e chiamare la polizia. A samaritani
minimali si sarebbe chiesto almeno questo, e il non averlo fatto fu mostruoso.
Dopo aver raccontato la parabola del buon samaritano, Gesù disse: «Va’ e fa’ pure tu lo stesso. »
Forse intendeva dire che siamo moralmente tenuti a agire come il buon samaritano. Forse voleva
esortate gli uomini a fare più di quanto è loro moralmente richiesto. In ogni caso, sembra chiaro
che nessuno dei trentotto era moralmente tenuto a esporsi a rischio della propria vita, e del pari
che nessuno è moralmente tenuto a sacrificare lunghi periodi della propria vita – nove anni o nove
mesi – per mantenere in vita una persona che non ha alcun speciale diritto (avevamo lasciato
aperta la possibilità di questo) di esigerlo.
In realtà, con una sola classe di eccezioni peraltro piuttosto impressionante, nessuno, in nessun
paese al mondo, è giuridicamente tenuto a fare qualcosa di anche lontanamente simile per
qualcun altro. La classe delle eccezioni è ovvia. Il mio interesse principale qui non è la legislazione
sull’aborto, ma è opportuno rilevare come in nessuno stato dell’Unione si è costretti per legge a
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essere un samaritano sia pur minimale; non c’è una legge in base alla quale accusare le trentotto
persone che rimasero a guardare mentre Kitty Genovese moriva. Per contro, nella maggior parte
degli stati dell’Unione le donne sono costrette dalla legge non solo a essere samaritani minimali, tra
anche buoni samaritani nei confronti delle persone non-nate dentro di loro. Questo di per sé non
decide la questione in un senso o nell’altro, perché si può anche sostenere che leggi siffatte
dovrebbero esserci negli Stati Uniti – così come già esistono in molti paesi europei – leggi che
sanciscano almeno un comportamento da samaritani minimali. Ma tutto ciò mostra che c’è una
grossa ingiustizia nell’attuale legislazione. E mostra anche che i gruppi che si battono contro la
liberalizzazione delle leggi sull’aborto, di fatto cercando di ottenere che si dichiari incostituzionale
l’ammissibilità dell’aborto in uno stato, farebbero meglio a adoperarsi per l’adozione di leggi da
buon samaritano in generale, o altrimenti a riconoscere la malafede delle loro azioni.
Penso, tuttavia, che leggi da samaritani minimali sarebbero una cosa, leggi da buoni samaritani
un’altra e invero del tutto inappropriata cosa. Ma qui non ci occupiamo di legislazione. Quello che
dovremmo chiederci non è se si dovrebbe essere costretti dalla legge a comportarsi da buoni
samaritani, ma se dobbiamo consentire a una situazione in cui qualcuno viene costretto –dalla
natura, forse – a comportarsi da buon samaritano. In altre parole, dobbiamo ora considerare
l’eventuale intervento di terzi. Ho sostenuto finora che nessuno è moralmente tenuto a sopportare
grandi sacrifici per mantenere in vita un altro che non ha diritto di esigerli, e questo anche quando
i sacrifici non comprendono la vita stessa; non siamo moralmente tenuti a essere dei buoni o
comunque degli ottimi samaritani gli uni verso gli altri. Ma che accade se una persona non riesce a
districarsi dalla situazione in cui si è venuta a trovare? Se ci chiede aiuto? Mi sembra chiaro che si
danno casi in cui siamo in grado di prestare aiuto, casi in cui un buon samaritano potrebbe
salvarla. E ora siete li, in quella corsia di ospedale dopo essere stati rapiti, con la prospettiva di
dover giacere in quel letto per nove anni accanto al violinista. Ma avete la vostra vita da vivere. Vi
dispiace, ma semplicemente non riuscite a concepire di dover rinunciare a una parte così
cospicua della vostra vita per salvare questa. Non potete togliervi da questa situazione e chiedete
ad altri di farlo. Alla luce del fatto che il violinista non ha diritto all’uso del vostro corpo, dovrei
considerare cosa ovvia che non abbiamo il dovere di consentire alla costrizione cui siete sottoposti
nel rinunciare a tanta parte della vostra vita. Possiamo fare quello che chiedete. Non c’è ingiustizia
nei confronti del violinista se lo facciamo.
7.
Seguendo il filo degli argomenti antiabortisti, ho sempre parlato del feto come di una persona, e
ciò che mi sono chiesta è se l’argomento con cui abbiamo cominciato, e che prende le mosse
dall’essere il feto una persona, riesce effettivamente a provare la sua conclusione. Ho sostenuto
che non vi riesce.
Ma naturalmente vi sono argomenti e argomenti, e si può ribattere che ho scelto quello sbagliato.
Si può obiettare che l’importante non è il mero fatto che il feto è una persona, ma che si tratta di
una persona nei confronti della quale la donna ha un tipo speciale di responsabilità, derivante
dall’essere sua madre. E si potrebbe dunque sostenere che tutte le mie analogie sono pertanto
irrilevanti – perché non c’è una simile responsabilità nel caso del violinista, né Henry Fonda ha
questa speciale responsabilità per me. E la nostra attenzione potrebbe essere richiamata sul fatto
che uomini e donne sono costretti entrambi dalla legge a prendersi cura dei propri figli.
