Lezione 1 Durante questo corso capiremo come la disputa sull’origine dei virus e sulla loro evoluzione filogenetica che si intreccia fortemente con quella degli altri organismi viventi, sempre che per i virus si possa parlare di organismi viventi considerate le loro caratteristiche strutturali. L’ importanza della virologia è dovuta sia al ruolo emergente dei virus come agenti eziologici di patologie umane, ma anche da un punto di vista strettamente virologico siamo in un periodo dove il dibattito è aperto anche sulla collocazione dei virus da un punto di vista biologico (sicuramente la Massidda vi avrà parlato dei Mimivirus, considerati oggi potenzialmente dei precursori della comparsa e dello sviluppo di organismi superiori con caratteristiche di eucarioti). Il termine Virus deriva dal latino (veleno), associato quindi a qualcosa di negativo, in realtà di tutti i virus a potenziale patogeno per l’uomo che oggi conosciamo, solamente una piccola parte sono effettivamente responsabili di malattie nell’uomo; limitiamoci a parlare dell’uomo, essendo i virus in grado di infettare qualsiasi tipo di cellula che possa ospitarli e consentire loro di supplire a tutte quelle funzioni da un punto di vista metabolico, enzimatico etc… che consentano la loro sopravvivenza, duplicazione e diffusione. La trasmissione da cellula a cellula è il modo con cui i virus tentano di adattarsi a qualsiasi circostanza ed ecosistema, essendo il loro scopo non quello di distruggere l’ospite, ma piuttosto quello di mantenere con l’ospite che hanno conquistato un rapporto di equilibrio (è importante il termine “conquista”, perché si tratta proprio di un passaggio non soltanto da cellula a cellula all’interno di organismi della stessa specie ma anche il passaggio all’interno di cellule appartenenti ad altre specie, passaggio importante questo nell’insorgenza di nuove malattie nell’uomo magari già conosciute in altri organismi di specie differenti).L’ obiettivo è di stabilire con l’ospite una sorta di equilibrio, più che commensalismo è meglio dire mutualismo, nel senso che entrambi potrebbero ricevere qualche vantaggio da questa coesistenza; se parliamo in termini evoluzionistici-filogenetici un vantaggio per gli organismi superiori è stato quello di derivare come caratteristiche proprio dai virus, che poi si sono in qualche modo svincolati da questo rapporto continuando una loro linea evolutiva, forse rimanendo un po’ indietro rispetto all’evoluzione e al progredire di altre forme di vita. Ad ogni modo, se è vero che è ben nota l’associazione tra virus e malattia, lo è un po’ meno quella tra virus e ospite, discorso più eterogeneo rispetto al solo fatto di determinare patologie nell’uomo: i virus possono convivere infatti nell’ospite senza dare malattia, stabilendo una sorta di mutuo convivere nell’ambito della normale fisiologia di rapporto tra ospiti, anche se ci possono essere condizioni in cui quest’equilibrio può mutare (soprattutto a sfavore dell’ospite); faccio riferimento a tutte quelle situazioni in cui vengono meno i sistemi di controllo e contenimento delle infezioni (virus compresi), dovute a stati più o meno prolungati di immunocommpromissione. A questo punto quindi va da sé che anche dei virus che sono potenzialmente innocui o che in quel momento sono innocui possono diventare pericolosi. Breve e sintetico excursus sulla storia dei virus Ivanosvski fu il primo a mettere in evidenza la possibilità che ci fosse qualche cosa di submicroscopico, al di sotto quindi del potere risolutivo del microscopio ottico, in grado di passare attraverso i filtri che rendevano invece impossibile il passaggio di altri microrganismi di dimensioni superiori. Questo accadeva alla fine dell’ottocento, data indicata come l’inizio della virologia moderna. Successivamente qualcuno ha anche tentato di dimostrare come del materiale che passava attraverso tali filtri poteva essere trasmissibile a soggetti in qualche modo suscettibili. Questo signore ha reclutato dei “volontari” militari in cui provocò una malattia causata dal virus della febbre gialla, dimostrando a scapito della salute dei suoi commilitoni che questi virus potevano essere trasmessi attraverso la puntura di zanzare. Sempre all’inizio del novecento Rous (da cui prende il nome il virus del sarcoma del Rous) dimostrò l’associazione tra virus e capacità trasformante, dimostrò cioè che i virus possono provocare tumori. Oggi si sa che esistono virus capaci non solo in vitro (molti virus mostrano questa capacità solo in studi fatti in vitro o comunque su animali da esperimento), ma anche in vivo, di provocare tumori. Ovviamente i virus non crescono in terreni abiotici ma hanno la necessità di avere un substrato cellulare che può essere di diversa natura, quindi i primi