Appunti di Geometria per il corso di Laurea in Fisica

Appunti di Geometria per il corso di Laurea
in Fisica
B. C. Casciaro
Dipartimento di Matematica
Università di Bari
Campus Universitario
Via Orabona 4, 70125 Bari, Italy
[email protected]
May 22, 2008
Questi appunti non sono garantiti in alcun loro aspetto: anche
l’uso della lingua italiana può essere errato. Pertanto, si accettano
correzioni, consigli e suggerimenti, fatti pervenire in qualunque
modo. Il loro uso è soggetto alla unica condizione: se compare il
nome dell’autore deve comparire questa dichiarazione.
Scritto mediante l’uso del programma di ”latex” di pubblico dominio,
con tutte le macros incluse nel testo. I programmi necessari sono ”Miktex”
e ”TexnicCenter” si possono scaricare dalla rete e poi si deve collegare il
secondo al primo.
1
Capitolo 1: Alcuni complementi di teoria degli insiemi e alcune
proprietà delle strutture algebriche.
La mia esperienza mi ha convinto che piú facile leggere un argomento
di matematica su un testo che stato parzialmente spiegato. Per questo
questi appunti contengono molti piú argomenti del programma effettivammente svolto e richiesto all’esame, visto che oggi uno puó stampare solo le
parti che lo interessano.
1
Famiglie e Applicazioni
I Capitoli di Teoria degli Insiemi del Corso di Analisi sono parte integrante
del Programma di Geometria.
Premettiamo alcuni complementi sul concetto di coppia, per uniformare
il linguadio usato in quel corso a quello che utilizzeremo nel seguito.
Sia X un insieme, con X 6= ∅ e denotiamo con P (X) il suo insieme delle
parti.
Se a, b ∈ X diremo coppia ordinata il sottoinsieme {{a} , {a, b}} di P (X),
e scriveremo (a, b) = {{a} , {a, b}}. Se a, b, x, y ∈ X, allora:
(a, b) = (x, y) ⇔ a = x
∧
b = y.
L’insieme di tutte e sole le coppie ordinate di elementi di X si denota con
X × X ed è un sottoinsieme di P (P (X)).
♣ Esercizio (1.1). Dare la definizione di prodotto cartesiano X ×Y usando
la precedente di coppia ordinata, con X e Y insiemi non vuoti (Suggerimento:
X × Y è un sottoinsieme di (X ∪ Y ) × (X ∪ Y )).♣
Si puó definire X × X × X, nel modo seguente.
Si identifica ((X × X) × X) con (X × (X × X))), mediante
(x, (y, z)) = ((x, y), z) ,
2
∀x, y, z ∈ X .
L’insieme cosı́ ottenuto si denota con X × X × X ed un suo elemento si
chiama terna ordinata. Si intuisce che in modo analogo possono essere definite le n–ple ordinate, ma questa nozione non puo essere data rigorosamente
a questo punto, perché manca uno strumento indispensabile, detto ”principio
di induzione”.
Ricordiamo che, dati due insiemi A e B non vuoti:
1) Si dice relazione (elementi di A ed elementi di B) ogni sottoinsieme
R⊆A×B
Definition 1.1. Siano A e B due insiemi non vuoti e R ⊆ A × B è una
relazione, si dice che R è una relazione funzionale se e solo se:
∀x ∈ A
∃!y ∈ B
t.c.
(x, y) ∈ R .
(1.1)
In tal caso la terna ordinata f = (A, B, R) è detta applicazione.
Esistono altri due modi per denotare l’applicazione precedente.
Il primo è quello, a voi noto, di scrivere f : A → B, invece di f =
(A, B, R), e di specificare la relazione funzionale ponendo:
x ∈ A, y ∈ B :
f (x) = y ⇐⇒ (x, y) ∈ R .
Si ricorda che in questo caso la proprietà che R sia funzionale si impone
richiedendo che:
∀x ∈ A, ∃!y ∈ B
t.c. f (x) = y.
(1.2)
Il secondo modo per denotare l’ applicazione della definizione (1.1) è il
seguente. Per ogni x ∈ A si denota con yx l’unico elemento di B tale che
(x, yx ) ∈ R e si usa il simbolo (yx )x∈A , che si chiama famiglia di elementi di
B con insieme di indici A. In questo caso la condizione che R sia funzionale
si impone richiedendo che:
∀x ∈ A,
∃!yx ∈ B
(1.3)
Ovviamente, siccome fra la definizione data durante il corso di analisi e quella
data qui esiste solo una differenza di notazione, tutte le definizioni e le proprietà già note continuano a valere, anche se nel caso delle famiglie, sia per
ragioni storiche, sia per il diverso uso di questa notazione, alcune di tali
proprietà cambiano di nome, oppure non sono considerate.
3
Con riferimento alla applicazione della definizione (1.1) e alla notazione
(1.3), si dice che la famiglia (yx )x∈A è propria se, considerata come applicazione, è ingettiva. Inoltre, l’insieme f (A), cioè l’immagine di f , nel caso
delle famiglie si chiama sostegno della famiglia (in alcuni testi il sostegno della
famiglia è denotato con {yx }x∈A , in altri testi con questo simbolo si denota
proprio la famiglia, in altri ancora non si fa alcuna distinzione fra sostegno e
famiglia e si denotano entrambi con questo ultimo simbolo). Per le famiglie, il
corrispondente delle rimanenti definizioni relative alle applicazioni non esiste.
Infine, se A = {1, ..., n}, con n > 0 intero, allora si pone (yx )x∈A =
(yx )1≤x≤n .
Se A e B sono due insiemi non vuoti, l’insieme delle applicazioni da A in
B si denota con B A , se A = {1, ..., n}, si pone B A = B n .
♣ Il seguente esercizio (1.2) giustifica la precedente notazione: Sia B
un insieme non vuoto. L’ applicazione ϕ : B 2 −→ B × B, che ad ogni
f : {1, 2} −→ B associa ϕ (f ) = (f (1), f (2)) è una bigezione.♣
Noi useremo questa bigezione per identificare B 2 con B ×B. Cioè, considereremo coincidenti una applicazione f : {1, 2} −→ B, la coppia (f (1), f (2))
e la famiglia (f (i))1≤i≤2 . Un discorso analogo vale per le terne ordinate.
Questo fatto ci esonera dal dover definire le n-ple ordinate. Infatti, noi considereremo come oggetti coincidenti una applicazione f : {1, ..., n} → B,
la n–pla (x1 , ..., xn ) e la famiglia (xi )1≤i≤n , avendo posto f (i) = xi , per
i = 1, ..., n.
In questo corso è utile usare una definizione di ”applicazione invertibile”
diversa da quella data in analisi. Siano A e B due insiemi non vuoti. Ricordiamo che nel corso di Analisi una applicazione f : A → B è detta invertibile
se e solo se è ingettiva. Per motivi che saranno chiari nel seguito, in geometria
è utile dire che una applicazione, f : A → B, è invertibile se e solo se:
f è bigettiva
In tal caso, l’applicazione inversa è f −1 : B → A.
Per recuperare la definizione data in Analisi, poniamo la seguente. Sia
f = (A, B, R) una applicazione. Si osservi che per ogni (x, y) ∈ R risulta
(x, y) ∈ A × f (A), quindi R ⊆ A × f (A) e ha senso considerare la nuova
applicazione g = (A, f (A), R). L’applicazione g è detta ridotta di f ed è
denotata con f# .
Allora, se f : A → B è una applicazione, l’applicazione ridotta g = f# :
A → f (A) è definita, ponendo g(x) = f# (x) = f (x), per ogni x ∈ A. Ogni
applicazione ridotta è surgettiva, in più è bigettiva, se e solo se l’applicazione
di partenza è ingettiva. Quindi, se f : A → B è una applicazione ingettiva,
4
mentre per il corso di Analisi f è invertibile e f −1 : f (A) → A è la sua inversa,
per noi l’applicazione invertibile è f# : A → f (A) e la sua inversa è
(f# )−1 : f (A) → A.
Un altro modo utile per ottenere applicazioni da una applicazione data è
il seguente. Siano f = (A, B, R) una applicazione e C(6= ∅) un sottinsieme di
A. Siccome S = Ru(C ×B) è una relazione funzionale, possiamo considerare
l’applicazione g = (C, B, S). L’applicazione g è detta restrizione di f a C e
si pone g = f|C . Quindi, se f : A → B è una applicazione si ha f|C : C → B
e f|C (x) = f (x), per ogni x ∈ C.
Se A, B 6= ∅, (yx )x∈A è una famiglia di elementi di B con insieme di indici
A e C 6= ∅ è un sottoinsieme di A, allora la famiglia (yx )x∈A si può denotare
come una applicazione f : A → B, con f (x) = yx , per ogni x ∈ A. Ha quindi
senso considerare la restrizione f|C : C → B che, per le definizioni poste, non
è altro che una notazione diversa della famiglia (yx )x∈C . Quest’ultima si dice
famiglia estratta dalla famiglia (yx )x∈A , oppure sottofamiglia della famiglia
(yx )x∈A .
La nozione di famiglia consente l’estensione delle nozioni di unione e intersezione. Infatti, sia I un insieme non vuoto e sia (Ai )i∈I una famiglia di
insiemi. Porremo:
[
Ai = {y/∃i ∈ I t. c. y ∈ Ai }
(1.4)
i∈I
e
\
Ai = {y/∀i ∈ I : y ∈ Ai }
(1.5)
i∈I
e leggeremo i primi membri delle precedenti rispettivamente come ”unione
per i appartenente ad I degli Ai ” e ”intersezione per i appartenente ad I
degli Ai ”. Le proprietà della nuova definizione di unione e intersezione non
saranno mai usata e quindi eviteremo di enunciarle. Qui dimostriamo solo
che per I = {1, 2} le nuove definizioni coincidono con quelle date nel corso
di Analisi. Si ha infatti:
[
Ai = {y/∃i ∈ {1, 2} t. c. y ∈ Ai } = {y/y ∈ A1 oppure y ∈ A2 } =
1≤i≤2
= A1 t A 2
\
(1.6)
Ai = {y/∀i ∈ {1, 2} : y ∈ Ai } = {y/y ∈ A1 e y ∈ A2 } =
1≤i≤2
5
=
= A1 u A2 .
(1.7)
La nozione di famiglia consente anche di estendere la nozione di prodotto
cartesiano tra insiemi.
S Siano (Xi )i∈I una famiglia di insiemi con insieme di
indici I 6= ∅ e X = i∈I Xi . Diremo prodotto cartesiano per i ∈ I degli Xi
l’insieme:
Y
Xi = (xi )i∈I ∈ X I /∀i ∈ I : xi ∈ Xi
(1.8)
i∈I
Il primo membro della precedente si legge produttoria per i ∈ I degli Xi .
Anche le proprietà, di questo tipo di prodotto cartesiano non saranno mai
usate.
2
Relazioni d’ordine e di equivalenza
Siano A(6= ∅) un insieme e R ⊆ A × A una relazione (R 6= ∅). Nell seguito,
invece di scrivere (x, y) ∈ R, scriveremo xRy, con x, y, ∈ A. Consideriamo le
seguenti proprietà, che possono essere verificate da R:
(2.1a) riflessiva
∀x ∈ A :
xRx ;
(2.1b) simmetrica
x, y ∈ A :
xRy ⇒ yRx ;
(2.1b’) antisimmetrica
x, y ∈ A :
xRy
e yRx ⇒ y = x ;
(2.1c) transitiva
x, y, z ∈ A :
xRy
e yRz ⇒ xRz .
Le relazioni di A × A, che verificano le (2.1a), (2.1b’) e (2.1c), sono dette
relazioni di ordine, quelle, che verificano le (2.1a), (2,1b) e (2.1c) sono dette
relazioni di equivalenza.
6
Le relazioni di ordine hanno una grande importanza in analisi e quindi
sono studiate in quel corso. A noi interessano (escluso il caso degli esempi e
degli esercizi) solo le relazioni di ordine naturale in R (campo dei numeri
reali) e N (insieme dei numeri naturali). In N è importante il fatto che la
relazione di ordine naturale soddisfa il principio del buon ordinamento che
assicura che: ogni sottoinsiene X non vuoto di N ammette minimo. Dal
principio del buon ordinamento seguono il principio di induzione completa
nella prima forma, il principio di induzione completa nella seconda forma e
il principio di induzione finita.
I primi due principi sono relativi a famiglie (An )n∈N,n≥n0 (l’insieme degli
indici e quello degli interi maggiori o uguali a n0 (nel seguito n ∈ N sarà
sottinteso) di ”asserzioni” per ciascuna delle quali esistono solo le due possibilità che An sia ”vera” oppure che An sia ”falsa”. Sia (An )n≥n0 una tale
famiglia. Il primo principio di induzione si enuncia:
Theorem 2.1. Se An0 è vera e, per ogni n ≥ n0 , da An vera segue che An+1
è vera, allora An è vera per ogni n ≥ n0 .
Il secondo:
Theorem 2.2. Se An0 è vera e per ogni n ≥ n0 dal fatto che Ai è vera per
ogni i ∈ [n0 , n] = {h ∈ N/n0 ≤ h ≤ n} segue che An+1 è vera, allora An è
vera per ogni n ≥ n0 .
Dimostriamo la prima proposizione: Supponiamo per assurdo che, essendo vere le ipotesi, non sia vera la tesi, allora esiste un h ≥ n0 tale che
Ah non è vero. Deve essere h > n0 , perché An0 è vera per ipotesi. Quindi
l’insieme
X = {k ∈ N/(k > n0 ) e (Ak è falsa)} ⊆ N
è non vuoto e pertanto ammette minimo. Sia h0 tale minimo. Essendo
h0 ∈ X, risulta Ah0 falsa e si ha quindi h0 > n0 . Dalla definizione di minimo
si ha anche che per ogni k ≥ n0 , tale che Ak sia falso, risulta k ≥ h0 . Ora
h0 > n0 implica h0 − 1 ≥ n0 , quindi Ah0 −1 esiste ed è vera, pertanto Ah0 deve
essere vera. Il che è assurdo.
La seconda forma del principio di induzione completa è una conseguenza
banale della prima. ♠
Un altra formulazione del principio di induzione utile è relativo al caso in
cui la famiglia di affermazioni considerata ha senso per un numero finito di
7
indici. Sia (An )n∈[n0 ,n0 +h] una famiglia di affermazioni che hanno senso per
ogni n ∈ [n0 , n0 + h], con n0 ∈ Z e h > 0. Si ha:
Theorem 2.3. i). Se An0 è vera e, per ogni n ∈ [n0 , n0 + h − 1], da An vera
segue che An+1 è vera, allora An è vera per ogni n ∈ [n0 , n0 + h].
ii). Se An0 +h è vera e, per ogni n ∈ [n0 + 1, n0 + h], da An vera segue che
An−1 è vera, allora An è vera per ogni n ∈ [n0 , n0 + h].
Dimostrazione: Sia la i), che la ii) hanno una dimostrazione analoga a
quella della (2.1). ♠
Come premessa allo studio delle relazioni di equivalenza si propone il
seguente:
♣ Esercizio (2.1). Sia X(6= ∅) un insieme. Esiste un’unica relazione R
verificante la (2.1a), (2.1b) e (2.1b’). Questa relazione verifica anche la (2.1c)
e quindi è contemporaneamente una relazione di ordine e di equivalenza. In
più, verifica la proprietà (1.1) pertanto è anche una relazione funzionale.
Infine, l’applicazione da essa definita è l’identità. (Suggerimento: dimostrare
dapprima che R coincide con la diagonale ∆X = {(x, x) ∈ X × X/x ∈ X}).
♣
Siano X(6= ∅) un insieme e R ⊆ X × X una relazione di equivalenza su
X. Dato a ∈ X si definisce classe di equivalenza di a rispetto ad R l’insieme:
[a]R = {b ∈ X/bRa}
Theorem 2.4. Le classi di equivalenza degli elementi di X(6= ∅) rispetto ad
una relazione di equivalenza R verificano le seguenti proprietà:
∀a ∈ X : a ∈ [a]R
⇒ [a]R 6= ∅ ,
(2.1)
a, b ∈ X :
[a]R = [b]R ⇔ aRb
(2.2)
[a]R u [b]R = ∅ ⇔ a non è in relazione R con b .
(2.3)
e
a, b ∈ X :
Dimostrazione: La (2.1) è una conseguenza immediata della definizione
di classe di equivalenza e della proprietà riflessiva.
Per provare la (2.2) fissiamo a, b ∈ X. Se [a]R = [b]R , per la (2.2), risulta
a ∈ [a]R e quindi a ∈ [b]R . Allora dalla definizione di classe di equivalenza
segue aRb.
8
Viceversa, se aRb, allora , per la proprietà simmetrica di R si ha bRa. Da
ciò segue:
(x ∈ [a]R ∧ aRb) ⇒ (xRa ∧ aRb) ⇒ xRb ⇒ x ∈ [b]R ,
(x ∈ [b]R ∧ bRa) ⇒ (xRb ∧ bRa) ⇒ xRa ⇒ x ∈ [a]R ,
per la definizione di classe di equivalenza e per la proprietà transitiva di R.
Quindi [a]R = [b]R segue per doppia inclusione.
La (2.3) segue parzialmente dalla negazione della (2.2), che é:
a, b ∈ X :
[a]R 6= [b]R ⇔ a non è in relazione R con b .
Quindi, se [a]R u [b]R = ∅, allora [a]R 6= [b]R , (le due classi di equivalenza
non possono coincidere, perché sono entrambe non vuote). Si ha quindi, per
la precedente che a non è in relazione R con b. Viceversa, per assurdo, se a
non è in relazione R con b e [a]R u [b]R 6= ∅, esiste z ∈ [a]R u [b]R , quindi zRb
e zRa e, essendo R simmetrica e transitiva si ha aRb, il che è assurdo. ♠
Il sostegno della famiglia Π0 = ([a]R )a∈X si chiama insieme quoziente di X
rispetto ad R e si denota con X/R. Inoltre la ridotta Π = Π0# : X → (X/R)
è detta surgezione canonica. Ovviamente, Π(a) = [a]R , per ogni a ∈ X. È
immediato dimostrare che X/R verifica le seguenti proprietà:
∀α ∈ (X/R) :
∀α, β ∈ (X/R) :
α 6= ∅ ,
α 6= β ⇒ α u β = ∅
(2.4)
(2.5)
e
∀a ∈ X∃α ∈ X/R t. c. a ∈ α .
S
La precedente si puó anche scrivere come X = α∈X/R α.
Per questo poniamo la seguente definizione.
(2.6)
Definition 2.1. Siano X(6= ∅) un insieme e Λ ⊆ P (X) un insieme non
vuoto di sottoinsiemi di X. Diremo che Λ è una partizione di X se sono
verificate le seguenti:
∀α ∈ Λ :
α 6= ∅ ,
9
(2.7)
∀α, β ∈ Λ :
α 6= β ⇒ α u β = ∅
(2.8)
e
∀a ∈ X ∃α ∈ Λ t. c. a ∈ α .
S
La precedente é equivalente a X = α∈Λ α.
Sussiste la seguente:
(2.9)
Theorem 2.5. Siano X(6= ∅) un insieme e Λ una sua partizione. Esiste,
allora, un’unica relazione di equivalenza R su X, tale che Λ = X/R.
Dimostrazione: Definiamo R mediante la seguente:
a, b ∈ X : aRb ⇔ ∃α ∈ Λ t. c. a, b ∈ α .
(2.10)
La relazione R è di equivalenza. Infatti, la (2.9) ci assicura che R è riflessiva
e il fatto che R è simmetrica è banalmente vero.
La transitività segue osservando che se a, b, c, ∈ X con aRb e bRc, allora
esistono α, β ∈ Λ tali che a, b ∈ α e b, c ∈ β. Da ciò segue b ∈ α u β 6= ∅ e
quindi α = β, per la (2.8), pertanto aRc.
Essendo R di equivalenza, possiamo considerare X/R. Si ha:
α∈Λ, a∈X:
α = [a]R ⇔ a ∈ α
L’ implicazione ⇒) è conseguenza banale della (2.1).
Viceversa, siano α ∈ Λ e a ∈ X con a ∈ α. L’inclusione α ⊆ [a]R è banale
per il modo in cui sono definiti R e [a]R .
Ora, se b ∈ [a]R , risulta bRa e quindi esiste β ∈ Λ tale che a, b ∈ β.
Quindi, per la (2.8), α = β, essendo a ∈ α u β 6= ∅, pertanto b ∈ α.
Sia a ∈ X, per la (2.9), esiste α ∈ Λ tale che a ∈ α, quindi [a]R = α ∈ Λ,
da cui X/R ⊆ Λ. Sia α ∈ Λ, per la (2.7), esiste a ∈ α e quindi α = [a]R , da
cui Λ ⊆ X/R. Pertanto, X/R = Λ.
Infine, se S è una ulteriore relazione di equivalenza tale che X/S = Λ, si
ha X/R = X/S, quindi, comunque si considerino a, b ∈ X, si ha:
aSb ⇔ [a]S = [b]S ⇔ ∃α ∈ Λ t. c. [a]S = [b]S = α ⇔ a, b ∈ α ⇔ aRb .
Da ciò segue l’asserto. ♠
10
♣ Esercizio (2.2). Sia R l’insieme dei numeri reali, fissiamo α > 1 e su R
consideriamo la relazione Sα definita da:
x, y ∈ R :
xSα y ⇔ ∃h ∈ Z t. c. x − y = hα .
