Introduzione
Introduzione
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Premessa
Il processo di globalizzazione dell’economia, ispirato ai principi della deregolamentazione e della flessibilità, ha costituito il carattere indubbiamente predominante del
sistema delle relazioni economiche internazionali nella nostra epoca. Soprattutto a
partire dagli anni Ottanta del XX secolo l’economia mondiale è stata caratterizzata da un’impetuosa espansione, sia del commercio internazionale, sia della mobilità internazionale dei capitali. Questi fenomeni hanno determinato una crescente integrazione fra i diversi sistemi economici e, al tempo stesso, un processo di accellerata
finanziarizzazione dell’economia, della quale l’attuale fase di crisi economico-finanziaria è stata, purtroppo, uno degli effetti.
In generale, quello della globalizzazione è un fenomeno epocale e complesso; conseguenza, certo, anche dell’incredibile aumento della velocità di circolazione delle
informazioni dovuto all’affermarsi della nuove tecnologie dell’informazione e della
comunicazione (ICT). Ma conseguenza soprattutto delle scelte di liberalizzazione degli scambi internazionali e di deregolamentazione dei mercati finanziari, ispirate alle
convinzioni neo-liberiste affermatesi a partire dall’inizio degli anni Ottanta.
Sul versante dell’economia reale, i principali epifenomeni, o fatti stilizzati, della globalizzazione hanno riguardato: lo sviluppo di mercati globali per un numero
sempre più elevato di beni e di servizi commerciabili, la moltiplicazione del numero
di paesi coinvolti nel commercio internazionale, la trasformazione della composizione e della direzione geografica dei flussi del commercio internazionale, l’impetuosa
espansione del commercio intra-industriale e degli investimenti diretti esteri, collegati al ruolo crescente delle grandi corporation multinazionali. Questi processi hanno enormemente accresciuto il grado di interdipendenza tra i sistemi economici nazionali e accelerato, di conseguenza, la rapidità di trasmissione a livello globale degli
shock economici reali.
Sul versante dell’economia finanziaria e dei pagamenti internazionali, i principali epifenomeni della globalizzazione hanno riguardato: i cambiamenti nei meccanismi di funzionamento dei mercati dei cambi e dei pagamenti internazionali, la liberalizzazione e la deregolamentazione dei mercati finanziari, avviata all’inizio degli
anni Ottanta, e la conseguente crescente finanziarizzazione dell’economia mondiale, della quale si è accennato. Questi processi, nel favorire una crescita globale trainata dalla finanza, hanno tuttavia fortemente compromesso la stabilità dell’economia mondiale.
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Economia della globalizzazione
Accanto all’indubbio effetto di avere determinato rilevanti tassi di crescita del PIL
mondiale e una diffusione geografica della crescita economica, che ha coinvolto economie prima escluse, questi fenomeni hanno anche enormemente accresciuto squilibri e diseguaglianze tra paesi e all’interno dei paesi. Essi, inoltre, hanno contribuito
a generare, come si è detto, una instabilità sistemica, della quale le crisi di origine finanziaria succedutesi negli ultimi anni sono il segno più evidente. In particolare, hanno creato le precondizioni della crisi finanziaria mondiale, iniziata nel 2007 e
che ha creato, in numerose aree e segnatamente in Europa, scompensi e squilibri che
hanno reso difficile a questi paesi uscirne definitivamente.
Questo volume nasce dall’idea di offrire uno strumento utile per la comprensione
dei fenomeni e dei fatti stilizzati della globalizzazione. Esso è concepito come un testo di economia politica internazionale, proposto per corsi di economia degli scambi internazionali e di macroeconomia internazionale, orientati allo studio delle cause,
dei meccanismi in azione e delle possibili conseguenze dei processi di liberalizzazione e di globalizzazione dei mercati dei beni e dei fattori produttivi, nonché dei mercati finanziari. La finalità è di fornire, con la necessaria sistematicità, gli strumenti
concettuali e analitici di teoria del commercio internazionale e di economia monetaria internazionale, necessari alla comprensione dei principali fatti stilizzati attinenti alle relazioni economiche internazionali in un sistema globalizzato. Vengono analizzati, pertanto, i principali fenomeni reali dell’economia internazionale, come: la
composizione e la direzione degli scambi internazionali, la determinazione dei prezzi relativi internazionali, le cause e la distribuzione dei vantaggi del commercio internazionale, la mobilità internazionale del capitale e del lavoro. Vengono poi analizzati anche i principali fenomeni macroeconomici e finanziari, come il sistema dei
pagamenti internazionali, i meccanismi di funzionamento dei mercati dei cambi, i
meccanismi di trasmissione di shock macroeconomici in economia aperta, o gli effetti delle politiche macroeconomiche di stabilizzazione.
Nel contempo, obiettivo del volume è anche quello di proporre all’attenzione,
non solo degli studenti, ma anche degli studiosi e dei lettori interessati ad orientarsi
nell’analisi delle modalità con le quali i processi storici della globalizzazione vanno
sviluppandosi, una prospettiva di lettura e di interpretazione degli epifenomeni della globalizzazione sufficientemente aperta ad una visione critica dei processi, degli
assetti istituzionali e di governance e delle opzioni di politica economica e commerciale. Ciò soprattutto alla luce della evidente situazione di debolezza nella quale sembra versare oggi il modello di globalizzazione liberista, deregolata e senza governance, che ha caratterizzato il sistema delle relazioni internazionali negli ultimi decenni.
