Hermann Walther Nernst (1906): il terzo principio della termodinamica

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I
CALORI SPECIFICI
(a) Hermann Walther Nernst (1906): il terzo principio della termodinamica
“nell’avvicinarsi allo zero assoluto l’entropia tende ad assumere un valore
costante (indipendente dalla pressione, fase, ecc.)”.
(b) Einstein (1907) (primo modello quantistico per i calori specifici): “Se la
teoria della radiazione di Planck centra il nocciolo del problema, possiamo
aspettarci di riscontrare in altri campi della teoria termica contraddizioni
con l’attuale teoria [...] e i dati sperimentali, contraddizioni che possono
essere eliminate con l’indirizzo che abbiamo appena imboccato”.
(c) Peter Debye (1912) teoria in cui si considera lo spettro di tutte le oscillazioni presenti in un corpo.
(d) Sempre nel 1912, indipendentemente da Debye, Max Born e Theodor
von Kárman introducono una teoria generale dei calori specifici.
Il problema della causalità
• Rutherford (lettera a Bohr del 1913):
“Colgo all’apparenza una grave difficoltà nella tua ipotesi che non dubito tu abbia ben presente, e cioè come fa un elettrone a decidere con
quale frequenza sta vibrando quando passa da uno stato all’altro? Mi
sembra che avresti dovuto assumere che l’elettrone conosca prima
dove sta andando a fermarsi.”
Un problema che è anche connesso con la nozione di vita media
introdotta da Rutherford nel 1900 da lui mai menzionato.
• Una volta introdotto il momento del fotone (quindi anche la sua direzionalità) Einstein si domanda “come fa il fotone a sapere in quale
direzione muoversi?”. “Il fatto di affidare al caso l’istante e la direzione
dei processi elementari” è “un punto debole della teoria”, “Che cosa
determina l’istante in cui il fotone viene emesso spontaneamente?
Che cosa decide in quale direzione andrà?”.
• Il carattere casuale degli eventi spontanei continua a tormentare Einstein. Lettera a Besso del 1917: “Sento che finora il vero indovinello
di cui l’eterno inventore di enigmi ci ha fatto dono non è stato affatto
compreso”. E a Born nel 1920: “La faccenda della causalità tormenta
molto anche me. L’assorbimento e l’emissione di quanti di luce possono essere intesi nel senso richiesto da una causalità assoluta, o
esiste uno scarto statistico? Devo confessare che mi manca il coraggio di una convinzione; tuttavia mi dispiacerebbe moltissimo dover
rinunciare alla causalità assoluta”.
La nascita della meccanica quantistica
Lo stato delle cose nel 1924-25
Due campi: gravitazionale e elettromagnetico.
Tre forze: gravitazionale, elettromagnetica e nucleare.
Tre particelle: elettrone (1897), fotone (1905-1923) e protone (1919).
Due strade: particelle e onde.
Le due strade che portano alla MQ: cronologia (prima parte)
Louis de Broglie: il 10 settembre 1923 (tesi di dottorato il 25 novembre
1924) propone che comportamento ondulatorio della materia sia simmetrico a quello corpuscolare della radiazione. A ogni particella materiale di
h
impulso p è associata una lunghezza d’onda p = .
λ
Satyendra Nath Bose: 2 luglio 1924 nuova procedura di conteggio statistico che conduce alla legge di Planck per il corpo nero.
Einstein: 10 luglio 1924 estende la procedura di Bose a un gas di particelle
materiali monoatomiche. Per questa strada arriva l’8 gennaio del 1925 a
associare onde con particelle utilizzando un argomento indipendente da
quello di de Broglie.
Wolfgang Pauli: 16 gennaio 1925 enuncia il “principio di esclusione”.
Werner Heisenberg: 25 luglio 1925 primo articolo sulla meccanica delle
matrici (“Reinterpretazione teorico quantistica delle relazioni cinematiche
e meccaniche”).
Max Born, Pascual Jordan: 25 settembre 1925 approfondiscono il lavoro
di Heisenberg (“Sulla meccanica quantistica”, così chiamata per la prima
volta da Born in un articolo del 1924).
Uhlenbeck e Goudsmit: 17 ottobre 1925 annunciano la scoperta dello spin
dell’elettrone.
