La parabola della colpa nella responsabilità da provvedimento

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La parabola della colpa nella responsabilità da provvedimento illegittimo: riflessioni a seguito
del codice del processo e della recente giurisprudenza.
Di Giulio Veltri
Abstract
Having briefly traced the evolution of doctrine and jurisprudence about the responsibility of the PA,
the author identifies some factors that determine a distinct specialty of the system: 1) the historical
evolution of case law, subsequent to the arrest of the Supreme Court, 2) the eruption of a new
normative contest quite eccentric respect to the ordinary system of the action damages from a mere
tort, 3) the constant reminder of the Court of Justice regarding the irrelevance of the subjective
profiles of the responsibility.
In conclusion, the author, considering the ordinary statute of the responsibility, inappropriate, and
by rejecting the model of strict liability, welcomes a normative definition of guilt, giving value the
article 30 of the Code of the administrative process and the EC Court of Justice, Sec. III September 30, 2010.
SOMMARIO: Premessa; 1.Provvedimento ed area della risarcibilità: i due fattori di processo; 2. La
sintesi dell’evoluzione giurisprudenziale e dottrinale in tema di colpa; 3. Il sottostante dibattito sulla
natura della responsabilità da provvedimento illegittimo; 4. Le novità del codice del processo, e il
recente intervento della Corte di Giustizia; 5. La nuova configurazione normativa della colpa; 6. C’è
ancora spazio per la scusabilità?; 7. In conclusione
Premessa
L’evoluzione normativa, le spinte comunitarie, gli arresti giurisprudenziali e, soprattutto, la recente
codificazione del diritto processuale amministrativo sviluppatasi lungo una direttrice comprensiva
anche della disciplina delle azioni, hanno dato nuova linfa al mai sopito dibattito circa la natura
della responsabilità da lesione di interessi legittimi, l’esatta configurazione delle connesse questioni
aventi ad oggetto il ruolo e la valenza della colpa nell’ambito della fattispecie e specularmente, sul
piano processuale, la ripartizione dell’onere probatorio.
La recente pronuncia della Corte di Giustizia costituisce, in proposito, l’ennesimo segnale che i
tempi sono ormai maturi per nuove e rinnovate riflessioni sul modello di responsabilità da attività
provvedimentale della pubblica amministrazione.
1. Provvedimento ed area della risarcibilità: i due fattori di processo
Il tema, di evidente rilievo sociale per le oggettive dimensioni del fenomeno e per la qualificazione
pubblica del danneggiante, presenta da sempre un elemento costante, al contempo caratterizzante e
problematico, insito nell’esistenza e nel ruolo del provvedimento lesivo emesso nell’esercizio del
potere, ed un elemento variabile, influente in una prospettiva di analisi soci-oeconomica prima
ancora che giuridica, costituito dal progressivo ampliamento dell’area delle posizioni giuridiche e
dei danni risarcibili.
La variabile ha in particolare inciso sull’atteggiamento della giurisprudenza, combattuta tra
l’esigenza di una tutela piena ed effettiva dell’interesse dei singoli in ordine ai beni della vita
comunque protetti da una posizione giuridica di vantaggio, sia essa di diritto che di interesse
legittimo, e la necessità di creare uno schermo che impedisca il dilatarsi della responsabilità in un
settore in cui il rischio è elevato, i danni potenzialmente diffusi, e le conseguenze dilanianti per il
bilancio pubblico: sicché, quando l’area della risarcibilità era ridotta ai soli diritti, è prevalsa una
interpretazione di “favore” per gli amministrati danneggiati, che ha ampiamente attinto al modello
aquiliano svalutandone le implicazioni più spiccatamente soggettive; quando, invece, essa si è
ampliata giungendo a ricomprendere posizioni di interesse legittimo e danni anche non patrimoniali,
si è contestualmente manifestato un approccio restrittivo. Quest’ultimo, tuttavia, è stato da ultimo
pian piano riveduto e temperato sulla scorta della legislazione comunitaria e dell’interpretazione che
la Corte di Giustizia ne ha fornito, sino a raggiungere approdi ermeneutici molto simili, quanto ad
effetti, all’approccio primigenio.
Il fattore costante, rinvenibile nel provvedimento amministrativo, è invece valso ad isolare la
responsabilità da illegittimo esercizio del potere da quella da illecita condotta, anche omissiva non
giustificata dal potere, in nulla dissimile dal fatto illecito di qualunque soggetto dell’ordinamento
generale, giustificandone il trattamento in qualche modo differenziato in termini di colpa ed onere
della prova.
E’ della responsabilità da provvedimento che si vuol tracciare in questa sede la parabola.
2. La sintesi dell’evoluzione giurisprudenziale e dottrinale in tema di colpa
Com’è noto, la giurisprudenza e la dottrina assolutamente prevalenti hanno sussunto la
responsabilità provvedimentale nell’ampio genus di quella aquiliana, facendone discendere logiche
conseguenze in ordine ai profili della colpa e dell’onus probandi.
L'impostazione giurisprudenziale tradizionale, formatasi prima della sentenza delle Sezioni Unite
n.500 del 22 luglio 1999, risolveva la questione ritenendo la colpa dell'amministrazione insita
nell'esecuzione di un provvedimento amministrativo illegittimo.
Secondo tale ricostruzione1, l'illegittimità dell'atto amministrativo portato ad esecuzione, integrava,
di per sé, gli estremi della colpevolezza, postulata dall'art. 2043 c.c. per la costituzione
dell'obbligazione risarcitoria. La nozione di culpa in re ipsa si fondava, in particolare, sul rilievo
che la semplice adozione ed esecuzione di un provvedimento illegittimo da parte di un soggetto
dotato di capacità istituzionale e di competenza funzionale ad operare nel settore di riferimento
concretasse quella consapevole violazione di leggi, regolamenti o norme di condotta non scritte
nella quale si risolve la colpa, secondo la definizione del suo contenuto essenziale fornita dall'art. 43
c.p.2
Siffatte conclusioni non erano affatto isolate nel panorama europeo, sol che si ponga mente alla
giurisprudenza del Conseil d'Etat francese, che almeno sino alla fine degli anni 60, nel dichiarato
intento di agevolare forme di garanzia sociale a favore dell'amministrato, affermava la coincidenza
tra illegittimità del provvedimento amministrativo e fatto illecito colposo della p.a. «toute illégalité
constitue par elle-môme une faute»3.
