Lezione1

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Fisica classica e fisica quantistica
Lo scopo di questo corso è di introdurre i concetti fondamentali della teoria
del legame chimico. Per questo dobbiamo studiare il movimento e l’energia delle particelle (nuclei ed elettroni) che costituiscono una molecola. Se
l’energia globale di nuclei ed elettroni nella molecola è inferiore alla energia
delle stesse particelle negli atomi separati la molecola sarà stabile. La struttura della molecola corrisponderà alla configurazione spaziale (lunghezze di
legame ed angoli di legame) di più bassa energia. Per studiare il moto degli
elettroni e dei nuclei (e l’energia del sistema) non possiamo basarci sulle leggi
della meccanica classica (equazioni di Newton) ma dobbiamo fare ricorso alla
meccanica quantistica.
Ci sono molti esperimenti riguardanti le particelle microscopiche (come
elettroni, nuclei) che non possono essere spiegati con le leggi della meccanica
classica. Ad esempio la struttura planetaria dell’atomo con l’elettrone che
ruota intorno al nucleo non è stabile secondo la meccanica classica. Infatti la
fisica classica ci dice che una carica in moto accelerato (nel nostro caso l’elettrone che ruota intorno ad un nucleo) emette radiazione e quindi energia.
Ma per la legge di conservazione dell’energia, se l’elettrone emette energia
durante il suo moto di rotazione la sua energia dovrebbe diminuire continuamente fino a che l’elettrone cadrebbe sul nucleo. Invece noi sappiamo che
l’atomo è un sistema stabile. Questa deficienza della meccanica classica non
ha carattere tecnico o contingente ma ha natura concettuale. La meccanica
classica ha una struttura deterministica nel senso che le leggi del moto, note
le forze e le condizioni iniziali, ci permettono di prevedere l’evoluzione precisa del nostro sistema nel tempo. Questo carattere deterministico non si può
estendere, come vedremo, ai fenomeni microscopici.
Per introdurre i concetti della meccanica quantistica abbiamo due possibilità:
a) presentare la formulazione come si è consolidata alla fine degli anni 1920
con una introduzione di tipo assiomatico, cioè vengono presentati dei
postulati, che sono il risultato di un lunga elaborazione, di cui non si da
dimostrazione e che sono validati dal fatto che nel mondo microscopico
non si trova un fatto o un fenomeno che non sia in accordo o che non
possa essere spiegato come deduzione dalla teoria basata sui postulati.
b) alternativamente possiamo giungere alla meccanica quantistica attraverso il percorso storico che ha portato alla formulazione definitiva.
Questo approccio può essere istruttivo ma bisogna fare notevoli semplicazioni nello sviluppo storico perché il percorso è stato molto tortuoso.
È un approccio molto dispersivo.
Noi useremo la strada a) perché è più pratica e diretta anche considerando il tempo che abbiamo a disposizione. Tuttavia per rendere più chiara
l’esposizione dei concetti è utile riepilogare alcune tappe fondamentali dello
sviluppo della fisica utili dal nostro punto di vista. La scelta di queste tappe
è sommaria nel senso che è fatta semplicemente per il valore didattico che
può avere. Le tappe fondamentali che possiamo considerare sono riassunte
nella tabella seguente:
1801 Young dimostra la natura ondulatoria della luce (attraverso i fenomeni
di interferenza). Un fenomeno ondulatorio è caratterizzato da una lunghezza d’onda λ, da una velocità di propagazione u e da un periodo T ,
definiti con riferimento alla successiva Figura 6 e legati dalla relazione
riportata nella formula (5). La lunghezza d’onda e la frequenza sono
legati dalla relazione
λ=
u
ν
I fenomeni ondulatori sono caratterizzati dalla capacità di dare luogo
a interferenza e diffrazione. L’interferenza si ha (come illustrato nella
figura 1) quando due onde provenienti da due sorgenti arrivano in un
punto nello stesso istante e si sommano o si elidono a seconda dello
loro fase relativa. I fenomeni di diffrazione si hanno quando un’onda
attraversa una fenditura lineare o circolare di dimensioni vicine a quelle
della lunghezza d’onda. I fenomeni di diffrazione sono illustrati nelle
figure 2, 3, 4 e 5
