Dr. C. Lombardi L’evoluzione della terapia antistaminica nella patologia allergica La rinite allergica è una patologia estremamente comune in Europa e negli Stati Uniti e tuttavia sottovalutata nonostante si stimi che vi sia un incremento delle forme allergiche più gravi (i fenomeni di anafilassi sono aumentati di 7 volte) e che il costo annuo delle patologie allergiche in Europa sia stimato in 100 miliardi di euro. La rinite, come l’asma, è in aumento anche in Italia anche nell’età pediatrica e spesso vi sono con embricazioni con forme rinitiche infettive e non allergiche. La rinite allergica è un fattore fondamentale nello sviluppo dell’asma. In generale le allergopatie sono attualmente in aumento e si stima che nel 2015 ne sarà affetto il 50% degli europei, in particolare nel nostro Paese vi sono nuove forme di difficile trattamento di forme allergiche respiratorie negli immigrati. Il quadro clinico della rinite è in corso di mutamento poiché vi è uno spostamento della patologia da forme lievi e moderate-gravi, un incremento di forme miste, un numero maggiore di pazienti polisensibilizzati e un evoluzione verso forme resistenti al trattamento definite SCUAD (Severe Chronic Upper Airway Disease). Da considerare con attenzione sono le comorbidità della rinite ed in primo luogo la presenza di asma. Inoltre, la rinite allergica ha un forte impatto sulla qualità del sonno. L’aderenza alla terapia è un parametro fondamentale nel successo della terapia ed è legato in primo luogo alla semplicità e all’efficacia della stessa. A tal proposito va sottolineato che i pazienti con rinite sono ampiamente insoddisfatti delle terapie prescritte. È noto che l’istamina abbia un ruolo primario nella patogenesi della rinite. Ad oggi gli antistaminici rappresentano la prima scelta nel trattamento della rinite allergica in accordo con le principali linee guida. Questa classe farmacologica è nota dal 1937, ma solo negli anni Novanta sono stati identificati i sottotipi dei 4 recettori dell’istamina (H1, H2, H3 e H4). L’istamina ha effetti a livello delle terminazioni nervose e vascolare ed interagisce anche con i canali del calcio. Complessa è anche l’azione sui diversi recettori. La prima molecole presentavano limiti riguardo le interazioni a livello del sistema nervoso centrale e per la scarsa attività recettoriale (con attivazione dei recettori muscarinici o serotoninici). I nuovi antistaminici (seconda generazione), fra le quali 1 piperazine e piperidine, presentano un più rapido inizio ed una maggiore durata d’azione, una minore sedazione in assenza di effetti anticolinergici significativi. Studi in vitro sui nuovi antistaminici, quali la bilastina, hanno mostrato anche affinità antiinfiammatoria oltre che un profilo farmacocinetico sicuro che non richiede un adeguamento del dosaggio in caso di disfunzione epatica o renale nei pazienti anziani. La bilastina ha inoltre un’efficacia comprovata sui sintomi cutanei, oculari e nasali negli studi condotti rispetto agli antistaminici di prima generazione in assenza di significativi effetti sul sistema nervoso centrale (ad es. sonnolenza). Recenti studi hanno dimostrato inoltre che i nuovi antistaminici non interferiscono con le performance di guida in volontari sani. Pertanto per la rinite allergica le raccomandazioni consigliano di utilizzare farmaci che non causino sedazione. Da ultimo va menzionata il crescente interesse per la terapia topica combinata con antistaminici (azelastina) e steroidi topici (fluticasone) che, in analogia alla terapia dell’asma, ha mostrato efficacia maggiore rispetto ai singoli componenti. 