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NOVITÀ
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Periodico trimestrale POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 conv.in L.27/02/2004 n°46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 27/2006.
Bibliografia: 1. Brufen 800 mg compresse a rilascio prolungato. Riassunto delle caratteristiche del prodotto. 2. Flavell Matts S.G. et al. Controlled study of once-daily, sustained-release ibuprofen in osteoarthritis. Therapeutic research
1993 (53): 4. 3. Pharmacological Management of Persistent Pain in Older Persons. American GeriatricsSociety Panel on the Pharmacological Management of Persistent Pain in Older Persons. JAGS 2009; 57: 1331-46.
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2 compresse in un’unica dose preferibilmente la sera presto, molto prima di coricarsi a letto. – Depositato presso AIFA in data 18/11/2010
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Marzo 2011
Numero
R
Collegio reumatologi
ospedalieri italiani
Lega Italiana Malattie
Autoimmuni e reumatiche
Con il patrocinio di
1
eumatologia
pratica
P
roblematiche cliniche osteo-articolari
Società italiana
di medicina generale
R
eumatologia
pratica
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
Marzo 2011
Numero 1
VOLUME 6
Diagnosi differenziale dei disturbi
posturali
M. Romoli..................................................... 1
Direttore Scientifico
Roberto Marcolongo
Direttore Editoriale
Bianca Canesi
Comitato Scientifico
Gerolamo Bianchi
Alessandro Bussotti
Pierlorenzo Franceschi
Bruno Frediani
Luigi Gatta
Stefano Giovannoni
Gianni Leardini
Arrigo Lombardi
Raffaella Michieli
Vittorio Modena
Claudio Vitali
Vitamina D e metabolismo osseo
B. Frediani, I. Bertoldi................................... 11
La gotta: malattia dei re e regina
delle malattie
W. Grassi, R. De Angelis.............................. 17
Presidente CROI
Gianni Leardini
Presidente LIMAR
Roberto Marcolongo
Presidente SIMG
Claudio Cricelli
Presidente FADOI
Carlo Nozzoli
Direttore Responsabile
Patrizia Alma Pacini
© Copyright by Pacini Editore S.p.A. - Pisa
Edizione
Pacini Editore S.p.A.
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Tel. 050 3130255 - [email protected]
Fabio Poponcini - Sales Manager
Tel. 050 3130218 - [email protected]
Manuela Mori - Customer Relationship Manager
Tel. 050 3130217 - [email protected]
Ufficio Editoriale
Lucia Castelli
Tel. 050 3130224 - [email protected]
Stampa
Industrie Grafiche Pacini • Ospedaletto (Pisa)
Collegio reumatologi
ospedalieri italiani
Lega Italiana Malattie
Autoimmuni e reumatiche
Con il patrocinio di
Società italiana
di medicina generale
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la documentazione dei casi e dei protocolli di ricerca, qualora lo ritenga
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state citate. Devono essere riportati i primi 3 Autori, eventualmente seguiti
da et. al. Le riviste devono essere citate secondo le abbreviazioni riportate
su Index Medicus.
Esempi di corretta citazione bibliografica per:
articoli e riviste
Bianchi M, Laurà G, Recalcati D. Il trattamento chirurgico delle rigidità acquisite del ginocchio. Minerva Ortopedica 1985;36:431-8.
libri
Tajana GF. Il condrone Milano: Edizioni Mediamix 1991.
Krmpotic-Nemanic J, Kostovis I, Rudan P. Aging changes of the form and
infrastructure of the extemal nose and its importance in rhinoplasty. In. Conly
J, Dickinson JT, editors. Plastic and reconstructive surgery of the face and
neck. New York: Grune and Stratton 1972, p. 84-8.
Ringraziamenti: indicazioni di grants o borse di studio, vanno citati al
termine della bibliografia.
Le note contraddistinte da asterischi o simboli equivalenti, compariranno
nel testo a piè di pagina.
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devono conformarsi agli standards riportati in Science 1954;120:1078.
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di Redazione. Per il testo sono previste circa 15 cartelle da 2000 battute. Sono
previste inoltre al massimo 3 figure e 5 tabelle. Bibliografia: massimo 15 voci.
Articoli sulle patologie. Non devono superare le 10 pagine dattiloscritte (2000 battute). Sono previste massimo 3 parole chiave, massimo 2
figure e 3 tabelle e non più di 30 voci bibliografiche. Gli articoli dovranno
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di utilità pratica. L’articolo se è scritto dallo specialista verrà inviato dalla
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generale il commento sarà a cura di uno specialista.
Casi clinici. Vengono accettati dal Comitato di Redazione solo lavori di
interesse didattico e segnalazioni rare. La presentazione comprende l’esposizione del caso ed una discussione diagnostico-differenziale. Il testo (8
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di 1-2 figure o tabelle al massimo di 10 riferimenti bibliografici essenziali. Il
riassunto è di circa 50 parole.
Gli scritti di cui si fa richiesta di pubblicazione vanno indirizzati a: Pacini Editore S.p.A., Ufficio Editoriale, via Gherardesca 1,
56121 Ospedaletto (PI), e-mail: [email protected]
Finito di stampare nel mese di Maggio 2011 dalle Industrie Grafiche Pacini
Editore S.p.A.
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comunicare e per le eventuali omissioni.
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Editore S.p.A. -Via A. Gherardesca 1- 56121 Ospedaletto (Pisa).
marzo 2011 volume 6 pagine 1-10
Diagnosi
differenziale dei
disturbi posturali
Parole chiave
Disfunzione posturale • Test clinici •
Diagnosi differenziale
Riassunto
in quest’articolo si parla di quanto sia importante nella pratica clinica, per il medico di medicina generale e per diversi
specialisti, riconoscere il paziente con disfunzione posturale e risalire alle cause del disturbo. Attraverso la semplice
ispezione, l’uso delle mani e di un filo a piombo, il medico può verificare se i parametri posturali del soggetto che ha
di fronte sono corretti e successivamente, in caso negativo, può procedere con una diagnosi differenziale mediante
i test di “deprogrammazione” per identificare il recettore perturbato all’origine della disfunzione posturale. Alcuni
esempi mostrano la complessità e il fascino dello studio della postura nel venire a capo di sindromi dolorose croniche
o recidivanti non meglio definibili.
Marco Romoli
Medico di Medicina Generale, ASL 4 Prato
Ex docente Master di Posturologia,
Università di Firenze
[email protected]
www.istap.it
sioterapisti, i podologi, i tecnici optometristi, i logopedisti. Una menzione particolare va fatta anche per le
figure professionali che intervengono soprattutto, ma
non solo, sui disturbi muscoloscheletrici del rachide
come i chiropratici e gli osteopati che, esaminando la
postura, individuano le disfunzioni che possono causare o contribuire al persistere o al ripresentarsi nel
tempo del sintomo dolore.
Come definire una postura corretta?
Molti autori hanno cercato di dare una definizione
di postura. Raine l’ha definita come l’allineamento o
l’orientamento dei vari segmenti corporei nel mantenimento della posizione eretta. C’è chi paragona il
corpo umano in posizione eretta a un pendolo inverso
con fulcro a livello dell’appoggio podalico (articolazione tibio-tarsica) le cui oscillazioni sono regolate dal
tono muscolare che agisce contro la forza di gravità
ricevendo continui messaggi proprio- ed esterocettivi. Ridi introduce una definizione neurofisiologica di
“omeostasi posturale” intendendo con questa la risposta sinergetica multi-distrettuale del corpo all’ambiente
esterno e interno che si traduce in una dimensione cinematica (assetto spaziale del corpo-postura) e in una
dimensione cinetica (relazione di forze con l’ambiente)
in stato di quiete e di moto, frutto di un compromesso
ottimale tra equilibrio statico-dinamico, ottimizzazione
psico-fisica e risparmio energetico.
Va ricordato anche il contributo di pittori, scultori e
architetti nel raffigurare l’uomo in posizione eretta e
mi permetto di ricordare Le Corbusier, uno dei maestri
Reumatologia
pratica
Introduzione
Sempre più in letteratura si parla di disturbi o disfunzioni posturali, anche se al momento manca una validazione dei metodi diagnostici più efficaci e riproducibili per stabilire quando la postura di una persona
sia da considerare scorretta e quali siano i fattori che
alterano il suo equilibrio e concorrono a modificare
la sua posizione nello spazio. Va precisato che, mentre sulla banca dati PubMed ci sono diverse parole
chiave riferite al termine “posture”, come postural instability, postural balance, postural control, posture assessment, ecc., non esiste invece la traduzione inglese
del termine posturologia così frequentemente in uso
nel linguaggio e nella letteratura non recensita. Il principale motivo di quest’assenza è dovuto al fatto che
il termine deriva dal francese “posturologie” che da
almeno 30 anni indica una nuova disciplina mirata a
risolvere in modo interdisciplinare i problemi posturali
di un paziente. L’originalità della scuola francese e
di quella italiana, che ne è stata l’allieva diretta, è di
aver istruito a livello universitario e non operatori che
mai prima degli anni ‘80 del secolo scorso avevano
avuto motivo di collaborare insieme. Tra questi vanno
citati ovviamente i medici e i dentisti, ma anche i fi-
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
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marzo 2011 Numero 1
clinica di base da parte del medico di medicina generale al momento di registrarne i dati salienti della
sua storia clinica sulla scheda anamnestica. La semplice osservazione del paziente in piedi, senza scarpe e preferibilmente senza abiti, gli può permettere
di individuare le persone con una postura precaria
e disorganizzata e di intraprendere un percorso di
tipo diagnostico per intuire l’origine del problema e
trovare una soluzione terapeutica in collaborazione
con gli operatori su elencati. Il compito del medico
di medicina generale in campo posturale potrebbe
essere anche di tipo preventivo soprattutto in caso di
sindromi dolorose recidivanti del rachide e dei cingoli legate ad un assetto corporeo non fisiologico. La
prevenzione nei soggetti più giovani sarà rivolta per
esempio a sintomi come la cervicalgia e la lombalgia
associate o meno a segni radiologici di degenerazione precoce dei dischi intervertebrali. La prevenzione
nei soggetti anziani sarà invece rivolta essenzialmente
alla prevenzione delle cadute che rappresentano una
causa di morte e di disabilità non trascurabile e un
costo crescente per la società a causa del progressivo invecchiamento della popolazione. Va ricordato
che l’Istituto Superiore di Sanità a questo proposito
ha provveduto nel 2007-2009 a proporre delle linee
guida per prevenire le cadute da incidente domestico
nell’anziano.
Figura 1. Il Modulor di Le Corbusier (1946).
dell’architettura moderna, che nel 1946 ideò una scala di misura usata poi in tutte le sue opere, il Modulor.
Alcune delle misure del Modulor avevano uno speciale rapporto con quelle del corpo umano ed erano
finalizzate alla progettazione degli spazi residenziali
e degli oggetti di uso comune. Nella Figura 1 si possono vedere le diverse misure in altezza e soprattutto
l’andamento spiraliforme che dal basso verso l’alto
conferisce elasticità e resistenza al corpo umano in
posizione eretta (Fig. 1).
Perché è utile riconoscere un disturbo
posturale?
Lo studio della postura statica e dinamica dovrebbe
far parte, a mio modo di vedere, di una valutazione
Reumatologia
pratica
2
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
Come studiare la postura in modo
semplice e ripetibile?
Nella valutazione posturale statica l’ispezione del
soggetto nei 3 piani, accompagnata dall’uso del filo
a piombo per rilevare i disallineamenti dei vari livelli e
piani corporei, è il metodo più praticato e più semplice da eseguire. Nella pratica viene utilizzato molto,
per la sua convenienza in termini di costi e di tempo di
esecuzione, l’esame fotografico con o senza markers.
Fortin et al. in una revisione sistematica della letteratura del 2011 hanno esaminato i metodi di misura della
postura adottati a livello clinico e hanno concluso che
la misura degli angoli e delle distanze sull’immagine
fotografica risulta essere la più accurata e rapida per
una valutazione globale quantitativa in campo clinico. Gli stessi autori hanno voluto confrontare in un
gruppo di scoliotici 3 metodi diversi di misura: gli indici radiologici caratteristici della scoliosi (angolo di
Cobb sul piano frontale e sagittale del rachide dorsale e lombare) e l’esame fotografico bi-dimensionale,
previa applicazione di markers di 5 mm di diametro
sulle apofisi spinose C7-S1, sul processo coracoideo,
Diagnosi differenziale dei disturbi posturali
marzo 2011 Numero 1
Figura 2. La postura nell’anziano in proiezione sagit-
tale (da Bernstein, 2000).