La categoria concettuale della presunzione assoluta di colpa (di questo in sostanza si trattava),
concepita dalla giurisprudenza anche per semplificare l'accertamento dell'illecito e per favorire la
tutela risarcitoria del privato danneggiato (altrimenti onerato di una prova complessa e priva di
parametri certi), è parsa, con il passar del tempo, incompatibile con i principi generali della natura
personale della responsabilità civile e del carattere eccezionale di quella oggettiva, risolvendosi, a
ben vedere, nell'ingiusta assegnazione all'amministrazione di un trattamento deteriore rispetto a
quello degli altri soggetti di diritto.
Il momento di svolta è rappresentato dalla nota pronuncia della Corte di Cassazione, n. 500/99 e
dalla legge n. 205/2000, che hanno rispettivamente affermato e positivizzato la risarcibilità dei
danni derivanti dalla lesione dell’interesse legittimo, inteso quale posizione giuridica di vantaggio
di pari dignità rispetto al diritto soggettivo.
L’enorme dilatazione dell’area della risarcibilità che ne è conseguita ha in particolare stimolato,
secondo la logica ermeneutica in premessa accennata, la teorizzazione di quella che è stata definita
1
Per un analitico esame degli orientamenti della giurisprudenza v. F. GARRI, La responsabilità civile della pubblica
amministrazione, Torino, 2000.
2
La ricostruzione è operata in tali termini da Consiglio di Stato, sez. IV, 06 luglio 2004, n. 5012
3
Sul punto v. G. Micari, Colpa della p.a., hoheitsverwaltung (attività autoritativa) e pericolosità del provvedimento
amministrativo (art. 2050 c.c.), in Giur. merito 2006, 9
“rete di contenimento”4 della responsabilità, inducendo la giurisprudenza e la dottrina ad
individuare una peculiare nozione di “colpa d’apparato”, ossia profili di imputabilità riferiti non già
al funzionario agente (a titolo di negligenza o imperizia), ma alla P.A. nella sua dimensione
organizzativa e gestionale, ravvisabili “nel caso in cui l'adozione e l'esecuzione dell'atto illegittimo
(lesivo dell'interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di
correttezza e di buona amministrazione alle quali l'esercizio della funzione amministrativa deve
ispirarsi”5
Siffatta accezione del profilo di colpevolezza non ha convinto i più6, e soprattutto non ha convinto
la giurisprudenza amministrativa7 che, stretta dalla concretezza delle problematiche relative all’onus
probandi ed alla sua diabolicità8, è andata oggettivizzando (non già la responsabilità, ma) la nozione
di colpa, ravvisandola nella gravità del contrasto con l’ordinamento desumibile da alcuni indici9.
Anche siffatta ricostruzione ha prestato il fianco a serrate critiche, risultando evidente il rischio che
l’agevolazione dell’onere probatorio potesse portate ad una restrizione dell’area della responsabilità
alla sola colpa grave. Si è così iniziato a discorrere di scusabilità dell’errore, in una prospettiva tutta
giuridica, per il caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di
formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di illegittimità derivante da una successiva
dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata, etc.
3. Il sottostante dibattito sulla natura della responsabilità da provvedimento illegittimo
Tutta l’evoluzione giurisprudenziale, dalla sent. 500/99 in poi, pur dibattendo della configurazione
della colpa e del relativo onere probatorio, non ha tuttavia mai messo in dubbio la natura aquiliana
della responsabilità, salvo che nel periodo a cavallo del 2003 in cui le giurisdizioni10 hanno
mostrato di dirigere la bussola verso la “responsabilità da contatto”, spinte dall’esigenza di alleviare
l’onere probatorio del danneggiante e di dare protezione ai c.d. interessi procedimentali.
Gli echi del relativo dibattito sono tuttavia ormai lontani. In realtà, l’affermazione che possa esistere
una obbligazione senza prestazione primaria, avente ad oggetto solo obblighi accessori o di
protezione, al di là della valenza descrittiva e dell’innegabile forza suggestiva, è sembrata ai più
vulnerata dall’intrinseca contraddizione tra la declamata sussistenza di obblighi accessori e la
4
L'efficace espressione è proposta da F.D. BUSNELLI, Lesione di interessi legittimi: dal «muro di sbarramento» alla
«rete di contenimento», in Danno e responsabilità, 1997, 265 ss
5
L’espressione è quella utilizzata da Cass. SSUU, 22 luglio 1999, n. 500.
6
Le reazioni della dottrina ed i profili critici di siffatta impostazione sono efficacemente sintetizzati da M.A. SANDULLI,
La responsabilità della Pubblica amministrazione dal danno civile al danno erariale. L’elemento soggettivo della
responsabilità, in Federalismi.it, 2005, n. 23
7
Si veda il proposito la lucida e serrata critica contenuta in Consiglio di Stato, sez. IV, 06 luglio 2004, n. 5012 cit. “La
colpa d'apparato sembra, quindi, coincidere con la verifica di una disfunzione della funzione amministrativa,
determinata dalla disorganizzazione nella gestione del personale, dei mezzi e delle risorse degli uffici cui è imputabile
l'adozione o l'esecuzione dell'atto illegittimo. Senonchè, se tale è il carattere essenziale della colpa d'apparato la stessa si
rivela impropriamente introdotta nella struttura dell'illecito, sia perché l'eventuale disorganizzazione amministrativa e
gestionale non è necessariamente causa dell'illegittimità dell'atto, sia perché la stessa risulta essenzialmente estranea al
profilo psicologico dell'azione amministrativa immediatamente produttiva del danno e, quindi, al campo d'indagine
riservato al giudice chiamato a pronunciarsi sulla pretesa risarcitoria. Non solo, ma la descrizione (appena riferita) dei
requisiti della colpa omette qualsiasi considerazione e valorizzazione di circostanze esimenti, con ciò precludendo, di
fatto, proprio quella penetrante indagine della riferibilità soggettiva del danno alla colpevole azione amministrativa che
si raccomanda contestualmente al giudice del risarcimento”
8
“Ancorata, sino agli anni novanta, al concetto di ingiustizia e alla distinzione tra interessi oppositivi e pretensivi,
l’attenzione della dottrina e la giurisprudenza appare attualmente appuntarsi sull'analisi specifica di singoli aspetti della
responsabilità: la colpa e la sua prova, l'ingiustizia e gli interessi risarcibili, gli interessi pretensivi e il giudizio
prognostico, il rapporto tra vizi formali e sostanziali, tra procedimento e responsabilità”. La riflessione è di E. SCOTTI,
Appunti per una lettura della responsabilità dell’amministrazione tra realtà ed uguaglianza, in Dir. Amm., 2009, 3, 251
9
Cons. St., sez. IV, 6 luglio 2004 n. 5012; Cons. St., sez. IV, 10 agosto 2004 n. 5500; Cons. St., sez. V, 10 gennaio
2005 n. 32; Cons. St., sez. IV, 15 febbraio 2005 n. 478 e Cons. St., sez. VI, 23 giugno 2006 n. 3981.