Paul A. M. Dirac: 7 novembre 1925 generalizza e formalizza il lavoro di
Heisenberg (introduce tra l’altro il “commutatore” [p, q], collegandolo alle
parentesi di Poisson {p, q}).
Born, Heisenberg e Jordan: 16 novembre 1925 prima complessiva trattazione della meccanica delle matrici.
Pauli: 17 gennaio 1926 applicazione della meccanica delle matrici per
calcolare lo spettro discreto dell’atomo di idrogeno.
Erwin Schrödinger: 27 gennaio 1926 la prima di quattro sezioni dell’articolo
“Quantizzazione come problema agli autovalori” che inaugura la meccanica ondulatoria.
Enrico Fermi: 7 febbraio 1926 il primo articolo sulla “statistica di FermiDirac”.
Born: 25 giugno 1926 primo lavoro sull’interpretazione statistica della funzione d’onda.
Dirac: 26 agosto 1926 rideriva la legge di Planck da principi primi e indipendentemente ottiene la “statistica di Fermi-Dirac”.
Clinton J. Davisson e Lester H. Germer: 3 marzo 1927 rivelano la diffrazione di un fascio di elettroni da parte di un cristallo.
Heisenberg: 23 marzo 1927 presenta le relazioni di indeterminazione.
Prime interpretazioni della nuova meccanica
Born (25 giugno 1926) nel suo lavoro On the quantum mechanics of collision processes introduce l’interpretazione statistica della ψ.
In generale |ψ|2dV misura la probabilità della particella di trovarsi nell’elemento di volume dV . Quindi la meccanica ondulatoria non dà una
risposta alla domanda: Dove si trova precisamente la particella dopo la
collisione?; essa può rispondere solo alla domanda: Qual è la probabilità
che la particella si trovi in una certa regione dopo la collisione?.
“Il moto delle particelle - afferma Born in questo primo lavoro - si conforma
alle leggi della probabilità, ma la probabilità stessa si propaga secondo le
leggi della causalità”.
Prime interpretazioni della nuova meccanica
La questione interpretativa riceverà un particolare impulso dopo il mese di
marzo del 1927 quando Heisenberg pubblica l’articolo con le relazioni di
indeterminazione.
h
h
4p4q ≥
4E4t ≥
(1)
2π
2π
Le relazioni di indeterminazione hanno come controaltare “filosofico” quello che Bohr chiama principio di complementarità, da lui enunciato nel settembre del 1927.
Nel noto dibattito tra Einstein e Bohr le relazioni di indeterminazione svolgeranno un ruolo cruciale: Einstein tenterà di trovare un controesempio
alle relazioni di indeterminazione per dimostrare “l’inconsistenza della teoria”, mentre Bohr dimostrerà che i controesempi di Einstein non sono corretti e quindi che la teoria è consistente.
Se ne può capire la ragione ricordando la relazione p =
particella alla lunghezza d’onda della sua funzione d’onda.
h
che lega l’impulso della
λ
Per misurare la posizione di una particella (per esempio un elettrone) è necessario farla
interagire con un’altra particella (per esempio un fotone). L’informazione sulla posizione
q dell’elettrone sarà tanto più accurata, quanto minore è la lunghezza d’onda associata al fotone (ci vuole una lunghezza d’onda piccola per apprezzare piccole differenze di
h
posizione 4q). Piccola lunghezza d’onda implica grande impulso (p = ): la misura di
λ
posizione ottenuta dall’urto con un fotone dotato di grande impulso necessariamente modifica in modo significativo lo stato di moto dell’elettrone, rendendo grande l’incertezza sul
suo impulso. In conclusione: piccola incertezza sulla posizione implica grande incertezza
sull’impulso, e viceversa, come indicato dalla relazione di Heisenberg.
Nel caso di particelle macroscopiche la disuguaglianza risulta sempre soddisfatta, data
l’estrema piccolezza di h, per qualsiasi accuratezza raggiungibile dagli strumenti di misura, e pertanto non pone limiti (se non quelli dovuti allo strumento di misura) alla precisione
delle misure.