M. Romoli
zione del giovane risulterà più agevole, più difficile
quella dell’anziano: il motivo di questa differenza è
che la postura dell’anziano è spesso il punto d’arrivo di una disorganizzazione funzionale della propriocezione, della visione e dell’elaborazione neurocognitiva centrale tipiche dell’invecchiamento a cui si
aggiungono lesioni articolari, artritiche e artrosiche,
più o meno dolorose, che di per sé sono fonte di
instabilità posturale. Naturalmente per studiare la postura distorta dell’anziano (Fig. 2A) bisogna prendere
un modello di riferimento, spesso ideale, che rappresenta quella corretta (Fig. 2B). Poiché è più difficile
l’interpretazione di un disturbo posturale nell’anziano
bisogna spostare gli occhi su piani e parti diverse del
soggetto, identificando il maggior numero possibile di
asimmetrie di posizione sia sul piano frontale che sagittale soffermandosi in particolare sull’esame dei cingoli
(scapolo-omerale e pelvico) e dei vari segmenti del
rachide. Chi volesse quantificare il disturbo posturale
in posizione statica potrebbe adottare la scala Reedco che attraverso l’esame visivo di 10 livelli o parti
diverse del corpo è in grado di dare un punteggio
variabile sulla qualità della postura del soggetto da 0
(postura molto scarsa) a 100 (postura buona) (Fig. 3).
Chi invece si occupa della postura di persone più giovani ha ugualmente l’esigenza di valutare la persona
globalmente nei 3 piani cercando però di individuare
il o i recettori causa dello squilibrio posturale. Anche
in questo caso ci sarà un modello ideale di riferimento, essenzialmente sul piano frontale e sagittale, e
l’esame procederà dall’alto verso il basso o viceversa
a seconda del metodo applicato dall’osservatore. Ai
due estremi del corpo, la testa e i piedi, verrà data
sempre una particolare attenzione perché sono la
sede di recettori fondamentali che regolano la postura
(occhio, lingua e occlusione dentaria) e l’appoggio
al suolo (piede). Si darà naturalmente importanza anche al recettore vestibolare, eseguendo le prove di
Romberg per riconoscere l’eventuale presenza di una
disfunzione e di un’instabilità dell’equilibrio.
Ma, tornando all’ispezione del giovane, sarà soprattutto l’esame dei cingoli che indirettamente ci indicherà
un’interferenza perché essi rappresentano un sistema
di compenso delle asimmetrie di tono muscolare che
si originano durante uno squilibrio posturale. Come si
può vedere, nella Figura 4A è stato rappresentato un
modello di postura corretto sul piano frontale posteriore, mentre nella Figura 4B si può vedere un tipico
esempio di compenso posturale indotto dall’inserimento di uno spessore di 1-2 cm sotto il piede destro.
Reumatologia
pratica
sull’angolo inferiore della scapola e sulle spine iliache
anteriore superiore (SIAS) e iliaca posteriore superiore
(SIPS). La terza metodica a confronto è stata l’analisi
topografica della superficie tridimensionale che consiste nel proiettare da angoli diversi una luce strutturata
in bande bianche e nere che mette in evidenza i rilievi
e le depressioni del tronco. La validazione ha messo
in evidenza un’ottima correlazione tra foto bidimensionali e analisi topografica per 10 dei 13 indici posturali esaminati e una sufficiente correlazione tra indici
radiologici e fotografie con markers tanto da proporre
quest’ultimo esame come procedura non invasiva nel
monitorare nel tempo la progressione di una scoliosi.
Gli autori, nella revisione del 2011, sottolineano che
l’analisi posturale tridimensionale non è accessibile
per la maggior parte degli operatori a causa dell’elevato costo e perché richiede personale specializzato
e tempo per processare i dati. Tornando all’ispezione
del soggetto che viene raccomandata nella pratica
per la sua semplicità e rapidità, va detto comunque
che l’esame richiede una certa esperienza e va ripetuto sul soggetto alcune volte nei vari piani, spostando
lo sguardo da un livello all’altro in modo sistematico e
non affrettato, per cogliere e correlare i dati posturali
salienti nel soggetto che abbiamo davanti. L’osserva-
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
3
marzo 2011 Numero 1
Figura 3. Scala della postura di Reedco (da Bernstein, 2000).
Reumatologia
pratica
4
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
Diagnosi differenziale dei disturbi posturali
marzo 2011 Numero 1
Il corpo reagisce quindi al mutamento dell’equilibrio
con un nuovo equilibrio ottenuto con una serie di
compensi verso l’alto a carico del bacino, rachide,
spalle, testa etc. La risultante di questi compensi non
rappresenta comunque una soluzione accettabile da
un punto di vista biomeccanico e ergonomico. Quello
che i medici e tutti gli operatori “posturo-consapevoli”
devono sapere è che l’assetto posturale rappresentato
nella Figura 4B deve essere considerato aspecifico e
dovuto alla disfunzione di un qualsiasi recettore come
l’occhio, la bocca, il piede, la cute e la lingua. L’ispezione quindi indicherà inizialmente solo la presenza
di un disturbo posturale generico, ma per riconoscere
il recettore primario coinvolto occorrerà fare una diagnosi differenziale come descritto più avanti.
Quali sono gli altri metodi diagnostici
posturali a disposizione?
Oltre all’esame ispettivo della postura e dei suoi squilibri, i vari operatori hanno nel corso degli anni adottato i seguenti metodi e strumenti:
• il podoscopio e la baropodometria per individuare il tipo di impronta del piede in ortostatismo
e la distribuzione simmetrica/asimmetrica in kg/
Joule o più comunemente in Newton/cm2 sui due
M. Romoli
Reumatologia
pratica
Figura 4. La postura dell’adulto in proiezione frontale
posteriore.
piedi e sulla porzione anteriore e posteriore degli
stessi;
• la stabilometria, spesso associata alla baropodometria negli apparecchi di più recente fabbricazione, misura le oscillazioni del centro di pressione
del corpo (stabilogramma o statokinesiogramma)
individuando i pazienti con un range alterato dei
parametri e controllandone il miglioramento dopo
la correzione della fonte di disturbo o dopo riabilitazione posturale. La stabilometria ha delle variabili che non vanno sottostimate: molti autori tra cui
Gagey, Baron, Bricot, Caiazzo, Guidetti, Lazzari,
Baratto, Scoppa, ecc., hanno lavorato alle “norme” in campo posturologico che sono state per
la prima volta proposte e pubblicate nel 1985
dall’Association Française de Posturologie. La revisione sistematica di Ruhe et al. del 2010 riporta
un sostanziale consenso per i seguenti parametri: durata dell’esame almeno 50 sec, ripetizione
dell’esame almeno 3-5 volte, esecuzione a occhi
aperti e occhi chiusi (per valutare l’influenza sulla
postura del recettore occhio), frequenza ottimale
di 10-20 Hz. Il consenso invece non è stato trovato per quanto riguarda la posizione dei piedi
sulla pedana (obbligati a 30° di apertura o liberi
nell’appoggio) e sulla ripetizione in giorni e orari
diversi. In effetti un esame della postura per esempio in periodo pre- e postprandiale potrebbe in
linea di principio dare una risposta diversa;
• l’esame tridimensionale mediante marker posizionati su punti di repere fissi, come dall’alto verso
il basso, filtro labiale e trago, acromion e fossetta
giugulare, cresta iliaca e spina iliaca anteriore-superiore ecc., che permettono attraverso un software dedicato di calcolare l’inclinazione, la rotazione e lo spostamento sul piano sagittale del corpo
esaminato rispetto a un sistema di riferimento extra
corporeo;
• apparecchi di più recente generazione, citati nel
paragrafo precedente, che sulla base di un’analisi ottica tridimensionale dell’individuo sul piano
frontale e sagittale ricostruiscono la superficie del
tronco con le sue eventuali deviazioni e rotazioni
della colonna vertebrale;
• l’elettromiografia studia l’attività elettrica a riposo
dei principali muscoli posturali e la loro simmetria.
Da questo elenco manca tutta la strumentazione utilizzata da dentisti e tecnici optometrici per il loro
contributo specifico alla risoluzione dei problemi di
postura.
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
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marzo 2011 Numero 1
Qual è la procedura più semplice per
acquisire dati utili sui recettori perturbati
nel nostro paziente?
Una volta accertata la presenza di uno squilibrio posturale nel nostro paziente ci si deve chiedere, sia nel
giovane che nell’anziano, quale può essere il recettore perturbato da correggere e quale strategia adottare successivamente per una riabilitazione posturale
accettabile da un punto di vista fisico e psicologico,
tollerabile per la sua durata e, non ultima, conveniente
da un punto di vista economico. Programmare una terapia ortodontica prolungata nel tempo in un giovane
o prescrivere all’anziano un lungo periodo di terapie
fisiche e riabilitazione può non rappresentare la soluzione ideale se prima non è stata fatta una diagnosi
posturale corretta.
Uno dei problemi più importanti della disfunzione
posturale è il fatto che un recettore perturbato, come
abbiamo visto più sopra, modifica l’assetto del corpo
creando delle asimmetrie di tono dei muscoli posturali.
Queste asimmetrie, a loro volta, possono modificare il
funzionamento fisiologico di altri recettori. Si crea così
un effetto a cascata che può ingannare l’osservatore
tanto da ritenere di avere identificato il recettore “primario” mentre in realtà si tratta di uno “secondario”.
Queste difficoltà diagnostiche differenziali, che ancora non hanno ricevuto un’adeguata attenzione nella
letteratura recensita, sono tipiche della posturologia e
rappresentano una sfida ma anche una fonte di continuo apprendimento per tutti gli operatori che a vario
titolo si occupano di problemi posturali.
La procedura più semplice per acquisire dati utili sul funzionamento dei recettori è senz’altro quella cosiddetta
della “deprogrammazione” e del “test-retest clinico”.
La parola deprogrammazione prevede implicitamente
che esista una “riprogrammazione” della postura nel
soggetto esaminato, dopo aver identificato i recettori
perturbati, corretto le loro disfunzioni e consigliato le
tecniche di riabilitazione più specifiche. Il test-retest clinico, nella diagnosi differenziale dei disturbi posturali,
consiste invece nella ricerca sistematica del recettore
responsabile che di volta in volta risponderà in senso
binario (sì-no) ai nostri tentativi di riportare i parametri
posturali in equilibrio.
Così per esempio verificheremo, con l’uso degli occhi e delle mani, se l’assetto del corpo cambia per
esempio a occhi chiusi (escludendo quindi il recettore
occhio) oppure frapponendo tra le arcate uno spessore morbido (escludendo quindi il recettore stomatognatico).
Reumatologia
pratica
6
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
Per quanto riguarda i piedi, se l’assetto cambia stimolando manualmente certi punti del piede o facendo
deambulare il paziente su particolari solette propriocettive, suggeriremo l’intervento del podologo.
Per quanto riguarda il recettore cute, la ricerca delle
cicatrici “attive” si impone quando tutti gli altri recettori siano risultati negativi. L’attento esame della cute
del paziente permetterà di localizzare le cicatrici e di
verificarne soprattutto la sensibilità alla palpazione,
in quanto l’ispezione da sola può ingannare (una cicatrice appena visibile può risultare attiva mentre un
cheloide no). Con il test-retest clinico si procederà a
sfiorare o palpare ogni cicatrice o segmento di essa
per alcuni secondi, in successione, fino a identificare
quella che corregge l’assetto posturale per un tempo
variabile che può durare da 15 minuti a 1 ora.
Esempi di diagnosi e correzione della
postura
Esempio 1
Signora di anni 55 con lombalgia cronica insorta alcuni mesi dopo un intervento di emicolectomia dx per
perforazione intestinale avvenuta 3 anni prima.