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Il punto di vista degli autori
La prospettiva nella quale viene sviluppata l’analisi è apertamente keynesiana. La tesi di fondo che si sostiene è che l’applicazione dei principi di liberalizzazione estrema
e di deregolamentazione completa dei mercati deve considerarsi all’origine della crescente instabilità sistemica e della crisi finanziaria, iniziata nel 2007 e per alcuni pa-
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esi non ancora conclusa. Si tratta di una conferma del fatto che, come era già avvenuto negli anni della Grande Depressione, i mercati possono «fallire» e che l’economia
non può essere considerata una scienza «tecnica», e in quanto tale separata dalla politica, come indicava, e ancora indica, la scuola di pensiero neo-liberista.
Neo-liberismo e globalizzazione finanziaria
Nella fase più recente del processo di internazionalizzazione dell’economia mondiale, l’affermarsi di un assetto dominato dalla formazione di mercati globali e soprattutto di un unico mercato finanziario mondiale è legato al successo che, negli ultimi
due decenni del XX secolo e nei primissimi anni del XXI, hanno avuto le posizioni
cosiddette «neo-liberiste». Esse si fondano sull’idea che una «razionale» soluzione ai
problemi economici sarebbe derivata dai benefici assicurati dalla triade globalizzazione, deregolamentazione, flessibilità. Secondo questa corrente di pensiero – a volte, dopo il tramonto delle visioni comuniste e socialiste, definita dalla stampa come
«pensiero unico» – tale triade, attraverso il definitivo prevalere del mercato sull’interventismo pubblico, avrebbe sancito addirittura la «fine della storia», intesa come
tentativo di trovare quadri istituzionali alternativi atti a migliorare le condizioni economiche e civili dell’umanità.
A ben guardare, il neo-liberismo, che Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia nel 2001, ha definito anche «fondamentalismo del mercato», ripropone gli ideali classici del liberismo, facendone, tuttavia, un uso talmente ideologizzato da rappresentarne quasi una caricatura. I classici della tradizione liberale, infatti, e tra essi
Adam Smith e John Stuart Mill, sono ben attenti a sottolineare l’esigenza che i comportamenti economici siano sottoposti alle regole morali dettate dall’etica e, come
nel caso di Luigi Einaudi in ambito italiano, la necessità che lo Stato si assuma l’impegno di conciliare la libertà di mercato con la giustizia distributiva.
Il neo-liberismo, pertanto, andrebbe tenuto ben distinto dalla filosofia politica e di
politica economica del liberalismo. Come azione di politica economica, esso ha preso le mosse dagli slogan resi popolari da due famosi leader politici degli anni Ottanta: Margareth Thatcher e Ronald Reagan. La prima affermava che la società in generale e, a maggior ragione, i gruppi e le classi sociali, non esistono, in quanto esistono
soltanto gli individui i quali si confrontano direttamente e personalmente con lo Stato. Il secondo sosteneva che lo Stato, più che fornire una soluzione ai problemi della
società, fosse diventato ormai il maggiore problema con cui la società civile sarebbe
stata chiamata a confrontarsi.
Queste due affermazioni sintetizzavano, in effetti estremizzandola, una posizione
di ispirazione liberista, secondo la quale ogni individuo è in grado di risolvere i suoi
problemi economici all’interno di mercati perfettamente concorrenziali. Essi si configurano come luoghi di incontro di operatori economici che attuano scambi in condizioni di perfetta parità, in quanto nessuno ha il potere di incidere sul funzionamento del mercato in misura superiore a ogni altro operatore. Il successo che questa
posizione ha ottenuto presso politici, classi dirigenti e apparati mediatici ha determinato l’affermarsi del modello di globalizzazione finanziaria di cui si è detto. Ma ha
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determinato anche un processo di concentrazione della ricchezza che ha sovvertito
le tendenze equidistributive che avevano permesso di superare la Grande Depressione degli anni Trenta del XX secolo, modificando di fatto il «contratto sociale» fondato sul welfare state, che, come vedremo, sarebbe stato alla base dello sviluppo economico successivo.
Si tratta, in realtà, di una posizione la cui portata i liberisti classici avevano delimitato con chiarezza, sottolineando come essa sia valida soltanto quando si verificano determinate condizioni: (i) che i mercati siano perfettamente concorrenziali,
in modo che nessun operatore possa godere di un maggior potere di mercato rispetto
agli altri, (ii) che gli agenti economici siano dotati di razionalità assoluta e informazione perfetta, (iii) che le preferenze degli operatori non siano tra loro interdipendenti e (iv) che i contratti siano completi, cioè pienamente applicabili.
La distinzione tra fondamentalismo del mercato (o neo-liberismo) e liberismo autentico risulta così immediatamente evidente. Il primo accetta sic et simpliciter qualsiasi risultato si determini nella realtà – in particolare quelli che riguardano la distribuzione del reddito e della ricchezza – presentandolo come lo spontaneo esito
dell’operare di mercati concorrenziali. Il secondo pone a premessa dell’analisi la valutazione della funzionalità del mercato, chiedendosi se l’assenza di una o più delle condizioni richiamate in precedenza non dia luogo a qualche forma di «fallimento del
mercato». Dove per fallimento del mercato si intende l’incapacità del mercato di fornire una struttura dei prezzi delle merci e dei fattori di produzione che implichi l’ottima allocazione e la massima efficienza delle risorse produttive disponibili. Nel caso
forme di fallimento del mercato siano destinate a verificarsi, si richiederebbe l’intervento delle autorità preposte alla gestione del sistema economico (i policy maker) per
favorirne la correzione. In tale prospettiva un autore come John Maynard Keynes dovrebbe a buon diritto essere inserito tra i grandi economisti liberali.
Globalizzazione e crisi finanziaria mondiale
La crisi finanziaria mondiale iniziata nel 2007 ha rimesso fortemente in discussione
il modello neo-liberista. L’ipotesi che i mercati siano in grado di autoregolamentarsi,
infatti, non è stata confermata proprio con riguardo alla sua applicazione al mercato
finanziario mondiale, la cui deregolamentazione aveva costituito la punta di diamante dei processi di globalizzazione. È stato paradossalmente proprio il mercato finanziario, nel quale la deregolamentazione della globalizzazione neo-liberista era stata
pressoché totale, a «fallire» clamorosamente.
