NOVITÀ COMPRESSE A RILASCIO PROLUNGATO IN MONOSOMMINISTRAZIONE GIORNALIERA Confezione da 20 compresse Classe A nota 66 * Osteoartrosi in tutte le sue localizzazioni, lombalgie, sciatalgie, traumatologia sportiva, artrite reumatoide, trattamento del dolore post-operatorio (1) Efficace nelle patologie caratterizzate da dolore persistente, con il vantaggio della monosomministrazione. (2,3) COMPRESSE 21 20 2 LA SERA 24 h OGNI #(1) Periodico trimestrale POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 conv.in L.27/02/2004 n°46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 27/2006. Bibliografia: 1. Brufen 800 mg compresse a rilascio prolungato. Riassunto delle caratteristiche del prodotto. 2. Flavell Matts S.G. et al. Controlled study of once-daily, sustained-release ibuprofen in osteoarthritis. Therapeutic research 1993 (53): 4. 3. Pharmacological Management of Persistent Pain in Older Persons. American GeriatricsSociety Panel on the Pharmacological Management of Persistent Pain in Older Persons. JAGS 2009; 57: 1331-46. # 2 compresse in un’unica dose preferibilmente la sera presto, molto prima di coricarsi a letto. – Depositato presso AIFA in data 18/11/2010 Quando il dolore non molla.* (1) Marzo 2011 Numero R Collegio reumatologi ospedalieri italiani Lega Italiana Malattie Autoimmuni e reumatiche Con il patrocinio di 1 eumatologia pratica P roblematiche cliniche osteo-articolari Società italiana di medicina generale R eumatologia pratica PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI Marzo 2011 Numero 1 VOLUME 6 Diagnosi differenziale dei disturbi posturali M. Romoli..................................................... 1 Direttore Scientifico Roberto Marcolongo Direttore Editoriale Bianca Canesi Comitato Scientifico Gerolamo Bianchi Alessandro Bussotti Pierlorenzo Franceschi Bruno Frediani Luigi Gatta Stefano Giovannoni Gianni Leardini Arrigo Lombardi Raffaella Michieli Vittorio Modena Claudio Vitali Vitamina D e metabolismo osseo B. Frediani, I. Bertoldi................................... 11 La gotta: malattia dei re e regina delle malattie W. Grassi, R. De Angelis.............................. 17 Presidente CROI Gianni Leardini Presidente LIMAR Roberto Marcolongo Presidente SIMG Claudio Cricelli Presidente FADOI Carlo Nozzoli Direttore Responsabile Patrizia Alma Pacini © Copyright by Pacini Editore S.p.A. - Pisa Edizione Pacini Editore S.p.A. Via Gherardesca 1 • 56121 Ospedaletto (Pisa) Tel. 050 313011 • Fax 050 3130300 [email protected] • www.pacinimedicina.it Marketing Dpt Pacini Editore Medicina Andrea Tognelli - Medical Project - Marketing Director Tel. 050 3130255 - [email protected] Fabio Poponcini - Sales Manager Tel. 050 3130218 - [email protected] Manuela Mori - Customer Relationship Manager Tel. 050 3130217 - [email protected] Ufficio Editoriale Lucia Castelli Tel. 050 3130224 - [email protected] Stampa Industrie Grafiche Pacini • Ospedaletto (Pisa) Collegio reumatologi ospedalieri italiani Lega Italiana Malattie Autoimmuni e reumatiche Con il patrocinio di Società italiana di medicina generale NORME REDAZIONALI Gli articoli dovranno essere accompagnati da una dichiarazione firmata dal primo Autore, nella quale si attesti che i contributi sono inediti, non sottoposti contemporaneamente ad altra rivista ed il loro contenuto conforme alla legislazione vigente in materia di etica della ricerca. Gli Autori sono gli unici responsabili delle affermazioni contenute nell’articolo e sono tenuti a dichiarare di aver ottenuto il consenso informato per la sperimentazione e per la riproduzione delle immagini. La Redazione accoglie solo i testi conformi alle norme editoriali generali e specifiche per le singole rubriche. La loro accettazione è subordinata alla revisione critica degli esperti, all’esecuzione di eventuali modifiche richieste ed al parere conclusivo del Direttore. Il Direttore del Giornale si riserva inoltre il diritto di richiedere agli Autori la documentazione dei casi e dei protocolli di ricerca, qualora lo ritenga opportuno. Nel caso di provenienza da un Dipartimento Universitario o da un Ospedale il testo dovrà essere controfirmato dal responsabile del Reparto ( U.O.O., Clinica Universitaria…). Conflitto di interessi: nella lettera di accompagnamento dell’articolo, gli Autori devono dichiarare se hanno ricevuto finanziamenti o se hanno in atto contratti o altre forme di finanziamento, personali o istituzionali, con Enti Pubblici o Privati, anche se i loro prodotti non sono citati nel testo. Questa dichiarazione verrà trattata dal Direttore come un’informazione riservata e non verrà inoltrata ai revisori. I lavori accettati verranno pubblicati con l’accompagnamento di una dichiarazione ad hoc, allo scopo di rendere nota la fonte e la natura del finanziamento. Norme generali Testo: in lingua italiana, dattiloscritto, con numerazione delle pagine a partire dalla prima e corredato di: 1) titolo del lavoro; 2) parole chiave; 3) riassunto; 4) titolo e didascalie delle tabelle e delle figure. 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Nella prima pagina devono comparire: il titolo (coinciso); le parole chiave; i nomi degli Autori e l’Istituto o l’Ente di appartenenza; il nome, l’indirizzo, il recapito telefonico e l’indirizzo e-mail dell’Autore cui sono destinate la corrispondenza e le bozze. Nella seconda pagina comparirà: il riassunto (non più di 200 parole) e nelle ultime la bibliografia, le didascalie di tabelle e figure e l’eventuale menzione del Congresso al quale i dati dell’articolo siano stati comunicati (tutti o in parte). Tabelle: devono essere contenute nel numero (evitando di presentare lo stesso dato in più forme), dattiloscritte una per pagina e numerate progressivamente con numerazione romana. Bibliografia: va limitata alle voci essenziali identificate nel testo con numeri arabi ed elencate al termine del manoscritto nell’ordine in cui sono state citate. Devono essere riportati i primi 3 Autori, eventualmente seguiti da et. al. Le riviste devono essere citate secondo le abbreviazioni riportate su Index Medicus. Esempi di corretta citazione bibliografica per: articoli e riviste Bianchi M, Laurà G, Recalcati D. Il trattamento chirurgico delle rigidità acquisite del ginocchio. Minerva Ortopedica 1985;36:431-8. libri Tajana GF. Il condrone Milano: Edizioni Mediamix 1991. Krmpotic-Nemanic J, Kostovis I, Rudan P. Aging changes of the form and infrastructure of the extemal nose and its importance in rhinoplasty. In. Conly J, Dickinson JT, editors. Plastic and reconstructive surgery of the face and neck. New York: Grune and Stratton 1972, p. 84-8. Ringraziamenti: indicazioni di grants o borse di studio, vanno citati al termine della bibliografia. Le note contraddistinte da asterischi o simboli equivalenti, compariranno nel testo a piè di pagina. Termini matematici, formule, abbreviazioni, unità e misure devono conformarsi agli standards riportati in Science 1954;120:1078. I farmaci vanno indicati con il nome chimico. Solo se inevitabile potranno essere citati con i nome commerciale (scrivendo in maiuscolo la lettera iniziale del prodotto). Norme specifiche per le singole rubriche Editoriali. Sono intesi come considerazioni generali e pratiche sui temi di attualità, in lingua italiana, sollecitati dal Direttore o dai componenti il Comitato di Redazione. Per il testo sono previste circa 15 cartelle da 2000 battute. Sono previste inoltre al massimo 3 figure e 5 tabelle. Bibliografia: massimo 15 voci. Articoli sulle patologie. Non devono superare le 10 pagine dattiloscritte (2000 battute). Sono previste massimo 3 parole chiave, massimo 2 figure e 3 tabelle e non più di 30 voci bibliografiche. Gli articoli dovranno riportare al termine un quadro sinottico per riassumere gli elementi essenziali di utilità pratica. L’articolo se è scritto dallo specialista verrà inviato dalla redazione ad un medico di medicina generale per un commento (massimo una pagina di 2000 battute). Se l’articolo verrà elaborato da un medico di medicina generale il commento sarà a cura di uno specialista. Articoli sui sintomi. Preferibilmente devono partire dalla illustrazione di un caso clinico. Non devono superare le 10 pagine dattiloscritte (2000 battute). Sono previste massimo 3 parole chiave, massimo 2 figure e 3 tabelle e non più di 30 voci bibliografiche. Gli articoli dovranno riportare al termine un quadro sinottico per riassumere gli elementi essenziali di utilità pratica. L’articolo se è scritto dallo specialista verrà inviato dalla redazione ad un medico di medicina generale per un commento (massimo una pagina di 2000 battute). Se l’articolo verrà elaborato da un medico di medicina generale il commento sarà a cura di uno specialista. Casi clinici. Vengono accettati dal Comitato di Redazione solo lavori di interesse didattico e segnalazioni rare. La presentazione comprende l’esposizione del caso ed una discussione diagnostico-differenziale. Il testo (8 cartelle da 2000 battute) deve essere coinciso e corredato, se necessario, di 1-2 figure o tabelle al massimo di 10 riferimenti bibliografici essenziali. Il riassunto è di circa 50 parole. Gli scritti di cui si fa richiesta di pubblicazione vanno indirizzati a: Pacini Editore S.p.A., Ufficio Editoriale, via Gherardesca 1, 56121 Ospedaletto (PI), e-mail: [email protected] Finito di stampare nel mese di Maggio 2011 dalle Industrie Grafiche Pacini Editore S.p.A. L’editore resta a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare e per le eventuali omissioni. 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Ai sensi dell’articolo 7 del D.Lgs. 196/2003, in qualsiasi momento è possibile consultare, modificare o cancellare i dati o opporsi al loro utilizzo scrivendo al Titolare del Trattamento: Pacini Editore S.p.A. -Via A. Gherardesca 1- 56121 Ospedaletto (Pisa). marzo 2011 volume 6 pagine 1-10 Diagnosi differenziale dei disturbi posturali Parole chiave Disfunzione posturale • Test clinici • Diagnosi differenziale Riassunto in quest’articolo si parla di quanto sia importante nella pratica clinica, per il medico di medicina generale e per diversi specialisti, riconoscere il paziente con disfunzione posturale e risalire alle cause del disturbo. Attraverso la semplice ispezione, l’uso delle mani e di un filo a piombo, il medico può verificare se i parametri posturali del soggetto che ha di fronte sono corretti e successivamente, in caso negativo, può procedere con una diagnosi differenziale mediante i test di “deprogrammazione” per identificare il recettore perturbato all’origine della disfunzione posturale. Alcuni esempi mostrano la complessità e il fascino dello studio della postura nel venire a capo di sindromi dolorose croniche o recidivanti non meglio definibili. Marco Romoli Medico di Medicina Generale, ASL 4 Prato Ex docente Master di Posturologia, Università di Firenze [email protected] www.istap.it sioterapisti, i podologi, i tecnici optometristi, i logopedisti. Una menzione particolare va fatta anche per le figure professionali che intervengono soprattutto, ma non solo, sui disturbi muscoloscheletrici del rachide come i chiropratici e gli osteopati che, esaminando la postura, individuano le disfunzioni che possono causare o contribuire al persistere o al ripresentarsi nel tempo del sintomo dolore. Come definire una postura corretta? Molti autori hanno cercato di dare una definizione di postura. Raine l’ha definita come l’allineamento o l’orientamento dei vari segmenti corporei nel mantenimento della posizione eretta. C’è chi paragona il corpo umano in posizione eretta a un pendolo inverso con fulcro a livello dell’appoggio podalico (articolazione tibio-tarsica) le cui oscillazioni sono regolate dal tono muscolare che agisce contro la forza di gravità ricevendo continui messaggi proprio- ed esterocettivi. Ridi introduce una definizione neurofisiologica di “omeostasi posturale” intendendo con questa la risposta sinergetica multi-distrettuale del corpo all’ambiente esterno e interno che si traduce in una dimensione cinematica (assetto spaziale del corpo-postura) e in una dimensione cinetica (relazione di forze con l’ambiente) in stato di quiete e di moto, frutto di un compromesso ottimale tra equilibrio statico-dinamico, ottimizzazione psico-fisica e risparmio energetico. Va ricordato anche il contributo di pittori, scultori e architetti nel raffigurare l’uomo in posizione eretta e mi permetto di ricordare Le Corbusier, uno dei maestri Reumatologia pratica Introduzione Sempre più in letteratura si parla di disturbi o disfunzioni posturali, anche se al momento manca una validazione dei metodi diagnostici più efficaci e riproducibili per stabilire quando la postura di una persona