La cicatrice xifo-pubica è risultata sensibile alla palpazione alle sue estremità (Fig. 5C) ed è stata infiltrata
con 1 cc. di mepivacaina al 2%. L’ispezione del piano frontale posteriore, prima dell’infiltrazione, mostra
una testa spostata verso sinistra e un dislivello delle
dita della mano, segno indiretto di spalla sinistra più
alta (vedi frecce Fig. 5A, a sinistra). Mezz’ora dopo
l’infiltrazione la testa è più centrata e la postura delle
spalle si è equilibrata (Fig. 5A, a destra). Sul piano
sagittale, prima dell’infiltrazione, si può vedere uno
spostamento in avanti della testa, della spalla e del
gomito (vedi frecce Fig. 5B, a sinistra). Nella stessa figura è visibile anche un doppio contorno del
contorno posteriore del tronco e delle cosce, segno
indiretto di rotazione e torsione in senso antiorario
del cingolo pelvico (vedi frecce). Tutti i segni descritti
tendono a ridursi 30 minuti dopo l’infiltrazione della
cicatrice (Fig. 5B, a destra). L’esame baropodometrico evidenzia una maggior pressione sull’avampiede
destro (22,5% del totale rispetto al 12,5% dell’avampiede controlaterale) (Fig. 5D, a sinistra). La linea che
collega il baricentro corporeo con il baricentro dei
due piedi (cerchi pieni di color rosa) rappresenta la
proiezione a livello podalico dell’asse del bacino.
Il sollevamento della linea a destra rispetto al piano
orizzontale conferma la rotazione del bacino in senso
Diagnosi differenziale dei disturbi posturali
marzo 2011 Numero 1
A
C
B
D
Figura 5. Paziente di 55 anni con lombalgia cronica. (A) postura in frontale posteriore, prima (a sinistra) e 30
minuti dopo (a destra) l’infiltrazione della cicatrice; (B) idem per la proiezione sagittale; (C) cicatrice trattata alle
sue estremità (vedi frecce) con 1 cc. di mepivacaina al 2%; (D) baropodometria prima (a sinistra), 30 minuti
dopo l’infiltrazione (al centro) e 10 giorni dopo l’infiltrazione (a destra) (per gentile concessione del dott. Lorenzo
Linari di Prato).
M. Romoli
la cicatrice attiva è stata considerata la causa prevalente della disfunzione posturale.
Esempio 2
Signorina di anni 30 con 7-8 giorni di lombalgia al
mese, soprattutto nella stagione fredda, da almeno
10 anni. Episodi saltuari di lombosciatalgia sinistra
fino al ginocchio. Dallo stesso periodo di tempo cervicalgia con cefalea di tipo tensivo. Nessun incidente
nell’anamnesi a carico del rachide cervicale. Nell’im-
Reumatologia
pratica
antiorario vista in proiezione sagittale. La linea torna
orizzontale 30 minuti dopo l’infiltrazione e la distribuzione del peso nei 4 quadranti risulta più simmetrica
(Fig. 5D, immagine al centro).
Tale assetto si mantiene 10 giorni dopo la terapia
(Fig. 5D, a destra). Buon risultato della terapia (una
sola infiltrazione) con mantenimento della postura corretta e miglioramento netto della lombalgia (nessun
giorno di lombalgia nel mese successivo rispetto ai 7
giorni del mese precedente). In questa paziente quindi
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
7
marzo 2011 Numero 1
A
B
C
Figura 6. Paziente di 30 anni con lombalgia e cervicalgia cronica. (A) postura in frontale posteriore, prima
(a sinistra) e 30 minuti di deambulazione su solette propriocettive (a destra); (B) idem per la proiezione sagittale;
(C) baropodometria prima (a sinistra) e dopo 30 minuti
di deambulazione su solette propriocettive (a destra) (per
gentile concessione del dr. Lorenzo Linari di Prato).
magine di base (Fig. 6A, a sinistra) si può notare un
sollevamento della spalla sinistra con dislivello delle
dita della mano (frecce), uno spostamento verso destra
della linea verticale a livello gluteo e una rotazione
oraria del bacino con slargamento del triangolo della
taglia a sinistra. Modificando la sensibilità propriocettiva dei recettori podalici con l’inserimento di stimoli
cuneiformi di vario spessore (in pratica facendo portare alla paziente delle solette propriocettive), dopo
mezz’ora si può notare un parziale abbassamento
della spalla sinistra e una derotazione del bacino. In
sagittale, portando le solette propriocettive, la paziente solleva la testa e arretra con il tronco (Fig. 6B, a destra). La baropodometria, lasciando libera la paziente
di scegliere la posizione più confortevole, mostra un
sovraccarico sull’avampiede sinistro (36,6% del totale
rispetto al 24,4% dell’avampiede controlaterale). La
linea dei baricentri è sollevata a sinistra confermando
l’evidente rotazione del bacino in senso orario (Fig.
6C, a sinistra). L’uso delle solette per mezz’ora fa ar-
Reumatologia
pratica
8
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
retrare e riportare in orizzontale la linea in questione.
È molto probabile che mezz’ora sia un tempo troppo
breve per vedere un miglioramento più marcato che
Figura 7. Paziente di 30 anni con metatarsalgia bi-
laterale e centratura non corretta delle lenti. Baropodometria con occhiali (a sinistra), pochi minuti senza
occhiali (a destra) (per gentile concessione del dr. Lorenzo Linari di Prato).
Diagnosi differenziale dei disturbi posturali
marzo 2011 Numero 1
in genere si osserva dopo 1-6 mesi di stimolazione
propriocettiva. In questa paziente quindi il piede è
stato considerato la causa prevalente della disfunzione posturale.
Esempi iatrogeni di interferenza sulla
postura
Esempio 3
Signora di 30 anni che presenta metatarsalgia bilaterale da 4 mesi. L’esame baropodometrico, eseguito con i piedi divaricati a 30° (posizione consigliata ma non accettata da tutti gli autori) e con
gli occhiali, mostra un sovraccarico bilaterale sugli
avampiedi e una rotazione oraria del bacino (Fig.
7, a sinistra). Senza occhiali, dopo pochi minuti,
la rotazione diminuisce e la linea dei baricentri si
sposta verso il tallone e si alleggerisce il carico sui
metatarsi (Fig. 7, a destra).
La soluzione di questo caso si è avuta sostituendo le
lenti che non erano ben centrate: i centri ottici infatti risultavano 4 mm più bassi e 2 mm più larghi dei
margini pupillari corneali. La conseguenza era un effetto prismatico non voluto sulla visione binoculare con
secondaria alterazione della postura. La verifica delle
lenti restituisce alla signora un assetto posturale migliore
e soprattutto porta a una remissione dei suoi sintomi.
Esempio 4
signora di 46 anni appassionata di trekking che da
2 anni soffre di cervicalgia e fascite plantare tanto
A
da dover rinunciare all’uso degli scarponi. L’esame
baropodometrico permettendo alla paziente di posizionarsi nella posizione più confortevole mostra un
sovraccarico sull’avampiede bilaterale, più a sinistra,
che spiega i suoi sintomi. È evidente anche la rotazione oraria del bacino (Fig. 8A, a sinistra). Da un
punto di vista odontoiatrico la paziente presenta un
affollamento dei denti inferiori e un overjet. L’intervento
correttivo sulla postura si basa sull’eliminazione dei
precontatti iatrogeni in massima intercuspidazione
su tutte le otturazioni (Fig. 8B) e la successiva simmetrizzazione della funzione masticatoria in lateralità,
liberando la lateralità sinistra. Dopo l’eliminazione
dei precontatti il bacino si corregge e la distribuzione
del carico si sposta verso il tallone alleggerendo gli
avampiedi (Fig. 8A, a destra). Due mesi dopo la fine
dell’intervento odontoiatrico la paziente è migliorata
con i suoi sintomi e ha potuto riprendere l’attività che
più l’appassiona.
Discussione
I casi presentati rappresentano solo alcuni tipi di interferenza posturale da prevalente perturbazione di
singoli recettori (piede, cute, occlusione, occhio). È
interessante che in tutti e quattro i casi erano presenti
sintomi dolorosi di incerta definizione per i quali erano
stati richiesti esami di laboratorio e radiodiagnostici di
vario tipo. Deve far riflettere il fatto che in ben 3 casi
su 4 (l’esempio 2 richiede ancora una verifica temporale) l’identificazione del recettore perturbato abbia
portato a un miglioramento significativo dei parametri
B
Figura 8. Paziente di 46 anni con fascite plantare e cervicalgia in presenza di precontatti iatrogeni. (A) baropodometria prima (a sinistra) e dopo eliminazione dei precontatti (a destra); (B) localizzazione dei precontatti
con la carta articolare (per gentile concessione del dr. Lorenzo Linari e del dr. Andrea Papini di Prato).
Reumatologia
pratica
M. Romoli
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
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marzo 2011 Numero 1
posturali e alla remissione della sintomatologia dolorosa, spesso cronica o recidivante.
Nell’anamnesi e nella valutazione globale di un disturbo posturale vanno comunque presi in considerazione
anche altri fattori destabilizzanti come i traumi (per
esempio il colpo di frusta cervicale, i traumi sacrococcigei, le distorsioni della caviglia etc.).
Anche le condizioni psicologiche del paziente (per
esempio uno stato depressivo), oppure fattori di tipo
endocrino-metabolico, possono influire sui parametri
posturali sopra esposti.
Il fatto di aver aggiunto alla fine della casistica 2 casi
iatrogeni indica l’importanza di riconoscere quanto
prima e di prevenire, per quanto possibile, il protrarsi
nel tempo di problemi posturali di tipo iatrogeno nei
nostri pazienti.
Conclusioni
L’esame della postura da parte del medico di medicina generale dovrebbe essere eseguito di routine nei
pazienti di tutte le età soprattutto in presenza di sindromi dolorose recidivanti del rachide, ma non solo
di questo, di incerta interpretazione in cui l’esame radiologico tradizionale, la TAC e la RMN non forniscono elementi chiari di riferimento diagnostico. L’esame
ispettivo-morfologico del paziente come proposto in
questo articolo può aiutare il medico a riconoscere i
pazienti con una postura scorretta.
Le tecniche di deprogrammazione e i test-retest clinici
possono contribuire in modo semplice e affidabile a
individuare la possibile presenza di interferenze sulla
postura da parte di recettori perturbati.
Reumatologia
pratica
10
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
La collaborazione interdisciplinare con altri professionisti può aiutare il medico a identificare il recettore
primario seguendo, con la terapia mirata e con un
programma di riabilitazione posturale specifico per il
soggetto in questione, la migliore strategia possibile
per il trattamento e la prevenzione di determinati disturbi muscolo-scheletrici.
Bibliografia di riferimento
Bernstein L.C. Aging – The health-care challenge. Philadelphia: Edizioni F.A. Davis Company 2002.
Fortin C, Ehrmann Feldman D, Cheriet F, et al. Clinical
methods for quantifying body segment posture: a
literature review. Disabil Rehabil 2011;33:36783.
Fortin C, Ehrmann Feldman D, Cheriet F, et al. Validity of
a quantitative clinical measurement tool of trunk posture in idiopathic scoliosis. Spine 2010;19:E98894.
Istituto Superiore di Sanità. Prevenzione delle cadute da
incidente domestico negli anziani. PNLG 13 (20072009) Istituto Superiore di Sanità.
Raine S, Twomey L. Attributes and qualities of human posture and their relationship to dysfunction or musculoskeletal pain. Crit Rev Phys Rehabil Med 1994;6:40937.
Ridi R, Saggini R. Equilibrio corporeo. Bologna: Edizioni
Martina 2003.
Ruhe A, Fejer R, Walker B. The test-retest reliability of
centre of pressure measures in bipedal static task conditions. A systematic review of the literature. Gait &
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Diagnosi differenziale dei disturbi posturali
marzo 2011 volume 6 pagine 11-16
Vitamina D
e metabolismo
osseo
Parole chiave
Vitamina D • VDR (vitamin d receptor) •
Metabolismo osseo • Rischio di frattura
Riassunto
In base alle ultime conoscenze scientifiche, la vitamina D viene considerata alla stregua di un vero e proprio ormone
che agisce a livello di un numerosi tessuti che esprimono il VDR (recettore per la vitamina D). La funzione da tempo
riconosciuta è quella di mantenere un’adeguata mineralizzazione dello scheletro, regolando l’omeostasi calcica,
di concerto con il paratormone, prodotto dalle ghiandole paratiroidee. Studi recenti hanno dimostrato che il VDR è
espresso sia dagli osteoblasti che dai precursori osteoclastici e la sua stimolazione tramite la forma attivata in posizione 1 e 25 della vitamina D provoca effetti a volte inattesi, aprendo la strada a possibili nuovi impieghi per molecole di
vecchia conoscenza. L’effetto antifratturativo della vitamina D (dato dall’azione scheletrica e dall’azione sul muscolo) è
stato confermato da ampie metanalisi svolte negli ultimi anni, a patto che venga impiegata alle dosi adeguate. Infine,
dal punto di vista terapeutico, è importante sottolineare l’ormai noto aspetto epidemiologico, secondo il quale almeno
¾ della popolazione anziana risulta carente in vitamina D.