Per favorire la costituzione di un unico mercato mondiale, nell’ultimo decennio
del secolo scorso, nei mercati finanziari nazionali erano state via via abolite le istituzioni che negli anni Trenta erano state costruite per regolamentarlo, ed erano state ridotte le forme di controllo. Questo processo di deregolamentazione aveva avuto
luogo in vari modi. In primo luogo, attraverso la cancellazione delle leggi che imponevano la separazione tra banche di deposito e sconto e banche di investimento. Negli Stati Uniti tale separazione era stata introdotta dal Glass-Steagall Act del 1933,
che è stato purtroppo abolito nel 1998, in Italia dalla legge bancaria del 1936, che at-
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tribuiva alla Banca d’Italia il compito di vigilanza del mercato del credito nazionale. Ma anche permettendo la diffusione di un comparto nel quale sono scambiati prodotti finanziari «derivati», al di fuori del controllo delle autorità monetarie; oppure
abolendo, o riducendo notevolmente, la vigilanza precedentemente attuata dalle banche centrali e, nell’ultimo decennio, di fatto demandata alle agenzie private di rating.
Queste istituzioni avrebbero dovuto svolgere il ruolo di authorities super partes, in
grado di indirizzare gli investitori ed evitare che il rischio dei prodotti finanziari diventasse eccessivo, e soprattutto sistemico. Tuttavia, nella recente crisi finanziaria,
esse hanno preso enormi abbagli, formulando valutazioni che successivamente si sono mostrate completamente sbagliate.
La crisi ha anche messo a nudo come, nonostante gli enormi aumenti della produttività, resi possibili dallo sviluppo delle nuove tecnologie dell’informazione e
della comunicazione, nell’era della globalizzazione i risultati in termini di crescita
dell’economia mondiale non siano stati esaltanti. Essi sono rimasti, infatti, molto al
di sotto di quelli che erano stati ottenuti nel ventennio immediatamente successivo
alla fine della seconda guerra mondiale, grazie al dispiegarsi degli effetti delle politiche keynesiane di sostegno alla domanda aggregata, improntate all’obiettivo di raggiungere la piena occupazione delle risorse.
Questa constatazione emerge chiaramente dal puntiglioso confronto svolto da Robert Skidelsky (2009) tra i due periodi: nel periodo 1951-1973 il PIL mondiale è cresciuto, infatti, del 4,8% circa all’anno, mentre negli anni della globalizzazione neo-liberista, tra il 1983 e il 2009, il tasso di crescita medio annuo del PIL mondiale si è
fermato al 3,2%. Inoltre, già prima della recessione innescata dalla crisi finanziaria
del 2007, nel secondo periodo la disoccupazione è cresciuta dovunque in misura non
irrilevante. Anche il risultato principale che è stato rivendicato come esito del cambiamento di prospettiva della politica economica, cioè il contenimento dell’inflazione,
non è stato peraltro così entusiasmante. Nel periodo 1983-2009 il tasso medio annuo
di inflazione a livello mondiale è stato pari al 3,7%, un dato inferiore di pochissimo al
3,9% che aveva caratterizzato la fase delle politiche keynesiane (1951-1973).
In realtà, la più eclatante differenza tra i due periodi è riscontrabile nel campo
della distribuzione del reddito. Nella fase keynesiana, i frutti della crescita economica andavano a beneficio di tutti i gruppi sociali, con una certa tendenza a favorire i livelli di reddito più bassi, attraverso la progressività che all’epoca caratterizzava i sistemi fiscali. Nella fase neo-liberista si è avuta, invece, una netta inversione
di tendenza: i frutti del progresso economico sono andati pressoché esclusivamente alle classi più agiate. Per fare due soli esempi: in Italia, la quota dei redditi da lavoro dipendente, tra il 1976 e il 2006, è crollata dal 68 al 53% (OECD, 2008), negli
Stati Uniti la quota dei redditi percepiti dall’1% più ricco della popolazione è passata da valori oscillanti tra l’8 e il 10%, che caratterizzavano la seconda metà degli
anni Settanta, addirittura al 24% raggiunto nel 2007. Nel riportare questi dati Robert Reich, un ex segretario al Lavoro negli anni della presidenza di Bill Clinton,
nota, forse con un poco di malizia, che un livello così elevato di diseguaglianza nei
redditi era stato raggiunto dagli Stati Uniti soltanto nel 1928, alla vigilia del crollo della Borsa di New York, che avrebbe segnato l’inizio della più grande crisi mai
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Economia della globalizzazione
sperimentata dal sistema capitalistico (Reich, 2009, pag. 28). Per di più, l’aumento
della disoccupazione, unendosi all’insorgere di un notevole grado di volatilità dei
tassi di cambio, ha accresciuto l’incertezza e l’insicurezza del contesto economico
mondiale, producendo le condizioni recessive che hanno caratterizzato il triennio
2007-2010 e che stanno tuttora frenando una solida ripresa dell’economia in buona
parte del mondo.
Purtroppo, come vedremo in dettaglio nel prosieguo di questo volume, la contrapposizione tra le due scuole di pensiero, così come quella tra gli interessi economici e
politici delle differenti classi, ceti sociali e politici, rischia di frenare la ricerca di soluzioni condivise, condizione necessaria per la definitiva uscita dalla crisi. E fa correre a molti paesi il rischio di ricadere in una nuova, prolungata, spirale recessiva,
che avrebbe luogo in condizioni economiche assai peggiorate. Non fosse altro perché
la prima fase di recessione è stata «risolta» portando a carico dell’erario pubblico dei
maggiori paesi le perdite accumulate dal sistema finanziario, rendendo così impensabile che, ad un’eventuale nuova crisi, si possa rispondere con interventi di quelle dimensioni.