sia da considerare scorretta e quali siano i fattori che alterano il suo equilibrio e concorrono a modificare la sua posizione nello spazio. Va precisato che, mentre sulla banca dati PubMed ci sono diverse parole chiave riferite al termine “posture”, come postural instability, postural balance, postural control, posture assessment, ecc., non esiste invece la traduzione inglese del termine posturologia così frequentemente in uso nel linguaggio e nella letteratura non recensita. Il principale motivo di quest’assenza è dovuto al fatto che il termine deriva dal francese “posturologie” che da almeno 30 anni indica una nuova disciplina mirata a risolvere in modo interdisciplinare i problemi posturali di un paziente. L’originalità della scuola francese e di quella italiana, che ne è stata l’allieva diretta, è di aver istruito a livello universitario e non operatori che mai prima degli anni ‘80 del secolo scorso avevano avuto motivo di collaborare insieme. Tra questi vanno citati ovviamente i medici e i dentisti, ma anche i fi- PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI 1 marzo 2011 Numero 1 clinica di base da parte del medico di medicina generale al momento di registrarne i dati salienti della sua storia clinica sulla scheda anamnestica. La semplice osservazione del paziente in piedi, senza scarpe e preferibilmente senza abiti, gli può permettere di individuare le persone con una postura precaria e disorganizzata e di intraprendere un percorso di tipo diagnostico per intuire l’origine del problema e trovare una soluzione terapeutica in collaborazione con gli operatori su elencati. Il compito del medico di medicina generale in campo posturale potrebbe essere anche di tipo preventivo soprattutto in caso di sindromi dolorose recidivanti del rachide e dei cingoli legate ad un assetto corporeo non fisiologico. La prevenzione nei soggetti più giovani sarà rivolta per esempio a sintomi come la cervicalgia e la lombalgia associate o meno a segni radiologici di degenerazione precoce dei dischi intervertebrali. La prevenzione nei soggetti anziani sarà invece rivolta essenzialmente alla prevenzione delle cadute che rappresentano una causa di morte e di disabilità non trascurabile e un costo crescente per la società a causa del progressivo invecchiamento della popolazione. Va ricordato che l’Istituto Superiore di Sanità a questo proposito ha provveduto nel 2007-2009 a proporre delle linee guida per prevenire le cadute da incidente domestico nell’anziano. Figura 1. Il Modulor di Le Corbusier (1946). dell’architettura moderna, che nel 1946 ideò una scala di misura usata poi in tutte le sue opere, il Modulor. Alcune delle misure del Modulor avevano uno speciale rapporto con quelle del corpo umano ed erano finalizzate alla progettazione degli spazi residenziali e degli oggetti di uso comune. Nella Figura 1 si possono vedere le diverse misure in altezza e soprattutto l’andamento spiraliforme che dal basso verso l’alto conferisce elasticità e resistenza al corpo umano in posizione eretta (Fig. 1). Perché è utile riconoscere un disturbo posturale? Lo studio della postura statica e dinamica dovrebbe far parte, a mio modo di vedere, di una valutazione Reumatologia pratica 2 PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI Come studiare la postura in modo semplice e ripetibile? Nella valutazione posturale statica l’ispezione del soggetto nei 3 piani, accompagnata dall’uso del filo a piombo per rilevare i disallineamenti dei vari livelli e piani corporei, è il metodo più praticato e più semplice da eseguire. Nella pratica viene utilizzato molto, per la sua convenienza in termini di costi e di tempo di esecuzione, l’esame fotografico con o senza markers. Fortin et al. in una revisione sistematica della letteratura del 2011 hanno esaminato i metodi di misura della postura adottati a livello clinico e hanno concluso che la misura degli angoli e delle distanze sull’immagine fotografica risulta essere la più accurata e rapida per una valutazione globale quantitativa in campo clinico. Gli stessi autori hanno voluto confrontare in un gruppo di scoliotici 3 metodi diversi di misura: gli indici radiologici caratteristici della scoliosi (angolo di Cobb sul piano frontale e sagittale del rachide dorsale e lombare) e l’esame fotografico bi-dimensionale, previa applicazione di markers di 5 mm di diametro sulle apofisi spinose C7-S1, sul processo coracoideo, Diagnosi differenziale dei disturbi posturali marzo 2011 Numero 1 Figura 2. La postura nell’anziano in proiezione sagit- tale (da Bernstein, 2000). M. Romoli zione del giovane risulterà più agevole, più difficile quella dell’anziano: il motivo di questa differenza è che la postura dell’anziano è spesso il punto d’arrivo di una disorganizzazione funzionale della propriocezione, della visione e dell’elaborazione neurocognitiva centrale tipiche dell’invecchiamento a cui si aggiungono lesioni articolari, artritiche e artrosiche, più o meno dolorose, che di per sé sono fonte di instabilità posturale. Naturalmente per studiare la postura distorta dell’anziano (Fig. 2A) bisogna prendere un modello di riferimento, spesso ideale, che rappresenta quella corretta (Fig. 2B). Poiché è più difficile l’interpretazione di un disturbo posturale nell’anziano bisogna spostare gli occhi su piani e parti diverse del soggetto, identificando il maggior numero possibile di asimmetrie di posizione sia sul piano frontale che sagittale soffermandosi in particolare sull’esame dei cingoli (scapolo-omerale e pelvico) e dei vari segmenti del rachide. Chi volesse quantificare il disturbo posturale in posizione statica potrebbe adottare la scala Reedco che attraverso l’esame visivo di 10 livelli o parti diverse del corpo è in grado di dare un punteggio variabile sulla qualità della postura del soggetto da 0 (postura molto scarsa) a 100 (postura buona) (Fig. 3). Chi invece si occupa della postura di persone più giovani ha ugualmente l’esigenza di valutare la persona globalmente nei 3 piani cercando però di individuare il o i recettori causa dello squilibrio posturale. Anche in questo caso ci sarà un modello ideale di riferimento, essenzialmente sul piano frontale e sagittale, e l’esame procederà dall’alto verso il basso o viceversa a seconda del metodo applicato dall’osservatore. Ai due estremi del corpo, la testa e i piedi, verrà data sempre una particolare attenzione perché sono la sede di recettori fondamentali che regolano la postura (occhio, lingua e occlusione dentaria) e l’appoggio al suolo (piede). Si darà naturalmente importanza anche al recettore vestibolare, eseguendo le prove di Romberg per riconoscere l’eventuale presenza di una disfunzione e di un’instabilità dell’equilibrio. Ma, tornando all’ispezione del giovane, sarà soprattutto l’esame dei cingoli che indirettamente ci indicherà un’interferenza perché essi rappresentano un sistema di compenso delle asimmetrie di tono muscolare che si originano durante uno squilibrio posturale. Come si può vedere, nella Figura 4A è stato rappresentato un modello di postura corretto sul piano frontale posteriore, mentre nella Figura 4B si può vedere un tipico esempio di compenso posturale indotto dall’inserimento di uno spessore di 1-2 cm sotto il piede destro. Reumatologia pratica sull’angolo inferiore della scapola e sulle spine iliache anteriore superiore (SIAS) e iliaca posteriore superiore (SIPS). La terza metodica a confronto è stata l’analisi topografica della superficie tridimensionale che consiste nel proiettare da angoli diversi una luce strutturata in bande bianche e nere che mette in evidenza i rilievi e le depressioni del tronco. La validazione ha messo in evidenza un’ottima correlazione tra foto bidimensionali e analisi topografica per 10 dei 13 indici posturali esaminati e una sufficiente correlazione tra indici radiologici e fotografie con markers tanto da proporre quest’ultimo esame come procedura non invasiva nel monitorare nel tempo la progressione di una scoliosi. Gli autori, nella revisione del 2011, sottolineano che l’analisi posturale tridimensionale non è accessibile per la maggior parte degli operatori a causa dell’elevato costo e perché richiede personale specializzato e tempo per processare i dati. Tornando all’ispezione del soggetto che viene raccomandata nella pratica per la sua semplicità e rapidità, va detto comunque che l’esame richiede una certa esperienza e va ripetuto sul soggetto alcune volte nei vari piani, spostando lo sguardo da un livello all’altro in modo sistematico e non affrettato, per cogliere e correlare i dati posturali salienti nel soggetto che abbiamo davanti. L’osserva- PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI 3 marzo 2011 Numero 1 Figura 3. Scala della postura di Reedco (da Bernstein, 2000). Reumatologia pratica 4 PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI Diagnosi differenziale dei disturbi posturali marzo 2011 Numero 1 Il corpo reagisce quindi al mutamento dell’equilibrio con un nuovo equilibrio ottenuto con una serie di compensi verso l’alto a carico del bacino, rachide, spalle, testa etc. La risultante di questi compensi non rappresenta comunque una soluzione accettabile da un punto di vista biomeccanico e ergonomico. Quello che i medici e tutti gli operatori “posturo-consapevoli” devono sapere è che l’assetto posturale rappresentato nella Figura 4B deve essere considerato aspecifico e dovuto alla disfunzione di un qualsiasi recettore come l’occhio, la bocca, il piede, la cute e la lingua. L’ispezione quindi indicherà inizialmente solo la presenza di un disturbo posturale generico, ma per riconoscere il recettore primario coinvolto occorrerà fare una diagnosi differenziale come descritto più avanti. Quali sono gli altri metodi diagnostici posturali a disposizione? Oltre all’esame ispettivo della postura e dei suoi squilibri, i vari operatori hanno nel corso degli anni adottato i seguenti metodi e strumenti: • il podoscopio e la baropodometria per individuare il tipo di impronta del piede in ortostatismo e la distribuzione simmetrica/asimmetrica in kg/ Joule o più comunemente in Newton/cm2 sui due M. Romoli Reumatologia pratica Figura 4. La postura dell’adulto in proiezione frontale posteriore. piedi e sulla porzione anteriore e posteriore degli stessi; • la stabilometria, spesso associata alla baropodometria negli apparecchi di più recente fabbricazione, misura le oscillazioni del centro di pressione del corpo (stabilogramma o statokinesiogramma) individuando i pazienti con un range alterato dei parametri e controllandone il miglioramento dopo la correzione della fonte di disturbo o dopo riabilitazione posturale. La stabilometria ha delle variabili che non vanno sottostimate: molti autori tra cui Gagey, Baron, Bricot, Caiazzo, Guidetti, Lazzari, Baratto, Scoppa, ecc., hanno lavorato alle “norme” in campo posturologico che sono state per la prima volta proposte e pubblicate nel 1985 dall’Association Française de Posturologie. La revisione sistematica di Ruhe et al. del 2010 riporta un sostanziale consenso per i seguenti parametri: durata dell’esame almeno 50 sec, ripetizione dell’esame almeno 3-5 volte, esecuzione a occhi aperti e occhi chiusi (per valutare l’influenza sulla postura del recettore occhio), frequenza ottimale di 10-20 Hz. Il consenso invece non è stato trovato per quanto riguarda la posizione dei piedi sulla pedana (obbligati a 30° di apertura o liberi nell’appoggio) e sulla ripetizione in giorni e orari diversi. In effetti un esame della postura per esempio in periodo pre- e postprandiale potrebbe in linea di principio dare una risposta diversa; • l’esame tridimensionale mediante marker posizionati su punti di repere fissi, come dall’alto verso il basso, filtro labiale e trago, acromion e fossetta giugulare, cresta iliaca e spina iliaca anteriore-superiore ecc., che permettono attraverso un software dedicato di calcolare l’inclinazione, la rotazione e lo spostamento sul piano sagittale del corpo esaminato rispetto a un sistema di riferimento extra corporeo; • apparecchi di più recente generazione, citati nel paragrafo precedente, che sulla base di un’analisi ottica tridimensionale dell’individuo sul piano frontale e sagittale ricostruiscono la superficie del tronco con le sue eventuali deviazioni e rotazioni della colonna vertebrale; • l’elettromiografia studia l’attività elettrica a riposo dei principali muscoli posturali e la loro simmetria. Da questo elenco manca tutta la strumentazione utilizzata da dentisti e tecnici optometrici per il loro contributo specifico alla risoluzione dei problemi di postura. PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI 5 marzo 2011 Numero 1 Qual è la procedura più