Bruno Frediani, Ilaria Bertoldi
Centro per l’Osteoporosi e la Diagnosi
Strumentale OsteoArticolare,
Sezione di Reumatologia, Università di Siena
[email protected]
gono utilizzati, specie nei Paesi nordici, come additivi
fortificanti per cibi e bevande.
La vitamina D biodisponibile per il nostro organismo
deriva in gran parte dall’attivazione cutanea e in minima parte dalla dieta. Circola legata alle apposite proteine DBP (-D binding protein), dove viene trasportata
al fegato, il sito della prima idrossilazione in posizione
25, a seguito della quale è chiamata calcidiolo o calcifediolo. Viene quindi trasformata nella forma attiva,
1,25 diidrossi-viaminaD o calcitriolo, ad opera di una
idrossilasi renale e in questa maniera può esplicare i
suoi effetti. Oggi sappiamo che anche altri tipi cellulari
possiedono l’attività 1α-idrossilasica, come cheratinociti e macrofagi, che possono quindi produrre calcitriolo
in loco con effetti autocrini e paracrini di grande interesse sia nel campo oncologico che immunologico.
La forma che viene comunemente dosata è la 25(OH)
D, sia perché ha un’emivita più lunga (di circa 2
settimane) rispetto all’1,25(OH)2D, che è più labile, con un’emivita di circa 4 ore, perché circola in
concentrazioni maggiori di circa 1000 volte rispetto
all’1,25(OH)2D e sia perché è il substrato per la produzione renale e non renale di 1,25(OH)2D. Inoltre
il dosaggio della 1,25(OH)2D potrebbe non rappresentare in maniera veritiera lo status vitaminico di un
soggetto, in quanto in corso di carenza di vitamina D
aumenta a scopo compensatorio il PTH, il quale, tra
le sue funzioni ha quella di indurre la produzione di
Reumatologia
pratica
Alla luce delle più recenti scoperte, la vitamina D
è attualmente considerata un ormone steroideo che
esplica le sue azioni legandosi all’apposito recettore, il VDR, che è un classico fattore di trascrizione che, una volta attivato, forma un eterodimero
con il recettore per il retinoide x (RXR). Il complesso
VDR-RXR va ad interagire con gli elementi di risposta sul DNA, favorendo o inibendo la trascrizione
di geni target. L’identificazione del recettore per
l’1,25(OH)2D (VDR) su numerosi e disparati tipi cellulari (Fig. 1) ha aperto la strada per gli studi sul
potenziale ruolo endocrino, paracrino e autocrino
della vitamina D in varie malattie (autoimmuni, cardiovascolari, tumorali).
Il pro-ormone, il colecalciferolo si forma a partire dagli
steroli inclusi nel doppio strato delle membrane cellulari della cute tramite l’irradiazione UVB; è reperibile
in natura in alcuni oli di pesce e potenzialmente è più
biodisponibile rispetto all’ergocalciferolo. Quest’ultimo
deriva dall’azione dei raggi UVB sugli steroli vegetali
e si può reperire in alcuni tipi di funghi. Entrambi ven-
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Serum Ca++
PTH
“C”
cells
PTG
CT
1,25-(OH)2D3
Stimolazione
Soppressione
Figura 1. Vitamina D e omeostasi calcica (da Deluca, 2008, mod.).
1,25(OH)2D da parte del rene; quindi potremmo trovare un livello di 1,25(OH)2D normale se non elevato,
a fronte di uno status deficitario di vitamina D.
Qualunque fattore che alteri la penetrazione cutanea
dei raggi UVB o il 7-deidrocolesterolo incluso nel doppio strato lipidico delle membrane cellulare dei fibroblasti del derma e dei cheratinociti dell’epidermide
può influenzare la produzione cutanea di vitamina D.
Il contenuto dermo-epidermico di 7-deidrocolesterolo
è abbastanza costante, fino all’età avanzata, quando
va incontro a un rapido declino. È stato infatti osservato che a parità di condizioni ambientali, gli anziani
ultrasettantenni producono circa il 25% della vitamina
D prodotta dai giovani ventenni. Inoltre va considerato il contenuto cutaneo di pigmento melanico, che è il
nostro schermo solare naturale. I soggetti con fototipo
scuro, più protetti contro i potenziali danni dei raggi solari, producono, a parità di esposizione, molta
meno vitamina D rispetto ai soggetti con pelle chiara.
Anche l’utilizzo di creme solari diminuisce la produzione di vitamina D: un fattore di protezione 8 diminuisce
la produzione di vitamina D del 95%, un fattore di
protezione 15 più del 98%.
I fattori ambientali sono altrettanto importanti da questo punto di vista, infatti con il variare della stagione,
della latitudine e dell’orario di esposizione varia l’in-
Reumatologia
pratica
12
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
clinazione con cui i raggi colpiscono la cute e dunque il numero di fotoni efficace per unità di superficie.
Alle nostre latitudini, il livello di vitamina D nel sangue
presenta una stagionalità e l’ipovitaminosi è estremamente frequente alla fine dell’inverno, mentre nelle
zone più vicine all’equatore la produzione di vitamina
D è più abbondante e costante durante tutto il corso
dell’anno.
Non va dimenticato che la vitamina D è liposolubile
e viene immagazzinata nel tessuto adiposo. La quota
in eccesso di vitamina D prodotta durante il periodo
estivo viene accumulata nel grasso e utilizzata durante
l’inverno. Tuttavia il tessuto adiposo può rappresentare
una vera e propria trappola: si è visto che in media
i soggetti con elevata BMD presentano livelli sierici
più bassi di 25(OH)D rispetto ai soggetti magri e che
dopo identica supplementazione ed esposizione solare i soggetti obesi esibiscono un incremento di 25(OH)
D minore di circa il 50% rispetto ai non obesi.
Riassumendo, le cause di inadeguati livelli di vitamina
D sono molteplici e possono riguardare fattori ambientali o personali, legati anche a patologie o ad assunzione di farmaci (Tab. II).
La funzione “classica” della vitamina D è quella di
mantenere un’adeguata mineralizzazione dello scheletro e la sua carenza durante la crescita si manifesta
Vitamina D e metabolismo osseo
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Distribuzione tessuti
Adiposo
Cartilagine
Cellule beta del pancreas
Cellule tumorali
Cervello
Colon
Epididimo
Fegato (fetale)
Follicolo pilifero
Ghiandola a guscio d’uovo
Intestino
Ipofisi
Linfociti (B e T)
Midollo osseo
Muscolo, cardiaco
Muscolo, embrionale
Muscolo, liscio
Osso
Osteoblasti
Ovaia
Paratiroide
Parotide
Pelle
Placenta
Polmone
Prostata
Rene
Retina
Sacco vitellino (uccello)
Seno
Stomaco
Surrenale
Testicolo
Timo
Tiroide
Utero
con il rachitismo, malattia dello scheletro osservata
con l’avvento dell’industrializzazione, quando nei primi grandi agglomerati urbani, i bambini crescevano
in pessime condizioni ambientali e nutrizionali, con
scarsa esposizione alla luce e importante inquinamento dell’aria. L’azione di questa vitamina sullo scheletro
consiste nel mantenere elevato il prodotto calcio-fosfo-
B. Frediani, I. Bertoldi
ro nel sangue, in modo da permettere il processo di
mineralizzazione, da una parte, dall’altra di evitare la
tetania ipocalcemica.
A livello del piccolo intestino, infatti, la vitamina D
permette il trasporto attivo del calcio contro gradiente
di concentrazione e, con meccanismo indipendente,
anche del fosfato. Quando il calcio introdotto con la
dieta risulta insufficiente, al fine di mantenere costante
la calcemia, deve essere attinto da altre fonti, ovvero dallo scheletro, tramite l’attivazione di processi di
demineralizzazione, o dal rene, tramite una minore
eliminazione dello ione con le urine. La 1,25(OH)2D
e il PTH, stimolano il riassorbimento osseo mediato
dagli osteoclasti e la ritenzione di calcio da parte del
tubulo distale. Attraverso queste vie la calcemia risale,
si evita la tetania ipocalcemica e i processi di mineralizzazione possono riprendere. Le cellule della paratiroide possiedono delle particolari proteine (calcium
sensitive proteins), sensibili alle variazioni della calcemia, che inducono il rilascio di PTH in caso di minimo
stimolo ipocalcemico. A livello delle cellule del tubulo prossimale, il PTH induce la trascrizione del gene
CYP27B1, che codifica per l’alfa-1-idrossilasi, la quale produce la forma attiva della vitamina D. In questo
modo la vitamina D può esplicare la sua azione nei
modi suddetti per riportare la calcemia nella norma.
Inoltre un’altra importante funzione della vitamina D è
quella di inibire la trascrizione del preproparathyroid
gene e prevenire la proliferazione indiscriminata delle
cellule paratiroidee in caso di ipocalcemia. In condizione di ipercalcemia invece vengono stimolate le cel-
Tabella II. Fattori di rischio per la carenza di vitamina D.
Età avanzata
Pigmentazione scura della pelle
Istituzionalizzato o domiciliare
Maggiore distanza dall’equatore
Stagione invernale
Protezione solare e/o tipo di abbigliamento comprente
Inquinamento atmosferico
Fumo
Obesità
Malassorbimento
Malattie renali
Malattie del fegato
Farmaci: anticonvulsivante, glucocorticoidi, antirigetto e
farmaci per il virus dell’immunodeficienza umana
Reumatologia
pratica
Tabella I. Tessuti che esprimono il VDR (da Norman, 2008, mod.).
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
13
marzo 2011 Numero 1
lule C della tiroide a produrre calcitonina, che blocca
i siti di riassorbimento del calcio, agendo quindi a
livello scheletrico e renale (Fig. 1).
Il fenotipo più conosciuto correlato alla deficienza
di vitamina D è quello del rachitismo nei bambini
con arresto della crescita delle ossa lunghe e deformità scheletriche, descritti già nell’antica Grecia, e
dell’osteomalacia negli adulti, caratterizzata, quest’ultima, da aree di matrice osteoide non mineralizzata, radiologicamente evidenti come pseudofratture di
Looser. Nel XX secolo, la somministrazione estensiva
di olio di fegato di merluzzo nei bambini ha portato
a un rapido decremento dei casi di rachitismo, che
con l’industrializzazione aveva assunto dimensioni
pandemiche. Ciò ha anche permesso la caratterizzazione del rachitismo vitaminaD-resistente (che in
realtà comprende diverse forme di rachitismo geneticamente determinate) e gli studi che ne sono seguiti
hanno permesso di gettare le basi molecolari per la
comprensione dei meccanismi con cui la vitamina D
agisce sul tessuto osseo. Il rachitismo pseudovitaminaD deficiente è dovuto a un difetto genetico, autosomico recessivo, che causa inattività della 25(OH)
D1-αidrossilasi con impossibilità di conversione del
calcidiolo in calcitriolo. Abbiamo inoltre il rachitismo
ereditario vitaminaD-resistente dovuto alla mutazione
del VDR, con elevati livelli circolanti di 1,25(OH)2D
comunque inefficaci per l’inattività del recettore. Altra forma fenotipicamente espressa come rachitismo
è l’ipofosfatemia familiare, un disordine genetico Xlinked in cui l’ipofosfatemia è dovuta a un diminuito
riassorbimento del fosfato a livello del tubulo renale,
la funziolità renale è tipicamente conservata e i livelli
di 1,25(OH)2D sono bassi o inappropriatamente normali; le alterazioni dell’ipofosfatemia X-linked sono
correlate a elevati livelli circolanti di FGF23 (fibroblast
growth factor), un ormone fosfaturico e il difetto genetico è a carico di un’endopepetidasi, PHEX.