“La nostra interpretazione dei dati sperimentali - dirà Bohr al Congresso di
Como, settembre 1927 - si basa essenzialmente sui concetti classici: per
questo ci poniamo il problema se un elettrone sia un’onda o un corpuscolo. Nel caso classico, la relazione tra oggetto osservato e strumento di
misura può, in linea di principio essere controllata perfettamente, e quindi
se l’elettrone è un corpuscolo non è un’onda, e viceversa: in altre parole il
fisico classico può dedurre dal risultato della misura che una delle due descrizioni è errata. Nel caso quantistico, dato che una realtà indipendente
nel senso fisico usuale [classico] del termine non può essere attribuita né al
fenomeno né agli strumenti di misura, si deduce che l’elettrone è un’onda
o un corpuscolo a seconda dello strumento di misura usato. Quindi, per
evitare i presunti paradossi legati al dualismo onda-corpuscolo, bisogna
considerare il nuovo nesso che la teoria quantistica introduce tra oggetto e
strumento.”
Questa situazione è chiamata da Bohr complementarità:
“La natura stessa della teoria dei quanti ci obbliga a considerare il coordinamento spaziotemporale [proprio dei corpuscoli] e l’enunciato di causalità [delle onde], l’unione dei quali caratterizza le teorie classiche, come
aspetti complementari, ma mutuamente esclusivi della descrizione, rappresentazioni complementari dei fenomeni che solo considerati insieme
offrono una generalizzazione naturale del modo classico di descrivere le
cose”.
Le statistiche quantistiche
In meccanica classica è sempre possibile distinguere particelle identiche:
se ad un determinato istante t0 la particella A occupa la posizione r1 e
la particella B (identica ad A) occupa la posizione r2, possiamo seguire
la traiettoria di entrambe così da essere sempre in grado di distinguere a
tempo t > t0 la particella A dalla particella B.
Questo non è più possibile per particelle identiche in meccanica quantistica:
una misura di posizione provoca immediatamente incertezza sulla velocità.
Diventa impossibile “seguire” passo per passo le traiettorie delle particelle,
e distinguere la particella A dalla particella B.
Tale limitazione intrinseca trova espressione nella forma della funzione
d’onda ψ(r1, r2) del sistema di due particelle quantistiche identiche.
Lo stato fisico del sistema deve rimanere invariato se si scambiano le due
particelle, poiché non si possono distinguere l’una dall’altra. Questo implica che |ψ(r1, r2)|2 la probabilità che una delle particelle si trovi in r1 e
l’altra in r2, deve essere invariante sotto lo scambio di r1 con r2).
Perché questo avvenga si deve avere ψ(r1, r2) = ±ψ(r2, r1): scambiando le particelle la funzione ψ deve essere invariante o cambiare di segno
(si dice allora rispettivamente simmetrica o antisimmetrica).
Per particelle non interagenti, si può scrivere la funzione d’onda del sistema in termini di prodotti delle funzioni d’onda delle singole particelle, e la
condizione di invarianza di ψ sotto scambio r1 ↔ r2 porta in modo univoco
alla seguente espressione:
ψ(r1, r2) = ψA(r1)ψB (r2) ± ψA(r2)ψB (r1) (1)
Entrambe le possibilità sono realizzate in natura: al caso simmetrico corrispondono i bosoni (da Bose, che con Einstein ne studiò la statistica), al
caso antisimmetrico i fermioni (studiati da Fermi e Dirac). Un fondamentale
teorema della teoria quantistica dei campi (teorema spin-statistica) afferma che sono bosoni le particelle di spin intero e sono fermioni le particelle
di spin semintero.
L’elettrone ha spin 1/2, e quindi è un fermione. In generale, i quarks e i
leptoni sono fermioni. Sono bosoni i fotoni, e in genere le particelle che
mediano le interazioni fondamentali.
Supponiamo che due elettroni (o in generale due fermioni) identici si trovino nello stesso stato fisico, cioè ψA = ψB nella
ψ(r1, r2) = ψA(r1)ψB (r2) − ψA(r2)ψB (r1)
allora , ψ(r1, r2) = 0 il che si interpreta come segue: non possono coesistere nello stesso stato fisico due fermioni identici Questo importante
corollario di (1) prende il nome di principio di esclusione di Pauli.
Il fatto che gli elettroni nell’atomo debbano avere stati fisici diversi “spiega”
la tavola periodica di Mendeleev:
in ogni orbitale possono coesistere al più due elettroni (diversi solo per
l’orientazione dello spin).