semplice per acquisire dati utili sui recettori perturbati nel nostro paziente? Una volta accertata la presenza di uno squilibrio posturale nel nostro paziente ci si deve chiedere, sia nel giovane che nell’anziano, quale può essere il recettore perturbato da correggere e quale strategia adottare successivamente per una riabilitazione posturale accettabile da un punto di vista fisico e psicologico, tollerabile per la sua durata e, non ultima, conveniente da un punto di vista economico. Programmare una terapia ortodontica prolungata nel tempo in un giovane o prescrivere all’anziano un lungo periodo di terapie fisiche e riabilitazione può non rappresentare la soluzione ideale se prima non è stata fatta una diagnosi posturale corretta. Uno dei problemi più importanti della disfunzione posturale è il fatto che un recettore perturbato, come abbiamo visto più sopra, modifica l’assetto del corpo creando delle asimmetrie di tono dei muscoli posturali. Queste asimmetrie, a loro volta, possono modificare il funzionamento fisiologico di altri recettori. Si crea così un effetto a cascata che può ingannare l’osservatore tanto da ritenere di avere identificato il recettore “primario” mentre in realtà si tratta di uno “secondario”. Queste difficoltà diagnostiche differenziali, che ancora non hanno ricevuto un’adeguata attenzione nella letteratura recensita, sono tipiche della posturologia e rappresentano una sfida ma anche una fonte di continuo apprendimento per tutti gli operatori che a vario titolo si occupano di problemi posturali. La procedura più semplice per acquisire dati utili sul funzionamento dei recettori è senz’altro quella cosiddetta della “deprogrammazione” e del “test-retest clinico”. La parola deprogrammazione prevede implicitamente che esista una “riprogrammazione” della postura nel soggetto esaminato, dopo aver identificato i recettori perturbati, corretto le loro disfunzioni e consigliato le tecniche di riabilitazione più specifiche. Il test-retest clinico, nella diagnosi differenziale dei disturbi posturali, consiste invece nella ricerca sistematica del recettore responsabile che di volta in volta risponderà in senso binario (sì-no) ai nostri tentativi di riportare i parametri posturali in equilibrio. Così per esempio verificheremo, con l’uso degli occhi e delle mani, se l’assetto del corpo cambia per esempio a occhi chiusi (escludendo quindi il recettore occhio) oppure frapponendo tra le arcate uno spessore morbido (escludendo quindi il recettore stomatognatico). Reumatologia pratica 6 PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI Per quanto riguarda i piedi, se l’assetto cambia stimolando manualmente certi punti del piede o facendo deambulare il paziente su particolari solette propriocettive, suggeriremo l’intervento del podologo. Per quanto riguarda il recettore cute, la ricerca delle cicatrici “attive” si impone quando tutti gli altri recettori siano risultati negativi. L’attento esame della cute del paziente permetterà di localizzare le cicatrici e di verificarne soprattutto la sensibilità alla palpazione, in quanto l’ispezione da sola può ingannare (una cicatrice appena visibile può risultare attiva mentre un cheloide no). Con il test-retest clinico si procederà a sfiorare o palpare ogni cicatrice o segmento di essa per alcuni secondi, in successione, fino a identificare quella che corregge l’assetto posturale per un tempo variabile che può durare da 15 minuti a 1 ora. Esempi di diagnosi e correzione della postura Esempio 1 Signora di anni 55 con lombalgia cronica insorta alcuni mesi dopo un intervento di emicolectomia dx per perforazione intestinale avvenuta 3 anni prima. La cicatrice xifo-pubica è risultata sensibile alla palpazione alle sue estremità (Fig. 5C) ed è stata infiltrata con 1 cc. di mepivacaina al 2%. L’ispezione del piano frontale posteriore, prima dell’infiltrazione, mostra una testa spostata verso sinistra e un dislivello delle dita della mano, segno indiretto di spalla sinistra più alta (vedi frecce Fig. 5A, a sinistra). Mezz’ora dopo l’infiltrazione la testa è più centrata e la postura delle spalle si è equilibrata (Fig. 5A, a destra). Sul piano sagittale, prima dell’infiltrazione, si può vedere uno spostamento in avanti della testa, della spalla e del gomito (vedi frecce Fig. 5B, a sinistra). Nella stessa figura è visibile anche un doppio contorno del contorno posteriore del tronco e delle cosce, segno indiretto di rotazione e torsione in senso antiorario del cingolo pelvico (vedi frecce). Tutti i segni descritti tendono a ridursi 30 minuti dopo l’infiltrazione della cicatrice (Fig. 5B, a destra). L’esame baropodometrico evidenzia una maggior pressione sull’avampiede destro (22,5% del totale rispetto al 12,5% dell’avampiede controlaterale) (Fig. 5D, a sinistra). La linea che collega il baricentro corporeo con il baricentro dei due piedi (cerchi pieni di color rosa) rappresenta la proiezione a livello podalico dell’asse del bacino. Il sollevamento della linea a destra rispetto al piano orizzontale conferma la rotazione del bacino in senso Diagnosi differenziale dei disturbi posturali marzo 2011 Numero 1 A C B D Figura 5. Paziente di 55 anni con lombalgia cronica. (A) postura in frontale posteriore, prima (a sinistra) e 30 minuti dopo (a destra) l’infiltrazione della cicatrice; (B) idem per la proiezione sagittale; (C) cicatrice trattata alle sue estremità (vedi frecce) con 1 cc. di mepivacaina al 2%; (D) baropodometria prima (a sinistra), 30 minuti dopo l’infiltrazione (al centro) e 10 giorni dopo l’infiltrazione (a destra) (per gentile concessione del dott. Lorenzo Linari di Prato). M. Romoli la cicatrice attiva è stata considerata la causa prevalente della disfunzione posturale. Esempio 2 Signorina di anni 30 con 7-8 giorni di lombalgia al mese, soprattutto nella stagione fredda, da almeno 10 anni. Episodi saltuari di lombosciatalgia sinistra fino al ginocchio. Dallo stesso periodo di tempo cervicalgia con cefalea di tipo tensivo. Nessun incidente nell’anamnesi a carico del rachide cervicale. Nell’im- Reumatologia pratica antiorario vista in proiezione sagittale. La linea torna orizzontale 30 minuti dopo l’infiltrazione e la distribuzione del peso nei 4 quadranti risulta più simmetrica (Fig. 5D, immagine al centro). Tale assetto si mantiene 10 giorni dopo la terapia (Fig. 5D, a destra). Buon risultato della terapia (una sola infiltrazione) con mantenimento della postura corretta e miglioramento netto della lombalgia (nessun giorno di lombalgia nel mese successivo rispetto ai 7 giorni del mese precedente). In questa paziente quindi PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI 7 marzo 2011 Numero 1 A B C Figura 6. Paziente di 30 anni con lombalgia e cervicalgia cronica. (A) postura in frontale posteriore, prima (a sinistra) e 30 minuti di deambulazione su solette propriocettive (a destra); (B) idem per la proiezione sagittale; (C) baropodometria prima (a sinistra) e dopo 30 minuti di deambulazione su solette propriocettive (a destra) (per gentile concessione del dr. Lorenzo Linari di Prato). magine di base (Fig. 6A, a sinistra) si può notare un sollevamento della spalla sinistra con dislivello delle dita della mano (frecce), uno spostamento verso destra della linea verticale a livello gluteo e una rotazione oraria del bacino con slargamento del triangolo della taglia a sinistra. Modificando la sensibilità propriocettiva dei recettori podalici con l’inserimento di stimoli cuneiformi di vario spessore (in pratica facendo portare alla paziente delle solette propriocettive), dopo mezz’ora si può notare un parziale abbassamento della spalla sinistra e una derotazione del bacino. In sagittale, portando le solette propriocettive, la paziente solleva la testa e arretra con il tronco (Fig. 6B, a destra). La baropodometria, lasciando libera la paziente di scegliere la posizione più confortevole, mostra un sovraccarico sull’avampiede sinistro (36,6% del totale rispetto al 24,4% dell’avampiede controlaterale). La linea dei baricentri è sollevata a sinistra confermando l’evidente rotazione del bacino in senso orario (Fig. 6C, a sinistra). L’uso delle solette per mezz’ora fa ar- Reumatologia pratica 8 PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI retrare e riportare in orizzontale la linea in questione. È molto probabile che mezz’ora sia un tempo troppo breve per vedere un miglioramento più marcato che Figura 7. Paziente di 30 anni con metatarsalgia bi- laterale e centratura non corretta delle lenti. Baropodometria con occhiali (a sinistra), pochi minuti senza occhiali (a destra) (per gentile concessione del dr. Lorenzo Linari di Prato). Diagnosi differenziale dei disturbi posturali marzo 2011 Numero 1 in genere si osserva dopo 1-6 mesi di stimolazione propriocettiva. In questa paziente quindi il piede è stato considerato la causa prevalente della disfunzione posturale. Esempi iatrogeni di interferenza sulla postura Esempio 3 Signora di 30 anni che presenta metatarsalgia bilaterale da 4 mesi. L’esame baropodometrico, eseguito con i piedi divaricati a 30° (posizione consigliata ma non accettata da tutti gli autori) e con gli occhiali, mostra un sovraccarico bilaterale sugli avampiedi e una rotazione oraria del bacino (Fig. 7, a sinistra). Senza occhiali, dopo pochi minuti, la rotazione diminuisce e la linea dei baricentri si sposta verso il tallone e si alleggerisce il carico sui metatarsi (Fig. 7, a destra). La soluzione di questo caso si è avuta sostituendo le lenti che non erano ben centrate: i centri ottici infatti risultavano 4 mm più bassi e 2 mm più larghi dei margini pupillari corneali. La conseguenza era un effetto prismatico non voluto sulla visione binoculare con secondaria alterazione della postura. La verifica delle lenti restituisce alla signora un assetto posturale migliore e soprattutto porta a una remissione dei suoi sintomi. Esempio 4 signora di 46 anni appassionata di trekking che da 2 anni soffre di cervicalgia e fascite plantare tanto A da dover rinunciare all’uso degli scarponi. L’esame baropodometrico permettendo alla paziente di posizionarsi nella posizione più confortevole mostra un sovraccarico sull’avampiede bilaterale, più a sinistra, che spiega i suoi sintomi. È evidente anche la rotazione oraria del bacino (Fig. 8A, a sinistra). Da un punto di vista odontoiatrico la paziente presenta un affollamento dei denti inferiori e un overjet. L’intervento correttivo sulla postura si basa sull’eliminazione dei precontatti iatrogeni in massima intercuspidazione su tutte le otturazioni (Fig. 8B) e la successiva simmetrizzazione della funzione masticatoria in lateralità, liberando la lateralità sinistra. Dopo l’eliminazione dei precontatti il bacino si corregge e la distribuzione del carico si sposta verso il tallone alleggerendo gli avampiedi (Fig. 8A, a destra). Due mesi dopo la fine dell’intervento odontoiatrico la paziente è migliorata con i suoi sintomi e ha potuto riprendere l’attività che più l’appassiona. Discussione I casi presentati rappresentano solo alcuni tipi di interferenza posturale da prevalente perturbazione di singoli recettori (piede, cute, occlusione, occhio). È interessante che in tutti e quattro i casi erano presenti sintomi dolorosi di incerta definizione per i quali erano stati richiesti esami di laboratorio e radiodiagnostici di vario tipo. Deve far riflettere il fatto che in ben 3 casi su 4 (l’esempio 2 richiede ancora una verifica temporale) l’identificazione del recettore perturbato abbia portato a un miglioramento significativo dei parametri B Figura 8. Paziente di 46 anni con fascite plantare e cervicalgia in presenza di precontatti iatrogeni. (A) baropodometria prima (a sinistra) e dopo eliminazione dei precontatti (a destra); (B) localizzazione dei precontatti con la carta articolare (per gentile concessione del dr. Lorenzo Linari e del dr. Andrea Papini di Prato). Reumatologia pratica M. Romoli PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI 9 marzo 2011 Numero 1 posturali e alla remissione della sintomatologia dolorosa, spesso cronica o recidivante. Nell’anamnesi e nella valutazione globale di un disturbo posturale vanno comunque presi in considerazione anche altri fattori destabilizzanti come i traumi (per esempio il colpo di frusta cervicale, i traumi sacrococcigei, le distorsioni della caviglia etc.). Anche le condizioni psicologiche del paziente (per esempio uno stato depressivo), oppure fattori di tipo endocrino-metabolico, possono influire sui parametri posturali sopra esposti. Il fatto di aver aggiunto alla fine della casistica 2 casi iatrogeni indica l’importanza di riconoscere quanto prima e di prevenire, per quanto possibile, il protrarsi