La relazione Sα è riflessiva, simmetrica e transitiva, quindi è una relazione
di equivalenza. Generalmente, si pone R/Sα = R/αZ e, per motivi storici,
se α = 2π si pone R/αZ = R/Z. Se x ∈ R, allora [x]Sα = {y ∈ R/∃h ∈
Z t. c. y = x+hα}. Sia Πα : R → R/Sα la surgezione canonica, l’applicazione
Π0α = (Πα )|[0,α[ : [0, α[→ R/Sα , con [0, α[= {x ∈ R/0 ≤ x < α}, è bigettiva.♣
♣ Esercizio (2.3). Siano X e Y due insiemi non vuoti e f : X → Y una
applicazione. La relazione Rf ⊆ X × X definita da:
x, y ∈ X :
xRf y ⇔ f (x) = f (y)
è di equivalenza. Inoltre esiste un’unica applicazione g : X/Rf → Y tale che
f = g ◦ Π, dove Π : X → X/Rf è la surgezione canonica. In piú, g è ingettiva
e g é bigettiva, se e solo se f è surgettiva. Infine [x]Rf = f −1 (f (x)), per ogni
x ∈ X.♣
Anche se le affermazioni del precedente esercizio sono molto semplici da
dimostrare, esse sono molto utili; per questo la relazione Rf sarà detta relazione di equivalenza canonica associata ad f e g sarà detta applicazione
quoziente di f .
3
Semigruppi, Monoidi, Gruppi.
Definition 3.1. Diremo legge di composizione interna su A 6= ∅ una applicazione ? : A × A → A e la coppia (A, ?) sarà detta struttura algebrica
(semplice).
Definition 3.2. Sia (A, ?) una struttura algebrica semplice. Per ogni x, y ∈
A poniamo x ? y = ?(x, y). Useremo le seguenti definizioni:
i). Diremo che ? è associativa, se e solo se:
∀x, y, z ∈ A :
(x ? y) ? z = x ? (y ? z) ;
ii). Un elemento e ∈ A è detto elemento neutro (rispetto ad ?), se e solo
se:
∀x ∈ A :
e?x=x?e=x ;
11
iii). Supposto che esista un elemento neutro e ∈ A, diremo che un elemento x ∈ A è simmetrizabile (rispetto ad ?), se e solo se:
∃y ∈ A
t. c.
x?y =y?x=e ;
iv). Diremo che a ∈ A un elemento assorbente (rispetto ad ?), se e solo
se:
∀x ∈ A :
a?x=x?a=a ;
v). Supposto che esista un elemento assorbente a ∈ A, sia x ∈ A e x 6= a,
si dice che x è un divisore dello zero (rispetto ad ?), se e solo se:
∃y ∈ (A − {a})
t. c.
x ? y = a, oppure y ? x = a ;
vi). Siano x, y ∈ A, si dice che x e y sono permutabili (rispetto ad ?),
se e solo se:
x?y =y?x ;
vii). Si dice che ? è commutativa se e solo se ogni coppia di elementi di
A è permutabile rispetto ad ?.
Le leggi di composizione interna si denotano in molti modi diversi, che
sarannno introdotti quando se ne presenterà la necessità. Le notazioni più
comuni sono quella additiva e quella moltiplicativa.
Nella notazione additiva, la legge di composizione interna è denotata con
”+”, quindi la struttura algebrica è (A, +). In questo caso l’eventuale elemento neutro, che sarà anche detto zero di A, è denotato con 0A . Se esiste
l’elemento neutro e se x ∈ A è simmetrizzabile ed ammette un unico elemento
simmetrico, questo è detto opposto di x ed è denotato con −x.
Nelle notazione moltiplicativa, la struttura algebrica è denotata con (A, ·),
l’eventuale elemento neutro, é detto unità di A ed é denotato con 1A e
l’eventuale simmetrico di x ∈ A, sempre nella ipotesi della sua unicità, è
detto reciproco di x ed è denotato con x−1 .
Nel seguito, fatta eccezione per i casi in cui la tradizione impone simboli
diversi e per il caso della notazione additiva, ogni qualvolta non si potrà dare
adito ad equivoci, l’elemento neutro di una struttura algebrica (A, ?) sarà
denotato con 1A .
12
Infine, l’elemento neutro dell’addizione e quello della moltiplicazione in
N, Z, Q, R e C saranno denotati rispettivamente con 0 e 1.
Le strutture algebriche non associative sono molto irregolari e quindi difficili da studiare. Le uniche proprietà di facile dimostrazione in questo caso,
sono contenute nella seguente:
Theorem 3.1. Sia (A, ?) una struttura algebrica.
i). Se esiste l’elemento neutro e ∈ A rispetto ad ?, esso è unico. Inoltre,
e è simmetrizzabile e coincide con l’unico suo simmetrico.
ii). Se esiste l’elemento assorbente a ∈ A rispetto ad ?, esso è unico.
iii). Se A contiene più di un elemento e ? è dotata sia di elemento neutro,
e ∈ A, che di elemento assorbente, a ∈ A, questi due sono sempre distinti
tra loro.
iv). L’eventuale elemento assorbente a ∈ A, non é mai simmetrizzabile
nelle strutture algebriche dotate di elemento neutro ed aventi piú di un elemento.
Dimostrazione: Supponiamo che in A esistano due elementi neutri e ed
e rispetto a ?. Si ha:
0
∀x ∈ A :
x?e=e?x=x
∀x ∈ A :
x ? e0 = e0 ? x = x
e
Calcolando la prima per x = e0 e la seconda per x = e, si ha:
e0 ? e = e ? e0 = e0 ,
e ? e0 = e0 ? e = e
Poiché entrambe le uguaglianze contengono l’elemento e ? e0 , si ha e = e0 .
Una dimostrazione analoga vale per l’elemento assorbente.
Inoltre, la ii) della definizione (3.2), calcolata per x = e equivale a e ?
e = e. Questa, confrontata con la iii) della definizione (3.2), dice che e è
simmetrizzabile e che e stesso è uno dei suoi simmetrici. Se e0 é un altro
simmetrico di e, si ha e = e0 ? e = e0 , quindi l’unicitá.
Per provare la iii) si osservi che, se e e a sono due elementi di A, con e
neutro e a assorbente, rispetto a ? e se e = a, si ha:
∀x ∈ A :
x=x?e=x?a=a
13
quindi A = {e} contiene un unico elemento.
Infine, supponiamo che A contenga piú di un elemento e siano a ∈ A
l’elemento assorbente ed e ∈ A l’elemento neutro rispetto a ?. Se a fosse
simmetrizzabile, esisterebbe y ∈ A tale che a ? y = e e contemporaneamente
dovrebbe risultare a ? y = a, per definizione di elemento assorbente. Ció
sarebbe assurdo per la precedente e quindi a non é simmetrizzabile. ♠
♣ Esercizio (3.1). La legge di composizione interna ? : Z×Z → Z definita,
ponendo x ? y = x + 2y, per ogni x, y ∈ Z, non è associativa.♣
Sia (A, ?) una struttura algebrica, se A = {x} diremo che (A, ?) è una
struttura algebrica banale.
Poniamo ora le seguenti definizioni:
Definition 3.3. Sia (A, ?) una struttura algebrica.
i). Se ? è associativa, si dice che (A, ?) è un semigruppo.
ii). Un semigruppo in cui esiste l’elemento neutro si dice monoide.
iii). Un monoide avente tutti gli elementi è simmetrizzabili si chiama
gruppo.
iv). Un gruppo, in cui la legge di composizione interna è commutativa si
dice gruppo abeliano
Si osservi che ogni gruppo abeliano è un gruppo, ogni gruppo è un
monoide e ogni monoide è un semigruppo.
Si ha:
Theorem 3.2. Sia (A, ?) un monoide non banale. Sussistono le seguenti
proprietà:
i). Se x ∈ A è simmetrizzabile, allora il suo simmetrico è unico.
ii). Se x ∈ A è simmetrizzabile e y ∈ A è il suo simmetrico, allora y è
simmetrizzabile e x è il suo simmetrico.
iii). Se x, y ∈ A sono simmetrizzabili ed hanno rispettivamente z, t ∈ A
come simmetrici, allora x ? y è simmetrizzabile ed ha t ? z come simmetrico.
iv). Se b ∈ A è un divisore dello zero rispetto ad ?, b non è simmetrizzabile.
v). Un gruppo non contiene l’elemento assorbente e non ha divisori dello
zero.
Dimostrazione: Per la i) sia x un elemento di A simmetrizzabile rispetto
ad ? e siano y, z ∈ A due suoi simmetrici. Denotato con 1A l’elemento
14
neutro di A rispetto ad ?, le precedenti definizioni implicano in modo ovvio
le seguenti uguaglianze:
y = y ? 1A = y ? (x ? z) = (x ? y) ? z = 1A ? z = z
e quindi l’asserto.
La ii) segue osservando che se x ∈ A è un elemento simmetrizzabile e
y ∈ A è il suo simmetrico, allora la iii) della definizione (3.2) si può anche
scrivere nel modo seguente:
y ? x = x ? y = 1A
e quindi per la i) precedente x è l’unico simmetrico di y.
Siano ora x, y ∈ A due elementi simmetrizzabili, siano inoltre z e t rispettivamente i simmetrici di x e y. Si ha:
(x ? y) ? (t ? z) = x ? (y ? (t ? z)) =
= x ? ((y ? t) ? z) = x ? (1A ? z) = x ? z = 1A .
Analogamente, (t ? z) ? (x ? y) = 1A e quindi la iii) è vera.
Ora supponiamo che esista l’elemento assorbente a ∈ A, che esista un
divisore dello zero b ∈ A e che quest’ultimo sia simmetrizzabile. Esiste,
allora, c ∈ A − {a} per il quale supponiamo dapprima che c ? b = a e esiste
y ∈ A tale che b ? y = 1A . Si ha:
c = c ? 1A = c ? (b ? y) = (c ? b) ? y = a ? y = a
il che è assurdo. Siccome una dimostrazione analoga vale se b ? c = a, la iv)
è vera.
Infine, se (A, ?) è un gruppo ogni suo elemento è simmetrizzabile e quindi
la v) è vera per le iv) e la v) precedenti. ♠
Nel caso del monoide (A, ?) il simmetrico di un elemento simmetrizzabile
x ∈ A è denotato con x−1 . Per la proposizione precedente si ha:
(x−1 )−1 = x ,
(x ? y)−1 = y −1 ? x−1
comunque si considerino due elementi simmetrizzabili x e y di A.
Se il monoide é (A, +) e x, y ∈ A sono due elementi simmetrizzabili di A,
allora le precedenti si scrivono:
−(−x) = x e
− (x + y) = (−y) + (−x)
15
In questo caso, in analogia con le notazioni usate per i numeri reali, porremo
sempre:
x + (−y) = x − y
per ogni x, y ∈ A, con y simmetrizzabile.
Sia (A, ?) una struttura algebrica. Si può sempre definire il composto
di famiglie di elementi di A con insieme di indici {1, . . . , n}, con n ∈ N∗ .
Per questo consideriamo una famiglia (xi )1≤i≤n ∈ An Se n = 1, poniamo α =
?ni=1 xi = x1 . Supponiamo ora che, per n > 1, esista un unico elemento β ∈ A,
n
con β = ?n−1
i=1 xi , allora esisterà un unico α ∈ A, con α = ?i=1 xi = β ? xn .
Quindi α esiste sempre ed è unico per il primo principio di induzione ed è
detto composto della famiglia (xi )1≤i≤n . Inoltre, ?ni=1 xi si legge composto per
i che varia tra uno ed n degli xi .
Se la struttura algebrica è (A, +), l’elemento definito precedentemente,
che in questo caso
Psi chiama somma della famiglia (xi )1≤i≤n di elementi di
A, si denota con ni=1 xi , che si legge sommatoria per i che varia tra uno ed
n degli xi .
Analogamente,
se la struttura algebrica è (A, ·) si ha il prodotto della
Q
famiglia ni=1 xi (produttoria per i che varia tra uno ed n degli xi ) della
famiglia (xi )1≤i≤n ∈ An .
Ora si dovrebbero inserire due formule difficilissime da scrivere, ma semplici da intuire, che sono la generalizzazione delle proprietà associativa e
commutativa ai composti che si possono ottenere considerando famiglie di
elementi di un monoide (A, ?). Ovviamente la seconda vale solo se ? è commutativa. Inoltre per introdurre quest’ultima dovremo premettere alcune
nozioni sull’insieme delle bigezioni di un insieme finito in sè.
Le dimostrazioni di tali formule si ottengono applicando in modo facilmente intuibile il principio di induzione, ma sono di nuovo difficilissime da
scrivere. Per questo omettiamo sia di scrivere che di dimostrare sia le une
che le altre; è suggerito il libro di Algebra di Zappa e Permutti, che puó
essere consultato in biblioteca, a chi volesse vedere sia le formule che la loro
dimostrazione.
Operativamente, osserviamo soltanto che le formule in questione ci dicono
solo che se ? è associativa, nella gestione delle parentesi possiamo continuare
ad operare come per la somma dei numeri reali, purchè non venga cambiato l’ordine dei termini, se in più ? è commutativa si può anche cambiare
quest’ultimo.
16
Il seguente è un esempio del tipo di risultati che con questa scelta non
potranno essere completamente dimostrati.
Siano (A, +) un monoide commutativo commutativo e I un insieme finito
non vuoto. Supponiamo che I contenga n > 0 elementi e fissiamo una
I
bigezione
f : {1, . . . , n} → I. Considerata la famiglia (xP
l’elemento
i )i∈I ∈ A ,P
Pn
n
h=1 xf (h) non dipende da f , per cui si può porre α =
i∈I xi =
h=1 xf (h) .
La dimostrazione è la seguente. Sia g : {1, . . . , n} → I una ulteriore
bigezione. L’applicazione σP
= g −1 ◦f : {1,P
. . . , n} → {1, . . . , n} è bigettiva e si
n
ha f = g ◦ σ. Da ciò segue h=1 xf (h) = g◦σ(h) xg◦σ(h) . Poniamo xg(k) = yk ,
P
P
P
per ogni k ∈ {1,
. . . , n},si ha α = nk=1 xf (k) = nk=1 xg◦σ(k) = nk=1 yσ(k) e
P
P
n
n
k=1 xg(k) =
k=1 yk . Essendo
P
Pnla somma associativa e commutativa e σ una
n
bigezione, si ha k=1 yσ(k) = k=1 yk , perché le due sommatorie differiscono
solo per l’ordine degli addendi e si possono
applicare le formule che non
P
abbiamo nemmeno scritto. Quindi α = nk=1 xg(k) .
In un monoide è possibile definire le ”potenze” con esponente positivo.
Infatti, siano (A, ?) un monoide, privo di elemento assorbente e x ∈ A.
Poniamo:
x0 = 1A
∀n ∈ N :
xn+1 = x ? xn .
(3.1)
Theorem 3.3. Le proposizioni precedenti definiscono una applicazione ϕ :
(x, n) ∈ A × N 7→ xn ∈ A.
Dimostrazione. Fissiamo x ∈ A. Per n = 0, esiste ed è unico 1A ∈ A
tale che xn = 1A . Supponiamo che per n ≥ 0 esiste un unico y ∈ A tale che
y = xn . Allora, esiste ed è unico x ? y ∈ A tale che xn+1 = x ? xn = x ? y.
Da ciò segue che ϕ è una applicazione per il primo principio di induzione e
la genericità di x ∈ A. ♠
Se x ∈ A e n ∈ N, xn è detta potenza n–esima di x (rispetto a ?). Per le
potenze in un monoide si usa la terminologia usata per i numeri reali.
Nel caso dei numeri reali e complessi 00 si lascia indefinito, perché nel
caso dei numeri reali, essendo le due funzioni xa , e ax , con a > 0 continue
per x > 0, si ha invece limx→0 x0 = 1 e limx→0 0x = 0.
Notiamo in ogni caso che, se (A, ?) é un monoide e a ∈ A é assorbente,
allora possiamo pore an = a per ogni n ∈ N − {0}. Osserviamo inoltre che,
se c ∈ A é un divisore dello zero, possiamo definire tutte le potenze con esponente maggiore di zero, come nel caso precedente, ponendo per definizione
c1 = c, senza entrare in contraddizione.
17
È immediato che:
∀x ∈ A :
x1 = x .
Theorem 3.4. Sia (A, ?) un monoide. Si ha:
i).
1nA = 1A ;
∀n ∈ N :
ii).
xn ? xm = xn+m ;
∀x ∈ A , ∀n, m ∈ N :
iii).
∀x ∈ A , ∀n, m ∈ N :
(xn )m = xn·m ;
iv). se x, y ∈ A sono due elementi permutabili, risulta
∀n ∈ N :
xn ? y n = (x ? y)n .
v). Per ogni x ∈ A e per ogni n, m ∈ N risulta xm ? xn = xn ? xm .
Dove sono state omesse le ovvie limitazioni necessarie nei casi in cui
l’eventuale elemento assorbente e gli eventuali divisori dello zero siano coinvolti.
vi). Considerato un elemento x ∈ A per il quale esiste n > 1 tale che
xn = 1A allora x è simmetrizzabile e x−1 = xn−1 .
Dimostrazione: Tutte le uguaglianze della proposizione si dimostrano
per induzione.
Per dimostrare la i), basta osservare che 10A = 1A , per definizione di
potenza e che 1nA = 1A implica 1n+1
= 1A ? 1nA = 1A , per ogni n ≥ 0, pertanto
A
l’asserto è vero per il primo principio di induzione.
Per dimostrare la ii), fissiamo x ∈ A, supponiamo che x sia diverso
dall’eventuale elemento assorbente di A e dai possibili divisori dello zero (nel
seguito questa scelta sará sempre sottintesa) e, per ogni n ≥ 0, denotiamo
con P (n) la proprietà:
∀m ∈ N :
xn ? xm = xn+m
Per n = 0, P (n) è vera, infatti:
∀m ∈ N : x0 ? xm = 1A ? xm = xm
18
e x0+m = xm .
Sia n ≥ 0, se P (n) è vera, si ha:
∀m ∈ N :
xn+1 ? xm = (x ? xn ) ? xm = x ? (xn ? xm ) =
= x ? xn+m = x(n+1)+m ,
quindi P (n + 1) è vera, pertanto l’asserto segue per induzione.
Dimostriamo la iii), per ogni m ≥ 0, denotiamo con P (m) la proprietà:
∀n ∈ N : (xn )m = xn·m .
Per m = 0, P (m) è vera, avendosi:
∀n ∈ N : (xn )m = 1A , xn·m = x0 = 1A .
Inoltre, supposta vera P (m), per m ≥ 0, si ha:
∀n ∈ N : (xn )m+1 = xn ? (xn )m = xn ? xn·m = xn+n·m = xn·(m+1) ,
quindi l’asserto.
Per dimostrare la iv), consideriamo due elementi, x, y ∈ A, permutabili
rispetto a ?. Osserviamo dapprima che sussiste la seguente:
∀n ∈ N : x ? y n = y n ? x .
Infatti, per n = 0, si ha x ? y n = x e y n ? x = x. Per n ≥ 0, da x ? y n = y n ? x
segue x ? y n+1 = (x ? y) ? y n = y ? (x ? y n ) = y ? (y n ? x) = y n+1 ? x. Quindi
l’asserto è vero per il primo principio di induzione. Ora, per n = 0, la iv) è
banalmente vera. Supposto iv) vera per n ≥ 0, si ha
(x ? y)n+1 = (x ? y) ? (x ? y)n = (x ? y) ? (xn ? y n ) =
x ? [(y ? xn ) ? y n ] = x ? [(xn ? y) ? y n ] = xn+1 ? y n+1 ,
(3.2)
dove la seconda uguaglianza vale per ipotesi di induzione.
La v) segue segue banalmente dalla ii).
Infine la vi) segue dalla precedente, osservato che dalle ipotesi fatte in
essa segue x ? xn−1 = xn−1 ? x = 1A . ♠
Sia (A, ?) un monoide, se x ∈ A è un elemento simmetrizzabile di A,
allora si possono definire anche le potenze con esponente negativo ponendo:
∀n < 0 :
xn = (x−1 )−n .
(3.3)
Un esempio è rappresentato dall’elemento neutro per il quale si ha:
∀n ∈ Z :
1nA = 1A
Sussiste la seguente:
19
(3.4)
Theorem 3.5. Siano (A, ?) un monoide e x ∈ A un elemento simmetrizzabile. Risulta:
i). Tutte le potenze di x sono simmetrizzabili e si ha:
∀n ∈ Z :
(x−1 )n = x−n = (xn )−1 ,
dove l’esponente −1, designa il passaggio al simmetrico.
ii).
xn ? xm = xn+m .
∀n, m ∈ Z :
iii).
∀n, m ∈ Z :
(xn )m = xn·m .
iv). Se y ∈ A è un ulteriore elemento di A, simmetrizzabile e permutabile
con x, si ha
∀n ∈ Z :
xn ? y n = (x ? y)n .
Dimostrazione: Come prima cosa eliminiamo l’ambiguità che deriva dal
fatto che l’esponente −1 ha due significati apparentemente diversi. Per un
momento, cambiamo notazione denotando con x̃ il simmetrico di un elemento
simmetrizzabile x ∈ A. Si ha:
x−1 = x̃−(−1) = (x̃)1 = x̃ ? (x̃)0 = x̃ ? 1A = x̃ .
Quindi i due concetti individuano un unico elemento di A e, pertanto, possiamo usare un unico simbolo per denotarlo.