Una prospettiva keynesiana
In questo volume, alla luce della fase storica nella quale si trova oggi l’economia globalizzata, attenzione particolare è dedicata anche agli aspetti macroeconomici della
globalizzazione.
La prospettiva nella quale è sviluppata l’analisi, come si è detto, è apertamente
keynesiana e uno dei temi principali trattati nel volume è l’esame della crescente difficoltà nell’attuazione delle politiche economiche di stabilizzazione. Tale difficoltà
deriva dalla crescente internazionalizzazione delle economie nazionali, che ha avuto
luogo nell’ambito della globalizzazione.
Le politiche keynesiane di sostegno alla domanda sono oggi difficilmente attuabili al livello delle singole economie nazionali, proprio perché si richiederebbe che esse
fossero coordinate su scala globale. In realtà lo stesso Keynes cercò di creare i presupposti perché ciò avvenisse. Purtroppo, come si vedrà, il progetto da lui proposto
alla Conferenza di Bretton Woods del 1944, che pure portò il coordinamento economico internazionale al livello più ampio mai raggiunto fino ad allora, non fu adottato pienamente. Di conseguenza, negli oltre sessant’anni trascorsi da allora, la globalizzazione ha finito per costituire il massimo ostacolo all’applicazione delle ricette
che potrebbero definitivamente tirare il mondo fuori dall’impasse nella quale ci ha
cacciati la prima crisi autenticamente globale della storia, iniziata nel 2007. Essa, oltre un lustro dopo il suo inizio, non sembra avviata verso il suo superamento, appunto perché, nell’opinione di chi scrive, permangono le difficoltà politiche di creare un
vero e proprio coordinamento delle politiche economiche al livello globale. Per fortuna, alcune delle proposte messe in campo in questi anni, e segnatamente quella avanzata dalle Nazioni Unite, fanno sperare che sarà possibile farlo in futuro (cfr. United
Nations, 2009).
Un aspetto, che sarà soltanto accennato in conclusione, è che nel corso degli ultimi
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anni, e in particolare nella recente recessione, il capitalismo – o «economia di mercato» secondo una dizione apparentemente più neutra, ma, secondo lo storico Fernand
Braudel, del tutto analoga – ha intrapreso una mutazione, forse genetica. L’impostazione affermatasi negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale fu definita all’epoca job welfare society ed è stata soprattutto orientata a diffondere
i frutti del progresso economico all’intera società, e in particolare agli strati meno abbienti. L’impostazione affermatasi a partire dalla metà degli anni Ottanta del XX secolo è stata definita da Joseph Stiglitz (2010) business welfare ed è orientata di fatto a
sostenere, anche al prezzo di un pesante deterioramento dei conti pubblici, soprattutto i profitti delle élites economiche, in particolar modo bancarie. La perdurante difficoltà di uscita dalla crisi rischia però di porre i presupposti per una riproposizione dei
problemi che si presentarono nel corso della Grande Depressione, sia pure in una forma apparentemente nuova. Se si vuole evitarlo, occorre ripensare a modalità in grado
di governare e stabilizzare il capitalismo globale.
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L’organizzazione del volume
Il volume è strutturato in sette parti e un capitolo finale che illustra le conclusioni
dell’intera analisi svolta.
Parte I Economia internazionale e globalizzazione
La prima parte, Economia internazionale e globalizzazione, introduce i temi dell’economia internazionale e i problemi della globalizzazione ed è organizzata in due capitoli. Nel Capitolo 1 si presentano campo di indagine e metodo dell’economia internazionale. Dopo avere richiamato rilevanza, oggetto e articolazione dell’economia
internazionale, si passano brevemente in rassegna i principali fatti stilizzati dell’economia degli scambi internazionali e si illustrano gli obiettivi di analisi e approccio
metodologico della teoria del commercio internazionale. Si richiamano quindi i principali fatti stilizzati dell’economia monetaria internazionale e si illustrano obiettivi di
analisi e approccio metodologico della macroeconomia internazionale. Nel Capitolo 2
si discutono i principali fatti stilizzati e i problemi aperti della globalizzazione, con
particolare riferimento alla globalizzazione dei mercati dei beni e dei fattori di produzione. Dopo averne evidenziato il carattere multidisciplinare, e averne proposto una
opportuna chiave di lettura, si richiamano le contrastanti opinioni su questo complesso fenomeno epocale. Successivamente, i principali fatti stilizzati o epifenomeni della globalizzazione vengono analizzati considerando le tendenze in atto nel mercato dei
beni, nel mercato dei capitali e nel mercato del lavoro. Infine, dopo avere segnalato i
caratteri specifici della attuale fase di globalizzazione, se ne esaminano le cause e i
possibili effetti alla luce della teoria economica.
Nella parte conclusiva si discute in particolare il nesso tra globalizzazione e distribuzione del reddito.