Il principio di esclusione entra in gioco in molte proprietà salienti della materia: comportamento dei conduttori e degli isolanti, paramagnetismo dei
metalli, proprietà molecolari etc., fino a prevedere l’esistenza di oggetti
studiati in astrofisica come le stelle di neutroni.
I bosoni invece possono coesistere nello stesso stato quantistico: è di recente realizzazione il cosiddetto condensato di Bose-Einstein in cui, per
temperature molto basse, un gran numero di bosoni condivide lo stesso
stato quantico.
“Paradossi” della meccanica quantistica
Struttura della teoria
(A) Sistemi fisici e loro stati – A ogni sistema fisico S (un oggetto o insieme
di oggetti fisici) è associato un particolare spazio vettoriale sul campo numerico C (lo spazio di Hilbert H), i cui elementi (modulo 1) corrispondono
agli stati fisici del sistema. Siccome H è uno spazio vettoriale (lineare e
chiuso rispetto alla operazione di somma di stati) si ha che:
Dati ψ, φ ∈ H e α, β ∈ C anche αφ + βψ ∈ H
(principio di sovrapposizione degli stati).
(B) Proprietà misurabili (“osservabili quantistiche”) – Le osservabili di un
sistema fisico sono rappresentate da operatori lineari (operatori hermitiani) sullo spazio vettoriale associato al sistema. Se ψ è un autovettore di
un’osservabile  corrispondente all’autovalore a, Âψ = aψ, allora si dice
che lo stato ψ ha valore a per la proprietà misurabile rappresentata da Â.
(C) Dinamica – Dato ψ all’istante (iniziale) t = to e note le forze cui è
soggetto il sistema esiste un algoritmo (l’equazione di Schrödinger) tramite
il quale, in linea di principio, si può calcolare lo stato ψ del sistema in un
qualunque istante t > to: l’evoluzione di ψ è lineare e deterministica.
(D) Connessione con gli esperimenti (legge di probabilità quantistica) –
Dato l’osservabile Ô sul sistema S individuato dallo stato ψ si ha ψ =
P
i ci Ωi , con Ωi autovettori di Ô con autovalori ωi
La probabilità che la misura di Ô abbia
come risultato ωi è |ci|2 (0 ≤ |ci|2 ≤ 1).
P
(E) Collasso o riduzione del vettore ψ – Data ψ = i ciΩi se ottengo
nella misura un certo valore ωj la ψ collassa o è ridotta a ψ = Ωj per cui
ripetendo la misura successivamente ottengo con probabilità 1 il valore ωj .
(D) e (E) sono regole speciali: è il loro carattere stocastico il vero responsabile dell’indeterminismo quantistico.
I momenti salienti del dibattito tra Einstein e Bohr
1. il V Congresso Solvay (24-29 ottobre 1927, su “elettroni e fotoni”, presenti tra gli altri Planck, Einstein, Bohr, Heisenberg, Schrödinger, Dirac,
de Broglie, Kramers, Pauli, Eherenfest);
2. il VI Congresso Solvay (20-25 ottobre 1930, sul magnetismo);
3. pubblicazione dell’articolo di Einstein, Podolsky e Rosen, Can QuantumMechanical Description of Physical Reality Be Considered Complete,
Phys. Rev. 47 (1935), pp. 777-780, la risposta di Bohr in un articolo con lo stesso titolo che compare sul Phys. Rev. 48 (1935), pp.
696-702. [cf. P. Schilpp, Albert Einstein: philosopher scientist, 1949,
tr. it. Boringhieri 1958 e ancora nel 1979 con il titolo “Autobiografia
Scientifica”]
Le questioni dibattute possono essere sintetizzate nei tre seguenti temi:
(I) Demarcazione tra classico e quantistico. Esiste, nel sistema fisico complessivo costituito dal
(sistema fisico investigato)+(apparato di misura) ,
una linea di demarcazione (difficilmente definibile in via di principio ma
identificabile di volta in volta a seconda del sistema complessivo preso in
esame) tra parti classiche e parti quantistiche (cioè sostanzialmente che
obbediscono alle relazioni di indeterminazione).
(II) Consistenza della teoria. Tentativi di Einstein di ideare esperimenti
ideali che evidenzino una inconsistenza (contraddittorietà) della teoria.
(III) Completezza della teoria. Ammessa la consistenza, la teoria offre
davvero una descrizione completa dei sistemi fisici?