Dimostriamo la prima uguaglianza della i). Per questo basta osservare
che se n < 0 l’uguaglianza tra il primo e il secondo membro è garantita
dalla definizione di potenza con esponente negativo, mentre se n > 0, si ha
x−n = (x−1 )−(−n) = (x−1 )n , quindi l’asserto, essendo banalmente vero nel
caso n = 0.
L’uguaglianza tra il primo e il terzo membro della i) si dimostra per
induzione, per i valori di n ≥ 0. Infatti, sia x un elemento simmetrizzabile
di A. Per n = 0 si ha (x−1 )0 = 1A e (x0 )−1 = 1A , quindi (x−1 )0 = (x0 )−1 .
Se per n ≥ 0 la i) è vera, si ha (x−1 )n ? xn = 1A e xn ? (x−1 )n = 1A , da cui
segue:
(x−1 )n+1 ? xn+1 = (x−1 ? (x−1 )n ) ? (x ? xn ) =
= [x−1 ? x] ? [(x−1 )n ? xn ] = 1A ,
20
dove la prima uguaglianza segue dalla definizione di potenza con esponente
positivo, mentre la seconda è vera, perché x e x−1 sono permutabili.
In modo analogo si dimostra che:
xn+1 ? (x−1 )n+1 = 1A
quindi l’asserto è vero per n ≥ 0. Infine, la stessa uguaglianza, per n < 0, è
vera perché (x−1 )n = ((x−1 )−1 )−n = ((x−1 )−n )−1 = (xn )−1 .
Per la ii), siano x ∈ A e m, n ∈ Z. Se n, m ≥ 0, allora ii) é vera per la
proprietà (3.4) e dalla i) precedente. Se m, n < 0, si ha
xn ? xm = (x−1 )−n ? (x−1 )−m = (x−1 )−n+(−m) = (x−1 )−(n+m) = xn+m .
Se n ≥ 0 e m < 0, bisogna distinguere due casi.
Se n ≥ −m, si ha n + m ≥ 0 e quindi xn+m ? x−m = xn+m+(−m) = xn , per
la proprietà (3.3), da cui
xn+m = xn ? (x−m )−1 = xn ? x−(−m) = xn ? xm .
Se n ≤ −m, si ha n + m ≤ 0, quindi xn+m ? x−n = xm , perché sia
n + m che −n sono minori o uguali di zero e poi l’asserto segue come nel caso
precedente.
Il caso n ≤ 0 e m ≥ 0 si dimostra in modo analogo.
La iii) segue dalla corrispondente della proposizione (3.4). Infatti, nel
caso n, m ≥ 0, coincide con quest’ultima. Se n ≤ 0 e m ≥ 0, si ha
(xn )m = ((x−1 )−n )m = (x−1 )−nm = xnm .
Se n ≥ 0 e m ≤ 0, usando anche la i) di questa proposizione, risulta
(xn )m = ((xn )−m )−1 = (x−nm )−1 = xnm .
Se n, m ≤ 0, la iii) è vera, essendo (xn )m = (((x−1 )−n )m , con −n ≥ 0.
Infine, se n ≥ 0 la iv) è vera per la proposizione (3.4). Se n ≤ 0 segue
dalla proposizione (3.4), dalla definizione di potenza con esponente negativo
e dalla osservazione banale che, se due elementi simmetrizzabili commutano,
anche i loro simmetrici commutano. ♠
Se nel monoide la legge di composizione interna è denotata additivamente
la notazione esponenziale viene sostituita da quella dei multipli. Quindi se
(A, +) è un monoide e x ∈ A si pone:
0x = 0A
∀n ∈ N : (n + 1)x = x + nx .
21
(3.5)
Se x ∈ A è simmetrizzabile, i multipli degli interi negativi si definiscono
ponendo:
∀n < 0 :
nx = (−n)(−x) .
(3.6)
Se (A, +) è un monoide privo di elemento assorbente e x è un elemento
(simmetrizzabile) di A, le ii), iii) della proposizione (3.4) (proposizione (3.5))
si scrivono rispettivamente nel seguente modo:
∀n, m ∈ N (∀n, m ∈ Z) : nx + mx = (n + m)x ,
(3.7)
∀n, m ∈ N (∀n, m ∈ Z) : n(mx) = (n · m)x .
(3.8)
Mentre, se x, y ∈ A sono due elementi permutabili la iv) delle stesse proposizioni diventa:
∀n ∈ N (∀n ∈ Z) : nx + ny = n(x + y)
(3.9)
Infine, per lo zero di A risulta:
∀n ∈ Z :
n0A = 0A .
(3.10)
Definition 3.4. Siano (A, ?) una struttura algebrica B ⊆ A un sottoinsieme
non vuoto.
i). Si dice che B è stabile, oppure che è chiuso ( rispetto a ?), se e solo
se:
∀x, y ∈ B :
x?y ∈B
ii). Se (A, ?) è un monoide, si dice che B è un sottomonoide di (A, ?) se
B è stabile e 1A ∈ B.
iii). Se (A, ?) è un gruppo, si dice che B è un sottogruppo di (A, ?) se è
un sottomonoide e
∀x ∈ B :
x−1 ∈ B
Osservazione: Notiamo che (Z, +) è un gruppo. L’insieme dei naturali N = {n ∈ Z/n ≥ 0} è un sottomonoide, ma non un sottogruppo.
L’insieme dei naturali positivi N∗ = N − {0} è una parte stabile, ma non un
sottomonoide di Z.
Sussiste la seguente:
22
Theorem 3.6. Siano (A, ?) una struttura algebrica e B un sottoinsieme non
vuoto di A.
Se B è stabile rispetto a ?, ha senso considerare l’applicazione ?0 : B ×
B → B, definita ponendo x ?0 y = x ? y, per ogni x, y ∈ B. ?0 munisce B di
struttura algebrica e si ha:
i). Se (A, ?) è un semigruppo e B é stabile rispetto ad ?, anche (B, ?0 ) é
un semigruppo.
ii). Se (A, ?) è un monoide e B è un sottomonoide di (A, ?), (B, ?0 )
è un monoide.
iii). Se (A, ?) è un gruppo e B è un sottogruppo di (A, ?), (B, ?0 ) è un
gruppo.
iv). Se (A, ?) è un gruppo abeliano e B è un sottogruppo di (A, ?), anche
(B, ?0 ) è un gruppo abeliano.
v). L’insieme degli elementi simmetrizzabili di un monoide è un sottomonoide che è munito della struttura di gruppo dalla legge di composizione
indotta.
Dimostrazione: La dimostrazione é banale. ♠
Noi osserviamo che nel caso della ii) e delle successive, dalla definizione
di ?0 segue:
∀x ∈ B :
x ?0 1A = 1A ?0 x = x .
Pertanto, l’elemento neutro rispetto a ?0 coincide con 1A e quindi per esso si
userà il simbolo 1A .
Per la ii) e le successive vale anche un’osservazione analoga per i simmetrici degli elementi simmetrizzabili e quindi il simmetrico di un elemento
simmetrizzabile x ∈ B sarà denotato con x−1 sia quando sarà considerato
rispetto alla struttura (A, ?) che quando lo sarà rispetto a (B, ?0 ).
In più, la legge di composizione indotta ?0 sarà sempre denotata con ?.
Osserviamo ora che A e {1A } sono sottomonoidi (sottogruppi) di A, nel
caso in cui (A, ?) è un monoide (gruppo), che saranno detti banali.
Theorem 3.7. Siano (A, ?) una struttura algebrica, (Bi )i∈I una famiglia di
sottoinsiemi non vuoti di A, con I 6= ∅ e B = ui∈I Bi 6= ∅. Si ha:
i). Se, per ogni i ∈ I, Bi è stabile rispetto a ?, anche B lo è.
ii). Se (A, ?) è un monoide e Bi è un sottomonoide, per ogni i ∈ I, anche
B è un sottomonoide.
iii). Se (A, ?) è un gruppo e Bi è un sottogruppo, per ogni i ∈ I, anche
B è un sottogruppo.
23
La dimostrazione delle precedenti è banale. ♠
Durante il corso il teorema é stato enunciato e dimostrato solo per I =
{1, 2} e quindi solo per B = B1 ∩B2 . Inoltre, nei casi ii) e iii) l’ipotesi B 6= ∅
é automaticamente verificato, perché 1A ∈ Bi , per ogni i ∈ I.
Per i sottogruppi di un gruppo dovremo fare diverse considerazioni che
sono rinviate alla prossima sezione, qui diamo solo la seguente caratterizzazione dei sottogruppi di un gruppo:
Theorem 3.8. . Siano (A, ?) un gruppo e H un sottoinsieme di A. Consideriamo le seguenti:
i).
H 6= ∅
ii).
∀x, y ∈ H :
x ? y −1 ∈ H
∀x, y ∈ H :
x−1 ? y ∈ H
iii).
Il sottoinsieme H è un sottogruppo di (A, ?), se e solo se verifica la i) e la
ii), oppure verifica la i) e la iii).
Dimostrazione: Proviamo solo che la definizione di sottogruppo è equivalente alle i) e ii).
Sia H un sottogruppo di A. Allora, siccome H è un sottomonoide, 1A ∈
H, per cui H 6= ∅.
Inoltre, se x, y ∈ H, essendo H un sottogruppo, risulta y −1 ∈ H ed,
essendo H chiuso rispetto a ?, si ha anche x ? y −1 ∈ H e quindi la ii).
Viceversa, supponiamo che H sia un sottoinsieme di A che verifichi le i)
e la ii).
Dalla i) segue che esiste almeno un x ∈ H, e per la ii) deve essere x?x−1 =
1A ∈ H.
Da ciò segue che se x ∈ H, per la ii) deve essere 1A ? x−1 = x−1 ∈ H.
Infine, considerati x, y ∈ H, essendo y −1 ∈ H, per la ii), deve anche
essere x ? (y −1 )−1 = x ? y ∈ H e quindi l’asserto. ♠
E’ comodo introdurre le seguenti notazioni. Siano (A, ?) una struttura
algebrica e X, Y due sottoinsiemi non vuoti di A. Porremo:
?(X × Y ) = X ? Y = {z ∈ A/∃x ∈ X, ∃y ∈ Y t. c. z = x ? y} .
24
Se X = {x}, con x ∈ A, porremo:
x ? Y = {x} ? Y .
Invece, se è Y = {y}, porremo:
X ? y = X ? {y} .
Si osservi che, con queste notazioni, X è una parte stabile di (A, ?) se e solo
se X ? X ⊆ X, mentre, se 1A ∈ X, allora X ⊆ X ? X.
Si osservi inoltre che, se (A, ?) é un semigruppo, H = x ? (X ? y) =
(x ? X) ? y, per ogni x, y ∈ A e per ogni sottoinsieme non vuoto X di A. Nel
seguito H sarà semplicemente denotato con x ? X ? y.
Infine, se X è un sottoinsieme non vuoto di A, porremo:
X −1 = {x ∈ A/x−1 ∈ X} .
♣ Esercizio (3.2). Siano (A, +) un gruppo abeliano e B l’insieme dei suoi
sottogruppi. La struttura algebrica (B, +), dove la somma tra sottogruppi
è quella definita precedentemente in modo più generale tra sottoinsiemi, è
un monoide commutativo, in cui A è l’elemento assorbente e il sottogruppo
{0A } è l’elemento neutro.♣
Definition 3.5. Siano (A, ?) un gruppo e X un sottoinsieme non vuoto di A.
Diremo sottogruppo generato da X il più piccolo sottogruppo di A, rispetto
alla relazione di inclusione, che contiene X.
Nelle ipotesi della definizione precedente, il sottogruppo generato da X,
sarà denotato con < X >; se X = {a}, con a ∈ A, porremo: < a >=< {a} >.
Sussiste la seguente:
Theorem 3.9. Siano (A, ?) un gruppo e X un sottoinsieme non vuoto di A.
Si ponga Y = X t X −1 .
i). Il sottogruppo generato da X esiste sempre e risulta < X >= uB∈B B,
dove B è l’insieme di tutti i sottogruppi di A che contengono X.
ii). Un elemento x ∈ A appartiene al sottogruppo < X > generato da X,
se e solo se è il composto di una famiglia finita di elementi di Y .
iii). Se X = {a}, con a ∈ A, risulta < a >= {ah /h ∈ Z} e (< a >, ?) é
sempre un gruppo abeliano.
25
Dimostrazione: La dimostrazione della i) è una banale conseguenza
della proposizione (3.6), osservato che, essendo A ∈ B, si ha B 6= ∅.
La dimostrazione della ii) è difficile da scrivere, ma si intuisce facilmente
che tutti i prodotti di quel tipo devono appartenere ad < X > e che gli
elementi considerati nella ii) formano un sottogruppo che è contenuto in
ogni sottogruppo che contenga X.
Dimostriamo direttamente la iii). Poniamo H = {ah /h ∈ Z} e sia B
l’insieme di tutti e soli i sottogruppi di A che contengono a. Sia B ∈ B,
allora a ∈ B. Ora si ha a0 = 1A ∈ B; inoltre, supposto an ∈ B risulta
an+1 = a ? an ∈ B, essendo B un sottogruppo. Quindi per ogni n ≥ 0 risulta
an ∈ B. Infine, per ogni n < 0, si ha an = (a−n )−1 ∈ B, perché il simmetrico
di un elemento appartenente ad un sottogruppo appartiene al sottogruppo,
quindi H ⊆ B. Quindi H ⊆ B per ogni B ∈ B, da cui H ⊆ ∩b∈B B.
Viceversa, si osservi che 1A ∈ H, implica H 6= ∅. Inoltre, per x, y ∈ H
esistono h, k ∈ Z tali che x = ah , y = ak e si ha x ? y −1 = ah ? (ak )−1 =
ah−k ∈ H e che a = a1 ∈ H. Quindi H ∈ B. Da ciò segue H = uB∈B B e
quindi l’asserto. ♠
Definition 3.6. Siano (A, ?) una struttura algebrica e R una relazione di
equivalenza su A. Si dice che R è una congruenza, oppure che R è compatibile con ? se è verificata la seguente:
∀x, y, z, t ∈ A :
xRy e zRt ⇒ (x ? z)R(y ? t) .
Theorem 3.10. Siano (A, ?) un monoide e R una sua congruenza. La classe
di equivalenza [1A ]R è un sottomonoide che contiene tutti i simmetrici dei
suoi elemmenti simmetrizzabili. Quindi, se (A, ?) è un gruppo, [1A ]R è un
suo sottogruppo.
Dimostrazione: Si ha 1A ∈ [1A ]R . Inoltre, se x, y ∈ [1A ]R , dall’essere
xR1A e yR1A segue (x ? y)R(1A ? 1A ) da cui (x ? y)R1A e quindi x ? y ∈ [1A ]R ,
per la proprietá transitiva di R e la definizione di classe di equivalenza.
Infine, se x ∈ [1A ]R è un elemento simmetrizzabile di A, risulta xR1A e
−1
x Rx−1 , da cui x ? x−1 R1A ? x−1 , . Pertanto, 1A Rx−1 , da cui in modo ovvio
segue x−1 ∈ [1A ]R . ♠
Definition 3.7. Nelle ipotesi della proposizione precedente [1A ]R è detto nucleo della congruenza R.
Sussiste la seguente:
26
Theorem 3.11. Siano (A, ?) una struttura algebrica non banale e R una
congruenza. Su A/R esiste un’unica legge di composizione interna ?/R tale
che ϕ(x ? y) = ϕ(x) ?/R ϕ(y), per ogni x, y ∈ A, essendo ϕ : A → A/R la
surgezione canonica.
Inoltre, ?/R verifica le seguenti proprietà:
i). Se (A, ?) è un semigruppo, anche (A/R, ?/R ) lo è.
ii). Se (A, ?) è un monoide, anche (A/R, ?/R ) lo è e l’elemento neutro di
?/R é [1A ]R .
iii). Supponiamo vera l’ ipotesi della ii). Allora, se x ∈ A è simmetrizzabile, anche [x]R è simmetrizzabile e [x−1 ]R è il suo simmetrico. Inoltre, se
a ∈ A è assorbente, allora anche [a]R è assorbente; in tal caso, se b ∈ A è
un divisore dello zero e [b]R 6= [a]R , [b]R è un divisore dello zero, se e solo se
esiste c ∈ A tale che [c]R 6= [a]R per cui risulti b ? c = a, oppure c ? b = a.
iv). Se (A, ?) è un gruppo, anche (A/R, ?/R ) lo è.
iv). Se (A, ?) è un gruppo abeliano, anche (A/R, ?/R ) lo è.
Dimostrazione: Siano α, β ∈ A/R, esistono x, y ∈ A tali che α = [x]R
e β = [y]R . Poniamo α ?/R β = [x ? y]R . E’ evidente che in questo modo
associamo ad ogni coppia di elementi di A/R almeno un elemento di A/R.
Quindi, affinché ?/R : A/R × A/R → A/R sia una applicazione, l’elemento
associato precedentemente ad α e β deve essere unico. Per questo, siano
α, β ∈ A/R e x, x0 , y, y 0 ∈ A tali che α = [x]R = [x0 ]R e β = [y]R = [y 0 ]R .
Dalle precedenti uguaglianze segue che xRx0 e yRy 0 e quindi x ? yRx0 ? y 0 ,
essendo R una congruenza. Da ciò segue [x ? y]R = [x0 ? y 0 ]R e quindi α ?/R β
è unico.
Inoltre risulta:
ϕ(x ? y) = [x ? y]R = [x]R ?/R [y]R = ϕ(x) ?/R ϕ(y) ,
∀x, y ∈ A
quindi ?/R é la legge di composizione interna cercata.
L’unicità di ?/R è conseguenza banale della surgettività di ϕ.
Nelle ipotesi della i), siano α, β, γ ∈ A/R e x, y, z, ∈ A, con α = [x]R ,
β = [y]R e γ = [z]R . Si ha:
(α ?/R β) ?/R γ = [x ? y]R ?/R [z]R = [(x ? y) ? z]R =
= [x ? (y ? z)]R = α ?/R [y ? z]R = α ?/R (β ?/R γ)
e quindi ?/R è associativa.
27
(3.11)
Nelle ipotesi della ii), ?/R è associativa, perché ? lo è. Inoltre, essendo:
∀x ∈ A :
[x]R ? [1A ] = [x ? 1A ]R = [x]R
e
[1A ]R ?/R [x]R = [1A ? x]R = [x]R ,
la classe di equivalenza [1A ]R è l’elemento neutro rispetto a ?/R e quindi
l’asserto.
Nelle ipotesi della iii), anche (A/R, ?/R ) è un monoide. Quindi ha senso
chiedersi se un suo elemento è simmetrizzabile o meno. Sia x ∈ A un elemento
simmetrizzabile di A. Si ha:
[x]R ?/R [x−1 ]R = [x ? x−1 ]R = [1A ]R
e
[x−1 ]R ?/R [x]R = [x−1 ? x]R = [1A ]R
e quindi [x]R é simmetrizzabile e [x−1 ]R é il suo simmetrico, essendo [1A ]R
l’elemento neutro di rispetto ad ?/R . Osservazioni analoghe valgono per
l’eventuale elemento assorbente e gli eventuali divisori dello zero.
La iv) è conseguenza banale della ii) e della iii).
Infine, la v) è conseguenza della precedente e del fatto che dalla commutatività di ? segue banalmente quella di ?/R . ♠
♣ Il passaggio al quoziente rispetto alle congruenze ”rende più regolari”
le strutture algebriche, come mostra il seguente esercizio (3.3): Siano (A, ?)
un semigruppo e R una congruenza su A rispetto a ?. Condizione sufficiente
affinché (A/R, ?/R ) sia un monoide è che esista e ∈ A tale che (x ? e)Rx e
(e ? x)Rx, per ogni x ∈ A. Inoltre, se a ∈ A è assorbente rispetto a ?, anche
[a]R è assorbente rispetto a ?/R ; ma se esiste l’elemento assorbente e se b ∈ A
è un divisore dello zero, [b]R è un divisore dello zero rispetto a ?/R solo se
esiste un ulteriore divisore dello zero c ∈ A tale che b ? c = a oppure c ? b = a
e né b, né c sono in relazione con a.♣
Definition 3.8. Siano (A, ?), (A0 , ?0 ) due monoidi e f : A → A0 una applicazione. Si dice che f è un omomorfismo se e solo se:
i).
∀x, y ∈ A :
f (x ? y) = f (x) ?0 f (y)
28
e
ii).
f (1A ) = 1A0 .
Un omomorfismo f : A → A0 è detto monomorfismo, se f è ingettiva; epimorfismo, se f è surgettiva; isomorfismo, se f è bigettiva. Se A = A0 , un
omomorfismo è detto endomorfismo e un isomorfismo è detto automorfismo.
Sussistono le seguenti:
Theorem 3.12. Siano (A, ?) e (A0 , ?0 ) due monoidi e f : A → A0 una
applicazione verificante la i) della definizione precedente. Si ha:
f (1A ) = 1A0 ⇔ f (1A ) è simmetrizzabile.
Quindi, se (A0 , ?0 ) è un gruppo, la ii) è conseguenza della i).
Dimostrazione: Se f (1A ) = 1A0 , allora f (1A ) è simmetrizzabile, per la
proposizione (3.1).
Viceversa, supponiamo f (1A ) simmetrizzabile. Dall’essere 1A ? 1A = 1A
e dalla i) della definizione precedente segue f (1A ) ?0 f (1A ) = f (1A ) e, componendo, a sinistra, entrambi i membri della precedente con il simmetrico
[f (1A )]−1 di f (1A ), si ottiene f (1A ) = 1A0 .