esperimenti e allestimenti di sistemi in vitro per la coltura delle cellule hanno rappresentato sicuramente una tappa fondamentale per potere caratterizzare la crescita dei virus e poterne studiare le peculiarità, quanto meno per quei virus che sono facilmente coltivabili (non tutti i virus lo sono). Sicuramente lo studio e la caratterizzazione degli acidi nucleici ha rappresentato la svolta e l’accelerazione per lo studio di organismi come i virus che sono fondamentalmente dotati di acido nucleico e poco altro; è facile capire quindi come lo studio dei vari dna virali insieme alla messa a punto del microscopio elettronico siano stati un punto di svolta fondamentale nello studio dei virus. Tutto ciò ha implicato anche lo sconvolgimento del dogma centrale della biologia, potendo avere il flusso di informazioni dna---rna—proteine anche una direzione opposta grazie a un enzima, la trascrittasi inversa, che è in grado di trascrivere da sequenze di rna sequenze di dna, in contraddizione appunto al percorso univoco contemplato dal dogma centrale della biologia, cioè da dna a rna. Ancora la biologia molecolare e lo sviluppo di sistemi diagnostici basati sulla identificazione e amplificazione tramite PCR degli acidi nucleici costituiscono ripeto un punto di svolta fondamentale nello studio e caratterizzazione dei virus. Nel caso del virus dell’epatite C prima si è riusciti a clonare tutto il genoma e a studiarne le caratteristiche e solo successivamente si è arrivati all’identificazione del virus. Certamente tutto ciò che abbiamo brevemente visto rappresenta l’evoluzione degli studi sui virus, che però sono stati in un certo modo sempre conosciuti anche se non se ne conosceva la relazione causa- effetto e quindi virus-malattia; questa che vedete (giovane principe egiziano ammalato di poliomelite, conseguente ad un infezione da polio virus) è la più antica rappresentazione di quelle che ci sono pervenute per quanto riguarda una patologia legata ai virus. Facendo un salto di secoli passiamo in Cina, dove già nel 100 a.C. conoscevano, o per meglio dire avevano intuito, come alcune procedure (che poi sono state usate per la messa a punto dei primi vaccini) potessero determinare una protezione nei confronti di un’infezione, prendendo cioè materiale da un soggetto infetto e iniettandolo in un soggetto sano. Questo meccanismo è stato poi utilizzato da Jenner inoculando il virus del vaiolo vaccino in un bambino che in questo modo venne immunizzato: questa data corrisponde sicuramente alla nascita della vaccinologia. Rimangono domande fondamentali come: da dove provengono i virus? Come si sono evoluti? Quali sono le linee evolutive più o meno parallele più o meno intersecantesi con le linee evolutive di altri organismi? Non abbiamo le risposte in realtà. Abbiamo quest’immagine che fa riferimento alla presenza di virus che hanno delle caratteristiche un po’ differenti da altri virus simili; si tratta di grossi virus a dna a organizzazione citoplasmatica; questi che vedete sono virus che infettano delle amebe e che hanno organizzazione cellulare e presenza di “fattorie” dove vengono assemblate le componenti virali e inoltre oggi sappiamo anche un apparato enzimatico che permette loro di fare a meno (se non del tutto almeno parzialmente) di alcuni enzimi per la trascrizione e la duplicazione del dna di cui invece i virus simili a dna hanno bisogno. A parte i mimivirus questa categoria comprende per esempio il virus del vaiolo, i poxvirus, sono virus che replicano il citoplasma perché sono appunto dotati di un loro apparato enzimatico particolare che consente questo tipo di compartimentalizzazione. Detto ciò oggi possiamo ipotizzare quindi che esista un quarto dominio nell’ambito della ricostruzione dell’albero della vita, rappresentato proprio da questi virus che oggi vengono considerati ipotetiche unioni tra forme di vita inferiore e forme di vita maggiormente sviluppate in forma di cellule eucariotiche, di cui questi virus potrebbero rappresentare un passaggio importante da un punto di vista filogenetico. La loro caratterizzazione mette in crisi anche i tentativi di definizione dei virus stessi; questa che vedete è una definizione proposta non tanto tempo fa secondo cui i virus sono “l’altra faccia della luna” rispetto ai tre domini principali, essendo questo mondo composto da organismi costituiti da una struttura capsidica di natura proteica e da un acido nucleico, componenti queste in grado di auto assemblarsi in una struttura chiamata nucleocapside e di utilizzare un organismo che, differentemente da loro, è in grado di portare avanti attraverso l’apparato ribosomiale le reazioni di traduzione e quindi di sintesi proteica. Nei tentativi più o meno complessi di definire e caratterizzare i virus a me