nel tempo di problemi posturali di tipo iatrogeno nei nostri pazienti. Conclusioni L’esame della postura da parte del medico di medicina generale dovrebbe essere eseguito di routine nei pazienti di tutte le età soprattutto in presenza di sindromi dolorose recidivanti del rachide, ma non solo di questo, di incerta interpretazione in cui l’esame radiologico tradizionale, la TAC e la RMN non forniscono elementi chiari di riferimento diagnostico. L’esame ispettivo-morfologico del paziente come proposto in questo articolo può aiutare il medico a riconoscere i pazienti con una postura scorretta. Le tecniche di deprogrammazione e i test-retest clinici possono contribuire in modo semplice e affidabile a individuare la possibile presenza di interferenze sulla postura da parte di recettori perturbati. Reumatologia pratica 10 PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI La collaborazione interdisciplinare con altri professionisti può aiutare il medico a identificare il recettore primario seguendo, con la terapia mirata e con un programma di riabilitazione posturale specifico per il soggetto in questione, la migliore strategia possibile per il trattamento e la prevenzione di determinati disturbi muscolo-scheletrici. Bibliografia di riferimento Bernstein L.C. Aging – The health-care challenge. Philadelphia: Edizioni F.A. Davis Company 2002. Fortin C, Ehrmann Feldman D, Cheriet F, et al. Clinical methods for quantifying body segment posture: a literature review. Disabil Rehabil 2011;33:36783. Fortin C, Ehrmann Feldman D, Cheriet F, et al. Validity of a quantitative clinical measurement tool of trunk posture in idiopathic scoliosis. Spine 2010;19:E98894. Istituto Superiore di Sanità. Prevenzione delle cadute da incidente domestico negli anziani. PNLG 13 (20072009) Istituto Superiore di Sanità. Raine S, Twomey L. Attributes and qualities of human posture and their relationship to dysfunction or musculoskeletal pain. Crit Rev Phys Rehabil Med 1994;6:40937. Ridi R, Saggini R. Equilibrio corporeo. Bologna: Edizioni Martina 2003. Ruhe A, Fejer R, Walker B. The test-retest reliability of centre of pressure measures in bipedal static task conditions. A systematic review of the literature. Gait & posture 2010;32:436-45. Diagnosi differenziale dei disturbi posturali marzo 2011 volume 6 pagine 11-16 Vitamina D e metabolismo osseo Parole chiave Vitamina D • VDR (vitamin d receptor) • Metabolismo osseo • Rischio di frattura Riassunto In base alle ultime conoscenze scientifiche, la vitamina D viene considerata alla stregua di un vero e proprio ormone che agisce a livello di un numerosi tessuti che esprimono il VDR (recettore per la vitamina D). La funzione da tempo riconosciuta è quella di mantenere un’adeguata mineralizzazione dello scheletro, regolando l’omeostasi calcica, di concerto con il paratormone, prodotto dalle ghiandole paratiroidee. Studi recenti hanno dimostrato che il VDR è espresso sia dagli osteoblasti che dai precursori osteoclastici e la sua stimolazione tramite la forma attivata in posizione 1 e 25 della vitamina D provoca effetti a volte inattesi, aprendo la strada a possibili nuovi impieghi per molecole di vecchia conoscenza. L’effetto antifratturativo della vitamina D (dato dall’azione scheletrica e dall’azione sul muscolo) è stato confermato da ampie metanalisi svolte negli ultimi anni, a patto che venga impiegata alle dosi adeguate. Infine, dal punto di vista terapeutico, è importante sottolineare l’ormai noto aspetto epidemiologico, secondo il quale almeno ¾ della popolazione anziana risulta carente in vitamina D. Bruno Frediani, Ilaria Bertoldi Centro per l’Osteoporosi e la Diagnosi Strumentale OsteoArticolare, Sezione di Reumatologia, Università di Siena [email protected] gono utilizzati, specie nei Paesi nordici, come additivi fortificanti per cibi e bevande. La vitamina D biodisponibile per il nostro organismo deriva in gran parte dall’attivazione cutanea e in minima parte dalla dieta. Circola legata alle apposite proteine DBP (-D binding protein), dove viene trasportata al fegato, il sito della prima idrossilazione in posizione 25, a seguito della quale è chiamata calcidiolo o calcifediolo. Viene quindi trasformata nella forma attiva, 1,25 diidrossi-viaminaD o calcitriolo, ad opera di una idrossilasi renale e in questa maniera può esplicare i suoi effetti. Oggi sappiamo che anche altri tipi cellulari possiedono l’attività 1α-idrossilasica, come cheratinociti e macrofagi, che possono quindi produrre calcitriolo in loco con effetti autocrini e paracrini di grande interesse sia nel campo oncologico che immunologico. La forma che viene comunemente dosata è la 25(OH) D, sia perché ha un’emivita più lunga (di circa 2 settimane) rispetto all’1,25(OH)2D, che è più labile, con un’emivita di circa 4 ore, perché circola in concentrazioni maggiori di circa 1000 volte rispetto all’1,25(OH)2D e sia perché è il substrato per la produzione renale e non renale di 1,25(OH)2D. Inoltre il dosaggio della 1,25(OH)2D potrebbe non rappresentare in maniera veritiera lo status vitaminico di un soggetto, in quanto in corso di carenza di vitamina D aumenta a scopo compensatorio il PTH, il quale, tra le sue funzioni ha quella di indurre la produzione di Reumatologia pratica Alla luce delle più recenti scoperte, la vitamina D è attualmente considerata un ormone steroideo che esplica le sue azioni legandosi all’apposito recettore, il VDR, che è un classico fattore di trascrizione che, una volta attivato, forma un eterodimero con il recettore per il retinoide x (RXR). Il complesso VDR-RXR va ad interagire con gli elementi di risposta sul DNA, favorendo o inibendo la trascrizione di geni target. L’identificazione del recettore per l’1,25(OH)2D (VDR) su numerosi e disparati tipi cellulari (Fig. 1) ha aperto la strada per gli studi sul potenziale ruolo endocrino, paracrino e autocrino della vitamina D in varie malattie (autoimmuni, cardiovascolari, tumorali). Il pro-ormone, il colecalciferolo si forma a partire dagli steroli inclusi nel doppio strato delle membrane cellulari della cute tramite l’irradiazione UVB; è reperibile in natura in alcuni oli di pesce e potenzialmente è più biodisponibile rispetto all’ergocalciferolo. Quest’ultimo deriva dall’azione dei raggi UVB sugli steroli vegetali e si può reperire in alcuni tipi di funghi. Entrambi ven- PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI 11 marzo 2011 Numero 1 Serum Ca++ PTH “C” cells PTG CT 1,25-(OH)2D3 Stimolazione Soppressione Figura 1. Vitamina D e omeostasi calcica (da Deluca, 2008, mod.). 1,25(OH)2D da parte del rene; quindi potremmo trovare un livello di 1,25(OH)2D normale se non elevato, a fronte di uno status deficitario di vitamina D. Qualunque fattore che alteri la penetrazione cutanea dei raggi UVB o il 7-deidrocolesterolo incluso nel doppio strato lipidico delle membrane cellulare dei fibroblasti del derma e dei cheratinociti dell’epidermide può influenzare la produzione cutanea di vitamina D. Il contenuto dermo-epidermico di 7-deidrocolesterolo è abbastanza costante, fino all’età avanzata, quando va incontro a un rapido declino. È stato infatti osservato che a parità di condizioni ambientali, gli anziani ultrasettantenni producono circa il 25% della vitamina D prodotta dai giovani ventenni. Inoltre va considerato il contenuto cutaneo di pigmento melanico, che è il nostro schermo solare naturale. I soggetti con fototipo scuro, più protetti contro i potenziali danni dei raggi solari, producono, a parità di esposizione, molta meno vitamina D rispetto ai soggetti con pelle chiara. Anche l’utilizzo di creme solari diminuisce la produzione di vitamina D: un fattore di protezione 8 diminuisce la produzione di vitamina D del 95%, un fattore di protezione 15 più del 98%. I fattori ambientali sono altrettanto importanti da questo punto di vista, infatti con il variare della stagione, della latitudine e dell’orario di esposizione varia l’in- Reumatologia pratica 12 PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI clinazione con cui i raggi colpiscono la cute e dunque il numero di fotoni efficace per unità di superficie. Alle nostre latitudini, il livello di vitamina D nel sangue presenta una stagionalità e l’ipovitaminosi è estremamente frequente alla fine dell’inverno, mentre nelle zone più vicine all’equatore la produzione di vitamina D è più abbondante e costante durante tutto il corso dell’anno. Non va dimenticato che la vitamina D è liposolubile e viene immagazzinata nel tessuto adiposo. La quota in eccesso di vitamina D prodotta durante il periodo estivo viene accumulata nel grasso e utilizzata durante l’inverno. Tuttavia il tessuto adiposo può rappresentare una vera e propria trappola: si è visto che in media i soggetti con elevata BMD presentano livelli sierici più bassi di 25(OH)D rispetto ai soggetti magri e che dopo identica supplementazione ed esposizione solare i soggetti obesi esibiscono un incremento di 25(OH) D minore di circa il 50% rispetto ai non obesi. Riassumendo, le cause di inadeguati livelli di vitamina D sono molteplici e possono riguardare fattori ambientali o personali, legati anche a patologie o ad assunzione di farmaci (Tab. II). La funzione “classica” della vitamina D è quella di mantenere un’adeguata mineralizzazione dello scheletro e la sua carenza durante la crescita si manifesta Vitamina D e metabolismo osseo marzo 2011 Numero 1 Distribuzione tessuti Adiposo Cartilagine Cellule beta del pancreas Cellule tumorali Cervello Colon Epididimo Fegato (fetale) Follicolo pilifero Ghiandola a guscio d’uovo Intestino Ipofisi Linfociti (B e T) Midollo osseo Muscolo, cardiaco Muscolo, embrionale Muscolo, liscio Osso Osteoblasti Ovaia Paratiroide Parotide Pelle Placenta Polmone Prostata Rene Retina Sacco vitellino (uccello) Seno Stomaco Surrenale Testicolo Timo Tiroide Utero con il rachitismo, malattia dello scheletro osservata con l’avvento dell’industrializzazione, quando nei primi grandi agglomerati urbani, i bambini crescevano in pessime condizioni ambientali e nutrizionali, con scarsa esposizione alla luce e importante inquinamento dell’aria. L’azione di questa vitamina sullo scheletro consiste nel mantenere elevato il prodotto calcio-fosfo- B. Frediani, I. Bertoldi ro nel sangue, in modo da permettere il processo di mineralizzazione, da una parte, dall’altra di evitare la tetania ipocalcemica. A livello del piccolo intestino, infatti, la vitamina D permette il trasporto attivo del calcio contro gradiente di concentrazione e, con meccanismo indipendente, anche del fosfato. Quando il calcio introdotto con la dieta risulta insufficiente, al fine di mantenere costante la calcemia, deve essere attinto da altre fonti, ovvero dallo scheletro, tramite l’attivazione di processi di demineralizzazione, o dal rene, tramite una minore eliminazione dello ione con le urine. La 1,25(OH)2D e il PTH, stimolano il riassorbimento osseo mediato dagli osteoclasti e la ritenzione di calcio da parte del tubulo distale. Attraverso queste vie la calcemia risale, si evita la tetania ipocalcemica e i processi di mineralizzazione possono riprendere. Le cellule della paratiroide possiedono delle particolari proteine (calcium sensitive proteins), sensibili alle variazioni della calcemia, che inducono il rilascio di PTH in caso di minimo stimolo ipocalcemico. A livello delle cellule del tubulo prossimale, il PTH induce la trascrizione del gene CYP27B1, che codifica per l’alfa-1-idrossilasi, la quale produce la forma attiva della vitamina D. In questo modo la vitamina D può esplicare la sua azione nei modi suddetti per riportare la calcemia nella norma. Inoltre un’altra importante funzione della vitamina D è quella di inibire la trascrizione del preproparathyroid gene e prevenire la proliferazione indiscriminata delle cellule paratiroidee in caso di ipocalcemia. In condizione di ipercalcemia invece vengono stimolate le cel- Tabella II. Fattori di rischio per la carenza di vitamina D. Età avanzata Pigmentazione scura della pelle Istituzionalizzato o domiciliare Maggiore distanza dall’equatore Stagione invernale Protezione solare e/o tipo di abbigliamento comprente Inquinamento atmosferico Fumo Obesità Malassorbimento Malattie renali Malattie del fegato Farmaci: anticonvulsivante, glucocorticoidi, antirigetto e farmaci per il virus dell’immunodeficienza umana Reumatologia pratica Tabella I. Tessuti che esprimono il VDR (da Norman, 2008, mod.). PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI 13 marzo 2011 Numero 1 lule C della tiroide a produrre calcitonina, che blocca i siti di riassorbimento del calcio, agendo quindi a livello scheletrico e renale (Fig. 1). Il fenotipo più conosciuto correlato alla