L’articolo di Einstein, Podolsky e Rosen (1935)
Ammettiamo che la teoria sia consistente, ma è anche completa? Quali
sono le condizioni che definiscono la completezza di una teoria?
Perché una teoria sia completa ogni elemento di realtà fisica deve avere
una controparte nella teoria.
Quali sono gli elementi di realtà fisica?
Se, senza disturbare in alcun modo un sistema, è possibile predire
con certezza (cioè con probabilità uguale a 1) il valore di una quantità
fisica, allora esiste un elemento di realtà fisica corrispondente a questa
quantità fisica [il sistema possiede oggettivamente la relativa proprietà].
L’idea è quella di mettersi nelle condizioni di predire con certezza il risultato
di una misura che verrà compiuta (in futuro) su un sistema senza interagire
in alcun modo con esso.
Questo significa che ora (prima della misura, non appena possiamo predirne con certezza il risultato) ci deve essere qualcosa nel sistema (con il
quale non interagisco), una qualche proprietà oggettiva, in virtù della quale quella misura futura debba dare proprio quel risultato. Se le predizioni
empiriche della meccanica quantistica sono corrette – argomentano EPR
usando la meccanica quantistica contro sé stessa – allora ci sono elementi
di realtà del mondo che non hanno corrispondenza nella descrizione data
dalla teoria quantistica.
EPR – Consideriamo il seguente esempio. Due particelle, le cui variabili coniugate di moto
e di posizione sono rispettivamente (p1 , q1 ) e (p2 , q2 ), si trovano in uno stato iniziale di
quantità di moto totale definita P = p1 + p2 e di distanza relativa definita Q = q1 − q2
([P, Q] = 0, quindi è possibile misurarli simultaneamente).
Dopo l’interazione iniziale si lasci andare le particelle ognuna per suo conto e dopo un
sufficiente lasso di tempo si compiano osservazioni sulla particella 1: misurando p1 si
conoscerà p2 senza intervenire sulla particella 2 e, successivamente, misurando q1 si
conoscerà q2 senza intervenire sulla particella 2. Quindi p2 e q2 sono entrambi, simultaneamente, elementi di realtà della particella 2, per i quali la meccanica quantistica non
ha strumenti di descrizione e quindi la meccanica quantistica è incompleta.
La località è un punto cruciale – “Se all’istante della misurazione i due sistemi non interagiscono più, nessun cambiamento reale può aver luogo nel secondo sistema come
conseguenza di un qualunque intervento sul primo”. Gli elementi di realtà di un sistema
fisico non possono essere influenzati istantaneamente a distanza. La particella 2 possiede quindi una proprietà che non trova espressione nell’apparato formale della teoria (la ψ
del sistema).
Abbiamo dimostrato in precedenza che o (A) la descrizione quantistica della realtà data
dalla funzione d’onda è incompleta o (B) quando gli operatori corrispondenti a due quantità fisiche non commutano le due quantità non possono avere realtà simultanea. Abbiamo
assunto che la descrizione della realtà fornita dalla funzione d’onda fosse completa e
siamo arrivati alla conclusione che due quantità fisiche associate a operatori non commutanti possono avere realtà simultanea. Quindi la negazione di (A) conduce alla negazione dell’unica altra alternativa (B). Siamo quindi forzati a concludere che la descrizione
quantistica della realtà fisica data dalle funzioni d’onda è incompleta.
Si potrebbe criticare la conclusione sulla base del fatto che il nostro criterio di realtà non
è sufficientemente restrittivo. Infatti, si potrebbe non arrivare alla nostra conclusione se
si sostenesse che due o più quantità fisiche possono essere considerate come elementi simultanei di realtà solo quando possono essere simultaneamente misurati o predetti.
Da questo puntodi vista siccome p2 e q2 non commutano non possono essere simultaneamente reali. Questo però rende la realtà di p2 e q2 dipendente dal processo di
misura condotto sul primo sistema, che non disturba in alcun modo il secondo. Nessuna
ragionevole definizione di realtà potrebbe permettere questo fatto.