piace ricordare questa definizione proposta da un premio nobel per la medicina che definì il virus come “una cattiva notizia impacchettata dentro una proteina”, intuendo quella che è la caratteristica dei virus, cioè quella di trasmettere l’ informazione (non sempre negativa e associata a patologia) del loro genoma. Ovviamente questa definizione tralascia altre caratterizzazioni di elementi come virus infettivi, viroidi, prioni. I prioni per esempio oggi vengono classificati nell’ambito di categorie che appartengono ai virus, ma non sono per niente assimilabili ai virus se non per il fatto che possono essere trasmessi. I prioni come sapete sono delle glicoproteine che però possono essere trasmissibili e quindi si comportano come agenti infettivi; i viroidi sono pezzi di rna circolare che possono trasmettere delle malattie alle piante e che possono essere diffusibili; i virus infettivi sono acidi nucleici, spesso a rna, con un apparato proteico limitatissimo e che hanno bisogno ancor più dei virus non solo di un sistema cellulare per potere replicare ma anche di un altro virus per poter completare la loro struttura; un esempio è il virus dell’epatite Delta, che ha bisogno del virus dell’epatite B per potere infettare. Quindi stiamo parlando ancora di un mondo (quello dei virus) assolutamente incompleto, che non solo ha bisogno di definizioni ma ha bisogno che vengano comprese le derivazioni evolutive con cui si sono affermati comunque nel mondo dei viventi. Quindi i virus cosa sono? Agenti patogeni e non in grado di infettare qualsiasi tipo di cellula, animale, vegetale, batterica; addirittura ci sono virus che infettano altri virus. Sono delle particelle complete (prendono il nome di virioni) con dimensioni submicroscopiche, sotto il potere risolutivo del microscopio ottico (anche se i mimi virus, seppur con qualche difficoltà, sono visualizzabili anche al microscopio ottico); resta il fatto comunque che la maggior parte dei virus ha dimensioni inferiori ai 200-250 nanometri. Sono organismi intracellulari obbligati, nell’ambiente non possono vivere a lungo ma solo per breve tempo; per potere riprodursi e trasmettersi hanno necessità di entrare dentro una cellula vivente, perché da soli non sono in grado né di produrre energia né di provvedere alla sintesi di macromolecole per riprodurre se stessi. Da un punto di vista organizzativo-strutturale sono semplicissimi: questa semplicità contrasta enormemente con la loro complessità funzionale, avendo essi una capacità di espressione e di interazione con gli organismi che infettano tali da indirizzare la cellula che infettano a proprio vantaggio, dato che l’apparato della cellula infettata viene messo a disposizione del virus, a scapito ovviamente della funzionalità della cellula infettata stessa. Hanno delle strategie di replicazione del tutto particolari, contemplando oltre a proteine che costituiscono i mattoni strutturali della particella virale anche alcune ad attività enzimatica, che non sempre vengono espresse per essere riconosciute e inserite nella progenie virale, ma sono spesso enzimi con un ruolo per quello che riguarda la replica del virus, espressi proprio per andare a interagire, deprimendole e sopprimendole, con le funzioni della cellula infettata. Abbiamo detto sono coltivabili in vitro su un substrato cellulare compatibile con la replicazione del virus; alcuni sono non solo coltivabili in sistemi di cellule coltivate in vitro, possono essere utilizzate per esempio uova embrionate e questa è una caratteristica per esempio dei virus influenzali; le uova embrionate si possono utilizzare per varie diagnosi o per l’allestimento di vaccini anti-influenzali, facendo appunto moltiplicare i virus in tali cellule. I virus rappresentano un sistema assolutamente sofisticato di trasferimento genetico,anche perché ci sono virus come ad esempio i fagi che possono infettare le cellule batteriche e possono quindi trasferire informazioni attraverso il meccanismo della trasduzione fagica da cellula batterica a cellula batterica e quindi intervengono i meccanismi di trasferimento dell’informazione genetica molto importanti, come sicuramente vi avrà sottolineato la prof.ssa Massidda. I virus rappresentano per queste loro caratteristiche degli strumenti che possono essere utilizzati come vettori per il trasferimento dell’informazione genetica da una cellula ad un’altra o da un individuo a un altro attraverso metodologie di ingegneria genetica che sfruttano questa capacità di trasportatori del materiale genetico da parte dei virus. Un’altra caratteristica: i virus sono insensibili agli antibiotici; è importante perché a volte ci illudiamo di sconfiggere infezioni non batteriche, magari virali, tramite l’assunzione di antibiotici. Abbiamo detto che la “cattiva notizia” è l’acido nucleico e l’informazione contenuta all’interno; i virus possono essere costituiti da acido nucleico che può essre sia dna ma anche rna, differentemente da altre cellule dove l’informazione genetica è contenuta esclusivamente all’interno del dna. Abbiamo detto che la cattiva notizia è racchiusa in una proteina e infatti spesso una singola proteina che si ripete uguale a se stessa, nelle forme virali più semplici, costituisce un involucro protettivo per il virus. Qualche virus ha anche una struttura, ulteriore a questa che costituisce il nucleocapside, cioè un rivestimento esterno, costruito anche questo senza fatica da parte del virus che sfrutta la membrana della cellula (può essere sia la membrana cellulare, che quella del Golgi piuttosto che quella nucleare) che il virus attraversa nel corso del suo ciclo biologico e durante la sua maturazione. Quindi virione è la particella virale matura, il nucleocapside è costituito dall’acido nucleico più il capside, il rivestimento esterno viene chiamato envelope (o pericapside). A volte dall’envelope protudono delle “spicole”, che sono delle glicoproteine virus-specifiche che appaiono come delle spine, delle proiezioni (peplomeri da un punto di vista tecnico). L’envelope virale presenta un doppio strato fosfolipidico costituito da una doppia membrana derivata dalla cellula in cui però possono essere inserite proteine e glicoproteine virus-specifiche. Tra envelope e nucleocapside può essere presente una componente proteica chiamata matrice, posta al di sotto dell’envelope, che in genere è funzionale agli eventi di maturazione della progenie virale. La presenza dell’envelope conferisce ai virus che lo possiedono delle particolarità distintive rispetto ai virus nudi. Questo che vedete è l’esempio di un virus che è rilasciato dalla cellula infettata, durante il processo di fuoriuscita dalla cellula quando il virus attraversa lo strato di membrana cellulare se ne appropria rivestendosi non solo dell’envelope fosfolipidico ma anche delle proteine che ha provveduto a sintetizzare (un es. è il virus dell’ HIV). La presenza o l’ assenza dell’envelope conferisce alcune caratteristiche distintive, come proprietà fisico-chimiche e proprietà virogene (minore o maggiore infettività per esempio). Un capside con envelope, proprio per la natura biologica e chimica dell’envelope è maggiormente suscettibile a quelle sostanze in grado di degradare i fosfolipidi, quindi i solventi, i detergenti, gli acidi, ma anche il calore ed effetti fisici come l’essiccamento, motivo per cui i virus privi di envelope sono maggiormente resistenti. Un virus dotato di envelope fuoriesce dalla cellula per gemmazione, consentendo spesso questo meccanismo di conservare l’integrità della cellula che può anche non subire dei cambiamenti strutturali importanti (es. lisi) a seguito della fuoriuscita del virus. Viceversa un virus nudo in genere “spacca” la cellula lisandola nel processo di fuoriuscita. Una conseguenza della maggiore resistenza del capside nudo è quella che può essere più facilmente diffuso, potendosi trovare relativamente meglio nell’ambiente esterno e quindi può conservarsi ed essere maggiormente diffusibile; un virus dotato di envelope invece per poter sopravvivere nell’ambiente esterno e mantenere la capacità infettante anche a distanza di tempo dal momento in cui viene rilasciato dall’organismo ha necessità che vengano mantenute quelle condizioni di umidità, temperatura e non essiccamento del materiale biologico. Abbiamo parlato di proteine e glicoproteine di capside, di proteine funzionali, di proteine di matrice, di proteine associate agli acidi nucleici virali, di proteine che alterano la funzione della cellula: questo è il corredo proteico che un virus è in grado di fare programmare e sintetizzare alla cellula ospite. Questa limitatezza in termini di componenti strutturali del virus però richiede delle strategie per potere rendere la struttura virale stabile e resistente; stabile e resistente a cosa? A tutti quegli insulti che possono danneggiare l’acido nucleico (di natura fisica, chimica o enzimatica). Per potere creare una struttura così stabile e fornire protezione al proprio acido nucleico un virus deve stabilire delle strategie, innanzitutto perché ha a disposizione un numero limitato di informazioni genetiche per i prodotti proteici che possono essere di natura monomerica seppur ripetuti. Il repertorio di proteine che il virus può far tradurre è quindi limitato. Il virus, un po’ come succede per i puzzle, deve assumere forme geometriche precise e simmetriche a partire da strutture irregolari come le proteine assemblando insieme le varie componenti. Attraverso quali meccanismi? Nel 1955 due scienziati lavorando su un virus che