10
Il riferimento è a Cons. St., sez. VI, 20 gennaio 2003, n.204; Cass. Civ., sez. I, 10 gennaio 2003, n.157.
riconosciuta inesistenza di una prestazione o di un risultato dovuto11, salvo che per esso, in
un’accezione lata, si intendesse il mero obbligo di provvedere.
Più coerente era, invero, la variante del modello che valorizzando apertamente il postulato, dotato di
particolare luminescenza nell’area dell’attività vincolata, secondo il quale il provvedimento
amministrativo è oggetto di una obbligazione pubblica di prestazione o risultato nei confronti degli
amministrati, cui accedono ancillarmente obblighi accessori similari a quelli che la dottrina
civilistica definisce obbligazioni di protezione, ne ha tratto la logica conseguenza della tutelabilità
in via contrattuale.
Tale ultima ricostruzione è sembrata, però, incompatibile con il ruolo assunto nella fattispecie
dall’interesse pubblico, essendo quest’ultimo ancora traguardato come stella polare giustificante
l’attribuzione del potere, che come tale, pur interessando un bene cui il singolo aspira in forza di un
suo personale interesse, non può giammai trasfigurare in un’obbligazione diretta nei confronti del
medesimo. Altre tesi sono state sostenute dalla, sia pur minoritaria, dottrina e da qualche isolata,
anche se autorevole, pronuncia giurisprudenziale: si tratta della tesi della responsabilità da esercizio
di attività pericolosa e di quella della responsabilità speciale.
La prima12 ha considerato la responsabilità da attività provvedimentale quale sottospecie della
responsabilità aquiliana, di natura oggettiva, frutto di una valutazione del legislatore sulla
ripartizione dei rischi. Secondo questa tesi, la responsabilità della P.A. costituirebbe una fra le tante
ipotesi peculiari di responsabilità oggettiva che il legislatore ha disciplinato in ambito codicistico,
con tutto ciò che ne consegue in termini di principi e regole applicabili
La tesi della responsabilità speciale ha invece opinato per la natura affatto peculiare della
responsabilità provvedimentale, in guisa da inferirne un tertium genus, diverso dal paradigma
aquiliano e da quello contrattuale. Non è mancata qualche autorevole pronuncia giurisprudenziale in
tale direzione13
La critica mossa dalla dottrina prevalente, oltre che dipartire dalle questioni dogmatiche legate alla
stessa possibilità di ipotizzare un terzo tipo di responsabilità, ha posto in evidenza la scarsa utilità
di siffatta ricostruzione, non esistendo comunque una disciplina di riferimento conchiusa ed
esaustiva per la disciplina del modello.
11
L'elaborazione della categoria degli obblighi di protezione accessori alla obbligazione primaria di prestazione, si deve
essenzialmente alla dottrina tedesca, a partire dal notissimo «congedo» di HENRICH STOLL, Abschied von der Lehre von
der positiven Vertragsverletzung, in Archiv civ. Praxis, 136, 1932, 258 ss. (poi ampliata in Die Lehre von den
Leistungsstorungen, Tübingen 1936), e trova oggi un posto di rilievo nel sistema tedesco della responsabilità: per tutti,
ESSER, SchuldrechtI, Heidelberg, 1995, 398 ss. Per la dottrina italiana si veda invece CASTRONOVO, voce Obblighi di
protezione, in Enc. Giur. Treccani che così ricostruisce la fattispecie: «Secondo tale filone dottrinale, che in Germania
costituisce la totalità della letteratura in tema di obbligazione e in Italia ha invece faticato ad attecchire, l'obbligazione
non è un rapporto a struttura lineare ai cui poli si situano il debito e il credito dal lato attivo, bensì una struttura
complessa nella quale al nucleo costituito dall'obbligo di prestazione accede una serie di obblighi collaterali o accessori
(Nebenpflichten) la cui funzione complessiva è di pilotare il rapporto obbligatorio verso quel risultato integralmente
utile che esso è di per sé volto a realizzare. Poiché l'utilità del risultato non riguarda solo il creditore, in quanto se per
quest'ultimo essa consiste nel conseguimento della prestazione, per il debitore coincide con l'estinzione del un vinculum
iuris, tali obblighi, a differenza dell'obbligo principale (di prestazione), sono suscettibili di gravare su ambedue le parti
del rapporto, sul debitore e sul creditore».
12
G. MICARI, Colpa della PA e pericolosità del provvedimento amministrativo, Giur. Merito, 2006, 9
13
V. Consiglio di Stato, sez. VI, 14 marzo 2005, n. 1047, secondo il quale “quanto alla natura della responsabilità del
Ministero ed alle sue conseguenze, ritiene la Sezione che, nel diritto pubblico e per il caso di lesione arrecata
all'interesse legittimo, si è in presenza di una peculiare figura di illecito, qualificato dall'illegittimo esercizio del potere
autoritativo (il che preclude che possa essere senz'altro trasposta la summa divisio tra la responsabilità contrattuale e
quella extracontrattuale, storicamente affermatasi nel diritto privato). Infatti, per ragioni ontologiche, storiche,
normative e istituzionali, l'esercizio del potere autoritativo:
- non è assimilabile alla condotta delle parti di un rapporto contrattuale, caratterizzato da diritti, obblighi o altre
posizioni tutelate dal diritto privato (la cui tutela è prevista dagli articoli 1218 e ss. del codice civile);
- non è assimilabile alla condotta di chi - con un comportamento materiale o di natura negoziale - cagioni un danno
ingiusto a cose, a persone, a diritti, posizioni di fatto o altre posizioni tutelate ai fini risarcitori erga omnes dal diritto
privato (e la cui tutela è prevista dagli articoli 2043 e ss. del codice civile).