Infine, se (A0 , ?0 ) è un gruppo, f (1A ) non può che essere simmetrizzabile
e quindi la ii) è conseguenza della i) della definizione precedente. ♠
Theorem 3.13. Siano (A, ?) e (A0 , ?0 ) due monoidi, f : A → A0 un omomorfismo e x ∈ A. Si ha:
i).
∀n ∈ N :
f (xn ) = [f (x)]n .
ii). Se x è simmetrizzabile, f (x) è simmetrizzabile e f (x−1 ) = [f (x)]−1 .
iii). Se x è simmetrizzabile,
∀n ∈ Z :
f (xn ) = [f (x)]n .
Dimostrazione: Sia x ∈ A. La i) si dimostra per induzione su n ∈ N.
Per n = 0 si ha f (xn ) = f (1A ) = 1A0 = [f (x)]n . Sia n ≥ 0, se per ipotesi di
induzione supponiamo f (xn ) = [f (x)]n , allora si ha:
f (xn+1 ) = f (x ? xn ) = f (x) ?0 f (xn ) = f (x) ?0 [f (x)]n = [f (x)]n+1
29
e quindi l’asserto.
Per la ii) sia x ∈ A un elemento simmetrizzabile, risulta f (x) ?0 f (x−1 ) =
f (x ? x−1 ) = f (1A ) = 1A0 e in modo analogo f (x−1 ) ?0 f (x) = 1A0 , quindi la
ii) è vera.
Infine, la iii) è conseguenza banale della i), della ii) e della definizione di
potenza con esponente negativo. ♠
Theorem 3.14. Siano (A, ?) e (A0 , ?0 ) due monoidi e f : A → A0 un omomorfismo. Si ha:
i). Se H è un sottomonoide di (A, ?), allora f (H) è un sottomonoide di
0 0
(A , ? ).
ii). Nelle ipotesi della i), se x0 ∈ f (H) è l’immagine di un elemento
simmetrizzabile in H, esso stesso è simmetrizzabile in f (H).
iii). Qualunque sia il sottomonoide H 0 è un sottomonoide di (A0 , ?0 ),
−1
f (H 0 ) è un sottomonoide di (A, ?).
iv). Imf = f (A) è un sottomonoide di (A0 , ?0 ).
v). Kerf = f −1 (1A0 ) = {x ∈ A/f (x) = 1A0 } è un sottomonoide di (A, ?).
vi). Se (A, ?) e (A0 , ?0 ) sono due gruppi e H è un sottogruppo di (A, ?),
allora f (H) è un sottogruppo di (A0 , ?0 ). In particolare, Imf è un sottogruppo
di (A0 , ?0 ).
vii). Nella ipotesi della vi), se H 0 è un sottogruppo di (A0 , ?0 ), allora
f −1 (H 0 ) è un sottogruppo di (A, ?). In particolare, Kerf è un sottogruppo di
(A, ?)
viii). Nelle ipotesi della vi), l’applicazione f è ingettiva se e solo se
Kerf = {1A }.
Dimostrazione: Sia H un sottomonoide di (A, ?). Essendo 1A ∈ H, si
ha f (1A ) = 1A0 ∈ f (H).
Inoltre, comunque si considerino x0 , y 0 ∈ f (H), esistono x, y ∈ H tali che
f (x) = x0 e f (y) = y 0 . Essendo x ? y ∈ H, si ha f (x ? y) = f (x) ?0 f (y) =
x0 ?0 y 0 ∈ f (H) e quindi f (H) è un sottomonoide.
Nelle ipotesi precedenti, consideriamo ora x0 ∈ f (H) e sia x ∈ H, con
0
x = f (x). Se x è simmetrizzabile in H, si ha che x è simmetrizzabile e che
x−1 ∈ H, allora f (x−1 ) = [f (x)]−1 = (x0 )−1 ∈ f (H), pertanto la ii) è vera.
Sia ora H 0 un sottomonoide di (A0 , ?0 ). Essendo 1A0 ∈ H 0 e f (1A ) = 1A0 ,
risulta 1A ∈ f −1 (H).
Inoltre, comunque si considerino x, y ∈ f −1 (H), si ha f (x ? y) = f (x) ?0
f (y) ∈ H 0 , essendo f (x), f (y) ∈ H 0 , quindi x ? y ∈ f −1 (H 0 ), da cui la iii).
30
Le iv) e v) sono conseguenze banali delle i) e iii), rispettivamente.
La vi) è conseguenza immediata delle i) e ii).
Nelle ipotesi della vii), f −1 (H 0 ) è un sottomonoide di (A, ?). Inoltre,
comunque si consideri x ∈ f −1 (H 0 ), x è simmetrizzabile e quindi esiste x−1 ∈
A. Essendo f (x−1 ) = [f (x)]−1 ∈ H 0 , perché f (x) ∈ H 0 e H 0 è un sottogruppo
di (A0 , ?0 ), si ha x−1 ∈ f −1 (H 0 ) e quindi f −1 (H 0 ) è un sottogruppo di A.
Ovviamente, Kerf = f −1 (1A0 ) e {1A0 } sottogruppo di A0 implicano che
Kerf è un sottogruppo di A.
Infine, sempre nelle ipotesi della vi), se f è ingettiva si ha f (x) = 1A0 =
f (1A ), per ogni x ∈ Kerf , da cui x = 1A , per ogni x ∈ Kerf e quindi
Kerf = {1A }.
Viceversa, se Kerf = {1A } e x, y ∈ A, dall’essere f (x) = f (y) segue
1A0 = [f (x)]−1 ?0 f (y) = f (x−1 ? y), da cui (x−1 ? y) ∈ Kerf = {1A } e quindi
x = y. ♠
Theorem 3.15. Siano (A, ?) un monoide e R una sua congruenza. Allora,
se si considera su A/R la struttura algebrica quoziente definita da ?/R , la
surgezione canonica ϕ : A → A/R è un epimorfismo e (A/R, ?/R ) è l’unica
struttura algebrica su A/R per cui ciò accade.
Dimostrazione: È conseguenza immediata della proposizione (3.11). ♠
Theorem 3.16. Siano (A, ?) e (A0 , ?0 ) due monoidi (gruppi) e f : A → A0
un omomorfismo. La relazione di equivalenza canonica, Rf associata ad f è
una congruenza e quindi (A/Rf , ?/Rf ) è un monoide (gruppo). Denotato con
ϕ : A → A/Rf , l’epimorfismo canonico, l’applicazione quoziente g : A/Rf →
A0 tale che f = g ◦ ϕ è un monomorfismo e g è un isomorfismo se e solo se
f è un epimorfismo.
Dimostrazione: Basta dimostrare che Rf è una congruenza e che g è un
omomorfismo, il resto è una conseguenza banale dell’esercizio (2.3), in cui è
stata introdotta Rf e della proposizione (3.11).
Siano x, y, x0 , y 0 ∈ A. Dall’essere xRf x0 e yRf y 0 segue f (x) = f (x0 ) e
f (y) = f (y 0 ). Da ciò segue f (x) ?0 f (y) = f (x0 ) ?0 f (y 0 ), quindi f (x ? y) =
f (x0 ? y 0 ), per cui (x ? y)Rf (x0 ? y 0 ) e pertanto Rf è una congruenza.
Siano, ora, α, β ∈ A/R e siano x, y ∈ A tali che α = [x]Rf e β = [y]Rf .
Dal modo in cui è stata definita g segue che g(α ?/Rf β) = g([x ? y]Rf ) =
f (x ? y) = f (x) ?0 f (y) = g(α) ?0 g(β) e quindi g è un omomorfismo. ♠
31
Theorem 3.17. Sia (A, ?) un monoide (gruppo). Si ha:
i). L’applicazione identica idA : A → A è un isomorfismo.
ii). Se (A0 , ?0 ) è un ulteriore monoide (gruppo) e f : A → A0 è un
isomorfismo, anche f −1 : A0 → A è un isomorfismo.
iii). Se (A0 , ?0 ) e (A”, ?”) sono due monoidi (gruppi) e f : A → A0 ,
g : A0 → A” sono due omomorfismi, allora anche g ◦ f : A → A” lo è.
Dimostrazione: La i) è banalmente vera.
Per la ii) si osservi dapprima che dire che f (1A ) = 1A0 è equivalente
a dire che f −1 (1A0 ) = 1A e quindi f −1 verifica la seconda proprietà degli
omomorfismi.
Per la prima proprietà degli omomorfismi, si considerino x0 , y 0 ∈ A0 e
si ponga f −1 (x0 ) = x ∈ A e f −1 (y 0 ) = y ∈ A. Allora, si ha f (x) = x0
e f (y) = y 0 , da cui, con gli ovvi calcoli, f (x ? y) = x0 ?0 y 0 . Pertanto,
f −1 (x0 ?0 y 0 ) = x ? y = f −1 (x0 ) ? f −1 (y 0 ) e quindi l’asserto.
La dimostrazione della iii) è banale.
L’estensione delle precedenti proprietá ai gruppi é banale.♠
Per motivi intuibili, due gruppi che appartengono alla stessa classe di
equivalenza non sono distinguibili tra di loro all’interno della teoria dei gruppi
(la stessa affermazione vale per un insieme di monoidi, ma noi non siamo interessati a questo caso). Per questo, in alcuni libri di fisica, viene considerato
come ”gruppo” direttamente ogni classe di equivalenza di gruppi tra loro isomorfi e ogni singolo gruppo della classe è considerato come una ”realizzazione
del gruppo”.
La condizione che due monoidi (o due gruppi) siano isomorfi tra di loro
è molto forte, la seguente dimostra che è molto facile costruire monoidi (o
gruppi) isomorfi ad un monoide (o gruppo) fissato.
Theorem 3.18. Siano A, A0 due insiemi e f : A → A0 una bigezione. Si
ha:
i). Se ? : A × A → A munisce A della struttura di monoide, la legge di
composizione interna ?0 : A0 × A0 → A0 , definita da:
∀x0 , y 0 ∈ A0 : x0 ?0 y 0 = f f −1 (x0 ) ? f −1 (y 0 ) ,
(3.12)
è l’unica legge di composizione interna che munisce A0 della struttura di
monoide, in modo tale che f sia un isomorfismo tra le due strutture. Inoltre,
se x ∈ A e x0 ∈ A0 sono tali che f (x) = x0 , x è simmetrizzabile rispetto a ?
se e solo se x0 è simmetrizzabile rispetto a ?0 .
32
ii). Nelle ipotesi della li), se (A, ?) è un gruppo, anche (A0 , ?0 ) lo è.
iii). Se ?0 : A0 × A0 → A0 munisce A0 della struttura di monoide, la legge
di composizione interna ? : A × A → A, definita da
∀x, y ∈ A :
x ? y = f −1 (f (x) ?0 f (y)) ,
(3.13)
è l’unica legge di composizione interna che munisce A della struttura di
monoide in modo tale che f sia un isomorfismo tra le due strutture. Inoltre, se x ∈ A e x0 ∈ A0 sono tali che f (x) = x0 , x è simmetrizzabile rispetto
a ? se e solo se x0 è simmetrizzabile rispetto a ?0 .
iv). Nelle ipotesi della iii), se (A0 , ?0 ) è un gruppo, anche (A, ?) lo è.
Dimostrazione: La definizione della applicazione ?0 della i) è ben posta,
essendo f una bigezione e ? una legge di composizione interna. Quindi ?0 è
una legge di composizione interna definita su A0 . Proviamo che ?0 è associativa. Per la (3.13) si ha:
∀x0 , y 0 , z 0 ∈ A0 : (x0 ?0 y 0 ) ?0 z 0 = f f −1 (x0 ) ? f −1 (y 0 ) ?0 z 0 =
= f f −1 f f −1 (x0 ) ? f −1 (y 0 ) ? f −1 (z 0 ) =
= f f −1 (x0 ) ? f −1 (y 0 ) ? f −1 (z 0 ) =
= f f −1 (x0 ) ? f −1 (y 0 ) ? f −1 (z 0 ) =
= x0 ?0 f f −1 (y 0 ) ? f −1 (z 0 ) = x0 ?0 (y 0 ?0 z 0 ) , (3.14)
quindi ?0 è associativa.
Poniamo ora f (1A ) = 1A0 . Si vuol provare che 1A0 è l’elemento neutro
rispetto a ?0 . Infatti, risulta:
∀x0 ∈ A0 :
x0 ?0 1A0 = f f −1 (x0 ) ? f −1 (1A0 = f f −1 (x0 ) ? 1A =
= f f −1 (x0 ) = x0
e
1A0 ?0 x0 = f f −1 (1A0 ) ? f −1 (x0 ) = f 1A ? f −1 (x0 ) =
= f f −1 (x0 ) = x0 .
(3.15)
La proprietà che f : A → A0 è un isomorfismo, segue dal fatto che la
(3.13) è equivalente a:
∀x0 , y 0 ∈ A0 :
f −1 (x0 ?0 y 0 ) = f −1 (x0 ) ? f −1 (y 0 )
33
(3.16)
ed in piú si ha f −1 (1A0 ) = 1A . Pertanto f −1 è un isomorfismo, e quindi anche
(f −1 )−1 = f lo è. Infine, l’ultima parte della i) segue dal fatto che sia f che
f −1 sono omomorfismi. L’unicità di ?0 è banale.
La ii) è conseguenza banale della i).
Per la iii), poniamo g = f −1 : A0 → A. Siccome nelle ipotesi della iii)
(A0 , ?0 ) ha una struttura di monoide, esiste su A un’unica legge di composizione interna ? tale che g sia un isomorfismo di (A0 , ?0 ) su (A, ?). Quindi
anche f = g −1 è un isomorfismo e si ha:
∀x, y ∈ A :
f (x ? y) = f (x) ?0 f (y) ,
da cui la (3.13) segue semplicemente calcolando f −1 del primo e del secondo
membro dell’uguaglianza. Anche l’unicità di ? è una conseguenza banale
della precedente.
Infine, la iv) è una semplice conseguenza della iii). ♠
Theorem 3.19. Siano I(6= ∅) un insieme e (A, ?) un monoide. Allora,
l’applicazione ?0 : AI × AI → AI che ad ogni x, y ∈ AI con x = (xi )i∈I e
y = (yi )i∈I associa x ?0 y = (xi ? yi )i∈I munisce AI della struttura di monoide.
Inoltre, se x = (xi )i∈I è tale che xi è simmetrizzabile per ogni i ∈ I, allora
anche x è simmetrizzabile e x−1 = (x−1
i )i∈I . Pertanto, se (A, ?) è un gruppo,
anche (AI , ?0 ) lo è.
Dimostrazione: ? è associativa. Infatti, comunque si considerino tre
elementi x = (xi )i∈I , y = (yi )i∈I e z = (zi )i∈I in AI si ha:
(x ?0 y) ?0 z = (xi ? yi )i∈I ?0 z = ((xi ? yi ) ? zi )i∈I =
= (xi ? (yi ? zi ))i∈I = x ?0 (yi ? zi )i∈I = x ?0 (y ?0 z) .
(3.17)
Sia, ora, (ei )i∈I la famiglia tale che ei = 1A , per ogni i ∈ I. Allora, per ogni
famiglia (xi )i∈I di elementi di A si ha:
(xi )i∈I ?0 (ei )i∈I = (xi ? ei )i∈I = (xi )i∈I
e
(ei )i∈I ?0 (xi )i∈I = (ei ? xi )i∈I = (xi )i∈I .
(3.18)
Pertanto 1AI = (ei )i∈I è l’elemento neutro di AI . Sia, infine, (xi )i∈I una
famiglia di elementi di A tale che xi sia simmetrizzabile, per ogni i ∈ I.
34
Risulta:
−1
(xi )i∈I ?0 (x−1
i )i∈I = (xi ? xi )i∈I = (ei )i∈I
e
−1
0
(x−1
i )i∈I ? (xi )i∈I = (xi ? xi )i∈I = (ei )i∈I .
(3.19)
Quindi l’asserto è vero. ♠
Theorem
3.20. Sia (Ai , ?i )i∈I una famiglia di monoidi, con I 6= ∅. Poniamo
Q
A = i∈I Ai e definiamo l’applicazione ? : A × A → A, ponendo:
∀(xi )i∈I , (yi )i∈I ∈ A :
(xi )i∈I ? (yi )i∈I = (xi ?i yi )i∈I .
Risulta:
i). (A, ?) è un monoide il cui elemento neutro è la famiglia 1A = (1Ai )i∈I .
ii). Se (xi )i∈I ∈ A è tale che xi è simmetrizzabile, per ogni i ∈ I, allora
(xi )i∈I è simmetrizzabile e il suo simmetrico è (x−1
i )i∈I .
iii). Se (Ai , ?i ) è un gruppo, per ogni i ∈ I, allora
L (A, ?) è un gruppo.
iv). Nelle ipotesi della i) il sottoinsieme B = i∈I Ai costituito da tutti
e soli gli elementi (xi )i∈I di A, tali che xi = 1Ai , per ogni i ∈ I − J, con J
sottoinsieme finito di I, è un sottomonoide di (A, ?) che contiene i simmetrici
di tutti gli elementi simmetrizzabili di B. Pertanto, nelle ipotesi della iii), B
è un sottogruppo.
v). Sia j ∈ I, l’applicazione hj : Aj → A che ad ogni yj ∈ Aj associa
hj (yj ) = (xi )i∈I , con xi = 1Ai per i ∈ I e i 6= j e xj = yj è un monomorfismo
che è usato, in molti casi come omomorfismo di identificazione; cioè si pone
hj (yj ) = yj , per ogni yj ∈ Aj .
Dimostrazione: Le prime tre asserzioni si provano in modo analogo a
quanto fatto per la dimostrazione della proposizione (3.20) che, di fatto, è un
caso particolare di questa proposizione. Infatti, a parte il cambiamento di
notazione, la precedente si ottiene da questa, considerando le (Ai , ?i ) costanti
al variare di i ∈ I.
Per questo, non rimane che provare la iv), visto che la v) è banale.
In questo caso è immediato che 1A = (1Ai )i∈I appartiene a B, perché
si può scegliere come supporto un qualunque sottoinsieme J ⊆ I, finito e
non vuoto. Siano ora (xi )i∈I e (yi )i∈I due elementi di B. Allora, esistono due
sottoinsiemi J1 e J2 finiti di I, tali che xi = 1Ai , per ogni i ∈ I −J1 e yi = 1Ai ,
per ogni i ∈ I − J2 . Per ogni i ∈ I − (J1 ∪ J2 ), si ha xi ? yi = 1Ai ? 1Ai = 1Ai ,
35
pertanto (xi ? yi )i∈I ∈ B, essendo J1 ∪ J2 finito. Quindi B è chiuso rispetto
a ?. Infine, se x = (xi )i∈I ∈ B è simmetrizzabile, esiste J sottoinsieme finito
di I tale che xi = 1Ai , per ogni i ∈ I − J e gli xi sono tutti simmetrizzabili.
−1
Siccome il simmetrico di x è x−1 = (x−1
= 1−1
i )i∈I , risulta xi
Ai = 1Ai , per
−1
ogni i ∈ I − J, quindi x è in B, per cui l’asserto è vero. ♠
Definition 3.9. Nelle ipotesi della proposizione precedente, considerata una
famiglia (xi )i∈I ∈ B, un sottoinsieme J ⊆ I, tale che xi 6= 1Ai , per ogni
i ∈ J, è detto supporto della famiglia. Per questo gli elementi di B sono
anche detti famiglie a supporto finito.
Ovviamente, nelle ipotesi della definizione precedente, una famiglia (xi )i∈I
è a supporto finito se e solo se esiste J ⊆ I, J finito, tale che xi = 1AI , per
ogni i ∈ I − J.
Osservazione (3.1). La costruzione fatta nella proposizione (3.19) è
molto più chiara, se si sostituisce il simbolismo delle famiglie con quello delle
applicazioni. Infatti, se x, y ∈ AI sono considerate, invece che come famiglie,
come applicazioni, x, y : I → A, allora l’applicazione composta x ?0 y : I → A
è tale che (x ?0 y)(i) = x(i) ? y(i). Per ora, i casi a voi più noti sono due.
Quello in cui (A, ?) = (R, +) e I = (a, b), con a, b ∈ R̄ = R t {−∞, +∞},
con a < b è un intervallo reale qualsiasi (aperto a destra se b = +∞, a
sinistra se a = −∞). In questo caso, la legge indotta è ancora indicata con
+ : RI × RI → RI ed è tale che ad x, y ∈ I → R associa x + y : I → R
definita da (x + y)(i) = x(i) + y(i), per ogni i ∈ I. Ovviamente, (RI , +) è
un gruppo. Nel secondo caso, I è ancora un intervallo reale, ma si sceglie
(A, ?) = (R, ·). In questo caso, la legge di composizione indotta si denota
ancora moltiplicativamente e, se x, y : I → R, x · y :→ R è definita ponendo
(x · y)(i) = x(i) · y(i), per ogni i ∈ I. In questo caso (RI , ·) è un monoide
commutativo.