Ho in effetti trattato (brevemente) questo argomento nella quarta sezione; ma una ricapitolazione
(ancora più breve) può essere opportuna. Sicuramente non abbiamo nessuna ‘speciale
responsabilità’ per una persona a meno di non essercela assunta, in modo esplicito o implicito. Se
una coppia di genitori non cerca di evitare la gravidanza, non richiede l’aborto, e al momento
della nascita non dà il bambino in adozione, ma invece lo porta a casa con sé, allora essi hanno
assunto una responsabilità nei suoi confronti, gli hanno concesso dei diritti, e ora non possono
rifiutare di prendersi cura di lui, mettendo in pericolo la sua vita. Ma se invece la coppia aveva
preso tutte le possibili ragionevoli precauzioni contro l’avere un bambino, essi non hanno una
speciale responsabilità per il bambino che viene all’esistenza semplicemente in virtù del loro
rapporto biologico con lui. Possono volersi assumere tale responsabilità o meno. E sostengo che se
assumersi la responsabilità richiede grandi sacrifici, allora possono rifiutarsi. Un buon samaritano non
rifiuterebbe, e in ogni caso non un samaritano splendido, per quanto enormi possano essere i
sacrifici. Ma allora sarebbe stato un buon samaritano ad assumersi la responsabilità per quel
violinista; e così I lenry Fonda, se fosse stato un buon samaritano, sarebbe volato per me dalla West
Coast e si sarebbe assunto la responsabilità per me.
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8.
La mia posizione verrà giudicata insoddisfacente sotto due aspetti da molti di coloro che sono
propensi a considerare l’aborto moralmente inammissibile. In primo luogo, mentre sostengo che
l’aborto non è inammissibile, non sostengo che è sempre ammissibile. Possono ben esserci casi in
cui portare a termine la gravidanza richiede alla madre solo tiri comportamento da samaritano
minimale, e questo è uno standard sotto il quale non bisogna cadere. Sono incline a considerare
come un merito del mio resoconto proprio il fatto che non conclude per un sì o per un no valido
per tutti i casi. Questo resoconto è compatibile e rafforza l’intuizione condivisa secondo cui, per
esempio, è ovvio che una studentessa quattordicenne malata e terrorizzata, rimasta incinta dopo
una violenza carnale, può scegliere di abortire, e che una legislazione che escluda ciò è una
legislazione folle. Ed è inoltre compatibile e rafforza l’intuizione condivisa che in altri casi ricorrere
all’aborto è effettivamente fuori della decenza morale. Così sarebbe per la donna che lo richiede,
e per il medico che lo esegue, se la donna è al settimo mese e desidera abortire solo per evitare la
seccatura di rinviare un viaggio all’estero. Proprio il fatto che gli argomenti su cui ho richiamato
l’attenzione trattano tutti i casi di aborto, o anche tutti i casi di aborto in cui la vita della madre non
è in pericolo, sullo stesso piano di considerazione morale avrebbe dovuto renderli sospetti fin
dall’inizio.
In secondo luogo, mentre sostengo l’ammissibilità dell’aborto in alcuni casi, non sostengo il diritto di
dare la morte al bambino non-nato. ~ facile confondere le due cose dal momento che fino a un
certo punto dello sviluppo del feto questi non è capace di sopravvivere fuori del corpo della
madre; rimuoverlo da lì comporta la sua morte. Ma si tratta di questioni differenti sotto aspetti
importanti. Ho sostenuto che non siete moralmente tenuti a trascorrere nove mesi a letto,
mantenendo in vita il violinista; ma ciò non equivale in alcun modo a dire che se, dopo aver
interrotto il collegamento con l’apparecchiatura, il violinista sopravvive per miracolo, allora avete il
diritto di tagliargli la gola. Potete staccarvi anche se questo gli costa la vita; ma non avete alcun
diritto di procurargli la morte con qualche altro mezzo, se la vostra azione di interruzione dei
collegamenti non lo uccide. C’è chi resterà insoddisfatto da questo aspetto del mio argomento.
Una donna può essere sconvolta dal pensiero di un bambino, una parte di se stessa, dato in
adozione e mai più visto o sentito. Pertanto può volere non solo che il bambino venga staccato da
lei, ma di più, che muoia. Alcuni avversari dell’aborto sono inclini a giudicare tutto ciò indegno di
qualsivoglia considerazione – con ciò mostrando di essere insensibili a quella che sicuramente è
una potente fonte di disperazione. Nondimeno, concordo che il desiderio che il bambino muoia
non è di quelli che possano giustificare qualcuno, se dovesse risultare possibile staccare il bambino
vivo.
A questo punto, tuttavia, si dovrebbe ricordare che abbiamo solo concesso che il feto sia un
essere umano fin dal momento del concepimento. Un aborto molto precoce non significa
certamente uccidere una persona, e pertanto non è stato trattato dagli argomenti qui esaminati.
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