Queste conclusioni devono però essere quanto meno riconsiderate e rimodulate alla luce della
disciplina dettata dal codice del processo amministrativo.
4. Le novità del codice del processo e il recente intervento della Corte di Giustizia
Il panorama normativo è oggi sensibilmente mutato.
Il legislatore, forse abbagliato dalla necessità di comporre un contrasto tra le supreme giurisdizioni
(del quale, tuttavia non avrebbe dovuto farsi carico, essendo libero nei fini), a mezzo dell’art. 30 del
codice del processo ha dettato una disciplina del risarcimento del danno da provvedimento, chiara
ed esaustiva, che va ben oltre la compromissoria soluzione di una diatriba, sì da porsi come
esclusivo riferimento al giudice chiamato a darne applicazione14.
Trattasi di una disciplina diversa e differenziata da quella connaturale al modello aquiliano, poiché
in essa non si fa riferimento alcuno a colpa o dolo nella consueta accezione soggettiva, tantomeno a
quella peculiare colpa d’apparato che le SSUU hanno teorizzato nel ’99, ma semplicemente ed
unicamente all’illegittimità del provvedimento; al contempo si detta altra regola, parimenti
derogatoria rispetto ai principi giurisprudenzialmente affermatisi in tema di responsabilità, che
assegna alla mancata impugnazione dell’atto illegittimo valore tipico di colpa assorbente (questa
volta con riferimento al danneggiato) e, soprattutto, con essa si pone una regola sulla decadenza
(breve) dall’azione, assolutamente eccentrica rispetto a quella relativa alla prescrizione del diritto.
Nel codice del processo sono cioè tracciate le linee essenziali di un micro sistema calibrato su una
nozione tutta normativa di colpevolezza, ex latere debitoris coincidente con l’illegittimità del
provvedimento (sub specie di violazione di legge, incompetenza, eccesso di potere), ed ex latere
creditoris con la mancata impugnazione dello stesso, caratterizzato, vieppiù, da una risarcibilità
presidiata da un perentorio meccanismo di decadenza. In concreto, la mancata richiesta di
annullamento della manifestazione di volontà viziata dell’amministrazione od il rifiuto di
annullamento della stessa da parte del giudice in forza dell’acclarata legittimità dell’atto, assurgono
a fattispecie che escludono la risarcibilità del danno (la prima) o, più a monte, l’imputabilità a titolo
di colpa della condotta (la seconda).
Non sono ravvisabili nell’ordinamento nazionale altri modelli simili, né questo deve sorprendere,
essendo del tutto ragionevole che un sistema autonomo di regole sia necessario per governare le
dinamiche della responsabilità in un’area in cui uno dei soggetti si muove nell’esercizio di un potere
amministrativo.
Ciò potrebbe condurre a rivalutare il credito della cennata tesi della responsabilità speciale.
In realtà, l’obiezione dogmatica di fondo circa la non configurabilità teorica di un tertium genus tra
torto e contratto continua ad avere un’indiscutibile resistenza passiva, non potendosi
ragionevolmente configurare una ulteriore alternativa a quella tra l’esistenza e l’inesistenza di un
rapporto giuridico obbligatorio (formale o fattuale) in cui sono dedotte specifiche prestazioni, e ciò
a prescindere dalla qualità di uno dei soggetti del rapporto.
Ciò nondimeno, pur dovendosi a nostro giudizio riaffermare la tesi della natura aquiliana della
responsabilità, è del pari innegabile che essa ormai sia una responsabilità aquiliana a regime
speciale, fortemente influenzata dalla qualità pubblica del danneggiante e dalla natura
provvedimentale dell’azione illecita.
14
Si riportano di seguito i commi 2 e 3 dell’ art. 30 codice del processo amministrativo:
2. Può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell'attivita'
amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria. Nei casi di giurisdizione esclusiva puo' altresi' essere
chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi. Sussistendo i presupposti previsti dall'articolo 2058 del
codice civile, può essere chiesto il risarcimento del danno in forma specifica.
3. La domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi e' proposta entro il termine di decadenza di centoventi
giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si e' verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva
direttamente da questo. Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento
complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando
l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti.
Né varrebbe obiettare per neutralizzare il rilievo sistematico del provvedimento, che il nuovo
impianto del codice consente l’azione di risarcimento autonoma svincolata dal previo annullamento
dello stesso, poiché, con l’inequivocabile conforto del dato testuale è agevole replicare che il
giudice, investito in via incidentale della valutazione dell’atto, non fa che vagliarne, in ossequio alla
predetta definizione normativa della colpa, i profili di eventuale illegittimità senza dover fare
valutazioni aggiuntive in ordine a profili di colpevolezza generici, diversi da quelli normativamente
previsti.
L’aver optato, il legislatore, sia pur con i limiti sostanziali sopra accennati (cd pregiudiziale
sostanziale), per un accertamento autonomo della responsabilità, nulla toglie alla cennata
configurazione speciale del regime di quest’ultima ed anzi forse ne esalta la descritta qualità, ove si
consideri che persino in tale ipotesi vige lo speciale regime della decadenza.
In sostanza, il nuovo statuto, nell’allargare le maglie della responsabilità provvedimentale esimendo
il danneggiato da sforzi probatori ulteriori rispetto a quelli relativi alla dimostrazione
dell’illegittimità della manifestazione di volontà amministrativa, del danno subito e del nesso
eziologico, le rende più robuste introducendo l’onere di preventiva impugnazione dell’atto (modello
di comportamento diligente richiesto dalla stessa norma), e strette, sottoponendole ad ineluttabile
regime di decadenza.
Le conclusioni hanno un potenziale di rottura meno profondo di quanto prima facie appaia, ed anzi
si allineano perfettamente con la prospettiva comunitariamente adottata in materia di appalti,
recentemente ricordata dal giudice di quell’ordinamento.
La Corte di Giustizia CE, Sez. III - 30 settembre 2010 (C-314/09) ha, infatti, a chiare lettere
affermato che la direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di
ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata
dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, deve essere interpretata nel senso che essa
osta ad una normativa nazionale, la quale subordini il diritto ad ottenere un risarcimento, a motivo
di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un'amministrazione
aggiudicatrice, al carattere colpevole di tale violazione, finanche se la normativa preveda una
presunzione di colpevolezza vincibile solo attraverso la dimostrazione della scusabilità dell’errore
(impossibilità soggettiva o inesigibilità, secondo buona fede, del comportamento diligente).