Oltre all’azione descritta e meglio conosciuta sull’omeostasi calcica, la vitamina D esplica azioni dirette
sull’osso, tramite l’interazione con il VDR espresso sulla
superficie cellulare.
Sull’osteoblasta la stimolazione del VDR, tramite il legame con l’agonista, regola l’espressione di proteine
della matrice ossea (osteopontina e matrix gla protein)
e favorisce, di concerto con la stimolazione data dal
paratormone, dall’IL-11 e dalla PGE2, l’espressione di
RANK ligand, il ligando del recettore attivante NF-kB
(RANK), che si trova sulle cellule della linea osteoclastica; l’attivazione di questo recettore è il principale
Reumatologia
pratica
14
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
stimolo per la differenziazione, maturazione e attivazione degli osteoclasti (Fig. 2). In modelli animali
VDR null, si è visto che l’osteoclastogenesi e la sintesi
di RANK ligand in risposta al paratormone erano comunque conservate ad attestare l’esistenza altri fattori,
non ancora completamente chiariti, che compensano
l’assenza del VDR. Anche gli studi sulle colture cellulari
sono stati recentemente d’aiuto nella decodifica delle
complesse interazioni tra vitamina D e tessuto osseo.
Si è visto che gli osteoblasti in coltura non esprimenti
il VDR presentavano un processo di differenziazione
accelerato, con un aumento della fosfatasi alcalina e
incremento nella formazione di matrice ossea. Al contrario, i progenitori degli osteoblasti e degli adipociti,
le cellule stromali, se modificate per non esprimere
il VDR, andavano incontro a un’esaltata adipogenesi. Infatti, in assenza del VDR, risultava aumentata
l’espressione di due inibitori della via canonica di
Wnt (potente segnale di attivazione osteoblastica):
DKK1 e SFRP2. Questi risultati non si ripetevano negli
studi in vivo, nei topi VDR null, suggerendo l’esistenza
di fattori che compensano la perdita della funzione
del VDR, permettendo comunque la differenziazione
delle cellule stromali in senso osteoblastico.
È stata riconosciuta un’azione diretta della 1,25(OH)2D
anche sui precursori degli osteoclasti, tramite interazione con il VDR espresso sulla superficie cellulare,
con risultato netto di inibizione della maturazione osteoclastica. Studi su colture cellulari e su modelli animali
hanno dimostrato che 1α,25(OH) inibisce l’attivazione osteoclastica indotta da RANK-ligand, bloccando
l’induzione di c-Fos (stimolato invece in maniera dosedipendente dall’attivazione di RANK ligand). L’effetto
sul prodotto di c-Fos da parte di 1α,25(OH) non si
osservava su topi VDR-null. Nei precursori osteoclastici
in cui veniva indotta, tramite retrovirus, un’iperesperessione di C-Fos, l’inibizione dell’osteoclastogenesi ad
opera di 1α,25(OH) risultava fortemente ridotta. Anche le manipolazioni genetiche, come spesso accade, sono state d’aiuto, mostrando che Topi c-Fos-null
presentavano una forma di osteopetrosi, causata da
un difetto della differenziazione osteoclastica.
Queste nuove scoperte sugli effetti endocrini e paracrini della 1,25(OH)2D sono ancora in larga misura
da chiarire e da approfondire, tuttavia lasciano spazio per immaginare nuovi impieghi per molecole di
vecchia conoscenza, riflettendo ancora, se fosse necessario, come l’utilizzo delle varie forma di vitamina
D (idrossilate, attive, non attive) non possa mai essere
considerato sovrapponibile, ma debba essere indiriz-
Vitamina D e metabolismo osseo
marzo 2011 Numero 1
1,25-(OH)2D2
PTH
PGE2
IL-11
Nucleo
Osso
Cellule
stromali/osteoblasti
RANKL
OPG
RANK
RANKL
Perfusione
mononucleare
dell’osteoclasta
Spazio midollo
CFU-GM
Precursori degli osteoclasti
Osso
RANKL
RANKL
Osteoclasto attivato
Polykaryon
RANKL
Osso
Sopravvivenza dell’osteoclasta
Figura 2. Effetti diretti della 1,25(OH)D sulle cellule del tessuto osseo (da Deluca, 2008, mod.).
B. Frediani, I. Bertoldi
D’altra parte si è visto che i livelli di vitamina D influiscono anche sulla risposta del trattamento antiosteoporotico, con miglioramenti della BMD decisamente
più cospicui nei pazienti vitamina D-repleti.
Un altro importante aspetto da considerare nella valutazione del rischio fratturativo è l’apparato muscolare,
su cui agisce la vitamina D. I recettori per l’1,25(OH)2D
si trovano sulle cellule muscolari e la loro stimolazione
porta alla sintesi proteica, alla crescita cellulare e implementa le funzioni muscolari. La carenza di vitamina
D è considerata uno dei più importanti fattori della
sarcopenia e della degenerazione del tono muscolare
correlati all’età avanzata, determinanti nel rischio di
caduta. Inoltre un’insufficienza severa di vitamina D
(25OH < 12 ng/ml) è causa della miopatia osteomalacica, caratterizzata da importante debolezza
muscolare e dolore, che si risolve rapidamente dopo
somministrazione di vitamina D.
La carenza di vitamina D è tra i problemi di salute più
Reumatologia
pratica
zato caso per caso.
Nel corso degli ultimi decenni sono apparsi numerosi
studi epidemiologici che hanno evidenziato una correlazione tra fratture da fragilità e livelli deficitari di
vitamina D. Una recente metanalisi di Bischoff-Ferrari
ha messo in evidenza l’efficacia antifratturativa della
supplementazione di vitamina D nelle fratture non vertebrali in generale e nelle frattura di femore, a patto
che la supplemetazione sia eseguita a dosi adeguate, di almeno 700-800 UI/die, per raggiungere una
concentrazione sierica di 25(OH)D attorno alle 100
nmol/L o 40 ng/ml, con cui si ottiene una riduzione
del rischio di frattura del 26% per il femore e del 23%
per le fratture non vertebrali. L’individuazione di una
soglia di efficacia antifratturativa dei livelli sierici di
25(OH)D può spiegare i risultati controversi di molti
altri studi, in cui la supplentazione non era sufficiente
a far innalzare i livelli sierici di 25(OH)D alla soglia
individuata.
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
15
marzo 2011 Numero 1
diffusi al mondo e maggiormente sottodiagnosticati, e,
tra i medici stessi vi è una certa ritrosia a considerare l’ipovitaminosi D come una patologia o almeno un
potenziale problema patologico da curare. Tuttavia le
evidenze scientifiche sono chiare e impongono di tenere in considerazione questo problema nella pratica
clinica. Secondo le ultime tendenze, i livelli di 25(OH)
D sono da considerare normali sopra a 30 ng/ml,
mentre è da considerare insufficienza severa al di sotto
di 12 ng/ml. La supplementazione con colecalciferolo, d’altra parte, presenta ampi margini di sicurezza;
basti pensare che, secondo una stima conservativa, il
massimo dosaggio considerato sicuro è di 2000 UI
al giorno e addirittura un report recente non evidenzia
effetti avversi per una supplementazione di 10000 UI
al giorno per 6 mesi. Solo per livelli sierici di 25(OH)
superiori a 150 ng/ml si può presentare il rischio di
ipercalcemia. Tenendo presente anche che quasi ¾
della popolazione anziana è carente in vitamina D,
appare sicuramente più indicato e meno costoso, piuttosto che richiedere dosaggi sierici ai singoli pazienti
anziani, un approccio preventivo sulla popolazione,
con colecalciferolo o ergocalciferolo ad alte dosi intermittenti, calcolate sulla base di una supplementazione
media di almeno 800-1000 UI al giorno.
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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
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Vitamina D e metabolismo osseo
Marzo 2011 volume 6 pagine 17-20
La gotta è una malattia indiscutibilmente unica nel panorama della patologia umana in quanto racchiude in
sé le caratteristiche di tutte le malattie.
La gotta può essere del tutto asintomatica o dolorosissima, facile da diagnosticare o ingannevole ed insidiosa, può manifestarsi in soggetti giovanissimi od
esordire in tarda età, può andare incontro a remissione completa o presentare una inarrestabile evoluzione
con drammatiche complicanze a livello sia articolare
che extra articolare.
Si può affermare, senza ombra di dubbio, che la gotta è una delle malattie delle quali si ha ampia documentazione fin dall’antichità.
Ippocrate (460-337 a.C.) ne rilevò la predilezione
per l’uomo, la sua rarità nel fanciullo e nella donna
prima delle menopausa, descrisse l’azione favorente
dell’eredità e degli eccessi alimentari.
La gotta, nel corso dei secoli, si è sempre posta al
centro dell’attenzione dei medici ma ha attratto anche
l’attenzione di scrittori, poeti e pittori, che ne hanno
immortalato mirabilmente le caratteristiche cliniche.
La testimonianza più potente del grido di dolore di
chi soffriva di gotta nell’antichità viene dalle parole
di Sofocle che, nel Filottete, fa una descrizione perfetta e drammaticamente attuale del dolore del gottoso,
riportandone tutte le caratteristiche quali l’accessionalità (“viene questo male di tempo in tempo, quando
forse del suo errare è sazio”), l’intensità (“tremendo è
il peso del mio male e dir non lo si può … oh! Piede
quale male a me tu fai!”) ed il carattere trafittivo del
dolore (“tu mi uccidi, qualora tu mi tocchi”) 1.
La gotta, nella letteratura non medica non parla solo
il linguaggio della tragedia, ma anche quello della
commedia. La gotta è infatti da sempre considerata
malattia intimamente legata all’alimentazione ed allo
Walter Grassi, rossella de angelis
Clinica Reumatologica
Università Politecnica delle Marche, Ancona
[email protected]
Parole chiave
Gotta • Iperuricemia • Febuxostat
stile di vita ed il gottoso finisce col diventare simbolo
di eccessi e di abitudini riprovevoli.
Il dissacratore Marziale cita spesso la gotta, disegnando lo stereotipo non della malattia drammatica come
fa Sofocle, ma della malattia del ricco antipatico, della persona dedita ai piaceri e non ai doveri. Questa
immagine tutt’altro che edificante del gottoso viene
ripresa dalla letteratura e dall’iconografia successiva,
tramandandosi fino ai giorni nostri.
Memorabili sono le rappresentazioni della malattia
nei cortometraggi di Chaplin o di Stan Laurel e Oliver Hardy, nei quali il gottoso è spesso dipinto come
ricco, grasso, cattivo e talora perfido persecutore di
giovani fanciulle.
Sulle cause della gotta si sono registrate, nel corso dei
secoli, le ipotesi più fantasiose.
I rapporti tra gotta ed acido urico vennero intuiti per
la prima volta da Murray Forbes nel 1793. L’acido
urico era stato scoperto da Scheele e Bergman quindici anni prima nei calcoli vescicali e nell’urina umana. Quattro anni dopo la pubblicazione degli scritti
di Murray Forbes, fu Wollaston a rilevare la presenza
di acido urico nei depositi articolari dei gottosi. In
seguito a questa scoperta la dottrina “uratica” della
gotta andò acquistando rapidamente favore anche se
per lungo tempo si registrarono sul tema orientamenti
alquanto diversi. L’importanza del potus e degli eccessi venerei trova mirabile, sintetico riconoscimento in
questi versi di Edilo (270 a.C.), che così canta: “La
figlia di Bacco, il re del vino, che toglie le forze, e di
Afrodite, la regina dell’amore, che toglie le forze, è
la gotta, che toglie le forze”. Il rapporto tra gotta ed
attività sessuale ha attirato l’attenzione dei medici di
varie epoche. Specie nel XIX secolo, era diffusa la
convinzione che l’attacco di gotta non potesse essere
spiegato altrimenti che come espressione di una irritazione meccanica legata all’atto sessuale notturno. In
fondo, questa teoria poteva rappresentare una vera
e propria quadratura del cerchio: la gotta non colpiva le donne ma gli uomini solo dopo la maturazione
puberale, insorgeva nella seconda metà di notte, im-
Reumatologia
pratica
La gotta:
malattia dei re
e regina delle
malattie
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
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marzo 2011 Numero 1
provvisamente (il gottoso si coricava in perfetta salute
e, dopo qualche ora, al cantar del gallo, si scatenava
l’attacco violentissimo) e, almeno all’inizio, tendeva
alla remissione spontanea.