deficienza di vitamina D è quello del rachitismo nei bambini con arresto della crescita delle ossa lunghe e deformità scheletriche, descritti già nell’antica Grecia, e dell’osteomalacia negli adulti, caratterizzata, quest’ultima, da aree di matrice osteoide non mineralizzata, radiologicamente evidenti come pseudofratture di Looser. Nel XX secolo, la somministrazione estensiva di olio di fegato di merluzzo nei bambini ha portato a un rapido decremento dei casi di rachitismo, che con l’industrializzazione aveva assunto dimensioni pandemiche. Ciò ha anche permesso la caratterizzazione del rachitismo vitaminaD-resistente (che in realtà comprende diverse forme di rachitismo geneticamente determinate) e gli studi che ne sono seguiti hanno permesso di gettare le basi molecolari per la comprensione dei meccanismi con cui la vitamina D agisce sul tessuto osseo. Il rachitismo pseudovitaminaD deficiente è dovuto a un difetto genetico, autosomico recessivo, che causa inattività della 25(OH) D1-αidrossilasi con impossibilità di conversione del calcidiolo in calcitriolo. Abbiamo inoltre il rachitismo ereditario vitaminaD-resistente dovuto alla mutazione del VDR, con elevati livelli circolanti di 1,25(OH)2D comunque inefficaci per l’inattività del recettore. Altra forma fenotipicamente espressa come rachitismo è l’ipofosfatemia familiare, un disordine genetico Xlinked in cui l’ipofosfatemia è dovuta a un diminuito riassorbimento del fosfato a livello del tubulo renale, la funziolità renale è tipicamente conservata e i livelli di 1,25(OH)2D sono bassi o inappropriatamente normali; le alterazioni dell’ipofosfatemia X-linked sono correlate a elevati livelli circolanti di FGF23 (fibroblast growth factor), un ormone fosfaturico e il difetto genetico è a carico di un’endopepetidasi, PHEX. Oltre all’azione descritta e meglio conosciuta sull’omeostasi calcica, la vitamina D esplica azioni dirette sull’osso, tramite l’interazione con il VDR espresso sulla superficie cellulare. Sull’osteoblasta la stimolazione del VDR, tramite il legame con l’agonista, regola l’espressione di proteine della matrice ossea (osteopontina e matrix gla protein) e favorisce, di concerto con la stimolazione data dal paratormone, dall’IL-11 e dalla PGE2, l’espressione di RANK ligand, il ligando del recettore attivante NF-kB (RANK), che si trova sulle cellule della linea osteoclastica; l’attivazione di questo recettore è il principale Reumatologia pratica 14 PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI stimolo per la differenziazione, maturazione e attivazione degli osteoclasti (Fig. 2). In modelli animali VDR null, si è visto che l’osteoclastogenesi e la sintesi di RANK ligand in risposta al paratormone erano comunque conservate ad attestare l’esistenza altri fattori, non ancora completamente chiariti, che compensano l’assenza del VDR. Anche gli studi sulle colture cellulari sono stati recentemente d’aiuto nella decodifica delle complesse interazioni tra vitamina D e tessuto osseo. Si è visto che gli osteoblasti in coltura non esprimenti il VDR presentavano un processo di differenziazione accelerato, con un aumento della fosfatasi alcalina e incremento nella formazione di matrice ossea. Al contrario, i progenitori degli osteoblasti e degli adipociti, le cellule stromali, se modificate per non esprimere il VDR, andavano incontro a un’esaltata adipogenesi. Infatti, in assenza del VDR, risultava aumentata l’espressione di due inibitori della via canonica di Wnt (potente segnale di attivazione osteoblastica): DKK1 e SFRP2. Questi risultati non si ripetevano negli studi in vivo, nei topi VDR null, suggerendo l’esistenza di fattori che compensano la perdita della funzione del VDR, permettendo comunque la differenziazione delle cellule stromali in senso osteoblastico. È stata riconosciuta un’azione diretta della 1,25(OH)2D anche sui precursori degli osteoclasti, tramite interazione con il VDR espresso sulla superficie cellulare, con risultato netto di inibizione della maturazione osteoclastica. Studi su colture cellulari e su modelli animali hanno dimostrato che 1α,25(OH) inibisce l’attivazione osteoclastica indotta da RANK-ligand, bloccando l’induzione di c-Fos (stimolato invece in maniera dosedipendente dall’attivazione di RANK ligand). L’effetto sul prodotto di c-Fos da parte di 1α,25(OH) non si osservava su topi VDR-null. Nei precursori osteoclastici in cui veniva indotta, tramite retrovirus, un’iperesperessione di C-Fos, l’inibizione dell’osteoclastogenesi ad opera di 1α,25(OH) risultava fortemente ridotta. Anche le manipolazioni genetiche, come spesso accade, sono state d’aiuto, mostrando che Topi c-Fos-null presentavano una forma di osteopetrosi, causata da un difetto della differenziazione osteoclastica. Queste nuove scoperte sugli effetti endocrini e paracrini della 1,25(OH)2D sono ancora in larga misura da chiarire e da approfondire, tuttavia lasciano spazio per immaginare nuovi impieghi per molecole di vecchia conoscenza, riflettendo ancora, se fosse necessario, come l’utilizzo delle varie forma di vitamina D (idrossilate, attive, non attive) non possa mai essere considerato sovrapponibile, ma debba essere indiriz- Vitamina D e metabolismo osseo marzo 2011 Numero 1 1,25-(OH)2D2 PTH PGE2 IL-11 Nucleo Osso Cellule stromali/osteoblasti RANKL OPG RANK RANKL Perfusione mononucleare dell’osteoclasta Spazio midollo CFU-GM Precursori degli osteoclasti Osso RANKL RANKL Osteoclasto attivato Polykaryon RANKL Osso Sopravvivenza dell’osteoclasta Figura 2. Effetti diretti della 1,25(OH)D sulle cellule del tessuto osseo (da Deluca, 2008, mod.). B. Frediani, I. Bertoldi D’altra parte si è visto che i livelli di vitamina D influiscono anche sulla risposta del trattamento antiosteoporotico, con miglioramenti della BMD decisamente più cospicui nei pazienti vitamina D-repleti. Un altro importante aspetto da considerare nella valutazione del rischio fratturativo è l’apparato muscolare, su cui agisce la vitamina D. I recettori per l’1,25(OH)2D si trovano sulle cellule muscolari e la loro stimolazione porta alla sintesi proteica, alla crescita cellulare e implementa le funzioni muscolari. La carenza di vitamina D è considerata uno dei più importanti fattori della sarcopenia e della degenerazione del tono muscolare correlati all’età avanzata, determinanti nel rischio di caduta. Inoltre un’insufficienza severa di vitamina D (25OH < 12 ng/ml) è causa della miopatia osteomalacica, caratterizzata da importante debolezza muscolare e dolore, che si risolve rapidamente dopo somministrazione di vitamina D. La carenza di vitamina D è tra i problemi di salute più Reumatologia pratica zato caso per caso. Nel corso degli ultimi decenni sono apparsi numerosi studi epidemiologici che hanno evidenziato una correlazione tra fratture da fragilità e livelli deficitari di vitamina D. Una recente metanalisi di Bischoff-Ferrari ha messo in evidenza l’efficacia antifratturativa della supplementazione di vitamina D nelle fratture non vertebrali in generale e nelle frattura di femore, a patto che la supplemetazione sia eseguita a dosi adeguate, di almeno 700-800 UI/die, per raggiungere una concentrazione sierica di 25(OH)D attorno alle 100 nmol/L o 40 ng/ml, con cui si ottiene una riduzione del rischio di frattura del 26% per il femore e del 23% per le fratture non vertebrali. L’individuazione di una soglia di efficacia antifratturativa dei livelli sierici di 25(OH)D può spiegare i risultati controversi di molti altri studi, in cui la supplentazione non era sufficiente a far innalzare i livelli sierici di 25(OH)D alla soglia individuata. PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI 15 marzo 2011 Numero 1 diffusi al mondo e maggiormente sottodiagnosticati, e, tra i medici stessi vi è una certa ritrosia a considerare l’ipovitaminosi D come una patologia o almeno un potenziale problema patologico da curare. Tuttavia le evidenze scientifiche sono chiare e impongono di tenere in considerazione questo problema nella pratica clinica. Secondo le ultime tendenze, i livelli di 25(OH) D sono da considerare normali sopra a 30 ng/ml, mentre è da considerare insufficienza severa al di sotto di 12 ng/ml. La supplementazione con colecalciferolo, d’altra parte, presenta ampi margini di sicurezza; basti pensare che, secondo una stima conservativa, il massimo dosaggio considerato sicuro è di 2000 UI al giorno e addirittura un report recente non evidenzia effetti avversi per una supplementazione di 10000 UI al giorno per 6 mesi. Solo per livelli sierici di 25(OH) superiori a 150 ng/ml si può presentare il rischio di ipercalcemia. Tenendo presente anche che quasi ¾ della popolazione anziana è carente in vitamina D, appare sicuramente più indicato e meno costoso, piuttosto che richiedere dosaggi sierici ai singoli pazienti anziani, un approccio preventivo sulla popolazione, con colecalciferolo o ergocalciferolo ad alte dosi intermittenti, calcolate sulla base di una supplementazione media di almeno 800-1000 UI al giorno. Bibliografia di riferimento Adami S, Giannini S, Bianchi G, et al. Vitamin D status and response to treatment in post-menopausal osteoporosis. Osteoporos Int 2009;20:239-44. Adams JS, Hewison M. Update in vitamine D. J Clin Endocrinol Metab 2010;95:471-8. Bell TD, Demay MB, Burnett-Bowie SA. The biology and pathologyof vitamine D control in bone. J Cell Biochem 2010;111:7-13. Bischoff-Ferrari HA, Willett WC, Wong JB, et al. Prevention of nonvertebral fractures with oral vitamin D and Reumatologia pratica 16 PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI dose dependency: a meta-analysis of randomized controlled trials. Arch Intern Med 2009;169:55161. Borradale D, Kimlin M. Vitamin D in health and disease: an insight into traditional functions and new roles for the ‘sunshine vitamin’. Nutr Res Rev 2009;22:11836. DeLuca HF. Evolution of our understanding of vitamin D. Nutr Rev 2008;66(10 Suppl 2):S73-87. Haussler MR, Haussler CA, Bartik L, et al. Vitamin D receptor: molecular signaling and actions of nutritional ligands in disease prevention. Nutr Rev 2008;66(10 Suppl 2):S98-112. Holick MF. 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J Steroid Biochem Mol Biol 2004;89-90:575-9. Vitamina D e metabolismo osseo Marzo 2011 volume 6 pagine 17-20 La gotta è una malattia indiscutibilmente unica nel panorama della patologia umana in quanto racchiude in sé le caratteristiche di tutte le malattie. La gotta può essere del tutto asintomatica o dolorosissima, facile da diagnosticare o ingannevole ed insidiosa, può manifestarsi in soggetti giovanissimi od esordire in tarda età, può andare incontro a remissione completa o presentare una inarrestabile evoluzione con drammatiche complicanze a livello sia articolare che extra articolare. Si può affermare, senza ombra di dubbio, che la gotta è una delle malattie delle quali si ha ampia documentazione fin dall’antichità. Ippocrate (460-337 a.C.) ne rilevò la predilezione per l’uomo, la sua rarità nel fanciullo e nella donna prima delle menopausa, descrisse l’azione favorente dell’eredità e degli eccessi alimentari. La gotta, nel corso dei secoli, si è sempre posta al centro dell’attenzione dei medici ma ha attratto anche l’attenzione di scrittori, poeti e pittori, che ne hanno immortalato mirabilmente le caratteristiche cliniche. La testimonianza più potente del grido di dolore di chi soffriva di gotta nell’antichità viene dalle parole di Sofocle che, nel Filottete, fa una descrizione perfetta e drammaticamente attuale del dolore del gottoso, riportandone tutte le caratteristiche quali l’accessionalità (“viene questo male di tempo in tempo, quando forse del suo errare è sazio”), l’intensità (“tremendo è il peso del mio male e dir non lo si può … oh! Piede quale male a me tu fai!”) ed il carattere trafittivo del dolore (“tu mi uccidi, qualora tu mi tocchi”) 1. La gotta, nella letteratura non medica non parla solo il linguaggio della tragedia, ma anche quello della commedia. La gotta è infatti da sempre considerata malattia intimamente legata all’alimentazione ed allo Walter Grassi, rossella de angelis Clinica Reumatologica Università Politecnica delle Marche, Ancona [email protected] Parole chiave Gotta • Iperuricemia • Febuxostat stile di vita ed il gottoso finisce col diventare simbolo di eccessi e di abitudini riprovevoli. Il dissacratore Marziale cita spesso la gotta, disegnando lo stereotipo non della malattia drammatica come fa Sofocle, ma della malattia del ricco antipatico, della persona dedita ai piaceri e non ai doveri. Questa immagine tutt’altro che edificante del gottoso viene ripresa dalla letteratura e dall’iconografia successiva, tramandandosi fino ai giorni