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Economia della globalizzazione
Parte II Commercio internazionale e distribuzione
La seconda parte, Commercio internazionale e distribuzione, esamina le principali
teorie degli scambi internazionali. Il punto di partenza dell’analisi è che la seconda
ondata di globalizzazione che si è verificata nel dopoguerra è stata contraddistinta,
soprattutto a partire dagli anni Ottanta, da una forte crescita del commercio internazionale, dei flussi migratori e dell’internazionalizzazione produttiva. Per quanto riguarda la liberalizzazione degli scambi internazionali, essa ha sicuramente determinato un incremento del reddito mondiale, come la teoria standard del commercio
internazionale, presentata nel testo, analiticamente prevede. Nel contempo, però, la
crescita dei flussi commerciali ha determinato anche effetti distributivi rilevanti nel
mercato dei fattori. Nei paesi avanzati, per esempio, alcune categorie di lavoratori – soprattutto i lavoratori meno qualificati – hanno avvertito le conseguenze derivanti dallo sviluppo dell’interscambio con i paesi emergenti in termini sia di riduzione dei salari, sia di incremento della disoccupazione. Anche in questo caso, la
teoria standard del commercio internazionale offre una solida chiave interpretativa
per comprendere il disagio dei lavoratori meno qualificati e, in generale, gli effetti
del commercio internazionale sulla distribuzione del reddito. Comunque, non solo il
commercio internazionale, ma anche la delocalizzazione di fasi produttive all’estero
può provocare effetti rilevanti sulla distribuzione del reddito o, in generale, sul mercato del lavoro. La pervasiva diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione e
della comunicazione che ha avuto luogo negli ultimi decenni ha permesso di rendere delocalizzabili all’estero fasi produttive, e/o rendere commerciabili internazionalmente servizi, che prima richiedevano prossimità spaziale e, pertanto, erano svolti
entro i confini nazionali. Come si mostra nel testo, esaminando l’outsourcing internazionale, la delocalizzazione di fasi produttive e di servizi all’estero può comportare effetti redistributivi rilevanti, questa volta anche a svantaggio dei lavoratori qualificati.
L’esposizione è organizzata in quattro capitoli. Nel Capitolo 3, sulla base di un
semplice modello di equilibrio economico generale, si mostra come il commercio internazionale conduca a un incremento del livello di benessere, rispetto alla situazione di autarchia; un risultato emblematico dei vantaggi della globalizzazione. Viene
quindi esposto il primo dei due principali modelli che studiano i flussi di commercio
internazionale, che traggono origine dall’esistenza di vantaggi comparati e che spingono paesi diversi a specializzarsi nella produzione di beni differenti, dando luogo a
forme di commercio di tipo interindustriale: il modello dei costi comparati di David
Ricardo. Nel modello di Ricardo il fattore cruciale che spiega il commercio internazionale è individuato nella differenza che i paesi presentano nelle tecnologie produttive. Esso, tuttavia, considerando un unico fattore produttivo, non può cogliere gli effetti redistributivi associati al commercio internazionale.
Il Capitolo 4 esamina il modello di Heckscher-Ohlin, o della proporzione dei fattori. In questo modello la causa degli scambi commerciali di tipo interindustriale viene
individuata nelle differenze che i paesi presentano nelle dotazioni relative dei fattori.
Esso, inoltre, considerando più fattori produttivi, ben si presta a illustrare analitica-
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mente gli effetti della globalizzazione, e in particolare dello sviluppo del commercio
internazionale, sul mercato del lavoro e sulla distribuzione del reddito.
Negli ultimi cinquant’anni si sono sviluppate nuove forme di integrazione commerciale e produttiva, consistenti in quello che è stato definito commercio intra-industriale e nell’integrazione produttiva su scala internazionale, il cosiddetto
outsourcing. Nel Capitolo 5 viene esaminato il commercio intra-industriale, consistente in flussi di scambio internazionale nei quali le importazioni e le esportazioni appartengono agli stessi settori industriali. Tale tipo di commercio permette alle
imprese di sfruttare le economie di scala e i vantaggi derivanti dalla differenziazione dei prodotti, nell’ambito di strutture di mercato diverse dalla concorrenza perfetta. Nei modelli che studiano il commercio intra-industriale si mette in risalto anche il
ruolo che l’eterogeneità delle imprese svolge nei processi di internazionalizzazione. Il
Capitolo 6 è dedicato alle nuove forme che l’integrazione economica internazionale ha
assunto negli ultimi decenni. In particolare, vengono illustrati i principali modelli di
outsourcing internazionale che, come si vedrà, da un lato presentano elementi di continuità con la teoria standard del commercio internazionale, dall’altro prefigurano un
nuovo paradigma analitico.
Parte III La mobilità internazionale dei fattori produttivi
La terza parte, La mobilità internazionale dei fattori produttivi, analizza cause ed
effetti della crescente mobilità internazionale, sia del lavoro, sia dei capitali, ed è organizzata in due capitoli. Il Capitolo 7 descrive i principali fatti stilizzati delle migrazioni internazionali: consistenza, andamento, direttrici geografiche, evidenziando il
livello di sviluppo dei paesi. Illustra, in sintesi, le possibili cause e le conseguenze
delle migrazioni internazionali, quando l’unica forma di integrazione internazionale
tra paesi sia la mobilità internazionale del lavoro. L’analisi viene estesa anche al caso – più realistico – in cui vi sia commercio internazionale e vengono analizzati gli
effetti che la mobilità internazionale del lavoro può avere sulla produzione e sulla distribuzione del reddito, sia nei paesi di origine sia nei paesi di destinazione dei flussi migratori. Questi effetti sono valutati sia nel breve periodo, cioè quando l’impiego
dei fattori produttivi diversi dal lavoro è dato, sia nel lungo periodo, mostrando in che
modo le migrazioni internazionali accrescono la produzione dei beni intensivi di lavoro e modificano la distribuzione del reddito, sia nei paesi di arrivo, sia nei paesi di
destinazione.
Il Capitolo 8 è dedicato alla mobilità internazionale dei capitali, che costituisce,
con tutta evidenza, l’aspetto più emblematico della globalizzazione e uno dei fattori che maggiormente hanno inciso e continueranno ad incidere sulle scelte di politica economica e finanziaria dei governi e delle istituzioni internazionali. Negli
anni della globalizzazione, infatti, l’aumento della mobilità internazionale dei capitali è diventato impressionante. Esso ha riguardato sia gli investimenti di portafoglio sia gli investimenti diretti esteri. Questi ultimi in particolare, negli ultimi decenni hanno fatto registrare un costante incremento, che, a partire dai primi anni
Novanta, si è trasformato in una crescita straordinaria. Il capitolo esamina in par-
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Economia della globalizzazione
ticolare cause e conseguenze degli investimenti diretti esteri, toccando tre gruppi
di questioni: le diverse tipologie di investimenti diretti esteri; i fattori che incidono sulla scelta da parte di un’impresa multinazionale di effettuare un investimento
diretto all’estero; gli effetti della mobilità internazionale del capitale su allocazione dei fattori produttivi, livello e composizione settoriale della produzione e distribuzione del reddito.