1802 Maxwell unifica le leggi della elettricità e del magnetismo. Predice l’emissione di radiazione da parte di una carica accelerata. La luce ha
natura di onda elettromagnetica (vedi figura 6). Tutte le radiazioni
hanno quindi lo stesso carattere differendo per la lunghezza d’onda (o
la frequenza) anche se le loro proprietà possono essere molto diverse
come illustrato nelle figure 7, 8, 9, 10, 11. Esperienze di Hertz su onde
prodotte da scariche elettriche. L’intensità ed l’energia della radiazione è proporzionale al quadrato dell’ ampiezza. Un corpo è capace di
emettere ed assorbire radiazioni della stessa frequenza
Fine 1800 Viene misurato lo spettro emissione del corpo nero nel quale vengono
trovati andamenti non spiegabili con la teoria classica: catastrofe ultravioletta. Vedi figura 12 per un possibile esempio di corpo nero e
le figure 13, 14 e 15 per l’andamento della emissione del corpo nero a
varie temperature. In figura 16 la curva sperimentale della emissione
del corpo nero è confrontata con la previsione della fisica classica
1900 Planck interpreta lo spettro corpo nero introducendo l’ipotesi quantistica: gli atomi oscillanti in un solido emettono energia solo per multipli
di una quantità finita hν proporzionale alla frequenza (h = 6.610−34 Js
è la costante di Planck). L’energia di un atomo è quantizzata
1905 Effetto fotoelettrico. Il fenomeno è illustrato in figura 17. Un circuito
esterno è collegato a due elettrodi che si trovano in una ampolla di
vetro in cui è stato fatto il vuoto. In condizioni normali quindi il
circuito è interrotto e non circola corrente. Se un elettrodo metallico
viene illuminato con una radiazione, il metallo emette elettroni che
vengono attirati dall’altro elettrodo ed il circuito si chiude con passaggio
di corrente. Si osserva, come mostrato nel grafico riportato in figura
17, che si ha passaggio di corrente solo se la frequenza della luce è
superiore ad un valore minimo ( soglia fotoelettrica ) e che al di sopra
della soglia la intensità di corrente è proporzionale linearmente alla
frequenza. Einstein interpreta l’effetto fotoelettrico assumendo che la
radiazione sia costituita da un gas di particelle (fotoni) con energia hν
proporzionale alla frequenza. Aumentando l’intensità della radiazione
non aumentiamo l’energia ma il numero di fotoni emessi per unità di
tempo
1923 Effetto Compton. Compton dimostra che effettivamente la radiazione
mostra un comportamento corpuscolare. Nell’esperimento di Compton
(illustrato schematicamente in figure 18 e 19) viene mostrato che quando la radiazione incide su un elettrone questo viene deviato proprio
come ci aspettiamo per effetto di un urto con una particella (fotone)
1909 Rutherford. Scattering di particelle alfa da parte di una lamina di oro.
La massa atomica è concentrata nel nucleo
1911 Rutherford. Modello planetario dell’atomo. La relazione con la meccanica classica è stata già illustrata nel primo paragrafo di questo
capitolo
1912 Bohr. Modello per l’atomo. Gli elettroni ruotano su orbite circolari
con energia costante. Scambi di energia (es. emissione/assorbimento
di radiazione) si hanno solo per passaggio dell’elettrone tra orbite con
E2 − E1 = hν (vedi figura 21). Ciò consente una spiegazione della
regolarità degli spettri atomici le cui frequenze sono collegate da 1/λ =
cost(1/n21 − 1/n22 ) (vedi figure 22 e 23)
Orbite possibili: con momento angolare multiplo di unità fondamen-
tale mvr = nh/2π (quantizzazione imposta sull’apparato della fisica
classica)
1923 De Broglie: ipotesi che l’elettrone abbia carattere di un’onda con lunghezza d’onda λ = h/mv. Da questo la quantizzazione discende in
modo naturale (vedi figure 24, 25, 26)
1927 Davison e Germer. Effetti della diffrazione di un fascio di elettroni
da parte di un cristallo. Stesso comportamento di raggi X =>natura
ondulatoria (vedi figura 27)
Dualismo onda-particella
Da questo sommario riepilogo vediamo che la luce (radiazione elettromagnetica ) presenta uno strano comportamento: negli esperimenti di interferenza
e diffrazione si comporta indubbiamente come un’onda, mentre in altri esperimenti come l’effetto fotoelettrico si comporta come un insieme di particelle
(fotoni). Questi due aspetti sono ineliminabili e vanno accettati entrambi.