In proposito, la Corte di Giustizia ha rilevato come il tenore letterale degli artt. 1, n. 1, e 2, nn. 1, 5
e 6, nonché del sesto ‘considerando’ della direttiva 89/665 non indichi in alcun modo che la
violazione delle norme sugli appalti pubblici atta a far sorgere un diritto al risarcimento a favore del
soggetto leso debba presentare caratteristiche particolari, quale quella di essere connessa ad una
colpa, comprovata o presunta, dell’amministrazione aggiudicatrice, oppure quella di non ricadere
sotto alcuna causa di esonero di responsabilità e, soprattutto che, il rimedio risarcitorio previsto
dall’art. 2, n. 1, lett. c), della direttiva 89/665 può costituire, se del caso, un’alternativa procedurale
compatibile con il principio di effettività, sotteso all’obiettivo di efficacia dei ricorsi perseguito
dalla citata direttiva, soltanto a condizione che la possibilità di riconoscere un risarcimento in caso
di violazione delle norme sugli appalti pubblici non sia subordinata – così come non lo sono gli altri
mezzi di ricorso previsti dal citato art. 2, n. 1 – alla constatazione dell’esistenza di un
comportamento colpevole tenuto dall’amministrazione aggiudicatrice15.
15
Per una ricostruzione del pregresso approccio della Corte di Giustizia al ruolo dell’elemento soggettivo nella
responsabilità da provvedimento si veda, M.A. SANDULLI, in op.cit. la quale dopo avere ripercorso le posizioni della
dottrina in ordine alla corretta esegesi da dare a Corte giust., 4 luglio 2000, C-424/97, Haim, e 23 maggio 1996, C5/94, Hedley Lomas, rimarca come nelle pronunce citate, più che l’affermazione di un obbligo di assumere una
concezione di colpa meramente oggettiva della P.A. che escluda di conseguenza ogni possibilità di ricorso all’errore
scusabile, sembra rinvenirsi una netta posizione sulla non addossabilità al danneggiato dell’onere della prova. Nella
sentenza 30 settembre 2010 (C-314/09), tuttavia, la Corte, pur non smentendo l’astratta rilevanza della scusabilità
dell’errore, compie affermazioni più chiaramente orientate ad escludere che l’elemento soggettivo debba o possa avere
un ruolo nell’accertamento della responsabilità della P.A., con ciò avvalorando la tesi, sostenuta nel presente scritto, che
delinea un’accezione normativa della colpa.
Del resto, neanche l’ordinamento interno, nel recepire la direttiva ricorsi ha fatto cenno ad eventuali
requisiti di colpevolezza.
L’art. 124 del codice del processo si è semplicemente limitato ad affermare che “se il giudice non
dichiara l’inefficacia del contratto, dispone il risarcimento del danno per equivalente, subito e
provato” non lasciando margine per valutazioni dell’elemento soggettivo o delle eventuali cause di
scusabilità.
Gli echi della recente giurisprudenza comunitaria sono già percepibili nella giurisprudenza
nazionale. In particolare il TAR Lombardia - Brescia, Sez. II, 4 novembre 2010 n. 4552, intonando
le prime note del de profundis ha affermato che, a seguito della citata pronuncia della Corte di
Giustizia, il requisito della colpa della P.A., necessario per il risarcimento del danno derivante da
lesione di interessi legittimi, è “destinato a perdere consistenza, non potendosi in particolare
subordinare la concessione di un risarcimento al riconoscimento del carattere colpevole della
violazione della normativa sugli appalti pubblici commessa dall’Amministrazione aggiudicatrice”.
In dottrina si è da subito osservato che il modello di responsabilità oggettiva imposto
dall’ordinamento comunitario dovrebbe applicarsi solo alle procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici in ragione dell’interesse oggettivo alla concorrenza che le ispira16.
Le procedure di affidamento dei contratti pubblici, però, non sono poi così diverse dalla procedure
concorsuali per l’assunzione di personale e, in fondo, non hanno nemmeno peculiarità così marcate
da giustificare la ragionevole persistenza di un modello differenziato di responsabilità rispetto alla
generale azione della pubblica amministrazione ed alla tutela degli interessi legittimi negli altri
settori dell’ordinamento. E se tale peculiarità dovessero rinvenirsi, rispetto al rimanente mondo
degli interessi pubblici, esse potrebbero al più giustificare una responsabilità oggettiva solo
nell’ipotesi di resistenza passiva all’annullamento delle procedure di aggiudicazione (si pensi alle
infrastrutture strategiche) poiché, solo in tal caso – prestando ossequio alla logica tradizionale - ciò
che è negato sul versante della tutela costitutiva dovrebbe essere restituito su quello della tutela
risarcitoria (così come la tutela costitutiva negata, quella risarcitoria non dovrebbe essere
subordinata ad alcun requisito di carattere soggettivo, pena la tenuta costituzionale del sistema).
Al di fuori di queste ipotesi davvero non si comprende perché il regime della tutela risarcitoria in
materia di appalti dovrebbe essere differenziato. Se il motivo è che la tutela deve essere accessibile,
rapida ed effettiva, allora, una volta caduto il dogma dell’irrisarcibilità dell’interesse legittimo, non
v’è motivo per negare siffatte qualità ad ogni tutela nei confronti della PA.
La verità è che la giurisprudenza comunitaria adotta un generale modello di responsabilità
dell’amministrazione in cui non trova rilevanza l’elemento soggettivo del dolo o della colpa, e ciò
fà a prescindere dalla materia o del settore in cui l’amministrazione interviene.
Recepire il citato modello nell’ordinamento interno, limitatamente agli appalti, e giustificare la
differenziazione in ordine all’elemento soggettivo, rispetto agli altri settori di attività, alla luce della
particolare rilevanza e pregnanza delle procedure di affidamento dei contratti pubblici significa
allora trascurare, giusto quanto innanzi detto, che 1) la pregnanza potrebbe al più giustificare
deroghe alla tutela costitutiva, strettamente ancorata come è al perseguimento dell’interesse
pubblico primario, ma non già a quella risarcitoria, 2) l’obiettivo di assicurare effettività e celerità,
non può non considerarsi come proprio della tutela risarcitoria in generale, risultando irragionevole
ed incostituzionale ogni tentativo di distinguo in proposito.