2 Dr. F. Di Marco LAMA nella BPCO: efficacia su riacutizzazioni e mortalità La presentazione tratterà degli anticolinergici e del loro impatto su outcome clinici quali riacutizzazioni e mortalità. Durante il ricovero e nei mesi successivi vi è una significativa mortalità che raggiunge il 23% ad un anno dall’ospedalizzazione. Questo dato è in riduzione negli ultimi anni verosimilmente per un miglioramento nel trattamento medico e per l’introduzione della ventilazione noninvasiva. La capacità d’esercizio è un indice prognostico importante nel paziente con BPCO. Dopo la riacutizzazione il recupero dal punto di vista funzionale richiede mesi, dopo tre mesi un paziente su cinque non è ancora tornato ai parametri di funzionalità respiratoria che aveva prima del ricovero. Inoltre, nel 30% dei casi le riacutizzazioni sono ricorrenti e tendono a presentarsi in cluster con il 27% delle seconde riacutizzazioni che si verificano entro le 8 settimane dalla prima. La prognosi del paziente BPCO è influenzata oltre che dalla frequenza delle riacutizzazioni anche dalla gravità delle stesse. Vi sono 3 classi di recettori colinergici (M1, M2 ed M3). Non vi sono farmaci anti M1, né è auspicabile che agiscano a livello di M2, mentre il recettore M3 è il target terapeutico in quanto oltre a causare la dilatazione dei vasi sanguigni nella muscolatura scheletrica è responsabile della contrazione delle muscolatura liscia e dell’aumento della secrezione delle vie aeree. Studi sul tiotropio nelle sue diverse formulazioni hanno dimostrato che gli antimuscarinici riducono il rischio delle riacutizzazioni. Recenti studi hanno confermato quest’effetto anche sui nuovi antimuscarinici in quanto anche il glicopirronio riduce le riacutizzazioni nel paziente BPCO, mentre su aclidinio bromuro non vi sono ancora studi di sufficiente durata a riguardo. È importante conoscere il nostro paziente per mirare la terapia in quanto vi sono pazienti BPCO che non hanno frequentemente riacutizzazioni e pazienti anche con ostruzione bronchiale di grado moderato che hanno 2 o più riacutizzazioni l’anno. Come fanno gli anticolinergici a ridurre la riacutizzazioni? Il concetto di “stenting farmacologico”, cioè il mantenimento dell’apertura delle vie aeree perche “l’apertura e chiusura” delle vie aeree causa fenomeni infiammatori sia in vivo che i vitro. La relazione fra infiammazione e riduzione del flusso aereo nel paziente BPCO è biunivoca perché il 3 mantenimento della pervietà delle vie aeree probabilmente riduce i fenomeni infiammatori. Anche rispetto a salmeterolo il tiotropio ha dimostrato di ridurre il numero delle riacutizzazioni anche in pazienti con patologia funzionalmente di grado moderato. Perché tiotropio è meglio di salmeterolo? Uno studio fra tiotropio e indacaterolo ha mostrato che il tiotropio riduceva le riacutizzazioni e produceva una maggiore broncodilatazione. Sembra quindi che gli anticolinergici riducano le riacutizzazioni più significativamente che i beta2 stimolanti ma le evidenze su questo punto non sono conclusive. Un ipotesi è che i polimorfismi nel recettore per i beta2 stimolanti giochino un ruolo importante in questa classe farmacologica; una seconda ipotesi riguarda l’impatto sulla riduzione delle secrezioni. Nella pratica clinica meglio scegliere un anticolinergico o l’associazione beta2 stimolante e steroide? Secondo le linee guida lo steroide inalatorio è indicato nel paziente con frequenti riacutizzazioni bronchiali. Tuttavia non sembrano esserci chiare evidenze che l’associazione steroide inalatorio beta2 stimolante sia più efficace dell’anticolinergico nel ridurre le riacutizzazioni indipendentemente dal livello di FEV1. È stato dimostrato che la terapia con tiotropio riduca la mortalità nel paziente BPCO. È stato segnalato un aumento della mortalità per cause cardiovascolari con la formulazione Respimat del tiotropio. Per questo è stato fatto uno studio mirato su un ampia popolazione che non mostra differenza fra le due formulazioni di tiotropio in termini di mortalità e ne provava l’equivalenze delle due formulazioni. In conclusione: le riacutizzazioni costituiscono un momento critico della storia naturale della BPCO con impatto importante sui sintomi, la funzione, la qualità della vita, costi e mortalità; i farmaci anticolinergici sono efficaci nel ridurre le riacutizzazioni anche in pazienti con patologia moderata; il tiotropio ha dimostrato in due trials di poter essere