♣ Esercizio (3.4). Nelle ipotesi della proposizione (3.20), quando si usano
le notazioni della osservazione precedente, è più comodo sostituire le identificazioni della v) della proposizione (3.21) con quella consentita dalla seguente
proprietà. L’applicazione f : A → AI che associa ad ogni a ∈ A la famiglia
costante f (a) = (xi )i∈I , con xi = a, per ogni i ∈ I, è un monomorfismo.♣
Osservazione (3.2). A causa dell’identificazione introdotta nella sezione
1) tra n–ple e famiglie finite, la forma in cui noi useremo più spesso la proposizione (3.20) è quella dell’enunciato, piuttosto che quella dell’osservazione
precedente. Infatti, supponiamo I = {1, . . . , n}, con n intero positivo. Si è
posto AI = An e in questo caso si ha (xi )1≤i≤n ?0 (yi )1≤i≤n = (xi ? yi )1≤i≤n ,
36
con (xi )1≤i≤n , (yi )1≤i≤n ∈ An . Quindi, se si pone (xi )1≤i≤n = (x1 , x2 , . . . , xn )
e (yi ) = (y1 , y2 , . . . , yn ), si ha (x1 , x2 , . . . , xn ) ?0 (y1 , y2 , . . . , yn ) = (x1 ? y1 , x2 ?
y2 , . . . , xn ? yn ). Il caso (A, ?) = (R, +) e n = 2, oppure n = 3 sono ben noti.
Consideriamo, per esempio, n = 2, allora la legge indotta su R2 si denota ancora additivamente ed è definita ponendo (x1 , y1 )+(x2 , y2 ) = (x1 +x2 , y1 +y2 ),
per ogni (x1 , y1 ), (x2 , y2 ) ∈ R2 .
Osservazione (3.3). La dimostrazione della (3.20) e quella della (3.21)
non mettono bene in evidenza il fatto che le strutture algebriche definite
mediante queste proposizioni, almeno nel caso dei monoidi, possono essere
molto irregolari. Diamo un esempio di questo fatto supponendo che, nelle
ipotesi della proposizione (3.20), (A, ?) ammetta un elemento assorbente a ∈
A e che I contenga più di un elemento. È facile verificare che la famiglia
(ai )i∈I , tale che ai = a, per ogni i ∈ I è l’elemento assorbente di (AI , ?0 )
e ogni (xi )i∈I ∈ AI , per cui esiste j1 ∈ I tale che xj1 = a e j2 ∈ I − {j1 }
tale che xj2 6= a, è un divisore dello zero. Infatti, sia (xi )i∈I ∈ AI una
tale famiglia e siano j1 , j2 ∈ I, con j1 6= j2 , i due indici per cui risulta
xj1 = a e xj2 6= a. Se si considera la famiglia (yi )i∈I tale che yi = a per ogni
i ∈ (I −{j1 }) e yj1 ∈ (A−{a}), si verifica facilmente che entrambe le famiglie
sono diverse dall’elemento assorbente e che i loro due composti coincidono
con quest’ultimo.
Osservazione (3.4). Nelle ipotesi della iv) della proposizione (3.21), anche nel caso in cui Ai = A, e ?i = σ, per ogni i ∈ I, con (A, σ) struttura
algebrica (cioè anche nelle ipotesi della proposizione (3.20)), è molto usata
la costruzione che segue. Si fissa una famiglia Q
p = (pi )i∈I di oggetti
P qualsiasi. Allora, per ogni x = (xi )i∈I elemento di i∈I Ai si pone i∈I xi pi =
f
(xi , pi )i∈I . Si denota con M(p)
l’insieme cosı̀ ottenuto. Si osserva che
Q
f
l’applicazione
f : i∈I Ai → M(p)Qdefinita ponendo f ((x)) = (xi , pi )i∈I =
P
x
p
,
per
ogni x = (xi )i∈I ∈ i∈I Ai , è una bigezione e quindi esiste
i∈I i i
f rispetto a cui f è un isomorun’unica legge di composizione interna ? su M(p)
P
P
P
f
x
p
y
p
∈
M(p)
si
ha
?
fismo.
È
facile
vedere
che
se
x
p
,
i
i
i
i
i
i
i∈I
i∈I
i∈I
P
P
L
y
p
=
(x
σy
)p
.
L’immagine
mediante
f
di
A
,
che
denoi
i i
i∈I i i
i∈I
i∈I i
f
tiamo con M(p), è una sottostruttura di M(p). P
Gli elementi di quest’ultima
sottostruttura, quando sono scritti nella forma i∈I xi pi , sono detti combinazioni lineari formali dei pi a coefficienti in A.
Theorem 3.21. Sia (A, ?) un semigruppo.
37
i) (A, ?) è un gruppo se e solo se
∀a, b ∈ A, ∃!x, y ∈ A
t. c.
a?x=b
e
y?a=b .
(3.20)
ii). Se A è finito, (A, ?) è un gruppo se e solo se :
∀a, x, y ∈ A :
a?x=a?y ⇒ x=y
x?a=y?a ⇒ x=y .
(3.21)
In questo caso si dice che in A valgono le leggi di cancellazione.
Dimostrazione: Dimostriamo la i).
Supponiamo che (A, ?) sia un gruppo e siano a, b ∈ A. Poniamo x = a−1 ?b
e y = b ? a−1 . È di immediata verifica che a ? x = b e y ? a = b. Si consideri
ora x0 ∈ A, tale che a ? x0 = b, si ha a ? x = a ? x0 , da cui, componendo a
sinistra ambo i membri della precedente uguaglianza con a−1 , dopo i soliti
calcoli, segue x = x0 . In modo analogo si ragiona per y.
Viceversa, sia (A, ?) un semigruppo verificante la (3.20). Consideriamo
a ∈ A allora esistono e sono unici u, v ∈ A tali che a ? u = a e v ? a = a, per
la (3.20).
Se, ora, g ∈ A risulta (a ? u) ? g = a ? g e quindi a ? (u ? g) = a ? g. Essendo
a ? g = a ? g, per la (3.10) deve risultare u ? g = g e, per le ipotesi fatte su g,
questo deve accadere per ogni g ∈ A. In modo analogo si prova che g ? v = g,
per ogni g ∈ A. In particolare si ha u = u ? v = v, quindi u = v = 1A è
l’elemento neutro rispetto a ?.
Consideriamo ora a ∈ A, esistono e sono unici a0 , a” ∈ A tali che a?a0 = 1A
e a” ? a = 1A . Si ha a0 = 1A ? a0 = (a” ? a) ? a0 = a” ? (a ? a0 ) = a”, quindi a è
simmetrizzabile e a0 = a” = a−1 è il suo simmetrico. Da ciò segue che (A, ?)
è un gruppo.
La (3.20) asserisce semplicemente che, comunque si fissi un a ∈ A, le
due applicazioni fa : A → A e f a : A → A, definite rispettivamente da
fa (x) = a ? x e f a (x) = x ? a, per ogni x ∈ A, sono bigettive.
La (3.21) asserisce, invece, che le due applicazioni precedenti sono ingettive, per ogni a ∈ A. Quindi la ii) è una banale conseguenza del fatto che in
un insieme finito una applicazione è bigettiva se e solo se è ingettiva. ♠
Se A contiene infiniti elementi allora le due applicazioni precedente possono essere ingettive senza essere surgettive.
Per esempio in (Z, ·) valgono le leggi di cancellazione anche se non é un
gruppo.
38
In ogni gruppo valgono le leggi di cancellazione.
Concludiamo questa sezione con la seguente osservazione. Su un insieme
A 6= ∅ può essere utile considerare più di una legge di composizione interna.
In tal caso queste leggi possono essere in relazione tra di loro. Le relazioni
più frequentemente incontrate sono date da questa definizione:
Definition 3.10. Siano A un insieme non vuoto e (A, ?), (A, ?0 ) due strutture algebriche su A.
i). Si dice che ? verifica la proprietà distributiva a sinistra rispetto a ?0
se
∀x, y, z ∈ A :
x ? (y ?0 z) = (x ? y) ?0 (x ? z) .
ii). Si dice che ? verifica la proprietà distributiva a destra rispetto a ?0 se
∀x, y, z ∈ A :
(y ?0 z) ? x = (y ? x) ?0 (z ? x) .
iii). Si dice che ? è distributiva rispetto a ?0 se sono vere sia la i) che la
ii).
Ovviamente se, nelle ipotesi della definizione precedente, ? è commutativa
allora le i), ii) e iii) coincidono. Una struttura algebrica con due leggi di
composizione interna si denota con (A, ?, ?0 ).
4
Esempi
In queste sezione sono raggruppati alcuni esempi che chiariscono meglio le
nozioni precedenti.
Esempio 1.
Consideriamo l’insieme dei naturali Z. Anche se alcune sue proprietà
sono gia state usate, perché a voi ben note sia per il corso di analisi, che per
gli studi precedenti, premettiamo qui un breve riepilogo, sia per metterle in
relazione con le nozioni introdotte in precedenza, che per mettere in evidenza
quelle che saranno più utili nel seguito.
i). (Z, +) è un gruppo abeliano, in cui l’elemento neutro è lo zero e il
simmetrico di un elemento a ∈ Z è il suo opposto.
ii). (Z, ·) è un monoide commutativo, in cui l’elemento neutro è l’unità
e in cui vi sono solo due elementi simmetrizzabili che sono l’elemento neutro
39
1 e −1, quest’ultimo ammette come simmetrico se stesso. Inoltre, lo zero è
elemento assorbente, ma in Z non vi sono divisori dello zero. Infine, rispetto
al prodotto valgono le leggi di cancellazione; cioè se a, x, y ∈ Z, con a 6= 0,
da ax = ay segue x = y.
iii). La somma e il prodotto in Z sono messi in relazione dalla proprietà
distributiva della prodotto rispetto alla somma.
iv). In Z esiste una relazione di ordine totale ≤, la cui restrizione
all’insieme dei naturali, N = {n ∈ Z/n ≥ 0} è una relazione di buon ordine.
v). La relazione di ordine in Z è compatibile sia con la somma che con il
prodotto; cioé:
∀a, b, c, d ∈ Z :
∀a, b, c ∈ Z :
∀a, b, c ∈ Z :
a≤b e c≤d⇒a+c≤b+d ;
a≤b e c≥0
⇒
a≤b e c≤0⇒
ac ≤ bc ,
ac ≥ bc .
vi). Il valore assoluto è un’ applicazione di Z in sè che si definisce per ogni
a ∈ Z, ponendo |a| = a, se a ≥ 0; invece, ponendo |a| = −a, se a ≤ 0.
Dimostriamo, per via puramente algebrica, alcune proprietà di Z utili per
il seguito; queste rappresentano anche un esempio di come molte proprietà dei
numeri naturali possono essere dimostrate senza aver fissato una base per la
numerazione (le dimostrazioni a voi note usano la base dieci e le dimostrazioni
delle proprietà di Z indipendenti da qusta base sono utili, perché i calcolatori
usano basi diverse da questa). E’ da notare che in quel che segue 0 e 1 non
rappresentano le cifre arabe, bensı̀ gli elementi neutri della somma e del
prodotto, rispettivamente.
Theorem 4.1. (Algoritmo della divisione). Siano n, p ∈ Z, con p 6= 0.
Esistono e sono unici q, r ∈ Z tali che n = pq + r e 0 ≤ r < |p|.
Dimostrazione: Dapprima proviamo solo la parte della proposizione
relativa alla esistenza di q e r per n ≥ 0 e p > 0, ragionando per induzione.
Per questo, per ogni n ∈ N, denotiamo con P (n) la seguente proprietà:
∀p > 0 ∃q, r ∈ N :
n = pq + r
con 0 ≤ r < p .
P (0) è vera, infatti in questo caso basta scegliere q = r = 0.
40
(4.1)
Sia n ≥ 0 e supponiamo P (n) vera. Dalla (4.1) segue che, per ogni p > 0
esistono q, r ∈ N tali che n + 1 = qp + r + 1 e 0 ≤ r < p. Ora, se r < p − 1,
risulta r0 = r + 1 < p e quindi P (n + 1) è vera, in quanto basta scegliere
q 0 = q e r0 = r + 1, perché le condizioni richieste siano soddisfatte. Se, invece,
r = p − 1, P (n + 1) è vera per q 0 = q + 1 e r0 = 0. Poichè non vi sono altri
casi possibili valgono le ipotesi del principio di induzione (2.1), quindi P (n)
è vera per ogni n ≥ 0.
Siano ora n > 0 e p < 0. Essendo −p > 0, esistono q, r ∈ Z tali che
n = (−p)q + r, con 0 ≤ r < −p. Da ciò segue banalmente n = q 0 p + r0 ,
ponendo q 0 = −q e r0 = r, perché è anche vero che 0 ≤ r0 < |p|. Quindi la
proposizione, per la parte relativa alla esistenza, è vera anche in questo caso.
Supponiamo ora n < 0 e p 6= 0. Essendo −n > 0, esisteranno q, r ∈ Z,
tali che −n = pq + r e 0 ≤ r < |p|. Da ciò segue n = p(−q) − r. Se r = 0,
la parte di proposizione che stiamo dimostrando è vera, scegliendo q 0 = −q
e r0 = 0. In caso contrario, è vera, scegliendo q 0 = −q − 1 e r0 = p − r, per
p > 0 e q 0 = −q + 1, r0 = −p − r, se p < 0.
Proviamo infine l’unicità.
Siano n, p ∈ Z, con p 6= 0 ed esistano q, q 0 , r, r0 ∈ Z tali che n = pq + r =
pq 0 +r0 , con 0 ≤ r, r0 < |p|. Al più cambiando la notazione, possiamo supporre
r ≥ r0 , avendo cosı̀ 0 ≤ r − r0 = p(q 0 − q) < |p|. Da ciò segue, in modo ovvio
q = q 0 e quindi r = r0 , per cui l’unicità. ♠
Ricordiamo alcune definizioni.
Definition 4.1. Nelle ipotesi della proposizione precedente, se r = 0 si dice
che p divide n e si scrive p/n, si dice anche che p è un divisore di n, oppure
che p è un sottomultiplo di n, oppure n è un multiplo di p.
Definition 4.2. Siano m, n ∈ Z∗ = Z−{0}. Si dice che d ∈ Z∗ è il massimo
comun divisore tra m e n se verifica le seguenti proprietà
i). d/n e d/m
ii). Per ogni c ∈ Z∗ tale che c/n e c/m, risulta che c/d
In tal caso si pone d = M CD(m, n). Se M DC(m, n) = 1, si dice che m
e n sono coprimi.
Definition 4.3. Sia p ∈ Z−{0, 1, −1}. Si dice che p è primo, se dal fatto che
p/nm, con n, m ∈ Z, segue che p/n, oppure p/m. Si dice che p è irriducibile
se gli unici elementi di Z che dividono p sono ±1 e ±p.
Theorem 4.2. Siano m, n ∈ Z∗ . Si ha:
41
i). Se d è un massimo comun divisore tra m e n, −d è l’unico altro
massimo comun divisore tra m e n.
ii). Esiste sempre almeno un massimo comun divisore tra m e n.
iii). Se d è un massimo comun divisore tra m e n, esistono s, t ∈ Z tali
che d = ms + nt.
Dimostrazione: Siano m, n ∈ Z, con m, n 6= 0.
Per provare la i) supponiamo che d, d0 ∈ Z siano due massimi comun
divisori tra m e n. Per la i) della definizione (4.3), d e d0 dividono sia
m che n. Quindi per la ii) della stessa definizione d/d0 e d0 /d. Pertanto,
esistono h, k ∈ Z tali che d0 = hd e d = kd0 da cui d = khd. Siccome il
massimo comun divisore di un numero é diverso da zero, si ha hk = 1 e
quindi l’asserto, dovendo essere h e k simmetrizzabili e valendo la proprietà
ii) di Z.
Alla dimostrazione delle ii) e iii) premettiamo la seguente costruzione,
supponendo dapprima m, n > 0.
Osserviamo che essendo n 6= 0, per l’algoritmo della divisione, esistono
q0 , r0 ∈ Z tali che m = q0 n + r0 e 0 ≤ r0 < n. Se r0 = 0 non applichiamo più
l’algoritmo della divisione, se r0 6= 0, esistono q1 , r1 ∈ Z tali che n = q1 ro + r1
e 0 ≤ r1 < r0 . Supposto di aver costruito ri , con i > 1, si possono presentare
due casi ri = 0, oppure esistono 0 ≤ qi+1 , ri+1 ∈ Z tali che ri−i = qi+1 ri +ri+1 .
Si osservi che ri+1 < ri < ri−1 < n e quindi questo processo, detto algoritmo
delle divisioni successive, deve necessariamente ammettere un h < n, tale
che rh+1 = 0.
Per la ii) si vuol provare che d = rh è un massimo comun divisore tra m
e n. Se r0 = 0, n divide m, quindi n divide sia m che n. Inoltre, se h ∈ Z
divide sia m che n, allora h divide n e quindi M CD(m, n) = n.
Se r0 6= 0,La dimostrazione del fatto che M CD(m, n) = rh si ottiene
applicando il principio di induzione (2.3).
Poniamo m = r−2 e n = r−1 . Si ha r−2 = q0 r−1 + r0 . Consideriamo alla
successione dei resti (ri )−2≤i≤h , e applichiamo il teorema (2.3) per dimostrare
che rh divide ri per i = −2, . . . , h e che se k ∈ Z divide r−2 = m e r−1 = n,
allora divide tutti gli ri (e quindi r−2 = m e r−1 = n).
Infatti, essendo rh−1 = qh+1 rh , l’intero rh divide rh e rh−1 , quindi rh
verifica le ipotesi della prima parte del teorema, allora M CD(rh−1 , rh ) = rh
e quindi verifica le due ipotesi necessarie per poter applicare il principio di
induzione in considerazione.
42
Allora, per ipotesi di induzione possiamo supporre che rh divide ri e ri−1 ,
con 0 ≤ i ≤ h. Poichè ri−2 = qi ri−1 + ri , rh divide ri−1 e ri−2 .
Quindi, per il principio di induzione (usando la ii) della proposizione
(2.3)), per ogni i ∈ Z, con −1 ≤ i ≤ h, l’intero rh divide ri e ri−1 , per cui rh
divide m e n. Supponiamo ora che k ∈ Z divida m e n. Allora k divide r−2
e r−1 . Quindi, per ipotesi di induzione, possiamo supporre che k divida ri−2
e ri−1 , per 0 ≤ i ≤ h. Essendo ri = ri−2 − qi ri−1 , k divide ri−1 e ri , da qui
l’asserto.
Anche per la iii) si dimostra sfruttando la ii) della proposizione (2.3).
Infatti, dall’essere rh−2 = qh rh−1 + rh , segue:
rh = sh−1 rh−1 + th−2 rh−2 ,
con sh−1 = −qh ∈ Z e th−2 = 1 ∈ Z. Quindi, per i ∈ Z e −2 ≤ i ≤ h
possiamo supporre rh = si−1 ri−1 + ti−2 ri−2 . Essendo ri−1 = ri−3 − qi−1 ri−2 ,
si ha:
rh = si−1 [ri−3 − qi−1 ri−2 ] + ti−2 ri−2 = [ti−2 − si−1 qi−1 ]ri−2 + si−1 ri−3 =
si−2 ri−2 + ti−3 ri−3 ,
(4.2)
con si−2 = ti−2 − si−1 qi−1 ∈ Z e ti−3 = si−1 ∈ Z, da cui l’asserto.
Per gli altri casi basta osservare che, se h, k ∈ Z∗ , allora h/k, se e solo se
h/|k| e quindi questi possono sempre essere ricondotti al caso qui considerato.
♠
Theorem 4.3. Sia p ∈ Z − {0, ±1}, p è primo se e solo se p è irriducibile.
Dimostrazione: Sia p ∈ Z − {0, ±1}.
Supponiamo, dapprima, che p sia primo e sia h ∈ Z∗ un intero tale che
h/p. Esiste, quindi, k ∈ Z tale che p = hk, per cui anche k 6= 0. Inotre,
siccome da p = hk segue p/hk ed, essendo p primo, p deve dividere h, oppure
p deve dividere k. Supponiamo dapprima che p divida h. Quindi esiste q ∈ Z
tale che h = qp, da cui p = qkp, pertanto k = ±1 e h = ±p. Se p divide k,
l’asserto segue in modo analogo.
Supponiamo ora che p sia irriducibile e siano h, k ∈ Z∗ tali che p/hk.
Allora, esiste q ∈ Z∗ tale che pq = hk. Sia ora d = M CD(p, h). Se d = ±p
allora l’asserto è vero, perché p divide h anche nel caso in cui −p/h, cioè
nel caso in cui d = −p. Se d 6= p, siccome d/p e p è irriducibile, deve
essere d = ±1. Quindi esistono s, t ∈ Z tali che 1 = sp + th. Per cui si ha
43
k = k · 1 = k(sp + th) = ksp + thk = ksp + tqp = rp, con r = ks + tq ∈ Z,
per cui pdivide k e quindi l’asserto. ♠
♠Siano a, b ∈ Z∗ , posto d = M CD(a, b) d divide sia a che b e quindi
divide a · b. Allora, esiste h ∈ Z∗ tale che ab = dh. Si pone h = mcm(a, b)
e si dice che h è il minimo comune multiplo tra a e b. Si prova facilmente
k = |mcm(a, b)| è il più piccolo intero positivo, rispetto alla relazione di
ordine naturale, che è diviso sia da a che da b e che gli unici minimi comune
multipli tra a e b sono k e −k.♣
Esempio 2.
Consideriamo le due strutture algebriche (Z, +) e (Z, ·), fissiamo n > 1.
Definition 4.4. Siano x, y ∈ Z diremo che x è congruo y modulo n e
scriveremo x ≡ y(mod n), o equivalentemente xRn y, se e solo se:
n/(x − y)
⇔
∃h ∈ Z t. c. x − y = hn
(4.3)
Inoltre, la relazione Rn sarà detta congruenza modulo n.