Che del resto la tutela risarcitoria in materia di appalti non debba e non possa avere corsie
preferenziali o comunque differenziate in punto di effettività e celerità lo ha da subito affermato la
giurisprudenza all’inizio della propria opera di delimitazione dell’ambito applicativo dei riti speciali
ed accelerati, all’uopo chiarendo che “il rito accelerato si deve applicare quando la domanda
proposta in giudizio, rientrante tra quelli di cui al all'art. 23-bis, comma 1, della legge n. 1034 del
16
S. CIMINI, La colpa è ancora un elemento essenziale della responsabilità da attività provvedi mentale della PA?, in
Giust-amm., n. 1/2011
1971, non abbia ad oggetto il mero risarcimento del danno, ma riguardi anche l'annullamento di atti
amministrativi”17.
Non potendosi creare distinguo in relazione ai danni che l’amministrazione produce nell’esercizio
del potere amministrativo, la sensazione e l’auspicio è che, come di sovente è accaduto, la
giurisprudenza comunitaria costituisca l’alba di una stagione in cui semi di una rinnovata
configurazione dello statuto della responsabilità provvedimentale sono pronti a germinare, in forza
del principio della piena alternatività degli strumenti rimediali e della configurazione normativa
della colpa nell’attività autoritativa della PA.
5. La nuova configurazione normativa della colpa
La configurazione normativa della colpa costituisce la vera chiave di lettura del processo18. La
natura attizia del facere della PA e l’assunto per il quale anche l’interesse legittimo è posizione
giuridica la cui lesione merita ristoro, ha finito, secondo la tesi qui accolta, per indurre il legislatore
a definire la condotta tipica colpevole, in ispecie positivamente individuandola all’art. 30 del codice
del processo amministrativo nell’ “illegittimo esercizio dell’attività”.
Nessun riferimento al dolo o alla colpa generica è stato fatto dal legislatore, e ciò a differenza di
quanto contestualmente previsto in materia di inerzia lesiva, per la quale è invece espressamente
richiesto che la violazione del termine sia “colpevole”.
L’oggettiva violazione del termine delinea infatti, a ben vedere, un comportamento negativamente
qualificato dall’ordinamento in relazione al parametro tempo che non incide (ovviamente) sulla
legittimità dell’atto tardivamente emesso, ma che può ingenerare responsabilità solo se frutto di
negligenza così come in generale previsto per ogni comportamento lesivo.
Ciò non contraddice ma conferma la tesi qui sostenuta. Il legislatore ha sentito il bisogno di
evidenziare che in tema di responsabilità da inerzia, pur essendo quest’ultima riferibile al mancato
esercizio di un potere amministrativo, si è dinanzi ad un “comportamento” che deve essere vagliato
alla luce dei consueti canoni soggettivi del dolo e della colpa. Non così per la responsabilità da
provvedimento illegittimo poiché in tal caso la violazione della norma che disciplina la fattispecie
provvedimentale integra di per sé un scostamento dal modello tipico di condotta diligente.
L’inequivoca individuazione della condotta tipica, non incisa dal riferimento al danno ingiusto
(dovendosi per questo intendersi, come insegnato dalla Suprema Corte, la lesione di interessi
protetti dall’ordinamento in quanto meritevoli di tutela), ed ulteriormente qualificata (ove ce ne
fosse bisogno) dall’affermazione che il danno può ben derivare “direttamente dal provvedimento”
(Cfr. comma 3 dell’art 30 cit.), impone allora che il giudice verifichi - se del caso in via incidentale
- ai fini dell’accertamento della responsabilità, solo se il provvedimento dal quale il danno
direttamente o indirettamente deriva sia o meno illegittimo, nonché, ai fini della risarcibilità in
concreto, se il provvedimento illegittimo sia stato o meno tempestivamente impugnato.
Del resto, il descritto sistema di responsabilità, caratterizzato da un configurazione normativa della
colpa della PA, corrisponde a quello ordinariamente previsto dalla disciplina civilistica per le
residue aree di quell’ordinamento in cui è ancora ammessa una posizione di autorità di una delle
parti del rapporto.
Il potere, infatti, in alcune limitate ipotesi, ex lege previste e tipizzate, può anche essere di natura
privata, nel qual caso si pongono in chiave di teoria generale problemi analoghi a quelli visti per i
17
18
Cons.giust.amm. Sicilia, sez. giurisd., 14 settembre 2009, n. 788.
Il profilo della colpa “riveste un'importanza particolare non solo in sé considerato e per la sua incidenza in ordine alla
concreta definizione dell'area del danno risarcibile ma anche per la sua centralità sistematica di fattore in grado di
spiegare, in relazione a ciascun soggetto e alla sua posizione nell'ordinamento, i fondamenti e le ragioni della sua
propria responsabilità ……. Anche se riferito al più ristretto ambito dell'amministrazione il tema non può dunque essere
sganciato da questo contesto, pena la costruzione di un modello formale di responsabilità, indifferente al ruolo
istituzionale dell'amministrazione e alle odierne caratteristiche della posizione del cittadino rispetto al potere pubblico”.
Così E. SCOTTI, op. cit.
provvedimenti amministrativi, con la conseguenza che il giudizio ordinario finisce per essere simile
al giudizio amministrativo.
Si pensi al potere disciplinare del datore di lavoro: anche in questo caso, la sanzione disciplinare è
frutto dell’applicazione di un catalogo tipizzato di comportamenti vietati ed è comminata, all’esito
di un procedimento disciplinato dalla legge, a mezzo dell’emanazione finale di un atto. Se la
sanzione non è stata comminata in conformità alle norme sostanziali e procedurali che presiedono
alla sua applicazione, nessuno dubita che ciò, di per sé solo, sia sufficiente ad integrare i requisiti di
colpa sufficienti per l’accertamento della responsabilità, non essendo all’uopo necessario, né
richiesto, che il lavoratore provi profili di colpevolezza generici ed ulteriori. E’ pur vero che il
potere disciplinare si innesta sullo sfondo di un rapporto contrattuale ed in esso trova la sua
giustificazione ultima, ma è parimenti vero che esso può essere traguardato come il paradigma della
responsabilità da atto posto in violazione di norme che tipizzano la condotta vietata, sfrondato dal
reticolo di contenimento che ragioni ideologiche e di politica giudiziaria hanno invece imposto nel
travagliato processo di affermazione della risarcibilità degli interessi legittimi.