nostri. Memorabili sono le rappresentazioni della malattia nei cortometraggi di Chaplin o di Stan Laurel e Oliver Hardy, nei quali il gottoso è spesso dipinto come ricco, grasso, cattivo e talora perfido persecutore di giovani fanciulle. Sulle cause della gotta si sono registrate, nel corso dei secoli, le ipotesi più fantasiose. I rapporti tra gotta ed acido urico vennero intuiti per la prima volta da Murray Forbes nel 1793. L’acido urico era stato scoperto da Scheele e Bergman quindici anni prima nei calcoli vescicali e nell’urina umana. Quattro anni dopo la pubblicazione degli scritti di Murray Forbes, fu Wollaston a rilevare la presenza di acido urico nei depositi articolari dei gottosi. In seguito a questa scoperta la dottrina “uratica” della gotta andò acquistando rapidamente favore anche se per lungo tempo si registrarono sul tema orientamenti alquanto diversi. L’importanza del potus e degli eccessi venerei trova mirabile, sintetico riconoscimento in questi versi di Edilo (270 a.C.), che così canta: “La figlia di Bacco, il re del vino, che toglie le forze, e di Afrodite, la regina dell’amore, che toglie le forze, è la gotta, che toglie le forze”. Il rapporto tra gotta ed attività sessuale ha attirato l’attenzione dei medici di varie epoche. Specie nel XIX secolo, era diffusa la convinzione che l’attacco di gotta non potesse essere spiegato altrimenti che come espressione di una irritazione meccanica legata all’atto sessuale notturno. In fondo, questa teoria poteva rappresentare una vera e propria quadratura del cerchio: la gotta non colpiva le donne ma gli uomini solo dopo la maturazione puberale, insorgeva nella seconda metà di notte, im- Reumatologia pratica La gotta: malattia dei re e regina delle malattie PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI 17 marzo 2011 Numero 1 provvisamente (il gottoso si coricava in perfetta salute e, dopo qualche ora, al cantar del gallo, si scatenava l’attacco violentissimo) e, almeno all’inizio, tendeva alla remissione spontanea. Non sorprende perciò che essere colpiti dalla gotta potesse rappresentare un problema non trascurabile per monaci e sacerdoti, che erano indotti a non ammettere di essere affetti da una malattia così imbarazzante. Di certo la gotta, per secoli, è stata appannaggio quasi esclusivo delle classi dominanti. La gotta è da sempre considerata una malattia delle persone particolarmente brillanti. Probabilmente l’umanità deve molto ai gottosi, se si pensa che l’elenco di coloro che ne hanno sofferto comprende Alessandro Magno, Ovidio, Marziale, Carlo Magno, Galileo, Milton, Carlo V, Goethe, Leibniz, Rubens, Leonardo da Vinci, Michelangelo, Lorenzo il Magnifico, Lutero, Kant, Voltaire, Newton, Darwin, Marx. Al di là delle osservazioni storiche, la relazione fra gotta e intelligenza emerge anche da uno studio pubblicato sul Journal of Medical Genetics, da cui risulta che fra gli appartenenti al MENSA, il club dei soggetti superintelligenti, vi è un incremento statisticamente significativo di due condizioni: la gotta e la miopia 2. Come spiegare questa associazione? Fra i possibili fattori da considerare vi è la curiosa analogia fra la formula di struttura della caffeina e quella dell’acido urico (l’acido urico è una metilxantina). Pertanto, un paziente con elevati livelli di uricemia si verrebbe a trovare in una condizione analoga a quella di chi è costantemente esposto agli effetti neurostimolanti della caffeina. Sulla terapia della gotta i medici hanno dato prova di ampia fantasia. Scribonio Largo (46 d.C.), ad esempio, per la cura dell’attacco acuto di gotta propone un originale protocollo di elettroanalgesia: “Appena il dolore gottoso comincia, il paziente deve mettere sotto il piede una torpedine nera viva”. Giovanni Maria Lancisi (1654-1720), medico romano ed archiatra pontificio, passò in rassegna i vari tipi di terapia della gotta in uso nelle diverse parti del mondo. Nel Dizionario Classico di Medicina Interna ed Esterna del 1833 si propone un’ampia e variegata gamma di possibili interventi quali: “apponimento giornaliero di cataplasmi emollienti”, “vescicatori”, “soleggiamento”, “fregagioni ed embrocazioni con materie grasse ed oleose”, “esposizione dell’arto ad intenso fuoco”, “cacciate di sangue locali”, “applicazione di sanguisughe nei dintorni dell’articolazione”, “copioso salasso praticato sul braccio”, “applicazione locale di ferro arroventato”. Reumatologia pratica 18 PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI Per quanto concerne la terapia farmacologica l’armamentario dei medici ottocenteschi era certamente ampio e comprendeva: guajaco, china, arnica, cannella, menta pepata, legno amaro del Surinam, zenzero, pepe, narcotici 3. La posizione sulla dieta era categorica: “Deggiono i gottosi usare la massima attenzione sul metodo alimentare; la dieta vegetabile e l’astinenza dal vino alleviarono maggior numero di malati che non verun altro mezzo farmaceutico”. L’uso terapeutico dell’acqua ha da sempre costituito parte integrante degli schemi di trattamento della gotta, che si sono succeduti nel corso dei secoli. Il bagno ristoratore e lenitivo non si è mai negato ai malati reumatici e, in particolare, ai pazienti con gotta cronica. Nelle ricette ottocentesche si rileva spesso la prescrizione di “bagni prolungatissimi di acqua semplice, a cui aggiungerassi la continua applicazione di cataplasmi emollienti e narcotici”. L’azione terapeutica dell’acqua è stata molto valorizzata anche sul versante della idropinoterapia. Il concetto dell’acqua che depura e che scioglie in qualche modo le concrezioni di acido urico che deturpano il corpo dei malati di gotta cronica è chiaramente espresso in una autorevole ricetta della prima metà dell’800. Al paziente con gotta viene prescritto di “bere abbondantemente acqua caldissima (quarantotto bicchieri da sei once ognuno, senza sosta)”. Nel disperato tentativo di trattare le più gravi forme di gotta si cercarono soluzioni anche estreme basate su osservazioni epidemiologiche inequivocabili. Il fatto, ad esempio, che la gotta risparmiasse gli eunuchi era noto da gran tempo e non era sfuggito allo stesso Ippocrate: “eunuchi non laborant podagra”. Ciò portò all’introduzione della castrazione nel trattamento della malattia. Fortunatamente per i pazienti, gli orientamenti in tema di terapia della gotta si sono radicalmente modificati nel corso degli anni ed oggi questa malattia può essere considerata curabile, se si attua una pronta ed efficace strategia di trattamento. La terapia della gotta ha due obiettivi fondamentali: la riduzione dei livelli di acido urico al di sotto dei valori di 6,0 mg/dl e la prevenzione o il trattamento degli episodi di flogosi acuta da microcristalli e/o delle complicanze extra-articolari della malattia. Le linee guida dell’EULAR 4 costituiscono oggi lo standard internazionale di riferimento e forniscono chiare indicazioni per la corretta gestione degli episodi acuti e per la riduzione dei livelli di uricemia. La colchicina, La gotta: malattia dei re e regina delle malattie marzo 2011 Numero 1 Tabella I. Terapia della gotta: raccomandazioni (da Zhang et al., 2006, mod.) 4. FDR (95% IC) SAV 100 A + B* 1 Il trattamento ideale della gotta richiede modalità sia farmacologiche che non farmacologi- 96 (da 93 a 98) che e dovrebbe essere adattato al paziente in accordo a: a) fattori di rischio specifici (livelli di uricemia, precedenti attacchi, segni radiologici) b) fase clinica della malattia (gotta acuta/ricorrente, gotta intercritica e gotta cronica tofacea) c) fattori di rischio generici (età, sesso, obesità, consumo di alcol, uso di farmaci che determinano aumento dei livelli di urati, interazioni farmacologiche e comorbidità) 100 2 L’educazione ed i consigli sullo stile di vita che riguardano la perdita di peso per i soggetti 95 (da 91 a 99) obesi, la dieta e la riduzione del consumo di alcolici (soprattutto birra) rappresentano aspetti centrali per la gestione del paziente 100 3 Le comorbidità associate e i fattori di rischio, come l’iperlipidemia, l’ipertensione, l’ipergli- 91 (da 86 a 97) cemia, l’obesità ed il tabagismo, dovrebbero essere affrontati come una parte importante nella gestione della gotta 94 4 La colchicina e/o i FANS sono i farmaci orali di prima scelta per il trattamento sistemico 94 (da 91 a 98) degli attacchi acuti; in assenza di controindicazioni i FANS rappresentano un’opzione efficace e ben tollerata 100 5 La somministrazione di alte dosi di colchicina porta all’insorgenza di effetti collaterali mentre basse dosi (ad esempio 0,5 mg tre volte al giorno) possono essere sufficienti per alcuni pazienti con gotta acuta 83 (da74 a 92) 82 6 L’aspirazione del liquido sinoviale seguita dall’infiltrazione intra-articolare di uno steroide a lunga durata d’azione è un trattamento sicuro ed efficace nell’attacco acuto 80 (da73 a 87) 88 7 La terapia ipouricemizzante è indicata nei pazienti con attacchi acuti ricorrenti, artropatia, 97 (da 95 a 99) tofi, nefropatia uratica o alterazioni radiologiche dovute alla gotta 100 8 Obiettivo della terapia ipouricemizzante è favorire la dissoluzione dei cristalli di urato e 91 (da 86 a 96) prevenirne la formazione. Ciò si ottiene mantenendo i livelli di acido urico sierico al di sotto del punto di saturazione dell’urato monosodico (≤ 6,0 mg/dl) 100 9 L’allopurinolo è un farmaco appropriato per la terapia ipouricemizzante a lungo termine; la 91 (da 88 a 95) somministrazione andrebbe iniziata con dosi basse (ad esempio 100 mg/die) e aumentata, se necessario, di 100 mg ogni 2-4 settimane; nei pazienti con insufficienza renale la dose deve essere adattata; se si verifica una tossicità da allopurinolo le opzioni includono l’utilizzo di altri inibitori della xantina-ossidasi, l’uso di prodotti uricosurici**, oppure della sua desensibilizzazione (quest’ultima opzione è praticabile solo in caso di leggero rash cutaneo) 100 10 In alternativa all’allopurinolo, nei pazienti con funzionalità renale normale, possono essere 87 (da 81 a 92) utilizzati farmaci uricosurici** come probenecid e sulfinpirazone, ma questi farmaci sono invece mediamente controindicati nei pazienti con urolitiasi; benzbromarone può essere impiegato individualmente in pazienti con insufficienza renale lieve o moderata, ma comporta un lieve rischio di epatotossicità 94 11 Durante i primi mesi di terapia ipouricemizzante è possibile adottare una profilassi contro 90 (da 86 a 95) gli attacchi acuti con colchicina (da 0,5-1,2 mg/die) e/o FANS (con gastroprotettori, se indicati) 100 12 Quando la gotta si associa a terapia con diuretici, questi, se possibile, andrebbero sospesi; 88 (da 82 a 94) per trattare l’ipertensione e l’iperlipidemia può essere considerato l’utilizzo di losartan e di fenofibrato, rispettivamente (che possiedono un modesto effetto uricosurico) 100 * % A + B: percentuale da fortemente a completamente raccomandato, sulla base della scala EULAR (A: completamente raccomandato, B: fortemente consigliato, C: moderatamente raccomandato, D: debolmente raccomandato, E: non raccomandato). ** Gli uricosurici non sono disponibili in Italia. IC: intervallo di confidenza; FANS: farmaci anti-infiammatori non-steroidei; FDR: forza della raccomandazione; SAV: scala analogica visiva (0-100 mm, 0: non consigliato, 100: completamente raccomandato). Reumatologia pratica W. Grassi, r. de angelis PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI 19 marzo 2011 Numero 1 gli anti-infiammatori non steroidei e la iniezione intraarticolare di steroidi consentono di arrestare l’attacco acuto di gotta tanto più efficacemente quanto più rapido è l’inizio del trattamento. Gli obiettivi strategici della terapia sono il controllo sintomatologico durante gli attacchi acuti, la modifica dei fattori di rischio, la farmacoterapia per la prevenzione delle recidive e delle sequele croniche, l’arresto della formazione di aggregati di cristalli di urato monosodico a livello articolare ed extra-articolare e l’induzione della dissoluzione degli aggregati già formati (depositi tofacei) raggiungendo e mantenendo nel tempo un livello di uricemia persistentemente al di sotto dei 6,0 mg/dl attraverso una terapia ipouricemizzante da condurre in maniera continuativa. Un trattamento non adeguato della gotta, infatti, può avere conseguenze significative per il paziente, con un aumento del numero di attacchi acuti, una ridotta qualità di vita e della capacità lavorativa, nonché un incremento del consumo di FANS e di corticosteroidi. Nei soggetti con gotta e/o iperuricemia, inoltre, coesistono frequentemente ipertensione arteriosa, nefropatia cronica, ipercolesterolemia, obesità ed un aumentato rischio di eventi cardiovascolari (“sindrome metabolica”). La gotta, quindi, essendo una malattia progressiva e debilitante, va trattata anche per prevenire il più precocemente possibile la cronicizzazione della malattia e l’instaurarsi di danni irreversibili. L’allopurinolo è il farmaco di riferimento tradizionale per la riduzione dei livelli di uricemia, per la prevenzione dei depositi tofacei e per la dissoluzione di quelli già formati. Reumatologia pratica 20 PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI Il febuxostat, di recente introduzione, è una efficace alternativa all’allopurinolo e ha dimostrato un’efficacia superiore nell’ottenere e mantenere il target terapeutico di uricemia ≤ 6,0 mg/dl indicato dalle raccomandazioni EULAR in studi clinici condotti su diverse tipologie di pazienti gottosi, compresi quelli con livelli basali di uricemia > 10,0 mg/dl e quelli con insufficienza renale lieve-moderata. Febuxostat viene rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale nella percentuale non trascurabile di soggetti che risultano intolleranti o che non rispondano adeguatamente all’allopurinolo. In conclusione, la gotta, regina delle malattie, non è più oggi malattia dei re, potendo essere efficacemente prevenuta ed adeguatamente trattata. Regole e farmaci si possono armonizzare in modo eccellente nel singolo soggetto in modo tale da arrestare l’evoluzione del danno anatomico ed evitare la comparsa di drammatiche ed irreversibili complicanze. Bibliografia 1 Grassi W, Farina A, Cervini C. The foot of Philoctetes. Lancet 1999;354:2156. 