Il punto centrale che emerge da questa analisi è che, negli anni della globalizzazione finanziaria, ha avuto luogo una massiccia redistribuzione del reddito, caratterizzata dall’aumento delle quote di reddito percepite dai profitti, soprattutto finanziari, e dalla diminuzione delle quote di reddito percepite dai lavoratori. Essa ha tratto
origine dallo spostamento di ingenti quote della produzione mondiale dai paesi ricchi
ai paesi oggi emergenti, con conseguenze positive per la crescita dei redditi di questi
ultimi, ma anche dalle politiche attuate nell’ambito della globalizzazione finanziaria.
Questa redistribuzione del reddito è stata, inoltre, se non orientata, per lo meno non
contrastata dall’articolazione geografica dei flussi di lavoro e, soprattutto, dei flussi di capitale e dalle politiche adottate a riguardo, specie nei paesi industrializzati. Il
problema sociale che oggi emerge è se tali cambiamenti nella distribuzione del reddito e della ricchezza mondiale siano compatibili con il mantenimento di un adeguato livello di coesione sociale, tanto tra le varie aree del mondo quanto all’interno delle nazioni che ne fanno parte.
Parte IV Politiche commerciali e processi di integrazione
La quarta parte, Politiche commerciali e processi di integrazione, affronta le principali questioni connesse all’intervento dei governi sulle transazioni internazionali e alla governance del sistema degli scambi internazionali ed è organizzata in due capitoli.
I governi possono intervenire sul commercio internazionale di un paese con differenti obiettivi: migliorare la bilancia commerciale, accrescere i rendimenti derivanti
dagli scambi internazionali oppure migliorare le ragioni di scambio del paese. Nella
generalità dei casi, tuttavia, gli interventi di politica commerciale hanno prevalentemente carattere microeconomico (o settoriale), finalizzati, per esempio, a proteggere
dalla concorrenza internazionale settori di produzione ritenuti strategici per l’economia nazionale. È noto che la crisi degli anni Trenta del secolo scorso fu aggravata in
maniera decisiva dalle politiche protezionistiche, o «beggar-thy-neighbour», attuate da tutti i maggiori paesi. Nel decennio successivo furono messe in atto politiche di
coordinamento internazionale miranti a evitare che una tale esperienza potesse ripetersi. A premessa di queste politiche John Maynard Keynes pose, come vedremo più
avanti, il principio che a nessuno Stato dovesse essere mai chiesto di attuare politiche
che non fossero coerenti con i suoi interessi nazionali. Oggi, in presenza di una crisi
mondiale che ricorda quella di allora, anche se non ne ha per fortuna raggiunto l’intensità, è utile riflettere su come evitare che ciò accada.
Il Capitolo 9 è dedicato all’analisi delle politiche commerciali. Nel capitolo si illustrano i diversi strumenti della politica commerciale, sia di carattere tariffario –
destinati cioè a incidere sui prezzi dei beni importati o esportati – come i dazi o i
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sussidi alle esportazioni, sia di carattere non tariffario – cio• destinati a incidere direttamente sulle quantitˆ scambiate Ð come i contingentamenti o le restrizioni volontarie delle esportazioni. Di essi si analizzano gli obiettivi e gli effetti sulle ragioni di
scambio e sul benessere dei paesi coinvolti, per verificare: quali sono i costi e i benefici delle politiche commerciali, chi ne trae vantaggio e chi risulta danneggiato, in
presenza di quali condizioni i benefici possono compensare i costi.
Il Capitolo 10 • dedicato allÕanalisi dellÕevoluzione del sistema di negoziati e accordi commerciali internazionali che ha portato alla progressiva liberalizzazione
degli scambi. Nella prima parte viene analizzato il processo di negoziazione multilaterale nellÕambito del sistema GATT-WTO. Si esaminano in particolare i principali risultati dei successivi round di negoziazione che hanno portato, nel 1994, alla istituzione dellÕOrganizzazione Mondiale del Commercio (OMC o World Trade
Organization, WTO), unÕorganizzazione formale che incorpora un insieme di regole di condotta in materia di politiche commerciali. Nella seconda parte si analizzano i processi di integrazione economica regionale in atto, dei quali lÕUnione Europea costituisce lÕesempio pi• avanzato, discutendone, alla luce della teoria, costi e
benefici.
Parte V Macroeconomia e politica economica in economia aperta
In questa e nelle successive due parti vengono esaminati, in una prospettiva macroeconomica, determinanti ed effetti della globalizzazione finanziaria. Il mercato finanziario mondiale era stato considerato, negli anni Trenta, come uno dei maggiori
responsabili della crisi e della fine della prima fase della globalizzazione. Di conseguenza, quando, sul finire della seconda guerra mondiale, fu ripristinata una governance internazionale dei processi di globalizzazione, i mercati finanziari vennero
ricostruiti su basi nazionali e soggetti a forme di regolamentazione che li riconducevano sotto il controllo dei policy maker nazionali. Per circa trentÕanni le politiche di
gestione macroeconomica della domanda aggregata permisero al mondo Ð e, in particolare, ai paesi oggi economicamente pi• sviluppati e, di conseguenza, pi• ricchi Ð di
godere appieno dei frutti della globalizzazione, in termini di crescita e di piena occupazione delle risorse produttive. A partire dalla fine degli anni Settanta, il diffondersi dellÕideologia del neo-liberismo Ð efficacemente definita, come si • visto, Çfondamentalismo del mercatoÈ Ð ha gettato le basi di un mercato finanziario mondiale di
dimensioni incommensurabilmente pi• ampie rispetto alle dimensioni dellÕeconomia
reale. AllÕanalisi macroeconomica della globalizzazione finanziaria, e degli effetti
che essa ha prodotto, sono dedicati i capitoli di queste tre parti.