In questo caso, come in quello della responsabilità della PA da provvedimento illegittimo, trattasi di
colpa specifica per violazione di legge o regolamenti o dei principi di ragionevolezza e
proporzionalità che governano l’esercizio dei poteri discrezionali.
Diversa è la logica della responsabilità oggettiva, ovvero della responsabilità individuata
dall’ordinamento in base a mere valutazione di opportunità ben evidenziate dalle analisi
economiche del diritto, in cui l’elemento psichico dell’agente in relazione al fatto dannoso non
rileva, restando tutto assorbito nella sola sussistenza del nesso causale tra fatto e danno.
Siffatto modello è ispirato ad una logica di ripartizione del rischio, diversa ed incompatibile rispetto
a quella sanzionatoria della colpa, che invece nella responsabilità della PA è - secondo la tesi qui
sostenuta - mantenuta in piedi sebbene tipizzata ed oggettivizzata attraverso il riferimento alla mera
illegittimità provvedimentale.
L’osservazione offre lo spunto per l’accenno ad un’ulteriore, delicatissimo interrogativo.
6. C’è ancora spazio per la scusabilità?
La definizione normativa di colpa è compatibile con il concetto di esimente? E se è così, quali sono
le esimenti da considerare?
La questione non è invero agevole da dipanare. Dinanzi ad una tipizzazione della condotta colposa
rilevante ai fini della responsabilità civile occorre spiegare le ragioni per le quali il rischio
dell’oscurità della norma e dell’incertezza della sua interpretazione giurisprudenziale, debba restare
in capo al privato danneggiato, frapponendosi alla sua pretesa al ristoro. Se non v’è dubbio, infatti,
che nel sistema della responsabilità penale la scusabilità dell’errore sulla norma debba avere un
rilievo, ivi trattandosi dell’applicazione di pene in un ottica squisitamente sanzionatoria, lo stesso
non può de plano predicarsi in tema di responsabilità civile, ove la logica non è (solo) quella della
sanzione, ma del ristoro dei pregiudizi, patrimoniali e non, subiti dal danneggiato.
La stato della giurisprudenza, anche successivo al ’99 è in questa direzione poco utile, poiché essa
è tutta esplicitamente o implicitamente fondata sul presupposto, coerente con l’impronta soggettiva
dell’ordinaria responsabilità aquiliana della PA, che l’illegittimità del provvedimento sia solo un
indice presuntivo della colpa. Segnatamente, secondo la giurisprudenza richiamata, l’errore
scusabile è senz’altro configurabile, oltre che rilevante, in caso di contrasti giurisprudenziali
sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di
rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di
illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata19.
Traslando l’assunto sul diverso ed esaminato piano, nel quale, in tesi, illegittimità e colpevolezza
coincidono, e volendone ugualmente abbracciare le conclusioni, si tratterebbe di individuare casi in
cui si profila una illegittimità non colposa, tale da negare eccezionalmente al privato conculcato
19
Cfr. CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - sentenza 9 giugno 2008 n. 2751
nelle sue legittime aspettative all’ottenimento di un bene o alla sua conservazione, il diritto al
ristoro. Il focus dovrebbe in questo caso essere posto, non sulla condotta tipica colpevole (sempre
sussistente ove l’atto sia illegittimo) ma sull’imputabilità della condotta tipica in una chiave
esclusivamente giuridica che ha riguardo alla inevitabilità o alla scusabilità dell’errore sulla norma
che quella condotta in particolare descrive.
In questa chiave, solo l’errore interpretativo, se inevitabile o scusabile, potrebbe costituire
un’esimente idonea ad escludere la responsabilità. Se una norma ha sempre avuto una certa,
pacifica, interpretazione di cui l’amministrazione ha fatto tesoro al fine dell’emanazione dell’atto
lesivo, ed il giudice della legittimità se ne discosta anche in ragione dell’evoluzione
giurisprudenziale postuma, è evidente che la condotta legittima non poteva in concreto essere
pretesa a quel momento dall’amministrazione e che, ferma l’ineluttabile tutela costitutiva, non possa
essere accordata anche quella risarcitoria. Lo stesso può dirsi per l’ipotesi in cui la norma è
oggettivamente mal formulata od oscura, talchè la stessa giurisprudenza ne abbia fornito una
interpretazione mutevole ed instabile. Tutti elementi che attengono, a ben vedere, proprio all’esatta
e chiara delineazione della norma, id est, del parametro alla luce del quale è vagliata la sussistenza
della colpa dell’amministrazione20. Non si è quindi al cospetto di una causa soggettiva (ed ancor
meno organizzativa) di esclusione della colpa, ma dinanzi ad un’oggettiva incertezza dello stesso
parametro normativo che delinea il comportamento diligente dovuto; ciò è coerente con la
definizione normativa della colpa nel sistema della responsabilità da provvedimento.
C’è da chiedersi però, tornando al quesito iniziale, le ragioni per le quali il rischio dell’oscurità della
norma e dell’incertezza della sua interpretazione giurisprudenziale, debba restare in capo al privato
danneggiato, frapponendosi alla sua pretesa al ristoro
Il tentativo di far riemergere elementi di soggettività attraverso il rilievo dato al momento
interpretativo potrebbe infatti apparire come l’ennesimo sforzo teso a creare una rete di
contenimento e, secondo alcuni21, non è coerente con il ruolo istituzionale dell'amministrazione e
con i suoi doveri, perché: a) esso sembra derivare da una discutibile estensione di parametri
elaborati con riguardo a soggetti privati, in una fase in cui, per converso, le tendenze civilistiche
hanno superato l'idea della centralità della colpa e dei suoi - oggi plurimi - criteri di imputazione; c)
l’oggettivazione della colpa è lo strumento più coerente con il dovere di agire funzionale
dell’amministrazione; d) la rilevanza della scusabilità dell’errore nell’interpretazione delle norme da
parte dell’amministrazione pubblica finisce per esonerare la collettività da un costo che rimane in
capo al cittadino danneggiato, con buona pace del principio di capacità contributiva.