Non sorprende perciò che essere colpiti dalla gotta
potesse rappresentare un problema non trascurabile per monaci e sacerdoti, che erano indotti a non
ammettere di essere affetti da una malattia così imbarazzante.
Di certo la gotta, per secoli, è stata appannaggio
quasi esclusivo delle classi dominanti. La gotta è da
sempre considerata una malattia delle persone particolarmente brillanti. Probabilmente l’umanità deve molto
ai gottosi, se si pensa che l’elenco di coloro che ne
hanno sofferto comprende Alessandro Magno, Ovidio, Marziale, Carlo Magno, Galileo, Milton, Carlo
V, Goethe, Leibniz, Rubens, Leonardo da Vinci, Michelangelo, Lorenzo il Magnifico, Lutero, Kant, Voltaire, Newton, Darwin, Marx. Al di là delle osservazioni
storiche, la relazione fra gotta e intelligenza emerge
anche da uno studio pubblicato sul Journal of Medical Genetics, da cui risulta che fra gli appartenenti al
MENSA, il club dei soggetti superintelligenti, vi è un
incremento statisticamente significativo di due condizioni: la gotta e la miopia 2. Come spiegare questa
associazione? Fra i possibili fattori da considerare vi
è la curiosa analogia fra la formula di struttura della
caffeina e quella dell’acido urico (l’acido urico è una
metilxantina). Pertanto, un paziente con elevati livelli
di uricemia si verrebbe a trovare in una condizione
analoga a quella di chi è costantemente esposto agli
effetti neurostimolanti della caffeina.
Sulla terapia della gotta i medici hanno dato prova di
ampia fantasia. Scribonio Largo (46 d.C.), ad esempio, per la cura dell’attacco acuto di gotta propone
un originale protocollo di elettroanalgesia: “Appena
il dolore gottoso comincia, il paziente deve mettere
sotto il piede una torpedine nera viva”. Giovanni Maria Lancisi (1654-1720), medico romano ed archiatra
pontificio, passò in rassegna i vari tipi di terapia della
gotta in uso nelle diverse parti del mondo.
Nel Dizionario Classico di Medicina Interna ed Esterna
del 1833 si propone un’ampia e variegata gamma di
possibili interventi quali: “apponimento giornaliero di
cataplasmi emollienti”, “vescicatori”, “soleggiamento”,
“fregagioni ed embrocazioni con materie grasse ed oleose”, “esposizione dell’arto ad intenso fuoco”, “cacciate di sangue locali”, “applicazione di sanguisughe nei
dintorni dell’articolazione”, “copioso salasso praticato
sul braccio”, “applicazione locale di ferro arroventato”.
Reumatologia
pratica
18
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
Per quanto concerne la terapia farmacologica l’armamentario dei medici ottocenteschi era certamente ampio e comprendeva: guajaco, china, arnica, cannella, menta pepata, legno amaro del Surinam, zenzero,
pepe, narcotici 3.
La posizione sulla dieta era categorica: “Deggiono
i gottosi usare la massima attenzione sul metodo alimentare; la dieta vegetabile e l’astinenza dal vino
alleviarono maggior numero di malati che non verun
altro mezzo farmaceutico”.
L’uso terapeutico dell’acqua ha da sempre costituito parte integrante degli schemi di trattamento della
gotta, che si sono succeduti nel corso dei secoli. Il
bagno ristoratore e lenitivo non si è mai negato ai
malati reumatici e, in particolare, ai pazienti con gotta
cronica. Nelle ricette ottocentesche si rileva spesso la
prescrizione di “bagni prolungatissimi di acqua semplice, a cui aggiungerassi la continua applicazione di
cataplasmi emollienti e narcotici”.
L’azione terapeutica dell’acqua è stata molto valorizzata anche sul versante della idropinoterapia. Il concetto dell’acqua che depura e che scioglie in qualche
modo le concrezioni di acido urico che deturpano
il corpo dei malati di gotta cronica è chiaramente
espresso in una autorevole ricetta della prima metà
dell’800. Al paziente con gotta viene prescritto di
“bere abbondantemente acqua caldissima (quarantotto bicchieri da sei once ognuno, senza sosta)”.
Nel disperato tentativo di trattare le più gravi forme di
gotta si cercarono soluzioni anche estreme basate su
osservazioni epidemiologiche inequivocabili. Il fatto,
ad esempio, che la gotta risparmiasse gli eunuchi era
noto da gran tempo e non era sfuggito allo stesso Ippocrate: “eunuchi non laborant podagra”. Ciò portò
all’introduzione della castrazione nel trattamento della
malattia.
Fortunatamente per i pazienti, gli orientamenti in tema
di terapia della gotta si sono radicalmente modificati
nel corso degli anni ed oggi questa malattia può essere considerata curabile, se si attua una pronta ed
efficace strategia di trattamento.
La terapia della gotta ha due obiettivi fondamentali: la
riduzione dei livelli di acido urico al di sotto dei valori
di 6,0 mg/dl e la prevenzione o il trattamento degli
episodi di flogosi acuta da microcristalli e/o delle
complicanze extra-articolari della malattia.
Le linee guida dell’EULAR 4 costituiscono oggi lo standard internazionale di riferimento e forniscono chiare
indicazioni per la corretta gestione degli episodi acuti
e per la riduzione dei livelli di uricemia. La colchicina,
La gotta: malattia dei re e regina delle malattie
marzo 2011 Numero 1
Tabella I. Terapia della gotta: raccomandazioni (da Zhang et al., 2006, mod.) 4.
FDR (95% IC)
SAV 100
A + B*
1
Il trattamento ideale della gotta richiede modalità sia farmacologiche che non farmacologi- 96 (da 93 a 98)
che e dovrebbe essere adattato al paziente in accordo a:
a) fattori di rischio specifici (livelli di uricemia, precedenti attacchi, segni radiologici)
b) fase clinica della malattia (gotta acuta/ricorrente, gotta intercritica e gotta cronica tofacea)
c) fattori di rischio generici (età, sesso, obesità, consumo di alcol, uso di farmaci che determinano aumento dei livelli di urati, interazioni farmacologiche e comorbidità)
100
2
L’educazione ed i consigli sullo stile di vita che riguardano la perdita di peso per i soggetti 95 (da 91 a 99)
obesi, la dieta e la riduzione del consumo di alcolici (soprattutto birra) rappresentano aspetti
centrali per la gestione del paziente
100
3
Le comorbidità associate e i fattori di rischio, come l’iperlipidemia, l’ipertensione, l’ipergli- 91 (da 86 a 97)
cemia, l’obesità ed il tabagismo, dovrebbero essere affrontati come una parte importante
nella gestione della gotta
94
4
La colchicina e/o i FANS sono i farmaci orali di prima scelta per il trattamento sistemico 94 (da 91 a 98)
degli attacchi acuti; in assenza di controindicazioni i FANS rappresentano un’opzione efficace e ben tollerata
100
5
La somministrazione di alte dosi di colchicina porta all’insorgenza di effetti collaterali mentre
basse dosi (ad esempio 0,5 mg tre volte al giorno) possono essere sufficienti per alcuni
pazienti con gotta acuta
83 (da74 a 92)
82
6
L’aspirazione del liquido sinoviale seguita dall’infiltrazione intra-articolare di uno steroide a
lunga durata d’azione è un trattamento sicuro ed efficace nell’attacco acuto
80 (da73 a 87)
88
7
La terapia ipouricemizzante è indicata nei pazienti con attacchi acuti ricorrenti, artropatia, 97 (da 95 a 99)
tofi, nefropatia uratica o alterazioni radiologiche dovute alla gotta
100
8
Obiettivo della terapia ipouricemizzante è favorire la dissoluzione dei cristalli di urato e 91 (da 86 a 96)
prevenirne la formazione. Ciò si ottiene mantenendo i livelli di acido urico sierico al di sotto
del punto di saturazione dell’urato monosodico (≤ 6,0 mg/dl)
100
9
L’allopurinolo è un farmaco appropriato per la terapia ipouricemizzante a lungo termine; la 91 (da 88 a 95)
somministrazione andrebbe iniziata con dosi basse (ad esempio 100 mg/die) e aumentata,
se necessario, di 100 mg ogni 2-4 settimane; nei pazienti con insufficienza renale la dose
deve essere adattata; se si verifica una tossicità da allopurinolo le opzioni includono l’utilizzo
di altri inibitori della xantina-ossidasi, l’uso di prodotti uricosurici**, oppure della sua desensibilizzazione (quest’ultima opzione è praticabile solo in caso di leggero rash cutaneo)
100
10 In alternativa all’allopurinolo, nei pazienti con funzionalità renale normale, possono essere 87 (da 81 a 92)
utilizzati farmaci uricosurici** come probenecid e sulfinpirazone, ma questi farmaci sono
invece mediamente controindicati nei pazienti con urolitiasi; benzbromarone può essere impiegato individualmente in pazienti con insufficienza renale lieve o moderata, ma comporta
un lieve rischio di epatotossicità
94
11 Durante i primi mesi di terapia ipouricemizzante è possibile adottare una profilassi contro 90 (da 86 a 95)
gli attacchi acuti con colchicina (da 0,5-1,2 mg/die) e/o FANS (con gastroprotettori, se
indicati)
100
12 Quando la gotta si associa a terapia con diuretici, questi, se possibile, andrebbero sospesi; 88 (da 82 a 94)
per trattare l’ipertensione e l’iperlipidemia può essere considerato l’utilizzo di losartan e di
fenofibrato, rispettivamente (che possiedono un modesto effetto uricosurico)
100
*
% A + B: percentuale da fortemente a completamente raccomandato, sulla base della scala EULAR (A: completamente raccomandato, B: fortemente
consigliato, C: moderatamente raccomandato, D: debolmente raccomandato, E: non raccomandato). ** Gli uricosurici non sono disponibili in Italia.
IC: intervallo di confidenza; FANS: farmaci anti-infiammatori non-steroidei; FDR: forza della raccomandazione; SAV: scala analogica visiva (0-100 mm,
0: non consigliato, 100: completamente raccomandato).
Reumatologia
pratica
W. Grassi, r. de angelis
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
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marzo 2011 Numero 1
gli anti-infiammatori non steroidei e la iniezione intraarticolare di steroidi consentono di arrestare l’attacco
acuto di gotta tanto più efficacemente quanto più rapido è l’inizio del trattamento. Gli obiettivi strategici
della terapia sono il controllo sintomatologico durante gli attacchi acuti, la modifica dei fattori di rischio,
la farmacoterapia per la prevenzione delle recidive e
delle sequele croniche, l’arresto della formazione di
aggregati di cristalli di urato monosodico a livello articolare ed extra-articolare e l’induzione della dissoluzione degli aggregati già formati (depositi tofacei)
raggiungendo e mantenendo nel tempo un livello di
uricemia persistentemente al di sotto dei 6,0 mg/dl
attraverso una terapia ipouricemizzante da condurre
in maniera continuativa.
Un trattamento non adeguato della gotta, infatti, può
avere conseguenze significative per il paziente, con
un aumento del numero di attacchi acuti, una ridotta
qualità di vita e della capacità lavorativa, nonché un
incremento del consumo di FANS e di corticosteroidi.
Nei soggetti con gotta e/o iperuricemia, inoltre,
coesistono frequentemente ipertensione arteriosa, nefropatia cronica, ipercolesterolemia, obesità ed un
aumentato rischio di eventi cardiovascolari (“sindrome
metabolica”).
La gotta, quindi, essendo una malattia progressiva e
debilitante, va trattata anche per prevenire il più precocemente possibile la cronicizzazione della malattia
e l’instaurarsi di danni irreversibili.
L’allopurinolo è il farmaco di riferimento tradizionale
per la riduzione dei livelli di uricemia, per la prevenzione dei depositi tofacei e per la dissoluzione di
quelli già formati.