infetta il tabacco dimostrarono per la prima volta che se venivano messi insieme acido nucleico virale (rna) e particelle proteiche queste erano in grado di auto aggregarsi, ed è quello che effettivamente un virus è in grado di fare sfruttando il minimo dell’energia libera disponibile per potere assemblare queste componenti, organizzandosi in forme geometriche che riconoscono effettivamente questi tipi di simmetria: Elicoidale Icosaedrica Complessa Per quanto riguarda la struttura elicoidale del capside è una sorta di “scala a chiocciola” costituita spesso da unità ripetute cui si associa l’acido nucleico che si trova all’interno del solco lasciato dall’elica in una struttura in grado di proteggerlo, anche se questi virus (almeno quelli patogeni per l’uomo) sono dotati anche di un envelope. Altri virus si strutturano secondo una forma geometrica solida, tenace da un punto di vista della resistenza, che è un icosaedro, struttura geometrica costituita da 12 vertici, 30 lati e 20 facce in cui la simmetria viene rispettata in tutti e tre i piani, con le unità costituenti organizzate in forma gerarchica (protomeri, capsomeri); questo tipo di simmetria ricorda i vecchi palloni da football, con esoni e pentoni rappresentati sulla superficie. La forma del capside risponde alle esigenze di economia da parte del genoma che non può essere sprecato per fare tante strutture complicate; inoltre se le proteine sono piccole lo saranno anche le sequenze geniche, assicurando una maggiore fedeltà con una possibilità minima di errori. Il terzo tipo di simmetria è più complessa e riguarda i poxvirus i quali hanno una organizzazione diversa rispetto a quelle precedentemente descritte, non seguendo queste forme le regole matematiche di simmetria come accade per l’icosaedro; questa nella slide è la struttura di un capside che presenta un rivestimento proteico ulteriore oltre al capside. Probabilmente ci sarà un motivo per cui anche da questo punto di vista i poxvirus e i grandi virus a dna a organizzazione citoplasmatica sono differenti. Un particolare tipo di simmetria complessa è la simmetria binaria di alcuni fagi, i quali possiedono una testa con simmetria di tipo icosaedrica in cui è contenuto il capside e una coda con simmetria elicoidale che congiunge la testa ad una base di appoggio, una piastra da cui fuoriescono delle appendici che servono al virus per ancorarsi alla superficie della cellula batterica; in questo modo tramite un processo attivo di iniezione questa coda funziona un po’da elastico, si contrae e consente una via di passaggio al genoma per entrare all’interno della cellula batterica. Tutto quello che abbiamo detto spiega la morfologia dei virus, la loro capacità di assemblare in maniera spontanea le loro componenti trovandosi in uno stato energetico minimo; il virus infatti non deve spendere energia per l’assemblaggio, avvenendo quest’ultimo in maniera spontanea come dimostrato per il virus mosaico del tabacco, attraverso interazioni di tipo idrofobico e idrostatico che regolano gli stati energetici minimi caratteristici. Il tutto è finalizzato a garantire la massima stabilità possibile alla struttura per consentire al virus di sfruttare tutte le proprie capacità. I criteri di classificazione dei virus non sono dissimili da quelli di cui avete discusso con il prof. Gabriele e con la prof.ssa Massidda, cioè noi possiamo sfruttare le caratteristiche fenotipiche e morfologiche dei virus, oppure come avviene più modernamente basarsi sulla organizzazione strutturale e funzionale dei genomi. Possiamo orientarci secondo una classificazione ormai storica, cioè quella di Baltimore, o secondo una proposta di classificazione leggermente diversa di cui discuteremo a breve; ci sono anche altri criteri, basati per esempio sull’effetto citopatico, cioè sul danno provocato su una coltura cellulare, oppure sulle caratteristiche epidemiologiche dell’infezione, o ancora sulla presenza/assenza dell’envelope o caratteristiche antigeniche definite da reazioni di sierotipizzazione. La recente classificazione dei virus, non molto distante dalla classificazione di Baltimore che parla di classe replicativa da 1 a 7, è questa che vedete che include anche agenti come i prioni, e che sposta in una nuova categoria i virus a dna e a rna che utilizzano la trascrittasi inversa; le altre categorie fanno riferimento al tipo di acido nucleico e alla sua organizzazione (ci sono degli organismi internazionali che si occupano di tassonomia di virus aggiornando in continuazione le varie classi e categorie con cui vengono classificati i virus). Quindi abbiamo: virus a dna a doppia elica (es. polio virus, papilloma virus, poxvirus) virus a dna monocatenali (es. parvovirus) virus a rna a doppia catena virus con rna a singola catena