2 Sofaer JA, Emery AE. Genes for super-intelligence? J Med Genet 1981;18:410-13. 3 Adelon, et al. Dizionario classico di medicina interna ed esterna. Venezia: G. Antonelli Editore 1835. 4 Zhang W, Doherty M, Bardin T, et al. EULAR evidence based recommendations for gout. Part II: Management. Report of a task force of the EULAR Standing Committee For International Clinical Studies Including Therapeutics (ESCISIT). Ann Rheum Dis 2006;65:1312-24. La gotta: malattia dei re e regina delle malattie RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO 1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE BRUFEN 800 mg compresse rivestite a rilascio prolungato. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA Una compressa rivestita a rilascio prolungato contiene: Principio attivo: Ibuprofene 800 mg. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere sezione 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA Compresse rivestite a rilascio prolungato. 4. INFORMAZIONI CLINICHE 4.1 Indicazioni terapeutiche. Come antireumatico in: osteoartrosi in tutte le sue localizzazioni (artrosi cervicale, dorsale, lombare; artrosi della spalla, dell’anca, del ginocchio, artrosi diffusa, ecc.), periartrite scapolo-omerale, lombalgie, sciatalgie, radicolo-nevriti; fibrositi, tenosinoviti, miositi, traumatologia sportiva; artrite reumatoide, morbo di Still. Come analgesico in forme dolorose di diversa eziologia: • nella traumatologia accidentale e sportiva; • nella pratica dentistica, nei dolori post-estrazione e dopo interventi odontostomatologici; • in ostetricia: nel dolore post-episiotomico e postpartum; • in ginecologia: nella prevenzione e nel trattamento della dismenorrea; • in chirurgia: nel trattamento del dolore post-operatorio; • in oculistica: nel dolore post-operatorio e nelle forme dolorose di varia eziologia; • in medicina generale: nel trattamento di emicrania e cefalea. 4.2 Posologia e modo di somministrazione. La dose giornaliera raccomandata di ibuprofene a rilascio prolungato è di due compresse in una dose unica, preferibilmente la sera presto, molto prima di coricarsi a letto. Le compresse dovrebbero essere assunte intere accompagnate da liquidi. In condizioni gravi o acute e solo per un periodo limitato di tempo, la dose giornaliera totale può essere aumentata fino a tre compresse in dosi suddivise. Bambini: BRUFEN 800 mg compresse rivestite a rilascio prolungato non è consigliato in bambini al disotto dei 12 anni. Nel trattamento di pazienti anziani la posologia deve essere attentamente stabilita dal medico che dovrà valutare una eventuale riduzione dei dosaggi sopraindicati. Nel caso in cui sia presente alterata funzione epatica e/o renale il dosaggio dovrà essere adattato alle singole condizioni dell’individuo. Gli effetti indesiderati possono essere minimizzati con l’uso della più bassa dose efficace per la più breve durata possibile di trattamento che occorre per controllare i sintomi (vedere sezione 4.4). 4.3 Controindicazioni. Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti. Poliposi nasale, angioedema. Come per altre sostanze antiinfiammatorie non steroidee è opportuno non somministrare il prodotto a pazienti portatori di ulcera peptica grave o in fase attiva. Insufficienza epatica o renale grave. Storia di emorragia gastrointestinale o perforazione relativa a precedenti trattamenti attivi o storia di emorragia/ulcera peptica ricorrente (due o più episodi distinti di dimostrata ulcerazione o sanguinamento). Severa insufficienza cardiaca. Terzo trimestre di gravidanza. 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego. L’uso di BRUFEN deve essere evitato in concomitanza di FANS inibitori selettivi della COX-2. Gli effetti indesiderati possono essere minimizzati con l’uso della più bassa dose efficace per la più breve durata possibile di trattamento che occorre per controllare i sintomi (vedere sezione 4.2 e i paragrafi sottostanti sui rischi gastrointestinali e cardiovascolari). Come per altri FANS, ibuprofene può mascherare segni di infezione. Anziani: i pazienti anziani hanno un aumento della frequenza di reazioni avverse ai FANS, specialmente emorragie e perforazioni gastrointestinali, che possono essere fatali (vedere sezione 4.2). Emorragia gastrointestinale, ulcerazione e perforazione: durante il trattamento con tutti i FANS, in qualsiasi momento, con o senza sintomi di preavviso o precedente storia di gravi eventi gastrointestinali, sono state riportate emorragia gastrointestinale, ulcerazione e perforazione, che possono essere fatali. Negli anziani e in pazienti con storia di ulcera, soprattutto se complicata da emorragia o perforazione (vedere sezione 4.3), il rischio di emorragia gastrointestinale, ulcerazione o perforazione è più alto con dosi aumentate di FANS. Questi pazienti devono iniziare il trattamento con la più bassa dose disponibile. L’uso concomitante di agenti protettori (misoprostolo o inibitori della pompa protonica) deve essere considerato per questi pazienti e anche per pazienti che assumono basse dosi di aspirina o altri farmaci che possono aumentare il rischio di eventi gastrointestinali (vedere sezione 4.5). Pazienti con storia di tossicità gastrointestinale, in particolare anziani, devono riferire qualsiasi sintomo gastrointestinale inusuale (soprattutto emorragia gastrointestinale) in particolare nelle fasi iniziali del trattamento. Cautela deve essere prestata ai pazienti che assumono farmaci concomitanti che potrebbero aumentare il rischio di ulcerazione o emorragia, come corticosteroidi orali, anticoagulanti come warfarin, inibitori selettivi del reuptake della serotonina o agenti antiaggreganti piastrinici come l’aspirina (vedere sezione 4.5). Quando si verifica emorragia o ulcerazione gastrointestinale in pazienti che assumono BRUFEN il trattamento deve essere sospeso. I FANS devono essere somministrati con cautela nei pazienti con una storia di malattia gastrointestinale (colite ulcerosa, morbo di Crohn) poiché tali condizioni possono essere esacerbate (vedere sezione 4.8). Effetti cardiovascolari e cerebrovascolari. Un adeguato monitoraggio ed opportune istruzioni sono necessarie nei pazienti con anamnesi positiva per ipertensione e/o insufficienza cardiaca congestizia da lieve a moderata poiché, in associazione al trattamento con i FANS, sono stati riscontrati ritenzione di liquidi ed edema. Studi clinici e dati epidemiologici suggeriscono che l’uso di ibuprofene, specialmente ad alti dosaggi (2400 mg/die) e per trattamenti di lunga durata, può essere associato ad un modesto aumento del rischio di eventi trombotici arteriosi (p.es infarto del miocardio o ictus). In generale, gli studi epidemiologici non suggeriscono che basse dosi di ibuprofene (p. es. ≤1200 mg/die) siano associate ad un aumentato rischio di infarto del miocardio. I pazienti con ipertensione non controllata, insufficienza cardiaca congestizia, cardiopatia ischemica accertata, malattia arteriosa periferica e/o malattia cerebrovascolare devono essere trattati con ibuprofene soltanto dopo attenta considerazione. Analoghe considerazioni devono essere effettuate prima di iniziare un trattamento di lunga durata in pazienti con fattori di rischio per eventi cardiovascolari (p. es. ipertensione, iperlipidemia, diabete mellito, fumo). Effetti dermatologici. Gravi reazioni cutanee alcune delle quali fatali, includenti dermatite esfoliativa, sindrome di StevensJohnson e necrolisi tossica epidermica, sono state riportate molto raramente in associazione con l’uso dei FANS (vedere sezione 4.8). Nelle prime fasi della terapia i pazienti sembrano essere a più alto rischio: l’insorgenza della reazione si verifica nella maggior parte dei casi entro il primo mese di trattamento. BRUFEN deve essere interrotto alla prima comparsa di rash cutaneo, lesioni della mucosa o qualsiasi altro segno di ipersensibilità. Se si manifestano disturbi visivi, segni persistenti di disfunzione epatica o manifestazioni sistemiche quali eosinofilia, rash, ecc., interrompere il trattamento. Effetti renali. Quando si inizia un trattamento con ibuprofene deve essere prestata cautela ai pazienti con una disidratazione considerevole. L’utilizzo a lungo termine di ibuprofene, come con altri FANS, ha portato a necrosi papillare renale ed altri cambiamenti patologici renali. È stata riscontrata tossicità renale in pazienti nei quali le prostaglandine renali hanno un ruolo compensatorio nel mantenimento della perfusione renale. La somministrazione di FANS in questi pazienti può comportare una riduzione dose-dipendente nella formazione delle prostaglandine e, come effetto secondario, nel flusso sanguigno renale il quale può portare velocemente in scompenso renale. I pazienti più a rischio di queste reazioni sono quelli con ridotte funzionalità renali, scompenso cardiaco, disfunzioni epatiche, anziani e tutti quei pazienti che prendono diuretici e ACE inibitori. La discontinuità della terapia con FANS solitamente viene seguita dal recupero dello stato di pretrattamento. In caso di impiego prolungato sorvegliare la funzionalità renale particolarmente in caso di lupus eritematoso diffuso. Disturbi respiratori. Ibuprofene deve essere prescritto con cautela in quei soggetti che hanno manifestato broncospasmo, dopo l’impiego di aspirina o altri FANS, nonché in soggetti con anamnesi di emorragia o ulcera gastrointestinale, scompenso cardiaco, ipertensione, difetti di coagulazione. Funzionalità cardiaca, renale ed epatica ridotta. Particolare cautela deve essere adottata nel trattamento di pazienti con funzionalità cardiaca, epatica o renale fortemente ridotta. In tali pazienti è opportuno ricorrere al monitoraggio periodico dei parametri clinici e di laboratorio, specialmente in caso di trattamento prolungato. Essendosi rilevate alterazioni oculari nel corso di studi su animali con farmaci antiinfiammatori non steroidei si raccomanda, in caso di trattamenti prolungati, di effettuare periodici controlli oftalmologici. L’uso di BRUFEN, come di qualsiasi farmaco inibitore della sintesi delle prostaglandine e della cicloossigenasi è sconsigliato nelle donne che intendano iniziare una gravidanza. La somministrazione di BRUFEN dovrebbe essere sospesa nelle donne che hanno problemi di fertilità o che sono sottoposte a indagini sulla fertilità. Effetti ematici. Ibuprofene, come altri FANS, può inibire l’aggregazione piastrinica e ha dato evidenza di prolungare il tempo di sanguinamento in soggetti sani. Meningite asettica. In rare occasioni in pazienti in trattamento con ibuprofene è stata osservata meningite asettica. Sebbene è più probabile che possa succedere in pazienti con lupus eritematoso sistemico e patologie del tessuto connettivo collegate, è stato riscontrato in pazienti i quali non manifestavano patologie croniche concomitanti. 