Reumatologia
pratica
20
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
Il febuxostat, di recente introduzione, è una efficace
alternativa all’allopurinolo e ha dimostrato un’efficacia
superiore nell’ottenere e mantenere il target terapeutico
di uricemia ≤ 6,0 mg/dl indicato dalle raccomandazioni EULAR in studi clinici condotti su diverse tipologie
di pazienti gottosi, compresi quelli con livelli basali di
uricemia > 10,0 mg/dl e quelli con insufficienza renale lieve-moderata. Febuxostat viene rimborsato dal
Servizio Sanitario Nazionale nella percentuale non
trascurabile di soggetti che risultano intolleranti o che
non rispondano adeguatamente all’allopurinolo.
In conclusione, la gotta, regina delle malattie, non è
più oggi malattia dei re, potendo essere efficacemente prevenuta ed adeguatamente trattata. Regole e
farmaci si possono armonizzare in modo eccellente
nel singolo soggetto in modo tale da arrestare l’evoluzione del danno anatomico ed evitare la comparsa di
drammatiche ed irreversibili complicanze.
Bibliografia
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La gotta: malattia dei re e regina delle malattie
RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO
1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE
BRUFEN 800 mg compresse rivestite a rilascio prolungato.
2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA
Una compressa rivestita a rilascio prolungato contiene: Principio attivo: Ibuprofene 800 mg. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere sezione 6.1.
3. FORMA FARMACEUTICA
Compresse rivestite a rilascio prolungato.
4. INFORMAZIONI CLINICHE
4.1 Indicazioni terapeutiche. Come antireumatico in: osteoartrosi in tutte le sue localizzazioni (artrosi cervicale, dorsale, lombare; artrosi della spalla, dell’anca, del ginocchio, artrosi diffusa, ecc.),
periartrite scapolo-omerale, lombalgie, sciatalgie, radicolo-nevriti; fibrositi, tenosinoviti, miositi, traumatologia sportiva; artrite reumatoide, morbo di Still. Come analgesico in forme dolorose di diversa
eziologia: • nella traumatologia accidentale e sportiva; • nella pratica dentistica, nei dolori post-estrazione e dopo interventi odontostomatologici; • in ostetricia: nel dolore post-episiotomico e postpartum; • in ginecologia: nella prevenzione e nel trattamento della dismenorrea; • in chirurgia: nel trattamento del dolore post-operatorio; • in oculistica: nel dolore post-operatorio e nelle forme
dolorose di varia eziologia; • in medicina generale: nel trattamento di emicrania e cefalea. 4.2 Posologia e modo di somministrazione. La dose giornaliera raccomandata di ibuprofene a rilascio
prolungato è di due compresse in una dose unica, preferibilmente la sera presto, molto prima di coricarsi a letto. Le compresse dovrebbero essere assunte intere accompagnate da liquidi. In condizioni
gravi o acute e solo per un periodo limitato di tempo, la dose giornaliera totale può essere aumentata fino a tre compresse in dosi suddivise. Bambini: BRUFEN 800 mg compresse rivestite a rilascio
prolungato non è consigliato in bambini al disotto dei 12 anni. Nel trattamento di pazienti anziani la posologia deve essere attentamente stabilita dal medico che dovrà valutare una eventuale riduzione
dei dosaggi sopraindicati. Nel caso in cui sia presente alterata funzione epatica e/o renale il dosaggio dovrà essere adattato alle singole condizioni dell’individuo. Gli effetti indesiderati possono essere
minimizzati con l’uso della più bassa dose efficace per la più breve durata possibile di trattamento che occorre per controllare i sintomi (vedere sezione 4.4). 4.3 Controindicazioni. Ipersensibilità al
principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti. Poliposi nasale, angioedema. Come per altre sostanze antiinfiammatorie non steroidee è opportuno non somministrare il prodotto a pazienti portatori
di ulcera peptica grave o in fase attiva. Insufficienza epatica o renale grave. Storia di emorragia gastrointestinale o perforazione relativa a precedenti trattamenti attivi o storia di emorragia/ulcera peptica
ricorrente (due o più episodi distinti di dimostrata ulcerazione o sanguinamento). Severa insufficienza cardiaca. Terzo trimestre di gravidanza. 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego.
L’uso di BRUFEN deve essere evitato in concomitanza di FANS inibitori selettivi della COX-2. Gli effetti indesiderati possono essere minimizzati con l’uso della più bassa dose efficace per la più breve
durata possibile di trattamento che occorre per controllare i sintomi (vedere sezione 4.2 e i paragrafi sottostanti sui rischi gastrointestinali e cardiovascolari). Come per altri FANS, ibuprofene può
mascherare segni di infezione. Anziani: i pazienti anziani hanno un aumento della frequenza di reazioni avverse ai FANS, specialmente emorragie e perforazioni gastrointestinali, che possono essere
fatali (vedere sezione 4.2). Emorragia gastrointestinale, ulcerazione e perforazione: durante il trattamento con tutti i FANS, in qualsiasi momento, con o senza sintomi di preavviso o precedente
storia di gravi eventi gastrointestinali, sono state riportate emorragia gastrointestinale, ulcerazione e perforazione, che possono essere fatali. Negli anziani e in pazienti con storia di ulcera, soprattutto
se complicata da emorragia o perforazione (vedere sezione 4.3), il rischio di emorragia gastrointestinale, ulcerazione o perforazione è più alto con dosi aumentate di FANS. Questi pazienti devono
iniziare il trattamento con la più bassa dose disponibile. L’uso concomitante di agenti protettori (misoprostolo o inibitori della pompa protonica) deve essere considerato per questi pazienti e anche per
pazienti che assumono basse dosi di aspirina o altri farmaci che possono aumentare il rischio di eventi gastrointestinali (vedere sezione 4.5). Pazienti con storia di tossicità gastrointestinale, in particolare
anziani, devono riferire qualsiasi sintomo gastrointestinale inusuale (soprattutto emorragia gastrointestinale) in particolare nelle fasi iniziali del trattamento. Cautela deve essere prestata ai pazienti che
assumono farmaci concomitanti che potrebbero aumentare il rischio di ulcerazione o emorragia, come corticosteroidi orali, anticoagulanti come warfarin, inibitori selettivi del reuptake della serotonina
o agenti antiaggreganti piastrinici come l’aspirina (vedere sezione 4.5). Quando si verifica emorragia o ulcerazione gastrointestinale in pazienti che assumono BRUFEN il trattamento deve essere
sospeso. I FANS devono essere somministrati con cautela nei pazienti con una storia di malattia gastrointestinale (colite ulcerosa, morbo di Crohn) poiché tali condizioni possono essere esacerbate
(vedere sezione 4.8). Effetti cardiovascolari e cerebrovascolari. Un adeguato monitoraggio ed opportune istruzioni sono necessarie nei pazienti con anamnesi positiva per ipertensione e/o
insufficienza cardiaca congestizia da lieve a moderata poiché, in associazione al trattamento con i FANS, sono stati riscontrati ritenzione di liquidi ed edema. Studi clinici e dati epidemiologici
suggeriscono che l’uso di ibuprofene, specialmente ad alti dosaggi (2400 mg/die) e per trattamenti di lunga durata, può essere associato ad un modesto aumento del rischio di eventi trombotici arteriosi
(p.es infarto del miocardio o ictus). In generale, gli studi epidemiologici non suggeriscono che basse dosi di ibuprofene (p. es. ≤1200 mg/die) siano associate ad un aumentato rischio di infarto del
miocardio. I pazienti con ipertensione non controllata, insufficienza cardiaca congestizia, cardiopatia ischemica accertata, malattia arteriosa periferica e/o malattia cerebrovascolare devono essere
trattati con ibuprofene soltanto dopo attenta considerazione. Analoghe considerazioni devono essere effettuate prima di iniziare un trattamento di lunga durata in pazienti con fattori di rischio per eventi
cardiovascolari (p. es. ipertensione, iperlipidemia, diabete mellito, fumo). Effetti dermatologici. Gravi reazioni cutanee alcune delle quali fatali, includenti dermatite esfoliativa, sindrome di StevensJohnson e necrolisi tossica epidermica, sono state riportate molto raramente in associazione con l’uso dei FANS (vedere sezione 4.8). Nelle prime fasi della terapia i pazienti sembrano essere a più
alto rischio: l’insorgenza della reazione si verifica nella maggior parte dei casi entro il primo mese di trattamento. BRUFEN deve essere interrotto alla prima comparsa di rash cutaneo, lesioni della
mucosa o qualsiasi altro segno di ipersensibilità. Se si manifestano disturbi visivi, segni persistenti di disfunzione epatica o manifestazioni sistemiche quali eosinofilia, rash, ecc., interrompere il
trattamento. Effetti renali. Quando si inizia un trattamento con ibuprofene deve essere prestata cautela ai pazienti con una disidratazione considerevole. L’utilizzo a lungo termine di ibuprofene, come
con altri FANS, ha portato a necrosi papillare renale ed altri cambiamenti patologici renali. È stata riscontrata tossicità renale in pazienti nei quali le prostaglandine renali hanno un ruolo compensatorio
nel mantenimento della perfusione renale. La somministrazione di FANS in questi pazienti può comportare una riduzione dose-dipendente nella formazione delle prostaglandine e, come effetto
secondario, nel flusso sanguigno renale il quale può portare velocemente in scompenso renale. I pazienti più a rischio di queste reazioni sono quelli con ridotte funzionalità renali, scompenso cardiaco,
disfunzioni epatiche, anziani e tutti quei pazienti che prendono diuretici e ACE inibitori. La discontinuità della terapia con FANS solitamente viene seguita dal recupero dello stato di pretrattamento. In
caso di impiego prolungato sorvegliare la funzionalità renale particolarmente in caso di lupus eritematoso diffuso. Disturbi respiratori. Ibuprofene deve essere prescritto con cautela in quei soggetti
che hanno manifestato broncospasmo, dopo l’impiego di aspirina o altri FANS, nonché in soggetti con anamnesi di emorragia o ulcera gastrointestinale, scompenso cardiaco, ipertensione, difetti di
coagulazione. Funzionalità cardiaca, renale ed epatica ridotta. Particolare cautela deve essere adottata nel trattamento di pazienti con funzionalità cardiaca, epatica o renale fortemente ridotta.
In tali pazienti è opportuno ricorrere al monitoraggio periodico dei parametri clinici e di laboratorio, specialmente in caso di trattamento prolungato. Essendosi rilevate alterazioni oculari nel corso di studi
su animali con farmaci antiinfiammatori non steroidei si raccomanda, in caso di trattamenti prolungati, di effettuare periodici controlli oftalmologici. L’uso di BRUFEN, come di qualsiasi farmaco inibitore
della sintesi delle prostaglandine e della cicloossigenasi è sconsigliato nelle donne che intendano iniziare una gravidanza. La somministrazione di BRUFEN dovrebbe essere sospesa nelle donne che
hanno problemi di fertilità o che sono sottoposte a indagini sulla fertilità. Effetti ematici. Ibuprofene, come altri FANS, può inibire l’aggregazione piastrinica e ha dato evidenza di prolungare il tempo
di sanguinamento in soggetti sani. Meningite asettica. In rare occasioni in pazienti in trattamento con ibuprofene è stata osservata meningite asettica. Sebbene è più probabile che possa succedere
in pazienti con lupus eritematoso sistemico e patologie del tessuto connettivo collegate, è stato riscontrato in pazienti i quali non manifestavano patologie croniche concomitanti. 4.5 Interazioni con
altri medicinali e altre forme di interazione. Il vastissimo impiego di ibuprofene in tutto il mondo non ha dato luogo a segnalazioni di effetti interattivi. Diuretici, ACE inibitori e antagonisti
dell’angiotensina II: i FANS possono ridurre l’effetto dei diuretici e di altri farmaci antiipertensivi. In alcuni pazienti con funzione renale compromessa (per esempio pazienti disidratati o pazienti anziani
con funzione renale compromessa) la cosomministrazione di un ACE inibitore o di un antagonista dell’Angiotensina II e di agenti che inibiscono il sistema della ciclo-ossigenasi può portare ad un ulteriore
deterioramento della funzione renale, che comprende una possibile insufficienza renale acuta, generalmente reversibile. Queste interazioni devono essere considerate in pazienti che assumono
BRUFEN in concomitanza con ACE inibitori o antagonisti dell’angiotensina II. Quindi, la combinazione deve essere somministrata con cautela, specialmente nei pazienti anziani. I pazienti devono essere
adeguatamente idratati e deve essere preso in considerazione il monitoraggio della funzione renale dopo l’inizio della terapia concomitante. È comunque opportuno monitorare i pazienti in trattamento
con cumarinici e non associare l’ibuprofene con aspirina o altri FANS. Dati sperimentali indicano che l’ibuprofene può inibire gli effetti dell’acido acetilsalicilico a basse dosi sull’aggregazione piastrinica
quando i farmaci sono somministrati in concomitanza. Tuttavia, l’esiguità dei dati e le incertezze relative alla loro applicazione alla situazione clinica non permettono di trarre delle conclusioni definitive
per l’uso continuativo di ibuprofene; sembra che non vi siano effetti clinicamente rilevanti dall’uso occasionale dell’ibuprofene (vedere sezione 5.1). La contemporanea somministrazione di Litio e FANS
provoca aumento dei livelli plasmatici del Litio. Metotrexato: i FANS possono diminuire l’eliminazione del metotrexato. Aminoglicosidi: i FANS possono diminuire l’escrezione degli aminoglicosidi.