con polarità – o + Questo che vedete è il principale criterio di classificazione in famiglie dei virus, non tralasciando anche altre caratteristiche come presenza o meno del nucleocapside dell’envelope, grandezza del genoma e tipo di ospite infettato. Oggi il virus del vaiolo è scomparso, anche se non è proprio cosi dato che esistono dei laboratori in cui il virus è conservato e mantenuto, e viene considerato oggi (in maniera errata a mio avviso, per tutta una serie di motivi) un potenziale agente di bioterrorismo perché se venisse diffuso nella popolazione la troverebbe scoperta da un punto di vista dell’immunità cosiddetta “di gregge”, cioè quella che viene garantita tramite la vaccinazione. Ci sono altri poxvirus che possono dare ancora oggi patologia nell’uomo. Facciamo un esempio di come possono essere denominati i virus: Famiglia: Herpesviridae Sottofamiglia: alpha - herpesvirus Genere: simplex Specie: virus erpetico umano di tipo 1 La quasispecie fa riferimento alla possibilità di trovare nell’individuo infettato una popolazione eterogenea di virus che appartengono a una determinata specie ma che contengono delle sequenze genomiche variate in conseguenza alla plasticità dei genomi virali (soprattutto i virus a rna) in conseguenza agli errori degli enzimi virali, nello specifico delle polimerasi (soprattutto le rna Polimerasi rna-dipendenti che mancano dell’attività di correttore di bozze). Soprattutto i virus che danno luogo a infezioni persistenti, quindi virus che si mantengono nell’ospite anche in assenza di malattia e che continuano a replicare tantissimo, sono sottoposti a pressioni selettive per mutare, soprattutto in regioni critiche del proprio genoma, in funzione per esempio del tentativo da parte del virus di eludere la risposta immunitaria dell’ospite. Se c’è quindi una sequenza genica che codifica per una glicoproteina di superficie che stimola la risposta immunitaria, il virus per sfuggire al controllo da parte degli anticorpi modifica la sequenza genica che codifica per quella glicoproteina facendo in modo così che ne venga costruita una diversa; questo accade ad esempio quando somministriamo una terapia anti-virale (per es. contro il virus dell’ HIV), senza che il virus perda tra l’altro informazioni precedentemente acquisite , vengono generate delle popolazioni virali eterogenee che sussistono, esistono e co-esistono in un individuo infettato andando a comporre la cosiddetta quasispecie. Replicazione dei virus I virus replicano all’interno di una cellula essendo essi parassiti intracellulari obbligati, quindi devono stare all’interno della cellula per riprodursi, possono però stare anche fuori della cellula ed essere comunque trasmissibili ma, ribadisco, per potersi replicare hanno bisogno di stare all’interno di una cellula. Il percorso che fanno all’interno della cellula è scolasticamente definito da questi step: riconoscimento da parte del virus di strutture presenti sulla superficie della cellula ospite interazione da parte di strutture virali con strutture cellulari di superficie precedentemente riconosciute (la presenza di recettori e anti-recettori tra di loro compatibili condiziona la specie-specificità) penetrazione seguita dalla liberazione del genoma espressione dei geni da parte del genoma virale funzionali a dirigere il macchinario metabolico della cellula ospite replicazione del proprio genoma organizzazione dei prodotti di traduzione reclutamento e assemblaggio delle diverse componenti del virus tramite il processo di maturazione fuoriuscita del virus dalla cellula ospite (tramite gemmazione o lisi) Il meccanismo di assortimento segue le regole, anche abbastanza semplici, di riconoscimento sterico tra un recettore e un anti-recettore; per altro i virus utilizzano come molecole di riconoscimento quelle normalmente espresse dalla cellula che hanno varie funzioni (quello di legarsi a molecole che possono essere funzionali alla cellula come per esempio recettori di membrana, di trasduzione del segnale, di assorbimento, e di tenerli occupati nel legame col virus è peraltro uno dei meccanismi con cui quest’ultimo è in grado di sovvertire la funzione della cellula). La presenza o meno di un recettore compatibile per essere attaccato dal virus condiziona anche il tropismo del virus, ovvero se la cellula è o meno permissiva (in grado di consentire un ciclo virale completo), così come la specie - specificità. La natura dei recettori è varia; in genere si parla di recettori di natura proteica o glicoproteica, spesso appartenenti alla superfamiglia delle immunoglobuline, molecole di adesione, trasportatori, trasduttori del segnale e cosi via, molecole di superficie insomma che hanno un ruolo fisiologico per la cellula e la cui funzionalità viene spesso inficiata