Theorem 4.4. Siano n > 1 e Rn la congruenza modulo n. Si ha:
i). La congruenza modulo n è una relazione di equivalenza e porremo
[x]Rn = [x]n , per ogni x ∈ Z.
ii). L’insieme quoziente Zn = Z/Rn contiene esattamente n classi di
equivalenza che possono essere individuate dai primi n interi naturali, cioè:
Zn = {[0]n , [1]n , . . . , [n − 1]n } .
iii). La congruenza modulo n è una congruenza nel senso della sezione
precedente sia rispetto a (Z, +), che rispetto a (Z, ·) e porremo (Zn , +/Rn ) =
(Zn , +) e (Zn , ·/Rn ) = (Zn , ·).
iv). La struttura algebrica (Zn , +) è un gruppo abeliano, mentre (Zn , ·),
è un monoide commutativo.
v). Le due leggi di composizione interna sono poste in relazione dalla
proprietà distributiva del prodotto rispetto alla somma.
vi). Eccezion fatta per le congruenze banali (cioè quella che mette in relazione ogni elemento solo con se stesso e quella che mette tutti gli elementi
in relazione tra di loro), al variare di n nell’insieme dei numeri positivi maggiori di uno, le congruenze modulo n esauriscono tutte le congruenze rispetto
alla struttura di gruppo (Z, +).
44
Dimostrazione: Sia n > 1.
La relazione Rn è riflessiva. Infatti, per ogni x ∈ Z risulta x − x = 0n,
con 0 ∈ Z, quindi per ogni x ∈ Z si ha xRn x.
Siano x, y ∈ Z, con xRn y. Risulta x − y = hn, con h ∈ Z, quindi
y − x = (−h)n, con −h ∈ Z, da cui yRn x, pertanto Rn è simmetrica.
Infine, se x, y, z ∈ Z, con xRn y e yRn z, esistono h, k ∈ Z tali che x − y =
hn e y − z = kn. Da ciò segue in modo ovvio x − z = (h + k)n, con h + k ∈ Z.
Per questo Rn è anche transitiva. Pertanto, quindi Rn è una relazione di
equivalenza.
Il fatto che {[0]n , [1]n , . . . , [n − 1]n } ⊆ Zn = Z/Rn è banalmente vero.
Viceversa, sia α ∈ Zn . Esiste x ∈ Z tale che α = [x]n . L’algoritmo
della divisione garantisce che esistono q, r ∈ Z tali che x = qn + r e 0 ≤
r < n. Da ciò segue x − r = qn, per cui xRn r e quindi α = [x]n = [r]n ∈
{[0]n , [1]n , . . . , [n − 1]n }.
Per provare che gli elementi di Zn sono esattamente n, basta far vedere
che per ogni i, j ∈ {0, 1, . . . , n − 1}, con i 6= j, si ha [i]n 6= [j]n .
Siano i, j ∈ {0, 1, . . . , n − 1}, con i 6= j, possiamo suppore i > j. Se per
assurdo fosse [i]n = [j]n , si avrebbe iRn j e quindi esisterebbe h ∈ Z tale che
i − j = hn > 0. D’altra parte, per le ipotesi su i e j, dovrebbe anche essere
0 < i − j < n, il chè è assurdo. Pertanto non può essere [i]n = [j]n e quindi
l’asserto.
Per dimostrare la iii) e la iv) basta far vedere che Rn è compatibile sia
con la somma che con il prodotto in Z.
Per questo siano x, y, z, t ∈ Z, con xRn y e zRn t. Esistono h, k ∈ Z tali
che x − y = hn e z − t = kn.
Da ciò segue banalmente (x + z) − (y + t) = (h + k)n, con h + k ∈ Z e
quindi (x + z)Rn (y + t).
Si ha, inoltre, x = y +hn e z = t+kn, da cui xz = yt+ykn+thn+hkn2 e
quindi xz − yt = sn, con s = yk + th + hkn ∈ Z. Pertanto risulta (xz)Rn (yt).
Per dimostrare la v) basta osservare che comunque si considerino x, y, z ∈
Z si ha:
[x]n ([y]n + [z]n ) = [x]n [y + z]n = [x(y + z)]n = [xy + xz]n =
= [xy]n + [xz]n = [x]n [y]n + [x]n [z]n .
(4.4)
Infine, il fatto che congruenza R non banale su Z, rispetto alla somma, sia
una congruenza modulo n > 1 sará dimostrato nella sezione seguente (vedere
la parte finale della osservazione (5.1)). ♠
45
Poniamo la seguente:
Definition 4.5. Siano a, b, n ∈ Z, con n > 1 e a 6= 0. Sia inoltre x un
oggetto qualsiasi. Il simbolo ax ≡ b(mod n) è detto congruenza lineare e
x è detto indeterminata. Inoltre, z ∈ Z è detta soluzione della congruenza
lineare se e solo se az ≡ b(mod n).
Si ha:
Theorem 4.5. Siano a, b, n ∈ Z, con n > 1 e a 6= 0. La congruenza lineare
ax ≡ b(mod n) ammette soluzione, se e solo se M CD(a, n)/b.
Dimostrazione: Supponiamo dapprima che z ∈ Z sia una soluzione
della congruenza cosiderata e poniamo d = M CD(a, n). Intanto da az ≡
b(mod n), segue che esiste h ∈ Z tale che az − b = hn, da cui b = az − hn.
Essendo d il massimo comun divisore tra a e n, esistono s, t ∈ Z tali che
a = ds e n = dt. Da ciò segue b = dsz − hdt = kd con k = sz − ht ∈ Z e
quindi d divide b.
Viceversa, supponiamo che d = M CD(a, n) divida b, per cui esiste k ∈ Z
tale che b = kd. Inoltre, esistono s, t ∈ Z tali che d = as + tn. Da ciò segue
b = k(as + tn) e quindi a(ks) − b = (−kt)n. Essendo ks e −kt elementi di
Z, z = ks è una soluzione della congruenza lineare ax ≡ b(mod n). ♠
Infine si ha la seguente:
Theorem 4.6. Sia n > 1, si consideri il monoide (Zn , ·) e si ponga Z∗n =
Zn − {[0]n }. Si ha:
i). [0]n è elemento assorbente.
ii). Sia [a]n ∈ Z∗n , con a ∈ {2, . . . , n−2}. Se a/n, allora [a]n è un divisore
dello zero, quindi se n non è primo in Zn esistono divisori dello zero.
iii). Sia [a]n ∈ Z∗n , con a ∈ {1, . . . , n}. [a]n è simmetrizzabile rispetto al
prodotto se e solo se a e n sono coprimi.
iv). (Z∗n , ·) è un gruppo abeliano, se e solo se n è primo.
Dimostrazione: La i) è banalmente vera.
Per la ii) basta dimostrare solo la seconda parte. Se n non è primo, allora
non è nemmeno irriducibile e esiste almeno un h ∈ Z, con h 6= 0, h 6= ±1
e h 6= ±n, che divide n. Quindi esiste k ∈ Z tale che n = hk, con k 6= 0.
Siccome sostituendo sia h che k con i loro opposti si riottiene n, possiamo
supporre h, k ≥ 1. Allora da k ≥ 1 segue n = hk ≥ h e, poiché h 6= n, si
ha h < n. Non potendo essere k = n, si ha anche k < n, e quindi h, k 6= 1.
46
Avendosi quindi 2 ≤ h, k ≤ n − 1, si ha che sia [h]n che [k]n sono diversi
dall’elemento assorbente. Infine si verifica facilmente che [h]n · [k]n = [0]n e
quindi l’asserto.
Consideriamo ora la iii). Se [a]n ∈ Z∗n è simmetrizzabile, possiamo supporre che a ∈ {1, . . . , n−1} e che esista b ∈ Z tale che [a]n ·[b]n = [ab]n = [1]n .
Ciò accade se e solo se b è soluzione della congruenza lineare ax ≡ 1(mod n)
che, a sua volta, ammette soluzioni, se e solo se M CD(a, n) divide 1.
Quindi [a]n è simmetrizzabile se e solo se uno dei massimi divisori tra a
e n è 1, cioè se e solo se a e n sono coprimi.
Infine, per la precedente, tutti gli elementi di Z∗n sono simmetrizzabili
rispetto al prodotto, se e solo se n è coprimo con tutti gli interi a ∈ {1, . . . , n−
1}. Si verifica facilmente che ciò accade se e solo se n è primo. ♠
Esempio 3.
e = Z × Z∗ . Su Q
e consideriamo due leggi di
Consideriamo l’insieme Q
composizione interna. La prima, denotata additivamente è definita da:
e:
∀(a, b), (c, d) ∈ Q
(a, b) + (c, d) = (ad + cb, bd) .
(4.5)
Riguardo a questa legge di composizione interna notiamo solo che, nelle
ipotesi della (4.2), da b 6= 0 e d 6= 0 segue bd 6= 0 e quindi (ad + cb, bd)
e e che, in più, la legge di composizione inesiste, è unico e appartiene a Q
terna precedente è commutativa.
e della struttura di
La seconda, denotata moltiplicativamente munisce Q
monoide ed è quella definita nella proposizione (3.21) mediante le strutture
moltiplicative su Z e Z∗ , rispettivamente. Quindi si ha:
e:
∀(a, b), (c, d) ∈ Q
(a, b) · (c, d) = (ac, bd) .
(4.6)
e definiamo anche la seguente relazione:
Su Q
e:
∀(a, b), (c, d) ∈ Q
(a, b)R(c, d)
⇔
ad = cb .
(4.7)
e è una congruenza
Theorem 4.7. La relazione R definita dalla (4.7) su Q
sia rispetto alla somma definita da (4.5) che rispetto al prodotto definito da
(4.6).
e essendo ab = ab, si ha (a, b)R(a, b) e
Dimostrazione: Sia (a, b) ∈ Q,
quindi R è riflessiva.
47
e da (a, b)R(c, d) segue ad = cb, per cui cb = ad,
Siano (a, b), (c, d) ∈ Q,
quindi (c, d)R(a, b); cioè R è simmetrica.
e da (a, b)R(c, d) e (c, d)R(x, y) segue
Infine, siano (a, b), (c, d), (x, y) ∈ Q,
ad = cb e cy = xd. Da queste ultime due segue ady = cby e bcy = xbd,
quindi ady = xbd, da cui ay = xb, essendo d 6= 0 e valendo in Z le leggi di
cancellazione, si ha quindi (a, b)R(x, y) da cui segue la transitivitá di R.
Quindi R è una relazione di equivalenza.
Per provare che R è una congruenza rispetto alle leggi di composizione ine con (a, b)R(c, d)
terna (4.5) e (4.6) consideriamo (a, b), (c, d), (x, y), (z, t) ∈ Q,
e (x, y)R(z, t). Risulta ad = cb e xt = zy.
Moltiplicando membro a membro le precedenti si ha (ax)(dt) = (cz)(by),
da cui (ax, by)R(cz, dt) e quindi R è una congruenza rispetto alla legge di
composizione interna (4.6).
Inoltre, sempre dalle stesse uguaglianze segue (ay + xb)dt = (ad)yt +
(xt)bd = cbyt + zybd = (ct + zd)yb, da cui (ay + xb, yb)R(ct + zd, dt), pertanto
R è una congruenza anche rispetto alla legge di composizione interna (4.5).
♠
e
Nella ipotesi della proposizione precedente, l’insieme quoziente Q = Q/R
è detto insieme dei (numeri) razionali e le leggi quoziente +/R e ·/R si denotano più semplicemente con l’addizione e la moltiplicazione.
♣ Esercizio (4.1). Con queste due leggi di composizione interna (Q, +) è
un gruppo abeliano, il cui elemento neutro è [(0, 1)]R e l’opposto di [(a, b)]R ∈
Q è [(−a, b)]R .
Inoltre, (Q, ·) è un monoide commutativo, in cui [(0, 1)]R e l’elemento
assorbente, [(1, 1)]R è l’elemento neutro e (Q∗ , ·), con Q∗ = Q − {[(0, 1)]R } è
un gruppo tale che il simmetrico dell’elemento [(a, b)]R ∈ Q∗ è [(b, a)]R .
Infine, le due stutture algebriche sono messe in relazione dalla proprietà
distributiva del prodotto rispetto alla somma.
e tale che α = [(a, b)]R . Si pone α = a e
Sia α ∈ Q, allora esiste (a, b) ∈ Q
b
questa rappresentazione di α e detta frazione.
Per le frazioni si userà tutta la terminologia usuale.
Si dirà che una frazione non nulla è ridotta ai minimi termini se il numeratore e il denominatore sono coprimi. Ogni frazione non nulla può essere
ridotta ai minimi termini. Infatti, consideriamo ab ∈ Q∗ e osserviamo che,
se fosse a = 0, risulterebbe a · 1 = b · 0, quindi sarebbe (a, b)R(0, 1), da cui
a
= 01 . Siano, pertanto, d = M CD(a, b) ∈ Z∗ e h, k ∈ Z∗ tali che a = dh
b
e b = dk, si ha ak = dhk = bh e quindi ab = hk . Sia r = M CD(h, k), se
48
fosse r 6= 1, dr dividerebbe sia a che b e non dividerebbe d. Pertanto r = 1
e quindi h e k sono coprimi.
, per ogni ab ∈ Q, quindi si puo sempre
Si osservi anche che ab = −a
−b
supporre b > 0.
Con questa convenzione, due frazioni sono uguali se e solo se, ridotte ai
minimi termini, hanno lo stesso numeratore e lo steso denominatore. ♣
♣ Esercizio (4.2). Provare le principali formule relative ai razionali servendosi delle precedenti costruzioni.♣
♣ Esercizio (4.3). L’applicazione f : Z → Q tali che f (a) = a1 è un
monomorfismo sia di (Z, +) in (Q, +) che (Z, ·) in (Q, ·).
Il monomorfismo precedente è usato per identificare Z con f (Z), per cui
si considera a = a1 , per ogni a ∈ Z.♣
Esempio 4.
La costruzione dei numeri reali mediante i numeri razionali coinvolge
metodi che non sono propri dell’algebra, quindi viene effettuata nel corso
di Analisi. Gli studenti che vogliono sostenere l’esame di geometria prima di
quello di Analisi sono tenuti e conoscerla.
♣ Esercizio (4.4). Ricordato che (R, +) e (R∗ , ·), con R∗ = R − {0}, sono
gruppi abeliani e che l’addizione è messa in relazione con la moltiplicazione
dalla proprietà distributiva, si consideri α > 1 e la relazione Sα introdotta in
un esercizio della sezione 2. Dimostrare che Sα è una congruenza di (R, +),
ma non di (R, ·). Dedurne che (R/αZ, +), dove + è la legge di composizione
indotta, è un gruppo abeliano e che la moltiplicazione non induce alcuna
legge di composizione interna.♣
♣ Esercizio (4.5). Nelle ipotesi della proposizione precedente, si consideri
l’applicazione Π0 ≡ Π0α : [0, α[→ R/αZ, introdotta nello stesso esercizio della
sezione 2. L’unica legge di composizione interna +0 su [0, α[ rispetto a cui
Π0 è un isomorfismo è definita ponendo x +0 y = x + y, se x + y < α,
x +0 y = x + y − α, se x + y ≥ α, per ogni x, y ∈ [0, α[, dove + è la somma
naturale di R.♣
♣ Esercizio (4.6). Siano α, β due reali maggiori di uno e fα,β : (R/αZ) →
] . L’applicazione
(R/βZ) l’applicazione, definita ponendo fα,β ([x]Sα ) = [ βx
α Sβ
fαβ è un isomorfismo rispetto alle strutture di gruppo abeliano che sono state
definite nell’esercizio (4.4) sui due quozienti. Determinare esplicitamente
come opera l’isomorfismo (Π0β )−1 ◦ fαβ ◦ Π0α : [0, α[→ [0, β[.♣
Esempio 5.
49
♣ Esercizio (4.7). Per la proposizione (3.20) esistono su R2 due leggi di
composizione interna: quella proveniente dall’addizione che è ancora indicata
additivamente e che munisce R2 della struttura di gruppo abeliano (confronta
anche con l’osservazione (3.2)) e quella, che in questo esempio indichiamo con
∗ che munisce R2 della struttura di monoide, proveniente dal prodotto. In
R2 vale la proprietà distributiva di ∗ rispetto alla somma e che tutti e soli i
divisori dello zero rispetto ad ∗ sono gli elementi del tipo (a, 0) e (0, a), con
a ∈ R∗ .♣
Nell’esercizio precedente siè indicato con ∗ la legge di composizione interna indotta su R2 dalla moltiplicazione di R, perché su R2 si preferisce indicare moltiplicaticamente la legge di composizione interna, più utile, definita
dalla seguente:
∀(a, b), (c, d) ∈ R2 :
(a, b) · (c, d) = (ac − bd, ad + bc) ,
(4.8)
♣ Esercizio (4.8). (R2 , ·) è un monoide commutativo, (R2 − {(0, 0)}, ·) è
un gruppo abeliano, il prodotto è distributivo rispetto alla somma definita
nell’esercizio precedente, infine l’applicazione f : R → R2 , definita da f (a) =
(a, 0), per ogni a ∈ R è un monomorfismo sia rispetto alle strutture indotte
sui rispettivi insiemi dalle rispettive somme, che rispetto a quelle indotte dai
rispettivi prodotti.♣
Il monomorfismo dell’esercizio precedente induce un isomorfismo di R
sulla sua immagine R × {0} che è usato come isomorfismo di identificazione;
cioè si pone f (a) = (a, 0) = a, per ogni a ∈ R. Si pone inoltre i = (0, 1). Con
l’identificazione precedente e quest’ultima posizione si ha ia = (0, 1) · (a, 0) =
(a · 0 − 0 · 1, 0 · 0 + 1 · a) = (0, a) per ogni a ∈ R, da cui (a, b) = (a, 0) + (0, b) =
a + ib, per ogni (a, b) ∈ R2 . Risulta inoltre i2 = (0, 1) · (0, 1) = (−1, 0) = −1
e si verifica facilmente che (a + ib)(c + id) = ac − bd + i(ad + bc), per ogni
ib
a
a, b, c, d ∈ R. Infine, se z = a + ib ∈ R2 − {(0, 0)}, risulta z −1 = a2 +b
2 − a2 +b2 .
Quando su R2 si considerano la somma e il prodotto precedenti, per ragioni di carattere storico, si preferisce porre C = R2 , l’insieme C è detto
insieme dei numeri complessi, e per i suoi elementi si usa tutta la terminologia che già conoscete.
♣ Esercizio (4.9). Sia h : C → C l’applicazione definita ponendo h(a +
ib) = a − ib, per ogni a + ib ∈ C. L’applicazione h è un automorfismo
sia rispetto alla struttura (C, +) che rispetto alla struttura (C, ·). Inoltre
h2 = idC .♣
L’applicazione h è detta coniugio e, per ogni z = a + ib ∈ C, si pone
h(z) = z = a + ib = a − ib e z è detto numero complesso coniugato di z.
50
Le proprietà messe in evidenza nell’esercizio precedente assicurano che
z1 + z2 = z1 + z2 e che z1 · z2 = z1 · z2 , per ogni z1 , z2 ∈ C. Dal fatto che
h2 = idC , segue anche z = z, per ogni z ∈ C.
E’ di immediata verifica che z · z = a2 + b2 ∈ R, per ogni z = a + ib ∈ C.
Quindi, z −1 = (zz)−1 z per ogni z ∈ C − {0} e,
Infine, per ogni z = a + ib ∈ C, z · z ≥ 0 e l’uguaglianza vale solo se
z = 0, cioè se e solo se a = b = 0 (ricordate che nella sezione 3 avevamo
posto la convenzione di indicare con 0 anche l’elemento
neutro
di C rispetto
√
√
2
alla somma). Per questo ha senso porre |z| = z · z = a + b2 , per ogni
√
z = a + ib ∈ C, dove
denota la radice quadrata aritmetica in R+ = {x ∈
R/x ≥ 0} (vedere il corso di Analisi). |z| è detto modulo di z ∈ C. Per
quanto detto il modulo di un numero complesso è zero se e solo se il numero
stesso è zero. Il modulo di un numero complesso non é altro che la norma di
un vettore reale e le sue proprietá saranno viste successivamente.
♣ Esercizio (4.10). Sia S 1 = {z ∈ C/zz = 1} = {z ∈ C/|z| = 1}. S 1 è un
sottogruppo di (C∗ , ·) e vale l’identità z −1 = z, per ogni z ∈ S 1 .♣
♣ Esercizio (4.11). Sia ([0, 2π[, +0 ) il gruppo abeliano definito in uno
degli esercizi dell’esempio 4. L’applicazione f : [0, 2π[→ S 1 tale che f (x) =
(cos x, sin x) = cos x + i sin x, per ogni x ∈ [0, 2π], è un isomorfismo.♣
Esempio 6.
♣ Esercizio (4.12). Sia G un insieme di gruppi contenente tra l’altro tutti
i gruppi costruiti sin’ora. La classe di equivalenza individuata da (S 1 , ·) è
generalmente denotata con U (1) gruppi (R/αZ, +) e ([0, α[, +0 ) appartengono
ad U (1), per ogni α ∈ R e α > 1.♣
Esempio 7.
Sia A 6= ∅ un insieme e AA l’insieme delle applicazioni di A in sè.