Glicosidi cardiaci: i FANS possono esacerbare lo scompenso cardiaco, ridurre il tasso della filtrazione glomerulare e aumentare i livelli dei glicosidi cardiaci. Ciclosporine: aumentano rischio di
nefrotossicità con i FANS. Inibitori della Cox-2 e altri FANS: l’uso concomitante con altri FANS, incluso inibitori selettivi della cicloossigenasi-2, deve essere evitato per potenziale effetto additivo.
Estratti vegetali: Ginkgo Biloba può aumentare il rischio di sanguinamento in associazione a FANS. Mifepristone: i FANS non possono essere assunti per 8-12 giorni dopo la somministrazione di
Mifepristone poiché i FANS possono ridurne l’effetto. Antibiotici chinolonici: dati su animali indicano che i FANS possono aumentare il rischio di convulsioni associati con antibiotici chinolonici. I
pazienti che prendono FANS e chinoloni possono avere un aumentato rischio di sviluppare convulsioni. Tacrolimus: possibile aumento del rischio di nefrotossicità quando i FANS vengono somministrati
con tacrolimus. Zidovudina: aumento del rischio di tossicità ematica in caso di cosomministrazione con FANS. C’è evidenza di un aumento del rischio di emartrosi e di ematoma in pazienti emofiliaci
affetti da HIV in contemporaneo trattamento con Zidovudina ed altri FANS. Corticosteroidi: aumento del rischio di ulcerazione o emorragia gastrointestinale (vedere sezione 4.4). Anticoagulanti: i
FANS possono aumentare gli effetti degli anticoagulanti, come il warfarin (vedere sezione 4.4). Agenti antiaggreganti e inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRIs): aumento del
rischio di emorragia gastrointestinale (vedere sezione 4.4). 4.6 Gravidanza e allattamento. Nelle donne in stato di gravidanza e durante l’allattamento il prodotto va somministrato solo nel caso di
assoluta necessità, sotto il diretto controllo medico. Gravidanza. L’inibizione della sintesi di prostaglandine può interessare negativamente la gravidanza e/o lo sviluppo embrio/fetale. Risultati di studi
epidemiologici suggeriscono un aumentato rischio di aborto e di malformazione cardiaca e di gastroschisi dopo l’uso di un inibitore della sintesi delle prostaglandine nelle prime fasi della gravidanza. Il
rischio assoluto di malformazioni cardiache aumentava da meno dell’1% fino a circa l’1,5%. È stato ritenuto che il rischio aumenta con la dose e la durata della terapia. Negli animali, la somministrazione
di inibitori della sintesi di prostaglandine ha mostrato di provocare un aumento della perdita di pre e post-impianto e di mortalità embrione-fetale. Inoltre, un aumento di incidenza di varie malformazioni,
inclusa quella cardiovascolare, è stato riportato in animali a cui erano stati somministrati inibitori di sintesi delle prostaglandine, durante il periodo organogenetico. Durante il primo e il secondo trimestre
di gravidanza, BRUFEN non deve essere somministrato se non in casi strettamente necessari. Se BRUFEN è usato da una donna in attesa di concepimento o durante il primo e secondo trimestre di
gravidanza, la dose e la durata del trattamento devono essere mantenute le più basse possibili. Durante il terzo trimestre di gravidanza, tutti gli inibitori della sintesi di prostaglandine possono esporre
il feto a: • tossicità cardiopolmonare (con chiusura prematura del dotto arterioso e ipertensione polmonare); • disfunzione renale, che può progredire in insufficienza renale con oligoidroamnios; la
madre e il neonato, alla fine della gravidanza, a: • possibile prolungamento del tempo di sanguinamento, ed effetto antiaggregante che può occorrere anche a dosi molto basse; • inibizione delle
contrazioni uterine risultanti in ritardo o prolungamento del travaglio. Conseguentemente BRUFEN è controindicato durante il terzo trimestre di gravidanza. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare
veicoli e sull’uso di macchinari. L’impiego di ibuprofene nell’arco della giornata non risulta interferire sullo stato di veglia del soggetto. 4.8 Effetti indesiderati. L’esteso impiego di ibuprofene ha
evidenziato una limitata incidenza di effetti collaterali. Le segnalazioni più frequenti sono state quelle relative a rash cutanei, usualmente risoltisi rapidamente con la cessazione della terapia. Sono stati
segnalati inoltre casi di dispepsia e, in pazienti particolarmente sensibili, isolati casi di enterorragia, ulcera gastroduodenale anche perforata, melena. Gastrointestinali: gli eventi avversi più
comunemente osservati sono di natura gastrointestinale. Possono verificarsi ulcere peptiche, perforazione o emorragia gastrointestinale, a volte fatale, in particolare negli anziani (vedere sezione 4.4).
Molto raramente sono state osservate pancreatiti. Dopo somministrazione di BRUFEN sono stati riportati: nausea, vomito, diarrea, flatulenza, costipazione, dispepsia, dolore addominale, melena,
ematemesi, stomatiti ulcerative, esacerbazione di colite e morbo di Crohn (vedere sezione 4.4). Meno frequentemente sono state osservate gastriti. In associazione al trattamento con FANS sono stati
riportati edema, ipertensione e insufficienza cardiaca. Studi clinici e dati epidemiologici suggeriscono che l’uso di ibuprofene, specialmente ad alti dosaggi (2400 mg/die) e per trattamenti di lunga
durata, può essere associato ad un modesto aumento del rischio di eventi trombotici arteriosi (p.es. infarto del miocardio o ictus) (vedere sezione 4.4). Sono stati infine riportati: broncospasmo e alcuni
casi di trombocitopenia, neutropenia, agranulocitosi aplastica, anemia emolitica, riduzione dell’emoglobina e dell’ematocrito, disturbi del SNC (depressione, confusione, vertigine, cefalea, tinnito,
parestesia, sonnolenza, neurite ottica ecc.), nefropatia tossica in varie forme, incluso nefrite interstiziale, sindrome nefrotica, insufficienza renale in pazienti con funzionalità compromessa, insufficienza
cardiaca congestizia, ipertensione, funzione epatica anormale, insufficienza epatica, epatite e ittero. Reazioni bollose includenti Sindrome di Stevens-Johnson e Necrolisi Tossica Epidermica (molto
raramente). 4.9 Sovradosaggio. I sintomi più comuni sono: nausea, vomito, vertigine, convulsioni, perdita della coscienza e depressione del SNC e del sistema respiratorio. Meno frequentemente:
cefalea, tinnito, depressione del sistema nervoso centrale e convulsioni. Il sovradosaggio acuto generalmente viene ben tollerato quando non sono stati somministrati altri farmaci. In caso di
sovradosaggio è indicata la lavanda gastrica e la correzione degli elettroliti ematici. Non esiste un antidoto specifico per ibuprofene.
5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE
5.1 Proprietà farmacodinamiche. Categoria farmacoterapeutica: farmaci antinfiammatori e antireumatici, non steroidei. Codice ATC: M01AE01. Ibuprofene è un analgesico-antiinfiammatorio
di sintesi, dotato inoltre di spiccata attività antipiretica. Chimicamente è il capostipite dei derivati fenilpropionici. L’attività analgesica è di tipo non narcotico ed è 8-30 volte superiore a quella dell’acido
acetilsalicilico. Ibuprofene è un potente inibitore della sintesi prostaglandinica ed esercita la sua attività inibendone la sintesi perifericamente. Dati sperimentali indicano che l’ibuprofene può inibire
gli effetti dell’acido acetilsalicilico a basse dosi sull’aggregazione piastrinica quando i farmaci sono somministrati in concomitanza. In uno studio, dopo la somministrazione di una singola dose di
400 mg di ibuprofene, assunto entro 8 ore prima o dopo 30 minuti dalla somministrazione di acido acetilsalicilico (81 mg), si è verificata una diminuzione dell’effetto dell’acido acetilsalicilico sulla
formazione di trombossano e sull’aggregazione piastrinica. Tuttavia, l’esiguità dei dati e le incertezze relative alla loro applicazione alla situazione clinica non permettono di trarre delle conclusioni
definitive per l’uso continuativo di ibuprofene; sembra che non vi siano effetti clinicamente rilevanti dall’uso occasionale dell’ibuprofene. 5.2 Proprietà farmacocinetiche. Ibuprofene è ben assorbito
dopo somministrazione orale; assunto a stomaco vuoto produce nell’uomo livelli serici massimi dopo circa 45 minuti. La somministrazione di pari dosi precedute da ingestione di cibo ha rivelato
un assorbimento più lento e il raggiungimento dei livelli massimi in un periodo di tempo compreso entro un minimo di un’ora e mezza e un massimo di tre ore. L’escrezione è rapida e i livelli serici
non mostrano segni di accumulo. Il 44% di una dose di ibuprofene viene recuperata nelle urine sotto forma di due metaboliti farmacologicamente inerti e il 20% sotto forma di farmaco come tale.
Nell’animale, dal 16% al 38% della dose giornaliera viene escreto nelle feci, e dal 38% al 70% nelle urine. Ibuprofene, rilasciato dalle compresse di BRUFEN 800 mg compresse rivestite a rilascio
prolungato, è progressivamente assorbito durante un periodo di 24 ore. Dopo l’assunzione di due compresse la concentrazione media plasmatica durante le 24 ore è di 16-22 µg/ml. In alcuni soggetti
si può verificare un secondo picco nel profilo della curva. Dal momento che ibuprofene è assorbito quasi completamente entro le 24 ore di intervallo fra una dose e l’altra e che l’emivita della sostanza
è breve (1-2 ore) non si verifica accumulo dopo dosi ripetute. 5.3 Dati preclinici di sicurezza. Le prove tossicologiche sulle diverse specie animali, per diverse vie di somministrazione, hanno
dimostrato che ibuprofene è ben tollerato (la DL50 nel topo albino è di 800 mg/kg per os; mentre nel ratto, sempre per os, è di 1600 mg/kg). Va però notato che la somministrazione di FANS a ratte
gravide può determinare restrizione del dotto arterioso fetale. Non vi sono ulteriori informazioni su dati preclinici oltre a quelle già riportate in altre parti di questo Riassunto delle Caratteristiche del
Prodotto (vedere sezione 4.6).
6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE
6.1 Elenco degli eccipienti. Acido stearico, silice colloidale anidra, gomma xantana, idrossipropilmetilcellulosa, Opaspray M-1-7111B Bianco, povidone, talco. 6.2 Incompatibilità. Non sono note
incompatibilità chimico-fisiche di ibuprofene verso altri composti. 6.3 Periodo di validità. 3 anni. 6.4 Precauzioni particolari per la conservazione. Questo medicinale non richiede alcuna
condizione particolare per la conservazione. 6.5 Natura e contenuto del contenitore. Astuccio contenente 2 blister (PVC/PVDC e alluminio) da 10 compresse di 800 mg. 6.6 Precauzioni
particolari per lo smaltimento e la manipolazione. Nessuna.
7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO
ABBOTT S.r.l – 04010 Campoverde (LT)
8. NUMERO DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO
A.I.C.: n. 022593115
9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE
Prima autorizzazione: 27.04.1991
Rinnovo autorizzazione: 01.06.2010
10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO
Determinazione AIFA del 14 aprile 2010
BRUFEN 20 Compresse a rilascio prolungato 800 mg
€ 6.02 (Prezzo al netto delle scontistiche ministeriali)
CLASSE A (66)
RR