dalla presenza del virus. Gli anti-recettori virali sono sulla superficie virale maggiormente esposta, si possono trovare quindi sull’ envelope o sulla superficie capsidica per quanto riguarda i virus nudi. La presenza di co-recettori, la possibilità del virus di riconoscere più di un recettore cellulare sono oggi concetti in continuo divenire, si scoprono ogni giorno nuove molecole responsabili del riconoscimento della cellula da parte dei virus che agiscono in cooperazione, per cui il concetto di recettore/anti-recettore risulta alla luce delle nuove conoscenze troppo semplicistico; è vero che ci sono dei recettori principali (es. la molecola CD4 è essenziale per il riconoscimento del bersaglio da parte del virus dell’ HIV, lo stesso vale per l’acido sialico per quanto riguarda il virus dell’influenza), però oggi il concetto della necessità di co-recettori diversi, di diverse molecole che intervengono nel meccanismo di riconoscimento del virus è molto importante (per l’ HIV oggi sappiamo che non basta CD4, ma sono necessarie tutta un’altra serie di molecole co-recettore). Questo aspetto è importante anche ai fini delle strategie di controllo delle infezioni da virus, perché abbiamo a disposizione un repertorio di bersagli su cui si può agire più elevato, a fronte anche della difficoltà di allestire preparati ad attività anti-virale (oggi abbiamo pochi anti-virali effettivamente efficaci, quindi agire a livello del co-recettore ci permetterebbe anche di agire in una fase precoce del ciclo vitale del virus). Penetrazione dei virus all’interno delle cellule: Dopo che è avvenuto il riconoscimento i virus dotati di envelope possono entrare in maniera opposta a quella usata per uscire, fondendo il proprio involucro con la membrana cellulare come passaggio unico ed esclusivo che consente al virus di essere introdotto nella cellula, ovvero non si ha fusione tra involucri virali e parti cellulari e il virus entra tramite un processo di endocitosi mediato da clatrina, con la vescicola di endocitosi che assume l’aspetto di un endosoma in cui avviene la liberazione dei componenti virali. I virus nudi invece non penetrano attraverso fusione ma per traslocazione direttamente del materiale genetico all’interno della cellula. Quando il virus (come nel caso del virus dell’influenza) penetra tramite il meccanismo di endocitosi mediata da clatrina si forma l’endosoma all’interno del quale, dopo che è avvenuto un processo di acidificazione, intervengono quegli eventi che favoriscono la fusione delle membrane e la fuoriuscita dell’acido nucleico. I virus nudi possono entrare attraverso endocitosi mediata da clatrina, oppure direttamente nel compartimento citoplasmatico (trasformazione mediante viropessi) nel caso in cui il riconoscimento recettore/anti-recettore condiziona il passaggio all’interno della cellula anche del solo acido nucleico attraverso dei canali specializzati, oppure anche dell’intero capside. Ci sono ancora altri meccanismi tramite cui il virus può entrare all’interno della cellula, quindi la concezione classica secondo cui si gioca tutto a livello della superficie cellulare tramite il legame recettore/anti-recettore ha evidentemente qualche difetto, essendovi la capacità del virus di passare tramite un meccanismo di contatto cellula-cellula che i virus hanno escogitato probabilmente da un punto di vista finalistico per sfuggire ai meccanismi di controllo di natura immunitaria o farmacologica che agiscono a livello del riconoscimento recettore/anti-recettore. Se un virus quindi oltre che essere in grado di passare tramite il meccanismo canonico è in grado di passare tramite le giunzioni cellulari direttamente cell to cell, allora quel virus sarà in grado di sfuggire ai meccanismi di controllo cellulare che tendono a contrastare la sua penetrazione all’interno della cellula. L’uncoating, che rappresenta la fase in cui si perde la compattezza della struttura della particella virale, è un processo che come l’assemblaggio risulta essere spontaneo; vengono rilasciati nel citoplasma le componenti virali, quindi soprattutto il genoma che in qualche caso è associato a componenti proteiche che servono per mantenere protetto il genoma stesso e per poterlo indirizzare qualora il genoma sia cosituito da dna e si debba quindi localizzare nel nucleo, verso il polo nucleare. Le strategie replicative dei virus sono condizionate dalle caratteristiche strutturali del genoma; ricordiamo infatti che l’acido nucleico è presente in una sola tipologia, ma può essere o dna o rna. Inoltre il genoma può essere a singolo o a doppio filamento, lineare o circolare e in alcuni virus possono essere presenti anche 2 molecole di dna piuttosto che una soltanto. I tutto è improntato comunque al massimo risparmio