La quinta parte, Macroeconomia e politica economica in economia aperta, presenta i concetti necessari per trattare la macroeconomia delle economie aperte agli
scambi, reali e finanziari, internazionali ed esamina le politiche macroeconomiche
di stabilizzazione e le politiche dellÕofferta discutendone le modalitˆ di funzionamento in economia aperta.
Nel Capitolo 11 viene introdotto lo studio della bilancia dei pagamenti e sono illustrati le modalitˆ operative del mercato dei cambi e il processo che ha condotto alla
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Economia della globalizzazione
costituzione del mercato finanziario mondiale. Vengono quindi illustrate le condizioni di equilibrio di breve periodo nel mercato dei cambi.
Nel Capitolo 12 i principi della contabilitˆ nazionale sono estesi allÕambito internazionale e viene quindi introdotto il concetto di moltiplicatore del reddito in economia
aperta agli scambi internazionali. Viene quindi sviluppato il concetto di Çvincolo dei
conti con lÕesteroÈ, anchÕesso decisivo per estendere lÕanalisi macroeconomica dallÕambito dellÕeconomia chiusa a quello di unÕeconomia aperta agli scambi internazionali.
Nel Capitolo 13, si presenta il modello IS-LM in economia aperta e se ne sviluppa una versione in grado di tener conto, oltre che degli scambi internazionali di beni
e servizi, anche della mobilitˆ internazionale dei capitali finanziari. Il modello viene poi applicato per analizzare le condizioni di equilibrio macroeconomico in economia aperta. Esse richiedono di garantire contemporaneamente lÕequilibrio interno e
lÕequilibrio della bilancia dei pagamenti, o equilibrio esterno.
Il Capitolo 14 • dedicato allÕanalisi dellÕefficacia relativa dei diversi strumenti di
politica economica in economia aperta. Nella prima parte del capitolo lÕattenzione •
dedicata alle politiche della domanda. Si mostra, in particolare, come lÕesigenza di
saldare gli eventuali squilibri dei conti con lÕestero dia luogo a processi di riaggiustamento differenti a seconda del regime di determinazione dei cambi in vigore: cambi fissi e cambi flessibili. Su tali basi si definisce il trade-off (problema di scelta) tra
equilibrio interno ed equilibrio esterno, che i policy maker nazionali debbono affrontare. Si segnala, a riguardo, come la globalizzazione finanziaria abbia ridotto lÕefficacia delle politiche di gestione della domanda per il raggiungimento dellÕequilibrio di
piena occupazione, in particolare nei paesi sottoposti al vincolo dei conti con lÕestero e la cui moneta non svolga la funzione di valuta internazionale. Ci˜ ha spinto i policy maker di questi paesi a indirizzare le loro strategie di promozione dello sviluppo
attuando politiche dellÕofferta. Nella seconda parte del capitolo si esaminano appunto
le caratteristiche delle politiche dellÕofferta, tese a rafforzare la competitivitˆ internazionale dei paesi nel tentativo di innescare processi di crescita basati sulle esportazioni, anzichŽ sul sostegno della domanda nazionale. A questo proposito, va per˜ tenuto
conto del fatto che queste politiche non possono essere attuate con successo da tutti i
paesi, dato che lÕeccesso di esportazioni di alcuni paesi • necessariamente compensato dallÕeccesso di importazioni di altri, essendo il mondo nel suo complesso unÕeconomia chiusa. I paesi che non riescono ad attuare con successo queste politiche si trovano, pertanto, alle prese con situazioni di vincolo dei conti con lÕestero e sono costretti
a ripristinare lÕequilibrio estero, comprimendo la domanda interna e impartendo quindi una tendenza recessiva a se stessi e allÕintera economia mondiale. Queste tendenze
recessive sono tanto pi• forti quanto pi• le politiche dellÕofferta sono effettuate comprimendo i redditi dei fattori produttivi, anzichŽ Ð come sarebbe pi• efficace ma di solito pi• difficile Ð investendo in attivitˆ che accrescano la produttivitˆ dellÕeconomia
nazionale. In definitiva, le politiche dellÕofferta, a differenza delle politiche della domanda, diffondono un clima di scarsa coesione Ð sia a livello internazionale sia a livello nazionale, quando sono accompagnate da misure recessive Ð inasprendo cos“ la
competizione internazionale, piuttosto che favorendo la crescita.
Introduzione
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Parte VI Determinazione del cambio e crisi valutarie
Nella sesta parte del volume, Determinazione del cambio e crisi valutarie, sono esaminate le conseguenze di alcuni cambiamenti strutturali indotti dalla globalizzazione finanziaria. La prima grande novità che è emersa negli anni della globalizzazione
finanziaria, come si è detto, è la perdita di efficacia delle politiche macroeconomiche
keynesiane. Esse avevano consentito il superamento della Grande Depressione degli
anni Trenta del secolo XX, e tuttavia ora risultano inefficaci se gestite su scala nazionale, mentre probabilmente non lo sarebbero se fossero gestite al livello sovranazionale al quale si manifesta la globalizzazione. L’altra grande novità, emersa negli ultimi decenni del secolo scorso e nei primi anni del XXI secolo, è stata la formazione
di un mercato finanziario che ormai detta i tempi e le modalità di sviluppo della globalizzazione.