Ma è possibile conciliare queste due descrizioni della radiazione? Guardando all’interferenza e considerando la concezione ondulatoria diremo che dove
l’intensità è maggiore le onde interferiscono costruttivamente e le ampiezze si sommano. Dove le intensità sono basse o nulle le onde interferiscono
negativamente e le ampiezze si elidono. Se vogliamo descrivere il fenomeno
in termini di fotoni dobbiamo associare con la intensità il numero di fotoni
dicendo che dove arrivano molti fotoni si ha un alta intensità, dove arrivano
pochi fotoni la intensità è bassa. Ciò detto è chiaro che se vogliamo descrivere un fenomeno di interferenza dobbiamo ricorrere al concetto di onde che si
sovrappongono. Allora anche se accettiamo di descrivere la radiazione come
un insieme di fotoni, il moto di queste particelle non può più essere descritto
con le leggi della fisica classica. Ottica geometrica e ottica ondulatoria. Se
pensiamo in termini di fotoni immaginiamo che questi si propaghino come i
raggi dell’ottica geometrica. Questo va bene finché non intervengono ostacoli, aperture con le dimensioni della lunghezza d’onda. In questo caso si ha
diffrazione od interferenza e dobbiamo passare ad una descrizione in termini
di onde. Se da un lato oggetti che siamo abituati a considerare onde ( come la
radiazione ) mostrano un comportamento di corpuscoli, dall’altro la ipotesi
di de Broglie ristabilisce una simmetria in quanto anche oggetti considerati
materiali mostrano lo stesso dualismo. Partendo da questo parallelismo tra
onde e particelle si può pensare di arrivare ad una formulazione molto generale del comportamento delle particelle materiali. Questo programma fu
realizzato con la meccanica ondulatoria di Schrödinger. Le onde elettromagnetiche (e le onde in genere) obbediscono ad una equazione molto generale
detta equazione delle onde. Consideriamo un generico fenomeno ondulatorio
nello spazio e nel tempo: un’oscillazione di ampiezza Wo che si propaga nella
direzione x. Questo disturbo spaziale è descritto da una legge:
W (x, t) = Wo ei2πkx e−i2πkut
(1)
che descrive una periodicità spaziale ed una periodicità temporale. Infatti
l’onda è identica nei punti x e x + 1/k e pertanto abbiamo una periodicità
definita da una lunghezza d’onda λ = 1/k. D’altra parte in ogni punto x
l’onda è identica al tempo t ed al tempo t + 1/ku ed abbiamo quindi una periodicità temporale con periodo T = 1/ku. Nell’equazione (1) u rappresenta
la velocità di propagazione dell’onda: infatti a λ = vT da cui 1/k = v/ku.
Si vede subito che l’onda ubbidisce all’equazione delle onde:
∂ 2 W (x, t)
1 ∂ 2 W (x, t)
=
∂x2
u2
∂t2
(2)
Possiamo cercare di associare una equazione simile alle onde materiali. Se
indichiamo con Φ(x, t) la quantità che oscilla
Φ(x, t) = Ψ(x)e−i2πνt
(3)
avremo:
∂ 2 Φ(x, t)
1 ∂ 2 Φ(x, t)
=
∂x2
u2 ∂t2
Ricordiamo alcune relazioni valide per un’onda
λ = uT =
u
ν
1
ν
=
λ
u
hν
hk =
u
ku = ν
k=
(4)
(5)
(6)
(7)
(8)
Ricordando la relazione di de Broglie
mv = p =
h
hν
E
=
=
λ
u
u
1
p2
= 2
u2
E
(9)
(10)
possiamo riscrivere l’equazione delle onde nella forma:
∂ 2 Φ(x, t)
p2 ∂ 2 Φ(x, t)
=
∂x2
E 2 ∂t2
(11)
Usando la forma data sopra per Φ(x, t), equazione 3, possiamo ottenere una
equazione per la sola parte spaziale Ψ(x)
2
∂ 2 Ψ(x)
2 2 p
=
−4π
ν
Ψ(x)
∂x2
E2
(12)
2
∂ 2 Ψ(x)
2p
=
−4π
Ψ(x)
(13)
∂x2
h2
e ricordando come l’energia cinetica T è legata all’energia totale E ed all’energia potenziale V :
p2
=E−V
(14)
T =
2m
otteniamo
∂ 2 Ψ(x)
8π 2 m
=
−
(E − V )Ψ(x)
(15)
∂x2
h2
oppure
h2 ∂ 2 Ψ(x)
− 2
+ V Ψ(x) = EΨ(x)
(16)
8π m ∂x2
Questa è l’equazione di Schrödinger. Non ci soffermiamo ora su questa equazione perché ne dovremo parlare in maniera estesa successivamente. In questa
fase poniamoci la domanda: se una particella è considerata come un’onda cosa è realmente la quantità oscillante che indichiamo con Ψ? De Broglie aveva
pensato ad una vera e propria onda materiale. Ma la ipotesi risultò insostenibile. In ogni esperimento che possiamo concepire e realizzare un eventuale
rivelatore rivelerà sempre un elettrone per intero o non rivelerà niente. Non
esiste la possibilità di rivelare mai una frazione di particella. La stessa situazione si incontra per i fotoni: essi non possono mai essere rivelati per frazioni
ma solo per interi. Bohr cercò di superare questa difficoltà proponendo di
interpretare la Ψ come una distribuzione di probabilità. In base a questa
interpretazione Ψ2 in un punto rappresenta la probabilità di trovare la particella in quel punto. L’equazione di Schrödinger descrive una distribuzione di
probabilità di localizzazione dell’elettrone. Questa è la famosa interpretazione della Scuola di Copenhagen. Abbiamo quindi un significato frequentistico
della interpretazione probabilistica della Ψ. Questo, poiché la probabilità totale deve essere uguale ad uno, comporta la necessità della normalizzazione.