In realtà non si tratta di una rete di contenimento ma di un logico corollario del modello normativo
di colpa, qui accolto. Al di là c’è solo la responsabilità oggettiva del “chi rompe paga”, ma questo è
un modello che non vige nell’ordinamento comunitario, non trova alcun appiglio normativo in
quell’interno, e non trova nemmeno giustificazioni di carattere politico sociale, non apparendo equo
scaricare sull’amministrazione e conseguentemente sulla collettività costi provocati da errori o
dubbi ingenerati dal legislatore in sede di formulazione delle norme.
La scusabilità, nel senso sopra chiarito, potrebbe altresì avere un ruolo nell’area dell’attività
discrezionale dell’amministrazione, in linea con quanto in generale previsto dall’ordinamento
comunitario.
Com’è noto, le condizioni dell'azione di responsabilità in ambito comunitario (non in tema d’appalti
ma in generale in relazione all’attività dello Stato) sono state individuate nell'antigiuridicità del
comportamento dannoso, nell'esistenza di un pregiudizio effettivo e giuridicamente rilevante, nel
20 La questione della scusabilità dell’errore interpretativo è trattata da M.A. SANDULLI, La Corte di Cassazione e la
Corte di Giustizia verso una più effettiva tutela del cittadino? (note a margine di Cass. SS. UU. 13 giugno 2006 nn.
13659 e 13660 e 15 giugno 2006 n. 13911 sul risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e di CGUE 13
giugno 2006 in C-173/03, sulla responsabilità civile dei magistrati), in Federalismi.it, 2006. L’autrice in particolare
sottolinea l’inevitabilità dell’errore in presenza di norme legislative spesso poco comprensibili.
21
E. SCOTTI, Appunti per una lettura della responsabilità dell’amministrazione tra realtà ed uguaglianza, Dir. Amm.,
2009, 3, 521
nesso causale tra il comportamento tenuto dal soggetto comunitario e il pregiudizio lamentato “con
le seguenti due precisazioni, proprie del diritto comunitario: la norma violata deve essere la base
diretta di diritti dei singoli; la violazione di detta norma deve essere "seria", nel senso che l'autorità
deve avere travalicato i limiti della sua discrezionalità in modo grave e manifesto”.
La dottrina più autorevole insegna che la responsabilità per fatto illecito della pubblica
amministrazione nel sistema comunitario è solo una parte di una comprensiva responsabilità dello
Stato per tutte le funzioni pubbliche al suo interno esercitate, inclusa la funzione normativa e
financo la funzione giurisdizionale, e che la responsabilità extracontrattuale per comportamento
illecito dell'amministrazione si differenzia dagli altri due tipi (del legislatore e del giudiziario) per
non essere circondata da quelle particolari limitazioni che, giustamente, sono state definite per
evitare un uso eccessivo delle relative azioni di responsabilità nei confronti del legislatore e del
giudiziario 22.
C’è un’area dell’amministrazione che tuttavia è compatibile con le limitazioni costituite dalla
“gravita e serietà” della violazione ed è quella dell’attività discrezionale. Quivi necessita un potere
di ponderazione e scelta tra interessi, che deve essere esercitato nel rispetto dei principi di
congruità, proporzionalità e ragionevolezza. La norma, in questo caso, non descrive interamente le
modalità di individuazione e cura dell’interesse ma le rimette alla potestà discrezionale
dell’amministrazione, talchè, se la violazione dei principi generali sopra citati da luogo al vizio
dell’eccesso di potere, di per sé solo sufficiente ad annullare l’atto, la generalissima definizione del
parametro normativo di riferimento, in definitiva coincidente con i richiamati principi, apre, sul
versante della tutela risarcitoria il varco a valutazioni giudiziali in ordine alla profondità e gravità
del contrasto.
Anche in questo caso la conclusione è coerente con l’accezione normativa della colpa, sin qua
sostenuta, poiché la valutazione del giudice non attiene a profili soggettivi od organizzativi ma alla
stessa specificazione e concretizzazione del precetto generale di ragionevolezza. Tanto più la
soluzione ragionevole era agevolmente ricavabile dalla norma o, in altre parole, tanto più il
comportamento diligente appariva ab inizio intelligibile, tanto più la violazione si tinge di
colpevolezza.
7. In conclusione
Volendo tracciare delle conclusive considerazioni di sintesi potrebbe dirsi che, ferma restando la
natura aquiliana della responsabilità provvedimentale della PA, sono ormai intervenuti fattori che
ne rendono del tutto speciale il regime: 1) l’evoluzione della giurisprudenza amministrativa
successiva allo storico arresto della Cassazione; 2) l’irruzione di una nuova disciplina dell’azione
risarcitoria da lesione provvedimentale del tutto eccentrica rispetto all’azione risarcitoria da mero
fatto illecito; 3) il costante monito della Corte di Giustizia in ordine all’irrilevanza dei profili
soggettivi della responsabilità.
Segnatamente, la giurisprudenza amministrativa ha iniziato ad oggettivare la colpa individuando
indici complementari a quello costituito dall’illegittimità dell’atto, il legislatore ha introdotto un
peculiare statuto normativo alla responsabilità provvedimentale spostando l’asse verso
l’illegittimità, in un ottica tutta normativa della colpa, la Corte di Giustizia ha ricordato i motivi che
giustificano ed impongono a livello comunitario un accertamento svincolato dai profili della colpa,
in sé ravvisabile nella stessa violazione della norma da parte dell’amministrazione.
In un quadro siffatto, continuare a discorrere di fatto illecito e di colpa nella consueta accezione,
salvo poi, nella concreta applicazione, dare rilievo a fattori oggettivi che attengono non già al
comportamento della PA o all’efficienza del suo apparato ma al grado di chiarezza delle norme o
alla stabilità degli orientamenti ermeneutici o, ancora, imporre normativamente limiti decadenziali
all’azione risarcitoria similmente a quanto da sempre previsto per quella costitutiva e continuare a
sostenere che la responsabilità provvedimentale è comune responsabilità aquiliana, significa
22
In tali termini si esprime, MARIO P. CHITI, La responsabilità dell’amministrazione nel diritto comunitario, in Riv. it.
dir. pubbl. comunit. 2009, 3-4, 505
prestare formale acquiescienza alla forza ed autorevolezza dei tranquilli ed esplorati schemi teorici
tradizionali, rinunciando a leggere, nella giusta e nuova chiave, la metamorfosi già da tempo in atto.
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