♣ Esercizio (4.13). L’ordinaria legge di composizione interna tra applicazioni ◦ : AA ×AA → AA che ad (f, g) ∈ AA ×AA fa corrispondere f ◦g ∈ AA
munisce AA della struttura di monoide, in cui l’applicazione identica di A in
A è l’elemento neutro. Inoltre, il sottomonoide degli elementi simmetrizzabili
B(A) è l’insieme della bigezioni, pertanto (B(A), ◦) è un gruppo.♣
Sia (G, ·) un gruppo. Un omomorfismo ϕ : G → B(A) è detto rappresentazione di G su A. Per ogni x ∈ G, si pone ϕ(x) = ϕx : A → A.
La rappresentazione ϕ : G → B(A) è detta fedele se ϕ è ingettiva. Si
osservi che
x ∈ Kerϕ ⇔ ∀a ∈ A : ϕx (a) = a
51
Allora la rappresentazione ϕ è fedele se e solo se per x ∈ G vale la seguente:
∀a ∈ A : ϕx (a) = a ⇒ x = 1G .
(4.9)
Si dice che la rappresentazione ϕ è libera, oppure che è priva di punti fissi se
e solo se, per ogni x ∈ G:
∃a ∈ A : ϕx (a) = a ⇒ x = 1G .
(4.10)
Theorem 4.8. Sia ϕ : G → B(A) una rappresentazione di G su A. Allora
la relazione Rϕ ⊆ A × A definita da:
a, b ∈ A : aRϕ b ⇔ ∃x ∈ G t. c. ϕx (a) = b
è di equivalenza.
Dimostrazione: Per ogni a ∈ A esiste 1G ∈ G tale che ϕ1G (a) = a,
quindi per ogni a ∈ A risulta aRϕ a e, pertanto, Rϕ è riflessiva.
Siano a, b ∈ A tali che aRϕ b. Essendo ϕ un omomorfismo si ha ϕx−1 =
−1
ϕ(x−1 ) = [ϕ(x)]−1 = ϕ−1
∈ G. Si ha quindi ϕx−1 (b) = a, cioè bRϕ a,
x , con x
da cui segue che Rϕ è simmetrica.
Infine, siano a, b, c ∈ A, con aRϕ b e bRϕ c. Esistono x, y ∈ G tali che
ϕy (a) = b e ϕx (b) = c. Essendo ϕ un omomorfismo, risulta ϕx·y (a) = ϕx ◦
ϕy (a) = c, con x · y ∈ G. Quindi Rϕ è pure transitiva. ♠
Nella ipotesi della proposizione precedente, se a ∈ A, la classe di equivalenza [a]Rϕ di a rispetto ad Rϕ e detta orbita di a (rispetto a ϕ) e A/G =
A/Rϕ è detto insieme delle orbite. Se A/G contiene una sola orbita si dice
che la rappresentazione ϕ è transitiva. Il che equivale al fatto che per ogni
a, b ∈ A esiste almeno un x ∈ G tale che ϕx (a) = b. Se n ∈ N∗ , si dice
che la rappresentazione ϕ è (strettamente) n–volte transitiva, se comunque
si considerino due famiglie ”generiche” (ai )1≤i≤n , (bi )1≤i≤n ∈ An esiste (un
unico) x ∈ G tale che ϕx (ai ) = bi , per ogni i ∈ {1, . . . , n}.
Per il significato delle parola ”generico” non facciamo alcuna osservazione,
accontentandoci di chiarirlo solo attraverso i casi concreti che incontreremo.
Theorem 4.9. Siano A 6= ∅ un insieme, (G, ·) un gruppo, ϕ : G → B(A) un
rappresentazione libera e a ∈ A. Per semplicità denotiamo con [a] la classe
di equivalenza di a rispetto a Rϕ . Allora, si ha:
i). L’applicazione ϕa : G → [a] definita da ϕa (x) = ϕx (a), per ogni
x ∈ G è una bigezione. Pertanto, su [a] esiste un’unica legge di composizione
interna ·a : [a] × [a] → [a], rispetto a cui ϕa è un isomorfismo.
52
ii). Inoltre, se c ∈ [a], la costruzione precedente può essere ripetuta per
[c] = [a] e quindi esisterà un struttura di gruppo ([a], ·c ) rispetto a cui ϕc :
G → [a] è un isomorfismo. Sia x0 ∈ G l’unico elemento di G tale che
ϕa (x0 ) = c. Con queste notazioni si ha ϕc (x) = ϕx (c) = ϕa ◦ Rx0 (x), per
ogni x ∈ G, dove Rx0 : G → G la traslazione destra, definita ponendo
Rx0 (x) = x · x0 , per ogni x ∈ G.
iii). Infine si ha b ·c d = b ·a c−1 ·a d, per ogni b, d ∈ [a], essendo c−1 il
−1
simmetrico di c rispetto a ·a e ϕc ◦ ϕ−1
a = ϕa ◦ Rx0 ϕa è un isomorfismo tra
le due strutture.
Dimostrazione: Si noti che, considerato x ∈ G esiste ed è unico b ∈ A
tale che ϕa (x) = ϕx (a), quindi aRϕ b, da cui b ∈ [a], pertanto ϕa è una
applicazione. Anche se la rappresentazione non fosse libera la precedente
applicazione sarebbe sempre surgettiva, per il modo in cui sono definite le
classi di equivalenza. In più, se b ∈ [a], esiste almeno un x ∈ G, tale che
ϕx (a) = b e quindi ϕa (x) = b. Il fatto che la rappresentazione è libera assicura
che ϕa è ingettiva. Infatti, siano x, y ∈ G tali che ϕa (x) = ϕa (y). Risultando
ϕx (a) = ϕy (a) ed essendo ϕ un omomorfismo si ha ϕx·y−1 (a) = a. Poiché la
rappresentazione è libera deve essere x · y −1 = 1G e quindi x = y, per cui
ϕa è ingettiva. Da ciò segue che su [a] esiste un’unica legge di composizione
interna ·a : [a] × [a] → [a] che munisce [a] della struttura di gruppo rispetto
a cui ϕa è un isomorfismo.
Se ora c ∈ [a], la costruzione precedente può essere ripetuta per [c] = [a]
e quindi esisterà un struttura di gruppo ([a], ·c ) rispetto a cui ϕc : G → [a] è
un isomorfismo. Dal fatto che c ∈ [a], segue che esiste un unico x0 ∈ G tale
che ϕa (x0 ) = c = ϕx0 (a). Quindi:
ϕc (x) = ϕx (c) = ϕx (ϕx0 (a)) =
= ϕx·x0 (a) = ϕa (x · x0 ) = ϕa ◦ Rx0 (x) , ∀x ∈ G
essendo Rx0 : G → G la traslazione destra di x0 definita da Rx0 (x) = x · x0 ,
per ogni x ∈ G.
Pertanto, considerati b, d ∈ [a], si ha:
−1
b ·c d = ϕc (ϕ−1
c (b) · ϕc (d)) =
= ϕa ◦ Rx0 ([ϕa ◦ Rx0 ]−1 (b) · [ϕa ◦ Rx0 ]−1 (d)) =
−1
−1
−1
·a d .
= ϕa (ϕ−1
a (b) · x0 · ϕa (d)) = b ·a c
(4.11)
Infine le due strutture algebriche sono isomorfe, essendo entrambe isomorfe
a G. Un isomorfismo è ϕc ◦ ϕ−1
a = ϕ a ◦ R x0 ◦ ϕ a . ♠
53
Siano A 6= ∅ un insieme, (G, ·) un gruppo e ϕ : G → B(A) una rappresentazione di G. Esiste allora una applicazione ψ : G × A → A definita da
ψ(x, a) = ϕx (a), per ogni x ∈ G e a ∈ A. L’applicazione ψ è detta azione di
G su A (canonicamente associata a ϕ). Le proprietà di ψ sono:
∀x, y ∈ G ∀a ∈ A :
∀a ∈ A :
ψ(x · y, a) = ψ(x, ψ(y, a)) ,
ψ(1G , a) = a .
(4.12)
(4.13)
Una qualunque applicazione ψe : G × A → A che verifichi le (4.7) e (4.8) è
detta azione di G su A.
Molte volte, anche l’azione ψe si denota moltiplicativamente, in questo
caso le (4.12) e (4.13) si scrivono rispettivamente come:
∀x, y ∈ G ∀a ∈ A :
∀a ∈ A :
x · (y · a) = (x · y) · a ,
(4.14)
1G · a = a ,
(4.15)
non potendo sorgere equivoci, in quanto la moltiplicazione di G è sempre
compresa tra due elementi di G, mentre quella che sostituisce ψe è sempre
compresa tra un elemento di G e uno di A.
♣ Esercizio (4.14). Siano A 6= ∅ un insieme e (G, ·) un gruppo. Se
ψe : G × A → A è una azione di G su A, l’applicazione ϕ
e : G → B(A)
e
definita da [ϕ(x)](a)
e
= ψ(x, a) è una rappresentazione di G su A, detta
e Inoltre, se ψ : G × A → A è l’azione di G su
canonicamente associata a ψ.
A canonicamente associata a ϕ,
e risulta ψe = ψ.
Viceversa, se ϕ : G → B(A) è una rappresentazione di G su A, se ψ :
G × A → A è l’azione di G su A canonicamente associata a ϕ e se ϕ
e:G→B
è la rappresentazione di G su A canonicamente associata a ψ, allora ϕ = ϕ.♣
e
Esempio 8.
♣ Esercizio (4.15). Sia (G, ·) un monoide. La struttura algebrica (G, ·0 )
definita ponendo x ·0 y = y · x, per ogni x, y ∈ G è un monoide, in cui
l’elemento neutro rispetto a ·0 è 1G e il simmetrico di un elemento x ∈ G
rispetto a ·0 esiste se e solo se esiste il simmetrico di x nella struttura di
partenza e coincide con quest’ultimo. Un omomorfismo di (G, ·0 ) in un altro
monoide è anche detto antiomomorfismo di (G, ·) sul monoide considerato.
54
Se (G, ·) è commutativo le due strutture precedenti coincidono e se (G, ·) è
un gruppo, anche (G, ·0 ) lo è.♣
♣ Esercizio (4.16). Siano (G, ·) un gruppo e a ∈ G un suo elemento. La
struttura algebrica (G, ·a ) definita da x ·a y = xay è un gruppo, avente come
elemento neutro a−1 e come simmetrico di un elemento x ∈ G l’elemento
y = (axa)−1 .♣
Esempio 9.
Tre esempi di rappresentazione di un gruppo, tratti dall’algebra.
Sia (G, ·) un gruppo. Sia a ∈ G, ha senso considerare l’applicazione
adj(a) : G → G, definita ponendo (adj(a))(x) = axa−1 , per ogni x ∈ G.
adj(a) : G → G è un automorfismo interno (determinato da a). Infatti,
adj(a) è surgettiva, perché, se y ∈ G, esiste x = a−1 ya ∈ G tale che
(adj(a))(x) = y. Inoltre è ingettiva, perché, se x1 , x2 ∈ G, dall’essere
(adj(a))(x1 ) = (adj(a))(x2 ), segue banalmente x1 = x2 . Infine, per ogni
x1 , x2 ∈ G, si ha
(adj(a))(x1 · x2 ) = a · (x1 · x2 ) · a−1 =
(a · x1 · a−1 ) · (a · x2 · a−1 ) = [(adj(a))(x1 )] · [(adj(a))(x2 )] . (4.16)
Siano ora a, b ∈ G, per ogni x ∈ G si ha
(adj(a · b))(x) = (a · b) · x · (a · b)−1 =
= a · (b · x · b−1 ) · a−1 = [adj(a) ◦ adj(b)](x) .
Risulta, quindi, adj(a·b) = adj(a)◦adj(b), e per la genericità di a, b ∈ G = G0 ,
si ha che adj : G → B(G) è un omomorfismo, essendo anche una applicazione.
Si può facilmente verificare che l’insieme degli automorfismi Aut(G) di
(G, ·) in sè è un sottogruppo di (B(G), ◦), quindi adj(G) è un sottogruppo di
(Aut(G), ◦). Inoltre, a ∈ G è tale che adj(a) = idG , se e solo se a · x · a−1 = x,
per ogni x ∈ G; cioè se e solo se x · a = a · x, per ogni x ∈ G. L’insieme degli
elementi di G che verificano questa ultima proprietà si chiama centro di G
e si denota con C(G). Quindi il nucleo della applicazione adj coincide con
il centro che pertanto è un sottogruppo di (G, ·). Concludiamo, osservando
che, se (G, ·) è abeliano, la rappresentazione precedente è banale, in quanto
adj(a) = idG , per ogni a ∈ G.
Il secondo esempio è noto come ”teorema di Cayley”. Siano (G, ·) un
gruppo finito con n > 1 elementi e f : I → G, con I = {1, . . . , n}, una
55
bigezione. Se a ∈ G, poniamo ϕa = f −1 ◦ La ◦ f : I → I, essendo La : G → G
la traslazione sinistra definita da La (x) = a · x, per ogni x ∈ G.
♣ Esercizio (4.17). L’applicazione ϕ : G → B(I) definita ponendo ϕ(a) =
ϕa = f −1 ◦ La ◦ f , per ogni a ∈ G è una rappresentazione fedele di G su I,
pertanto G è isomorfo a ϕ(G), sottogruppo di (B(I), ◦).♣
Il gruppo B(I) si denota con Sn e si chiama gruppo simmetrico di ordine
n, oppure gruppo delle permutazioni su n oggetti, un suo elemento è detto
permutazione ( su n oggetti). Quindi, da un punto di vista algebrico, studiare
i gruppi finiti è equivalente a studiare i sottogruppi dei gruppi di permutazioni
su un numero finito di oggetti.
Infine, siano (G, ·) un gruppo e (B(G), ◦) il gruppo di tutte e sole le
bigezioni di G in sè. La applicazione R : G → B(G) che ad ogni x ∈ G
associa la traslazione destra R(x) = Rx : G → G è una rappresentazione
libera di G in B(G).
Esempio 10.
Sia A 6= ∅ un insieme e P (A) il suo insieme delle parti.
♣ Esercizio (4.18). L’applicazione t : P (A) × P (A) → P (A) che ad
ogni X, Y ∈ P (A) associa X t Y ∈ P (A), unione di X con Y , munisce
P (A) della struttura di monoide rispetto a cui ∅ è l’lemento neutro e A è
l’elemento assorbente. In modo analogo, u : P (A) × P (A) → P (A) che
ad X, Y ∈ P (A) associa X u Y ∈ P (A), intersezione di X con Y , munisce
P (A) della struttura di monoide in cui A è l’elemento neutro e ∅ è l’elemento
assorbente. Le due leggi di composizione interna sono messe in relazione
reciproca dalla proprietà distributiva della unione rispetto alla intersezione e
dalla proprietà distributiva dell’intersezione rispetto all’unione.♣
Le precedenti due leggi di composizione interna hanno caratteristiche abbastanza diverse dalla leggi di composizione interna che tratteremo nel seguito. Infatti, mentre in generale difficilmente si può parlare del composto di
famiglie infinite di elementi, le (1.4) e (1.5) della sezione 1 ci assicurano che
ciò è possibile per l’intersezione e l’unione. La proprietà più importante da
questo punto di vista è che X tX = X e X uX = X, per ogni X ∈ P (A), che
è detta proprietà di ”idempotenza”. Questa proprietà ci assicura che ogni
X ∈ P (A), con X 6= A, ∅, è un divisore dello zero, sia rispetto all’ unione,
che rispetto all’intersezione. Infatti, si consideri X ∈ P (A), con X 6= A, ∅ e
si ponga Y = A − X. Ovviamente, anche Y 6= A, ∅ e X t Y = A, mentre
X u Y = ∅ e quindi l’asserto. Le strutture algebriche con questa proprietà
fanno parte di una larga classe di strutture algebriche, dette ”reticoli” molto
56
utili in vari campi, ma che, fortunatamente, i fisici non sono riusciti ad utilizzare (almeno sin’ora).
Esempio 11.
Sia A 6= ∅ un insieme, che chiamiamo alfabeto. Poniamo A = (tn∈N∗ An )t
{e}, con A1 = A e con e oggetto non in tn∈N∗ An . Chiamiamo A vocabolario
e i suoi elementi che sono e, oppure le successioni finite di elementi di A,
sono detti parole, in particolare e è detta parola vuota. Se x, y ∈ A sono due
parole poniamo x · y = z ∈ A, dove z e definito nel modo seguente:
Se esistono n, m ∈ N∗ tali che x ∈ An e y ∈ Am , allora x = (xi )1≤i≤n
e y = (yi )1≤i≤m , poniamo z = (zi )1≤i≤n+m ∈ An+m , con zi = xi , per i ∈
{1, . . . , n} e zi = yi−n , per i ∈ {n + 1, . . . , n + m}.
Se y = e poniamo x · y = x.
Se x = e, poniamo x · y = y.
♣ Esercizio (4.19). La struttura algebrica (A, ·) è un monoide, detto
monoide libero generato da A, che ha e come elemento neutro. La relazione
R ⊆ A × A definita da (x, y) ∈ R, se e solo se x = y = e, oppure x e y
hanno lo stesso sostegno, è una congruenza, Il quoziente A/R è munito della
struttura di monoide commutativo dalla legge indotta ed è detto monoide
commutativo libero generato da A.♣
Entrambi i monoidi, sono molto utili sia in fisica, che in geometria, ma
non saranno incontrati mai durante il corso.
Esempio 12.
In alcuni casi è conveniente costruire leggi di composizione interna a partire da leggi già assegnate, diamo due esempi di questi casi.
i).
Siano (G, +) un gruppo e supponiamo che su G esista una struttura di
semigruppo (G, ·). Allora su G è possibile costruire una nuova struttura
algebrica [ , ] : G × G → G, detta parentesi quadra oppure parentesi di
Lie, definita ponendo [x, y] = xy − yx, per ogni x, y ∈ G. Per rendersi
conto di quanto questa struttura sia irregolare, basta osservare che, se la
moltiplicazione è commutativa, si ha [x, y] = 0G , per ogni x, y ∈ G. Però, è
facile provare:
♣ Esercizio (4.20). Nei casi in cui la moltiplicazione è distributiva rispetto
all’addizione anche la parentesi di Lie lo è. Inoltre, in questo caso, la proprietà
associativa è sostituita dalla cosı̀ detta identità di Jacobi:
∀x, y, z ∈ G :
[x, [y, z]] + [y, [z, x]] + [z, [x, y]] = 0G .
57
Infine, in ogni caso, la parentesi di Lie verifica la seguente:
∀x, y ∈ G :
[x, y] = −[y, x] ,
che è detta proprietà anticommutativa.♣
La parentesi di Lie deriva dalla più antica ”parentesi di Poisson” che ne
è un caso particolare. La situazione in cui è più frequentemente usata è la
seguente. Si parte da un gruppo abeliano (A, +) e si considerano il gruppo,
anch’esso abeliano, (AA , +) e il monoide (AA , ◦). Si osserva che la legge di
composizione interna ◦ è distributiva rispetto alla somma e si ottiene quindi
una parentesi di Lie che verifica l’identità di Jacobi.
ii).
Nelle ipotesi dell’osservazione (3.4), supponiamo che sul sostegno P della
famiglia (pi )i∈I sia definita una struttura algebrica (P, ·) che la legge di composizione interna σ su A sia denotata additivamente e che su A esista una
ulteriore legge di composizione interna denotata moltiplicativamente, allora
M(p) ha una ulteriore struttura algebrica, che denotiamo ancora moltiplicativamente. Infatti, si può porre:


X
X
X
X

aj · b k  p i
∀x =
ai p i , y =
bi pi ∈ M(p) : x · y =
i∈I
i∈I
i∈I
pj ·pk =pi
In questo modo si ottiene una legge di composizione interna detta prodotto
di Cauchy.
♣ Esercizio (4.21). In questo caso, se in A la moltiplicazione e la somma
sono commutativi, anche la somma e il prodotto di Cauchy sono commutativi
in M(p), la stessa cosa capita per la proprietà distributiva.♣
Esempio 13.
♣ Esercizio (4.22). A meno di isomorfismi Z2 e Z3 sono gli unici gruppi
con due e tre elementi, rispettivamente (ciò significa che, se G è un insieme
di gruppi, R e la relazione di equivalenza definita nella proposizione (3.19)
e in G c’è un gruppo G di ordine due, allora tutti gli altri gruppi di ordine
due, eventualmente presenti in G appartengono a [G]R ; cosı̀ pure, se a G
appartengono gruppi con tre elementi essi stanno tutti in una unica classe
di equivalenza rispetto a R). I gruppi di ordine quattro coincidono tutti, a
meno di isomorfismi, con Z4 oppure con (Z2 )2 .♣
Esempio 14.
58
Anche se noi abbiamo usato i gruppi di permutazione solo per dimostrare
il teorema di Cayley (vedi esempio 9), questi gruppi sono utili, per altri motivi, sia in geometria che in fisica, vediamo alcune loro proprietà elementari.
Esempio 15.
♣ Esercizio (4.22).