Il concetto di probabilità nella meccanica quantistica non è legato a nostre
deficienze conoscitive (come per la probabilità negli insiemi statistici) ma è
insita nella natura delle cose. Abbiamo pertanto un cambiamento radicale
nelle prospettive della fisica che perde il suo carattere deterministico: nel
microscopico non possiamo piu’ prevedere con certezza certi eventi futuri,
noti certi eventi presenti, ma ci è concesso soltanto di prevedere con quale
probabilità questi eventi si verificheranno.
Il principio di indeterminazione
Ci sono varie, diverse ma equivalenti, formulazioni della meccanica classica.
Quella più semplice e più nota è la formulazione di Newton basata sul secondo
principio nella forma delle equazioni di Newton
f = ma
(17)
Se il sistema è costituito da una particella che si muove nello spazio x,y,z possiamo considerare l’equazione di Newton separatamente per le tre componenti
cartesiane. Se ci sono n particelle dovremo per ognuna di esse considerare
l’evoluzione lungo le tre direzioni cartesiane per un totale di 3n equazioni (3n
coordinate indipendenti o 3n gradi di libertà).
In molti casi il sistema può essere soggetto a vincoli: ad esempio una particella può essere costretta (dai vincoli) a muoversi su una superficie. In tale
situazione non tutte le coordinate possono evolvere liberamente. In questi
casi le coordinate cartesiane e le equazioni di Newton possono non essere le
più convenienti per studiare il moto del sistema. Possiamo allora pensare ad
altri sistemi di coordinate (coordinate generalizzate) che includono in qualche
modo le condizioni dei vincoli. Le equazioni del moto possono allora essere
riformulate in una forma diversa, ad esempio nella forma delle equazioni di
Lagrange.
Come per la meccanica classica anche per la meccanica quantistica sono
possibili diverse formulazioni. Mentre Schrödinger elaborava la sua meccanica ondulatoria Heisenberg formulava la meccanica delle matrici che ha
un formalismo matematico più complesso. Heisenberg però dimostrò che
meccanica ondulatoria e meccanica delle matrici sono in realtà due formulazioni diverse ma equivalenti della stessa teoria fondamentale. Heisenberg
fece un’osservazione preliminare alla meccanica quantistica che è nota come
principio di indeterminazione.
Supponiamo che ad una particella sia associata un’onda sinusoidale indefinita che si propaga nella direzione x
Ψ(x) = Ψo e−i2πkx
(18)
Essendo la lunghezza d’onda λ perfettamente definita, per la relazione di de
Broglie alla particella sono associati una velocità ed un momento ben definiti
p = mv =
h
λ
(19)
Ci chiediamo quale sia la posizione di questa particella che viaggia nella
direzione x con velocità v. Per questo calcoliamo |Ψ(x)|2 e troviamo che
questa è uguale in tutti i punti della direzione x: quindi la probabilità di
trovare la particella è identica in tutti i punti. La velocità della particella è
perfettamente definita ma la sua posizione è del tutto indeterminata.