[Bohm, 1951] Consideriamo un sistema composto da due particelle di spin 1/2 in uno
stato di singoletto (spin totale 0), e supponiamo che il sistema venga scisso nelle due
particelle (da un processo che non influenzi il loro momento angolare totale) che iniziano
a muoversi liberamente in direzione opposta. Lo stato del sistema sarà descritto dalla
seguente funzione d’onda:
1
Ψ = √ [ψ+ (1)ψ− (2) − ψ− (1)ψ+ (2)] ,
2
un’espressione che vale qualunque sia la direzione in cui misuriamo lo spin. Ogni misura
dello spin sulla particella (1) in una certa direzione fornisce una misura indiretta della stessa componente dello spin della particella (2). Possiamo sempre fare misure successive
dello spin della particella (1) lungo le direzioni x, y, z, riorientando liberamente l’apparato
di misura lungo la traiettoria di volo della particella ottenendo valori (impredicibili) definiti
del suo spin in diverse direzioni (incompatibili). Ma questo avviene senza in alcun modo
disturbare la particella (2) quindi devono esistere elementi di realtà definiti in (2) corrispondenti alla simultanea definizione di tutte e tre le componenti del suo spin. Siccome
la funzione d’onda specifica al più una di queste componenti in un certo istante di tempo,
essa non fornisce una descrizione completa.
Il problema della misurazione quantistica
Qual è il significato del collasso della funzione d’onda? È possibile renderlo consistente con l’evoluzione
deterministica descritta dall’equazione di Schrödinger?
Sia S un sistema fisico e A uno strumento di misura. Lo stato di S sia descritto da c1 ψ1 + c2 ψ2 e quello di
A (inizialmente) da αi , .... Allora l’evoluzione del sistema complessivo S + A è esprimibile come segue:
ΨiS+A = (c1 ψ1 + c2 ψ2 ) αi → ΨfS+A = c1 ψ1 αf1 + c2 ψ2 αf2
(5)
ma ΨfS+A è uno stato puro diverso da una miscela statistica che vorrebbe ψ1 αf1 con probabilità |c1 |2 e
ψ2 αf2 con probabilità |c2 |2 per le diverse letture su A. In ΨfS+A , se non si ammette il postulato di proiezione,
‘coesistono’ tutti gli stati che pure sono macroscopicamente distinti (stato inconcepibile).
Il postulato di proiezione sancisce un dualismo nell’evoluzione dinamica:
stocastica-non lineare-irreversibile versus deterministica-lineare-reversibile
Esso è conseguenza del dualismo delle ‘situazioni fisiche’ tra sistemi microscopici (che collassano) e macroscopici (classici, che attuano la riduzione). Questa distinzione, facile spesso da stabilire in pratica, è
difficilmente definibile in linea di principio e introduce una vaghezza descrittiva e interpretativa nella teoria
fisica fondamentale, che sembra incapace al suo interno di dar conto del processo di misura.
Il problema della misurazione quantistica: ortodossia e paradossi
Posizione ortodossa – Esistono sistemi (apparati di misura) che non
obbediscono alle leggi della teoria quantistica.
La catena di von Neumann – Sia dato un sistema S descritto da c1ψ1 + c2ψ2
e una successione di misure con strumenti A, B,... che hanno indici
inizialmente negli stati individuati da αi, β i,..., si ha allora:
f
f
ΨiS+A+B+... = (c1ψ1 + c2ψ2) αiβ i... → (c1ψ1α1 + c2ψ2α2)β i...
f f
f f
f
→ (c1ψ1α1β1 + c2ψ2α2β1 )... → ΨS+A+B+...
interrompendo la catena (collasso) al primo passo tutti gli altri leggeranno
la stessa cosa: ma dove e perché interrompere la catena?
Due sono i ‘paradossi’ particolarmente noti legati al problema della riduzione della funzione d’onda:
Il gatto di Schrödinger (“Die gegenwärtige Situation in der Quantenmechanik”[L’attuale situazione nella M.Q.], Die Naturwissenschaften 23 (1935),
823-828, 844-849) [ristampato in Wheeler e Zurek (eds.), Quantum Theory of Measurement, Princeton 1983]:
(c1ψ1 + c2ψ2) (GAT T O)i → c1ψ1(GAT T O)vivo+c2ψ2(GAT T O)morto
L’amico di Wigner (“Remark on the Mind-Body Question”,in The Scientist
Speculates, I.J. Good (ed.), Basic Books, New York 1962, ristampato in
E.P. Wigner, Symmetries and Reflections, Indiana Univ. Press, 1967).
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