4.5 Interazioni con altri medicinali e altre forme di interazione. Il vastissimo impiego di ibuprofene in tutto il mondo non ha dato luogo a segnalazioni di effetti interattivi. Diuretici, ACE inibitori e antagonisti dell’angiotensina II: i FANS possono ridurre l’effetto dei diuretici e di altri farmaci antiipertensivi. In alcuni pazienti con funzione renale compromessa (per esempio pazienti disidratati o pazienti anziani con funzione renale compromessa) la cosomministrazione di un ACE inibitore o di un antagonista dell’Angiotensina II e di agenti che inibiscono il sistema della ciclo-ossigenasi può portare ad un ulteriore deterioramento della funzione renale, che comprende una possibile insufficienza renale acuta, generalmente reversibile. Queste interazioni devono essere considerate in pazienti che assumono BRUFEN in concomitanza con ACE inibitori o antagonisti dell’angiotensina II. Quindi, la combinazione deve essere somministrata con cautela, specialmente nei pazienti anziani. I pazienti devono essere adeguatamente idratati e deve essere preso in considerazione il monitoraggio della funzione renale dopo l’inizio della terapia concomitante. È comunque opportuno monitorare i pazienti in trattamento con cumarinici e non associare l’ibuprofene con aspirina o altri FANS. Dati sperimentali indicano che l’ibuprofene può inibire gli effetti dell’acido acetilsalicilico a basse dosi sull’aggregazione piastrinica quando i farmaci sono somministrati in concomitanza. Tuttavia, l’esiguità dei dati e le incertezze relative alla loro applicazione alla situazione clinica non permettono di trarre delle conclusioni definitive per l’uso continuativo di ibuprofene; sembra che non vi siano effetti clinicamente rilevanti dall’uso occasionale dell’ibuprofene (vedere sezione 5.1). La contemporanea somministrazione di Litio e FANS provoca aumento dei livelli plasmatici del Litio. Metotrexato: i FANS possono diminuire l’eliminazione del metotrexato. Aminoglicosidi: i FANS possono diminuire l’escrezione degli aminoglicosidi. Glicosidi cardiaci: i FANS possono esacerbare lo scompenso cardiaco, ridurre il tasso della filtrazione glomerulare e aumentare i livelli dei glicosidi cardiaci. Ciclosporine: aumentano rischio di nefrotossicità con i FANS. Inibitori della Cox-2 e altri FANS: l’uso concomitante con altri FANS, incluso inibitori selettivi della cicloossigenasi-2, deve essere evitato per potenziale effetto additivo. Estratti vegetali: Ginkgo Biloba può aumentare il rischio di sanguinamento in associazione a FANS. Mifepristone: i FANS non possono essere assunti per 8-12 giorni dopo la somministrazione di Mifepristone poiché i FANS possono ridurne l’effetto. Antibiotici chinolonici: dati su animali indicano che i FANS possono aumentare il rischio di convulsioni associati con antibiotici chinolonici. I pazienti che prendono FANS e chinoloni possono avere un aumentato rischio di sviluppare convulsioni. Tacrolimus: possibile aumento del rischio di nefrotossicità quando i FANS vengono somministrati con tacrolimus. Zidovudina: aumento del rischio di tossicità ematica in caso di cosomministrazione con FANS. C’è evidenza di un aumento del rischio di emartrosi e di ematoma in pazienti emofiliaci affetti da HIV in contemporaneo trattamento con Zidovudina ed altri FANS. Corticosteroidi: aumento del rischio di ulcerazione o emorragia gastrointestinale (vedere sezione 4.4). Anticoagulanti: i FANS possono aumentare gli effetti degli anticoagulanti, come il warfarin (vedere sezione 4.4). Agenti antiaggreganti e inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRIs): aumento del rischio di emorragia gastrointestinale (vedere sezione 4.4). 4.6 Gravidanza e allattamento. Nelle donne in stato di gravidanza e durante l’allattamento il prodotto va somministrato solo nel caso di assoluta necessità, sotto il diretto controllo medico. Gravidanza. L’inibizione della sintesi di prostaglandine può interessare negativamente la gravidanza e/o lo sviluppo embrio/fetale. Risultati di studi epidemiologici suggeriscono un aumentato rischio di aborto e di malformazione cardiaca e di gastroschisi dopo l’uso di un inibitore della sintesi delle prostaglandine nelle prime fasi della gravidanza. Il rischio assoluto di malformazioni cardiache aumentava da meno dell’1% fino a circa l’1,5%. È stato ritenuto che il rischio aumenta con la dose e la durata della terapia. Negli animali, la somministrazione di inibitori della sintesi di prostaglandine ha mostrato di provocare un aumento della perdita di pre e post-impianto e di mortalità embrione-fetale. Inoltre, un aumento di incidenza di varie malformazioni, inclusa quella cardiovascolare, è stato riportato in animali a cui erano stati somministrati inibitori di sintesi delle prostaglandine, durante il periodo organogenetico. Durante il primo e il secondo trimestre di gravidanza, BRUFEN non deve essere somministrato se non in casi strettamente necessari. Se BRUFEN è usato da una donna in attesa di concepimento o durante il primo e secondo trimestre di gravidanza, la dose e la durata del trattamento devono essere mantenute le più basse possibili. Durante il terzo trimestre di gravidanza, tutti gli inibitori della sintesi di prostaglandine possono esporre il feto a: • tossicità cardiopolmonare (con chiusura prematura del dotto arterioso e ipertensione polmonare); • disfunzione renale, che può progredire in insufficienza renale con oligoidroamnios; la madre e il neonato, alla fine della gravidanza, a: • possibile prolungamento del tempo di sanguinamento, ed effetto antiaggregante che può occorrere anche a dosi molto basse; • inibizione delle contrazioni uterine risultanti in ritardo o prolungamento del travaglio. Conseguentemente BRUFEN è controindicato durante il terzo trimestre di gravidanza. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. L’impiego di ibuprofene nell’arco della giornata non risulta interferire sullo stato di veglia del soggetto. 4.8 Effetti indesiderati. L’esteso impiego di ibuprofene ha evidenziato una limitata incidenza di effetti collaterali. Le segnalazioni più frequenti sono state quelle relative a rash cutanei, usualmente risoltisi rapidamente con la cessazione della terapia. Sono stati segnalati inoltre casi di dispepsia e, in pazienti particolarmente sensibili, isolati casi di enterorragia, ulcera gastroduodenale anche perforata, melena. Gastrointestinali: gli eventi avversi più comunemente osservati sono di natura gastrointestinale. Possono verificarsi ulcere peptiche, perforazione o emorragia gastrointestinale, a volte fatale, in particolare negli anziani (vedere sezione 4.4). Molto raramente sono state osservate pancreatiti. Dopo somministrazione di BRUFEN sono stati riportati: nausea, vomito, diarrea, flatulenza, costipazione, dispepsia, dolore addominale, melena, ematemesi, stomatiti ulcerative, esacerbazione di colite e morbo di Crohn (vedere sezione 4.4). Meno frequentemente sono state osservate gastriti. In associazione al trattamento con FANS sono stati riportati edema, ipertensione e insufficienza cardiaca. Studi clinici e dati epidemiologici suggeriscono che l’uso di ibuprofene, specialmente ad alti dosaggi (2400 mg/die) e per trattamenti di lunga durata, può essere associato ad un modesto aumento del rischio di eventi trombotici arteriosi (p.es. infarto del miocardio o ictus) (vedere sezione 4.4). Sono stati infine riportati: broncospasmo e alcuni casi di trombocitopenia, neutropenia, agranulocitosi aplastica, anemia emolitica, riduzione dell’emoglobina e dell’ematocrito, disturbi del SNC (depressione, confusione, vertigine, cefalea, tinnito, parestesia, sonnolenza, neurite ottica ecc.), nefropatia tossica in varie forme, incluso nefrite interstiziale, sindrome nefrotica, insufficienza renale in pazienti con funzionalità compromessa, insufficienza cardiaca congestizia, ipertensione, funzione epatica anormale, insufficienza epatica, epatite e ittero. Reazioni bollose includenti Sindrome di Stevens-Johnson e Necrolisi Tossica Epidermica (molto raramente). 4.9 Sovradosaggio. I sintomi più comuni sono: nausea, vomito, vertigine, convulsioni, perdita della coscienza e depressione del SNC e del sistema respiratorio. Meno frequentemente: cefalea, tinnito, depressione del sistema nervoso centrale e convulsioni. Il sovradosaggio acuto generalmente viene ben tollerato quando non sono stati somministrati altri farmaci. In caso di sovradosaggio è indicata la lavanda gastrica e la correzione degli elettroliti ematici. Non esiste un antidoto specifico per ibuprofene. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE 5.1 Proprietà farmacodinamiche. Categoria farmacoterapeutica: farmaci antinfiammatori e antireumatici, non steroidei. Codice ATC: M01AE01. Ibuprofene è un analgesico-antiinfiammatorio di sintesi, dotato inoltre di spiccata attività antipiretica. Chimicamente è il capostipite dei derivati fenilpropionici. L’attività analgesica è di tipo non narcotico ed è 8-30 volte superiore a quella dell’acido acetilsalicilico. Ibuprofene è un potente inibitore della sintesi prostaglandinica ed esercita la sua attività inibendone la sintesi perifericamente. Dati sperimentali indicano che l’ibuprofene può inibire gli effetti dell’acido acetilsalicilico a basse dosi sull’aggregazione piastrinica quando i farmaci sono somministrati in concomitanza. In uno studio, dopo la somministrazione di una singola dose di 400 mg di ibuprofene, assunto entro 8 ore prima o dopo 30 minuti dalla somministrazione di acido acetilsalicilico (81 mg), si è verificata una diminuzione dell’effetto dell’acido acetilsalicilico sulla formazione di trombossano e sull’aggregazione piastrinica. Tuttavia, l’esiguità dei dati e le incertezze relative alla loro applicazione alla situazione clinica non permettono di trarre delle conclusioni definitive per l’uso continuativo di ibuprofene; sembra che non vi siano effetti clinicamente rilevanti dall’uso occasionale dell’ibuprofene. 5.2 Proprietà farmacocinetiche. Ibuprofene è ben assorbito dopo somministrazione orale; assunto a stomaco vuoto produce nell’uomo livelli serici massimi dopo circa 45 minuti. La somministrazione di pari dosi precedute da ingestione di cibo ha rivelato un assorbimento più lento e il raggiungimento dei livelli massimi in un periodo di tempo compreso entro un minimo di un’ora e mezza e un massimo di tre ore. L’escrezione è rapida e i livelli serici non mostrano segni di accumulo. Il 44% di una dose di ibuprofene viene recuperata nelle urine sotto forma di due metaboliti farmacologicamente inerti e il 20% sotto forma di farmaco come tale. Nell’animale, dal 16% al 38% della dose giornaliera viene escreto nelle feci, e dal 38% al 70% nelle urine. Ibuprofene, rilasciato dalle compresse di BRUFEN 800 mg compresse rivestite a rilascio prolungato, è progressivamente assorbito durante un periodo di 24 ore. Dopo l’assunzione di due compresse la concentrazione media plasmatica durante le 24 ore è di 16-22 µg/ml. In alcuni soggetti si può verificare un secondo picco nel profilo della curva. Dal momento che ibuprofene è assorbito quasi completamente entro le 24 ore di intervallo fra una dose e l’altra e che l’emivita della sostanza è breve (1-2 ore) non si verifica accumulo dopo dosi ripetute. 5.3 Dati preclinici di sicurezza. Le prove tossicologiche sulle diverse specie animali, per diverse vie di somministrazione, hanno dimostrato che ibuprofene è ben tollerato (la DL50 nel topo albino è di 800 mg/kg per os; mentre nel ratto, sempre per os, è di 1600 mg/kg). Va però notato che la somministrazione di FANS a ratte gravide può determinare restrizione del dotto arterioso fetale. Non vi sono ulteriori informazioni su dati preclinici oltre a quelle già riportate in altre parti di questo Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (vedere sezione 4.6). 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE 6.1 Elenco degli eccipienti. Acido stearico, silice colloidale anidra, gomma xantana, idrossipropilmetilcellulosa, Opaspray M-1-7111B Bianco, povidone, talco. 6.2 Incompatibilità. Non sono note incompatibilità chimico-fisiche di ibuprofene verso altri composti. 6.3 Periodo di validità. 3 anni. 6.4 Precauzioni particolari per la conservazione. Questo medicinale non richiede alcuna condizione particolare per la conservazione. 6.5 Natura e contenuto del contenitore. Astuccio contenente 2 blister (PVC/PVDC e alluminio) da 10 compresse di 800 mg. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento e la manipolazione. Nessuna. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO ABBOTT S.r.l – 04010 Campoverde (LT) 8. NUMERO DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO A.I.C.: n. 022593115 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE Prima autorizzazione: 27.04.1991 Rinnovo autorizzazione: 01.06.2010 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO Determinazione AIFA del 14 aprile 2010 BRUFEN 20 Compresse a rilascio prolungato 800 mg € 6.02 (Prezzo al netto delle scontistiche ministeriali) CLASSE A (66) RR