Se pensiamo ad una particella che abbia una posizione xo meglio definita
dobbiamo pensare ad una diversa Ψ(x) che abbia valore diverso da zero in
xo e valore quasi nullo altrove. La Ψ(x) deve avere la forma di un pacchetto
d’onda: questo si può ottenere come sovrapposizione di un numero molto alto
di onde con ampiezze e fasi opportune e con lunghezze d’onda comprese tra
λ e λ + dλ, dall’interferenza delle quali si ottiene un pacchetto con ampiezza
significativa in uno stretto intervallo ∆x (vedi figure 28 e 29). In questa
situazione la particella ha una posizione definita entro ∆x ed un momento
(o una lunghezza d’onda) definito entro ∆p. La cosa notevole è che quanto
più piccolo cerchiamo di rendere ∆x tanto più grande diventa ∆p secondo la
relazione:
h
∆x∆p ≥
(20)
2π
Secondo Heisenberg questo vuol dire che non è possibile determinare simultaneamente posizione e momento con una precisione al di sotto di un certo
limite. È questo non per un’imprecisione nel metodo o nella precisione della
misura ma per una limitazione teorica. Per capire meglio questa relazione immaginiamo un esperimento di misura di posizione e velocità di una particella
(vedi figura 20). La particella si muove nella direzione x con un momento
definito che supponiamo di conoscere da precedenti misure. Osserviamo la
particella con un microscopio dotato di una lente di apertura ε illuminando con una radiazione (fotoni) di lunghezza d’onda λ. Il potere risolutivo
del microscopio dipende dalla lunghezza d’onda usata e la incertezza sulla
posizione sarà:
λ
∆x =
(21)
2 sin ε
e può essere diminuita diminuendo la lunghezza d’onda. Durante l’osservazione il fotone colpisce la particella: con l’urto la particella viene deviata e
quindi cambia il suo momento a spese di quello del fotone. La conservazione
del momento comporta le relazioni:
hν
hν 0
=
cos α + px
c
c
hν 0
lungo z : 0 =
cos β − pz
c
mentre la conservazione dell’energia richiede:
lungo x :
hυ = hν 0 +
p2
2m
(22)
(23)
(24)
La conservazione del momento nella direzione x darà:
px =
hν hν 0
hν
−
cos α ≤
(1 − cos a)
c
c
c
(25)
Ora noi potremo osservare la particella solo se i fotoni entrano nella lente
e quindi solo se l’angolo α è compreso tra 90- ε e 90 + ε. Il momento della
particella sarà quindi compreso tra
hν
hν
(1 − cos(90 − ε)) ≤ px ≤
(1 − cos(90 + ε))
c
c
(26)
cos(90 − ε) = sin ε e cos(90 + ε) = − sin ε
(27)
Poichè
l’incertezza sul momento sarà
∆px =
hν
h
2 sin ε = 2 sin ε
c
λ
(28)
In conclusione quindi il prodotto delle incertezze sul momento e sulla
posizione è dato da:
∆x∆px =
λ h
2 sin ε = h
2 sin ε λ
(29)
come richiesto dal principio di indeterminazione. Il principio è un cardine
fondamentale per la interpretazione dei fenomeni e degli esperimenti nel mondo microscopico ed è legato al meccanismo stesso della misurazione. Mentre
per la fisica classica si ammette la possibilità di osservare e fare misure sul
sistema senza perturbarlo significativamente in modo che la sua evoluzione
successiva sarà identica a quella che si sarebbe avuta senza la osservazione,
ciò non è possibile nella meccanica quantistica. All’atto della osservazione si
perturba il sistema in un modo che non è esattamente noto. L’osservatore
acquista un ruolo fondamentale di protagonista. Tra l’altro spetta all’osservatore scegliere lo strumento e con questo le proprietà che potranno essere
o non essere misurate. Secondo Bohr questo introduce la nuova categoria
logica della complementarità. Ad esempio gli aspetti ondulatori e corpuscolari sono complementari e se scegliamo di osservare il primo non osserveremo
il secondo. Essi non sono contraddittori ma non possiamo osservarli contemporaneamente. Una conseguenza importante del principio è che di un
sistema microscopico non possiamo avere una informazione completa ma
solo una informazione massima quale consentita appunto dal principio di
indeterminazione. Due grandezze si dicono compatibili se possiamo determinarle contemporaneamente con la precisione voluta. Posizione e momento
non sono compatibili. La conoscenza massima del sistema che possiamo raggiungere riguarda il complesso delle variabili dinamiche compatibili tra loro.
Possiamo determinare queste grandezze con la precisione volute. Sulla precisione possibile per le altre grandezze il principio di indeterminzione pone
delle limitazioni teoriche.
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