Siano (A, +) un monoide commutativo, I 6= ∅ un
L
insieme e BI = i∈I Ai il monoide costruito nella proposizione (3.21), con
Ai = A, per ogni i ∈ I. B è un monoide commutativo. Sia (xi )i∈I ∈ B
e siano J1 6= ∅, J2 6= ∅ due sostegni della famiglia, supponiamo inoltre
J0 = J1 u J2 6= ∅, J3 = J1 − J0 6= ∅ e J4 = J2 − J0 . Essend0PJ u J3 =
J
e Jh finito ePnon vuotoP
per ogni hP
∈ {0, . . . , 4},
P si ha i∈J1 xi =
Pu J4 = ∅ P
i∈J2 xi . Ha senso
i∈J0 xi =
i∈J4 xi +
i∈J0 xi =
i∈J0 xi = P
i∈J3 xi +
P
quindi porre i∈I xi = i∈J1 xi .♣
♣ Esercizio (4.23). Nelle ipotesi dell’esercizio
precedente, l’applicazione
P
h : BI → A definita ponendo h(x) = i∈I xi , per ogni x = (xi )i∈I ∈ BI , e’
un omomorfismo.♣
5
Alcune proprietà dei gruppi
In questa sezione noi consideriamo alcuni teoremi sui gruppi che risultano
utili sia in geometria che in fisica.
Definition 5.1. Siano (G, ·) un gruppo e H un suo sottogruppo. Diremo
relazione laterale destra ( su G, rispetto ad H), l’insieme:
RH = {(x, y) ∈ G × G/x · y −1 ∈ H}
e relazione laterale sinistra ( su G, rispetto ad H), l’insieme:
LH = {(x, y) ∈ G × G/x−1 · y ∈ H}
Come al solito, se x, y ∈ G, scriveremo rispettivamente xRH y e xLH y in
luogo di (x, y) ∈ RH e (x, y) ∈ LH .
Sussiste la seguente:
Theorem 5.1. Siano (G, ·) un gruppo e H un suo sottogruppo. Le relazioni
laterale destra RH e laterale sinistra LH sono di equivalenza.
59
Dimostrazione: Proviamo solo che RH è una relazione di equivalenza.
Per ogni x ∈ G risulta x · x−1 = 1G ∈ H. Pertanto, per ogni x ∈ G si ha
xRH x e quindi RH è riflessiva.
Siano x, y ∈ G, con xRH y. Essendo x · y −1 ∈ H e H sottogruppo di G, si
ha y · x−1 = (x · y −1 )−1 ∈ H, quindi yRH x, per cui RH è simmetrica.
Infine, se x, y, z ∈ G sono tali che xRH y e yRH z, essendo x · y −1 ∈ H e
y · z −1 ∈ H e H un sottogruppo di G, si ha x · z −1 = (x · y −1 ) · (y · z −1 ) ∈ H.
Pertanto, risulta xRH z e quindi RH è anche transitiva. ♠
D’ora in poi, salvo esplicito avviso contrario, la relazione laterale destra
di G rispetto ad H sarà sempre denotata con RH , mentre quella sinistra sarà
denotata sempre con LH .
Si osservi che, nelle ipotesi della definizione precedente, se a ∈ G, allora
[a]RH = {x ∈ G/xRH a} = {x ∈ G/∃h ∈ H t. c. x = ha} = H · a. Analogamente, [a]LH = a · H. Per questo le classi di equivalenza di a rispetto a RH
ed a LH sono dette rispettivamente (classe) laterale destra e (classe) laterale
sinistra di a rispetto ad H.
Theorem 5.2. (Teorema di Lagrange). Siano (G, ·) un gruppo finito e H
un suo sottogruppo. Allora, l’ordine di H divide quello di G
Dimostrazione: Siano |G| = n < ∞ e |H| = r ≤ n gli ordini di G ed
H, rispettivamente. Fissato a ∈ G, sia La : G → G, la traslazione laterale
sinistra definita ponendo La (x) = x · a, per ogni x ∈ G. E’ facile verificare
che La è una bigezione e che La (H) = H · a. Da ciò segue r = |H| = |H · a|,
per ogni a ∈ G. Si osservi ora che G/RH ha un numero finito, m, di elementi
e che noi possiamo scegliere una famiglia (ai )1≤i≤m tale che, per ogni i, j ∈
{1, . . . , m}, con i 6= j, risulti H · ai 6= H · aj . Allora, il sostegno
P della famiglia
(H ·ai )1≤i≤m coincide con la partizione G/RH e quindi n = m
i=1 |H ·ai | = rm,
da cui l’asserto. ♠
Definition 5.2. Siano (G, ·) un gruppo e H un suo sottogruppo. Diremo che
H è un sottogruppo normale di G se e solo se la relazione laterale destra, RH ,
su G, rispetto ad H coincide con quella laterale sinistra LH ; cioè RH = LH ;
o equivalentemente:
x, y ∈ G :
xRH y ⇔ xLH y
Per i sottogruppi normali di un gruppo, sussistono le seguenti caratterizzazioni:
60
Theorem 5.3. Siano (G, ·) un gruppo e H un suo sottogruppo. Le seguenti
affermazioni sono equivalenti:
i). H è un sottogruppo normale.
ii).
∀a ∈ G ∃b ∈ G t. c. H · a ⊆ b · H .
iii).
∀a ∈ G ∃b ∈ G t. c. H ⊆ a−1 · H · b .
iv).
∀a ∈ G ∃b ∈ G t. c. H = a−1 · H · b .
Dimostrazione: Dapprima osserviamo che nelle ii), iii) e iv) possiamo
scegliere b = a.
Per esempio, consideriamo la ii) e siano a, b ∈ G, con H · a ⊆ b · H.
Essendo H un sottogruppo di G, risulta 1G ∈ H e quindi a = 1G · a ∈ H · a.
Da ciò segue a ∈ b · H, per cui esiste h ∈ H tale che a = b · h, cioè b = a · h−1 .
Ora, se x ∈ b · H, esiste k ∈ H tale che x = b · k = a · (h−1 · k) ∈ a · H, essendo
h−1 ·k ∈ H, in quanto H sottogruppo di G. Pertanto, a·H ⊆ b·H ⊆ a·H. La
dimostrazione per le iii) e iv) è analoga. Dopo questa premessa, supporremo
sempre b = a nelle ultime tre affermazioni della proposizione da dimostrare
e lo schema generale di questa dimostrazione è il seguente: i) ⇒ ii) ⇒ iii).
⇒ iv) ⇒ i).
i) ⇒ ii). Essendo H un sottogruppo normale di G, fissato a ∈ G si ha
x∈G:
xRH a ⇐⇒ xLH a .
Pertanto x ∈ [a]RH ⇔ x ∈ [a]LH e quindi a · H = H · a, da cui l’asserto.
ii) ⇒ iii). Se vale la ii), allora comunque si fissi a ∈ G, risulta a·H ⊆ H·a.
Quindi, se h è un qualunque elemento di H, essendo a · h ∈ H · a, esisterà
k ∈ H tale che a · h = k · a. Pertanto h = a−1 · k · a, quindi h ∈ a−1 · H · a,
da cui la iii).
iii) ⇒ iv). Se vale la iii), allora, fissato a ∈ G, si ha H ⊆ a−1 · H · a e
H ⊆ (a−1 )−1 ·H ·a−1 = a·H ·a−1 . Sia, ora, z ∈ a−1 ·H ·a, risulta z = a−1 ·k ·a,
con k ∈ H. Pertanto k = a · z · a−1 ∈ H ⊆ a · H · a−1 e quindi esiste h ∈ H
tale che a · z · a−1 = a · h · a−1 , da cui z = h ∈ H. Quindi risulta anche
a−1 · H · a ⊆ H, da cui segue l’asserto.
61
iv). ⇒ i). Supponiamo vera iv) e siano x, y ∈ G. Se xRH y, allora x = h·y
e x = y −1 · h−1 , con h, h−1 ∈ H. Da ciò segue x−1 · y = y −1 · h−1 · y ∈
y −1 · H · y = H, pertanto x−1 · y ∈ H e quindi xLH y. Viceversa, se xLH y,
allora y = x · h, con h ∈ H. Quindi x · y −1 = x · h−1 · x−1 ∈ x · H · x−1 =
(x−1 )−1 · H · x−1 = H, da cui l’asserto. ♠
Per i sottogruppi normali di un gruppo sussistono le seguenti:
−1
Theorem 5.4. Sia (G, ·) un gruppo. Si ha:
i). Se H è un sottogruppo normale di G, la relazione RH = LH è una
congruenza.
ii). Le uniche congruenze su G sono le relazioni laterali destre rispetto
ai sottogruppi normali di G.
iii). Sia H un sottogruppo di G, se G/RH (G/LH ) contiene esattamente
due elementi, allora H è un sottogruppo normale e G/RH è isomorfo a Z2 .
iv). Ogni sottogruppo di un gruppo abeliano è normale.
Dimostrazione: Per provare la i), fissiamo un sottogruppo normale H
di G.
Siano x, y, z, t ∈ G tali che xRH y e zRH t. Esistono h, h0 , h” ∈ H tali che
x = h·y, z = h0 ·t e h·t = t·h”. Si ha allora: x·z = (y·h)·(t·h0 ) = (y·t)·(h”·h0 ).
Da ciò segue (y · t)−1 · (x · z) ∈ H, quindi (y · t)LH (x · z), da cui (x · z)LH (y · t).
Poichè RH = LH si ha (x · z)RH (y · t) e quindi RH è una congruenza.
Fissiamo su G una qualsiasi congruenza R. Proviamo che il nucleo della
congruenza H = [1G ]R è un sottogruppo normale e che R = RH .
Intanto, H è un sottogruppo di G, per la proposizione (3.10).
Siano x ∈ H e a ∈ G. Da aRa e xR1G segue (a · x)R(a · 1G ). Dalla
precedente e da a−1 Ra−1 segue (a · x · a−1 )R1G e quindi a · x · a−1 ∈ H.
Pertanto, per ogni a ∈ G risulta a · H · a−1 ⊆ H. Da ciò, come nella
dimostrazione della iv) della proposizione precedente, segue a · H · a−1 = H
e quindi H è un sottogruppo normale.
Infine, siano x, y ∈ G. Se xRy, con calcoli analoghi ai precedenti si ha
(x · y −1 )R1G , da cui x · y −1 ∈ H e quindi xRH y. Siccome, da xRH y segue, in
modo analogo, xRy, si ha R = RH e quindi la ii) è vera.
Siano ora G un gruppo e H un suo sottogruppo. Supponiamo, inoltre,
che |G/RH | = 2 e poniamo G/RH = {α, β}, con α = H. Ricordiamo inoltre
che G/RH è una partizione di G, quindi si ha G = α t β e α u β = ∅, cioé
H = α è il complementare di β.
Allora, per ogni x ∈ H si ha H · x = α e per ogni x ∈ (G − H) risulta
H · x = β.
62
Consideriamo ora la relazione di equivalenza LH . Sia x ∈ H, allora
xLH 1G , quindi x · H = 1G · H = H = H · x e viceversa. Pertanto, se
x ∈ (G − H), si ha x · H 6= H, da cui x · H u H = ∅, quindi x · H ⊆ β = H · x.
Riassumendo si ha che, per ogni x ∈ G, risulta x · H ⊆ H · x e quindi H
è un sottogruppo normale.
Da ciò segue che G/RH ha una struttura di gruppo quoziente che, essendo
definita su un insieme con due elementi, è necessariamente isomorfo a Z2 , per
l’esercizio (4.21). ♠
Dalla precedente proposizione segue anche che le uniche congruenze in Z
sono quelle relative ai sottogruppi di (Z, +).
Definition 5.3. Siano (G, ·) un gruppo e a ∈ G. Se < a > contiene infiniti
elementi diremo che a è aperiodico, oppure che a è privo di torsione, oppure
che a ha periodo infinito. Se < a > contiene un numero finito p di elementi
diremo che a è elemento di torsione oppure che a é periodico e che p è il
periodo di a oppure che a é periodico di periodo p.
Nelle ipotesi della definizione precedente, il periodo di a sarà denotato
con |a| sia nel caso che esso sia infinito che in quello che sia finito.
Sussiste la seguente:
Theorem 5.5. Siano (G, ·) un gruppo e a ∈ G un elemento di periodo finito
|a| = p ∈ N. Allora, p è il più piccolo intero positivo (rispetto alla relazione
di ordine naturale su N), tale che ap = 1G .
Dimostrazione: Poichè il periodo di a è finito, < a >= {ah /h ∈ Z}
contiene un numero finito di elementi, mentre il numero dei simboli delle
potenze è infinito. Per questo esistono i, j ∈ Z, con i 6= j, tali che ai = aj .
Poichè Z è totalmente ordinato, uno dei due interi deve essere maggiore
dell’altro. Per questo, possiamo supporre di aver denotato con i il maggiore
e j il minore. Posto t = i − j, si ha t > 0 e at = 1G , quest’ultima uguaglianza
vale per le proprietà delle potenze.
Si osservi ora che t appartiene all’insieme A = {n ∈ N∗ /an = 1G }, con
N∗ = N − {0}. Da ciò segue che A 6= ∅ e, pertanto, A ammette minimo, per
il principio del buon ordinamento.
Sia m = minA il minimo di A. Per le proprietà del minimo si ha m > 0,
m
a = 1G e per ogni n ∈ N∗ tale che an = 1G risulta n ≥ m. Sia ora
H = {a0 , a1 , . . . , am }. E’ immediato che H ⊆< a >.
Inoltre, se x ∈< a >, esiste h ∈ Z tale che x = ah . Per l’algoritmo della
divisione in Z, esistono e sono unici q, r ∈ Z tali che h = mq + r e 0 ≤ r < m.
63
Per le proprietà delle potenze si ha x = ah = (am )q · ar = ar ∈ H. Essendo
x generico in < a >, si ha < a >⊆ H e quindi < a >= H.
Da ciò segue m ≥ p e il segno di uguaglianza vale se le potenze di a che
compaiono in H sono tutte distinte tre loro. Siano, quindi, i, j ∈ {0, . . . , m −
1} tali che ai = aj . Eventualmente cambiando notazione possiamo supporre
i ≥ j, con i soliti ragionamenti si ha allora 0 ≤ i − j < m e ai−j = 1G .
Essendo 0, l’unico numero non negativo minore di m, a cui elevando a, si
ottiene 1G deve essere i = j e quindi risulta m = p. ♠
Definition 5.4. Sia (G, ·) un gruppo. Si dice che G è un gruppo ciclico se
esiste a ∈ G tale che G =< a >. Inoltre, l’elemento a e detto generatore di
G.
Theorem 5.6. i) Ogni gruppo ciclico è abeliano.
ii). Ogni sottogruppo di un gruppo ciclico è ciclico.
iii). Il quoziente di un gruppo ciclico rispetto ad un suo qualsiasi sottogruppo è ciclico.
Dimostrazione: Siano (G, ·) un gruppo ciclico, a ∈ G un suo generatore.
Per ogni x, y ∈ G esistono h, k ∈ Z tali che x = ah , y = ak e x · y =
h
a · ak = ah+k = ak+h = y · x e quindi (G, ·) è abeliano.
Sia H un sottogruppo di G. Se H = {1G } l’asserto è banalmente vero,
essendo H =< 1G >, per le proprietà delle potenze di 1G .
Supponiamo, pertanto, H 6= {1G }. Allora, esiste x ∈ H − {1G } e quindi
esiste h 6= 0 tale che x = ah . Se h > 0, poniamo h0 = h; se, invece h < 0,
0
poniamo h0 = −h e osserviamo che x−1 = ah ∈ H e h0 > 0. Per questo
l’insieme A = {n ∈ N∗ /an ∈ H} è non vuoto e quindi, per il principio del
buon ordinamento ammette minimo.
Sia m ∈ N∗ tale minimo si ha am ∈ H e per ogni n ∈ N∗ tale che an ∈ H
risulta n ≥ m. Poniamo b = am . Essendo b ∈ H si ha < b >⊆ H.
Sia, ora, x ∈ H, essendo x ∈ G, esisterà n ∈ Z tale che x = an . Per
l’algoritmo della divisione esisteranno q, r ∈ Z, tali che n = mq + r e 0 ≤ r <
m. Risulta anche x = amq+r = bq ·ar , per le ovvie proprietà delle potenze. Da
ciò segue ar = x · b−q ∈ H, perché x, b−q ∈ H. Ora, per quanto visto prima,
il più piccolo esponente maggiore di zero di una potenza di a appartenente
ad H è m, quindi r = 0. Pertanto x = bq ∈< b >.
Per la genericità di x ∈ H, segue H =< b >; cioe H è ciclico.
Sia H un sottogruppo di G, H è normale e quindi G/H ha una struttura
di gruppo tale che la surgezione canonica ϕ : G → G/H è un epimorfismo.
64
Poniamo α = H · a = ϕ(a) e sia β ∈ G/H. Esistono x ∈ G e h ∈ Z tali che
β = ϕ(x) e x = ah . Si ha β = ϕ(ah ) = (ϕ(a))h = αh . Per la genericità di β,
α è un generatore di G/H e quindi G/H è ciclico. ♠
Osservazione (5.1). Ricordiamo che, nel caso dei gruppi additivi, in
luogo della notazione esponenziale, si preferisce quella dei multipli. Consideriamo il gruppo (Z, +). Si ha Z = {h1/h ∈ Z} e quindi Z =< 1 > è
un gruppo ciclico generato da 1. Per la proprietà precedente ogni suo sottogruppo è ciclico. Per questo siano H 6= {0} un sottogruppo di (Z, +) e
p, q ∈ Z − {0} due generatori di H; cioè H =< p >=< q >. Per definizione
di gruppo ciclico, esistono h, k ∈ Z, tali che p = hq e q = hp. Da ciò segue
hk = 1 e quindi h = k = 1 oppure h = k = −1. Pertanto, i generatori di
H sono esattamente due, sono l’uno l’opposto dell’altro e quindi uno dei due
deve essere necessariamente positivo (in particolare, Z ammette come generatori 1 e −1). Supponiamo ora anche che H sia diverso da Z e che p > 1 sia
il suo generatore positivo.
Ricordato che le due relazioni laterali RH = LH sono congruenze si ha:
x, y ∈ Z : xRH y ⇔ x − y ∈ H ⇔
⇔ ∃h ∈ Z t. c. x − y = hp ⇔ p/x − y ⇔ x ≡ y(mod p) . (5.1)
Quindi la congruenza RH coincide con la congruenza modulo p e Z/H = Zp .
Inoltre, Zp è ciclico, generato da [1]p .
Infine, poiché il ragionamento precedente vale per ogni sottogruppo non
banale di Z, le uniche congruenze non banali di Z sono le congruenze modulo
p, con p > 1. Questa osservazione, quindi, completa anche la dimostrazione
della proposizione (4.4).
Sussistono le seguenti:
Theorem 5.7. Siano (G, ·) un gruppo e a ∈ G.
i). Se a ha periodo infinito allora < a > è isomorfo a (Z, +).
ii). Se a ha periodo finito p > 1, allora < a > è isomorfo a (Zp +) e
ah = ak se e solo se h ≡ k(mod p), per ogni h, k ∈ Z.
iii). Infine, se a ha periodo 1, risulta a = 1G .
Dimostrazione: Sia f : Z →< a > l’applicazione definita ponendo
f (h) = ah , per ogni h ∈ Z. Per il modo in cui è definito < a >, l’applicazione
f è surgettiva. Inoltre è un omomorfismo, risultando f (h + k) = ah+k =
ah · ak = f (h) · f (k), per ogni h, k ∈ Z. Distinguiamo ora due casi.
65
Se Kerf = {0}, f è anche ingettiva, quindi f è un isomorfismo e |a| è
infinito, perché esiste una bigezione di un insieme infinito su < a >.
Se Kerf 6= {0} e Kerf 6= Z, esiste n > 1 tale che Kerf =< n >, per
l’osservazione (5.1). Pertanto, Z/Kerf = Zn e isomorfo ad < a >. Quindi
deve risultare n = |Zn | = | < a > | = p.
Siano ora h, k ∈ Z tali che ah = ak . Risultando f (h) = f (k), si ha hRf k,
con Rf = R<p> e, per quanto visto nella osservazione precedente, ciò accade
se e solo se h ≡ k(mod p).
Infine, Kerf = Z allora < a > contiene un unico elemento e questo non
può che essere l’elemento neutro di G, essendo < a > un sottogruppo di G.
Poichè i tre casi precedenti esauriscono tutti i casi possibili, si ha l’asserto.
♠
Theorem 5.8. Siano (G, ·) e (G0 , ·0 ) due gruppi, f : G → G0 un omomorfismo e a ∈ G un elemento di periodo finito p. Allora, si ha:
i). f (a) ha periodo finito e il suo periodo divide p.
ii). Se f è un monomorfismo, il periodo di f (a) coincide con quello di a.
iii). Se p è primo e f (a) non ha periodo p, allora a ∈ Kerf .
Dimostrazione: Nelle ipotesi del teorema, si ha 1G0 = f (1G ) = f (ap ) =
f (a)p . Da ciò e dalla proposizione precedente segue che a ha periodo finito
h e che p ≡ 0(mod h). Pertanto, esiste q ∈ N∗ tale che p − 0 = hq e quindi
la i) è vera.
Se f è ingettiva allora per il periodo h di f (a) si ha che f (1G ) = 1G0 =
f (a)h = f (ah ) da cui ah = 1G , quindi p divide h e h divide p, per cui h = p.
Se ora f é semplicemente un omomorfismo, per il periodo h di f (a), che
divide p, si ha h = p, oppure h = 1. Nel secondo caso, f (a) = 1G0 e quindi
la iii). ♠
♣ Esercizio (4.22). Dimostrare che nel gruppo (R/αZ, +), con α > 1,
introdotto nell’ esercizio (4.6), l’elemento [ αn ]Sα è periodico di periodo n, per
ogni n ∈ N∗ .♣
66