Nel Capitolo 15 vengono sinteticamente illustrati i principali modelli che spiegano le modalità di determinazione dei tassi di cambio, in una situazione nella quale i mercati finanziari globalizzati prevalgono sui mercati reali, e si sottolinea come
ciò provochi una sistematica tendenza alla volatilità dei prezzi che si formano in tali
mercati, inclusi i tassi di cambio. Viene, inoltre, messo in risalto come ciò possa condurre alla formazione di bolle speculative, che spesso danno l’avvio a crisi valutarie
e crisi finanziarie.
Il Capitolo 16 è appunto dedicato allo studio delle cause e degli effetti delle crisi valutarie e all’analisi del problema del contagio. Le crisi valutarie, infatti, rischiano di propagarsi a livello internazionale, contagiando progressivamente altri paesi,
se non intere regioni, spesso di dimensioni continentali e al limite, come è accaduto nella crisi finanziaria iniziata nell’estate 2007, l’intera economia mondiale. La discussione viene condotta sulla base di un’esposizione dei principali modelli che spiegano le crisi valutarie.
Parte VIII Sistema monetario internazionale e crisi finanziarie
La settima parte del volume, Sistema monetario internazionale e crisi finanziaria
è organizzata in due capitoli. Nel Capitolo 17 si presenta una panoramica dei sistemi
monetari internazionali che si sono succeduti nell’arco dei quasi centocinquant’anni
lungo i quali si sono evoluti i processi della globalizzazione. Il filo conduttore di questa rilettura delle vicende storiche è la distinzione tra shock monetari e shock reali e
l’osservata tendenza dell’ordine economico mondiale ad adattarsi ai vari tipi di shock
che lo colpiscono.
Nel Capitolo 18 viene poi esaminata la crisi finanziaria mondiale iniziata nel
2007, che ha portato il mondo sull’orlo di una riedizione della Grande Depressione
di ottant’anni fa. Si mostra, in particolare, come, nel determinare la crisi, si siano
sommati squilibri finanziari, squilibri distributivi, squilibri commerciali e squilibri tra domanda e offerta. Essi traggono origine dai modi in cui la globalizzazione
finanziaria è stata gestita nell’ultimo quarto di secolo, in nome della vulgata neoliberista, che aveva preso piede sulla scia delle politiche inaugurate negli Stati Uni-
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Economia della globalizzazione
ti e nel Regno Unito sul finire degli anni Settanta del secolo scorso. Nel capitolo
ci si chiede, infine, quali siano le prospettive attuali e le condizioni affinchŽ non
si sviluppi una seconda fase recessiva eccessivamente prolungata. Una condizione
che viene vista come prioritaria è la riforma dell’architettura finanziaria internazionale, in modi che possano permettere di coordinare internazionalmente le politiche economiche di stabilizzazione, gestendole allo stesso livello globale al quale
si manifestano le crisi. Si esaminano, a riguardo, le proposte che sono state avanzate negli ultimi anni, ma la cui attuazione procede con pericolosa lentezza. Ciò
soprattutto in quanto non è mai stato raggiunto alcun accordo tra coloro i quali ritengono che la recente crisi sia stata un avvenimento estremo – e in pratica irripetibile – e coloro i quali, al contrario, temono che, se non si modificheranno le condizioni di fondo del funzionamento dell’economia mondiale, il rischio di una nuova
crisi sia quanto mai elevato. Per i primi, sarebbero sufficienti una blanda supervisione internazionale del mercato finanziario mondiale e un coordinamento macroeconomico tra le maggiori aree monetarie mondiali. Anch’esso non dovrebbe essere troppo cogente e dovrebbe comunque essere basato sul presupposto che il libero
dispiegarsi delle forze e delle potenzialità dei mercati rimanga il modo migliore
per governare la globalizzazione. I secondi, invece, ritengono che i «fallimenti di
mercato» siano endemici, in un’economia mondiale le cui forme di mercato predominanti si avvicinano maggiormente al monopolio che alla mitica concorrenza
perfetta ipotizzata dai manuali di economia. Essi richiederebbero, inoltre, la predisposizione di controlli e interventi il cui coordinamento internazionale nell’era della globalizzazione appare tutt’altro che facile, soprattutto per quanto riguarda la
gestione del ciclo economico mondiale.
Conclusioni
Nel Capitolo 19, che conclude il volume, ci si domanda se, dall’evolversi di processi di
globalizzazione tendenti a comprimere i margini di manovra delle politiche economiche degli Stati-nazione – che sono di fatto posti sotto la tutela del mercato finanziario mondiale – non possano nascere gravi pericoli per la democrazia e la coesione internazionale e interna ai singoli Stati. Vincoli talmente gravi da richiedere una
trasformazione del capitalismo e una nuova definizione dei requisiti sui quali si fonda la democrazia, che permetta di superare il conflitto tra globalizzazione economica, libertà di azione degli tati-nazione e democrazia. Gli eventi, e le scelte, del prossimo futuro, proprio come accadde dopo la crisi degli anni Trenta, dovranno, appunto,
rimettere al centro della scena la politica e dare una risposta alla seguente questione:
in che modo rendere di nuovo possibile ai policy maker definire autonomamente gli
obiettivi economici liberamente scelti dai cittadini elettori e gli strumenti attraverso i
quali essi possono essere conseguiti.
Introduzione
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Conclusioni
Nel sito http://mybook.egeaonline.it sono inseriti materiali complementari:
– esercizi e domande di autoverifica;
– link a banche dati, documenti e aggiornamenti bibliografici;
– approfondimenti analitici, case study e riferimenti a temi non direttamente trattati nel volume.
Ringraziamenti
I ringraziamenti degli autori per utili suggerimenti e commenti a una precedente stesura del volume vanno a: Nicola Coniglio, Anna Ferragina, Bruno Salituro, Augusto
Schianchi e Giovanni Verga.