energetico possibile, quindi il virus non avrà tantissime informazioni genetiche, ma soltanto quelle fondamentali. I genomi virali hanno sicuramente delle caratteristiche peculiari e tra genomi a dna e genomi a rna ci sono alcune differenze; i genomi a rna sono di dimensioni minori, essendo da un punto di vista chimico la molecola di rna più fragile ( tanto sarà più grande tanto maggiore sarà la fragilità della molecola), e non avendo inoltre la rna polimerasi attività correttore di bozze (in questo modo un genoma più piccolo mi limita la possibilità di errore). Ma anche per le molecole di dna c’è un limite di grandezza, dovuta al fatto che molecole troppo grandi possono creare dei problemi durante le fasi di assemblaggio del genoma all’interno del capside. Vediamo adesso con quali strategie il virus può soddisfare quella esigenza di economia a cui facevamo riferimento. I genomi virali sono molto condensati di per sè, ma un virus può comunque decidere di sovrapporre tra di loro le Open Reading Frame in modo da fare partire contemporaneamente la trascrizione a livello di diversi codoni di inizio, oppure un’altra strategia possibile è quella di utilizzare Frame differenti in maniera alternativa. Nei genomi a doppio filamento è possibile inoltre leggere entrambi i filamenti. Queste che sto indicando sono le diverse ORF all’interno del virus dell’epatite B a volte tra loro ampiamente sovrapposte, e questo consente ovviamente al virus di poter esercitare la propria capacità trascrizionale in maniera ottimale con mRna che finiscono tutti allo stesso punto ma che possono partire da punti differenti e contemporaneamente. I virus però hanno anche altri ostacoli da superare; per quanto riguarda quelli a rna è quello di dovere sfruttare enzimi che si trovano solo nel nucleo (le Rna polimerasi si trovano infatti soltanto in questo distretto); allora un virus per replicarsi o è dotato di propri enzimi o ha poche altre vie alternative da scegliere. I virus a dna lo stesso, in quanto per trascrivere il proprio dna devono portarsi al nucleo, a meno che non si tratti di un poxvirus o di un mimivirus che hanno escogitato delle strategie che li dotano anche di enzimi in grado di trascrivere in rna il proprio dna, e allora possono rimanere nel citoplasma. Poi ci sono le eccezioni per quanto riguarda i virus a rna che replicano tutti nel citoplasma(essendo costretti a portarsi dietro gli enzimi per replicare l’rna) tranne uno, il virus dell’influenza, che ha qualcosa di particolare che lo costringe a portarsi nel nucleo. C’ è ancora un altro problema: il sistema di sintesi proteica cellulare eucariotico è programmato per tradurre messaggeri monocistronici; i virus da questo punto di vista possono comportarsi in maniera differente. O effettivamente trascrivono degli rna messaggeri monocistronici oppure hanno delle strategie alternative, e una di queste è quella di trascrivere su un unico rna messaggero un unico prodotto proteico che poi viene diversamente processato dopo la traduzione per realizzare le singole proteine del virus; un’ altra possibilità inoltre è quella di utilizzare processi di splicing alternativo o ancora quella di riconoscere da parte del ribosoma della cellula eucariotica diversi siti di inizio. Un altro problema che incontra il virus è fare in modo che gli apparati trascrizionali della cellula vengano re-indirizzati a proprio vantaggio a scapito della cellula perché l’espressione dei geni virali si trova a competere con l’espressione dei geni della cellula ospite, e lo fa mediante l’espressione di messaggeri avvantaggiati nel riconoscimento da parte del ribosoma o mettendo in campo dei meccanismi che spengono l’espressione dei geni della cellula ospite. Un altro meccanismo che può essere utilizzato dai virus e che viene effettivamente utilizzato dal virus influenzale è quello di entrare nel nucleo e appropriarsi del CAP degli rna cellulari utilizzandoli come innesco per la polimerasi e inibendo così l’espressione dei geni della cellula ospite. Infine per quanto riguarda il meccanismo della traduzione delle proteine virali i virus hanno escogitato due meccanismi: traduzione secondo un canonico meccanismo cap-dipendente, nel senso che hanno una struttura simile al cap al 5’ costituito da proteine specializzate per questo compito traduzione indipendente dal cap tramite delle sequenze regolatorie di riconoscimento di strutture presenti al 5’ che fanno si che il messaggero virale venga immediatamente riconosciuto all’interno del complesso ribosomiale della cellula, e questo è quello che avviene per esempio nel caso del virus dell’epatite C; c’è una sequenza interna con una conformazione del tipo stem-loop, che è una struttura di riconoscimento che lavora in assenza di una struttura cap metilata.