più efficace dei beta2 stimolanti in termini di prevenzioni delle riacutizzazioni e di ridurre la mortalità nel paziente BPCO. 4 Prof. A. Papi Farmacologia nel controllo dell’asma La trattazione approfondirà il razionale clinico e farmacologico del combinare steroide inalatorio e beta2 stimolante. L’asma è primariamente una malattia infiammatoria cronica. Gli steroidi inalatori sono il cardine dell’intervento terapeutico nell’asma in quanto hanno dimostrato risultati più efficaci del solo broncodilatatore sulla funzione respiratoria del paziente asmatico. Inoltre, negli ultimi decenni è stato dimostrato che gli steroidi inalatori soddisfino tutti gli outcome riportati nelle linee guida nel controllo dell’asma. Il problema clinico si pone quando basse dosi di steroidi inalatori non sono adeguate per ottenere il controllo della malattia; in tal caso vi sono varie possibilià terapeutiche, sebbene l’associazione di basse dosi di steroide inalatorio e di broncodilatatori a lunga durata d’azione sia risultata vincente mentre in precedenza si riteneva di dover principalmente aumentare la dose di steroide inalatorio. È stato dimostrato che l’associazione di budesonide e formoterolo riduca la frequenza delle riacutizzazioni rendendo poco probabile la presenza di un infiammazione non controllata che sia “mascherata” dal broncodilatatore. Riguardo lo steroide inalatorio, la massima risposta farmacologica si ha ai bassi dosaggi per i quali la curva dose risposta è più ripida mentre vi è scarso beneficio nell’incrementare lo steroide ad alte dosi (la curva è a plateau), mentre aumentando la dose di steroidi inalatori aumenta linearmente la presenza di effetti sistemici pertanto è importante, come sottolineato dalla linee guida, cercare di ridurre la dose di steroidi inalatori se il paziente è ben controllato. Il razionale farmacologico della combinazione è che gli steroidi aumentano l’espressione del recettore dei beta2 agonisti e quindi potenzialmente di aumentare la risposta ai beta2 riducendo la tachifilassi a lungo termine. I beta2 agonisti aumentano tramite AMP ciclico la traslocazione del recettore degli steroidi che è fondamentale nel maccanismo d’azione degli steroidi stessi. Sia farmacologicamente che clinicamente ha senso associare beta2 agonisti e steroidi inalatori. Aumentando la dose di steroide si raggiunge il controllo dell’asma (l’outcome centrale per i farmaci per l’asma) in una percentuale fino a circa l’80% dei pazienti. Le combinazioni di steroidi e broncodilatatori sono costituite da farmaci molto diversi tra loro, ad esempio formoterolo è molto più 5 rapido di salmeterolo nell’insorgenza dell’effetto; fra gli steroidi il fluticasone risulta superiore a budesonide in termini funzionali e clinici rispetto alla budesonide per l’elevata affinità recettoriale, la lipofilia e l’elevato legame alle proteine plasmatica, ha inoltre un’elevata emivita nell’organo target e presenta una bassa biodisponibilità orale (ridotti effetti sistemici). Le dosi di fluticasone per ottenere un efficace effetto infiammatorio sono inferiori rispetto agli altri steroidi inalatori. Negli studi dedicati, il fluticasone si è dimostrato una molecola sicura in termini di effetti collaterali. Vi sono dati che dimostrino come vi siano diversità negli effetti del combinare diverse molecole fra steroidi e broncodilatatori in quanto vi sono importanti interazioni fra i farmaci e diversità fra gli stessi. I corticosteroidi per via inalatoria possono inibire l’uptake (clearance locale) e la rimozione dei broncodilatatori cationici dalle vie aeree. Nonostante macroscopiche diversità farmacologiche fra i farmaci inalatori, i trial clinici non sembrano evidenziare grossolane diversità fra le associazioni nel confronto fra fluticasone-salmeterolo e budesonide associata a formoterolo. Tuttavia diverse survey affermano che il controllo della malattia nella real life sia raggiunto in percentuali minori rispetto ai grandi trial clinici. È probabile che spostando l’attenzione dai trial clinici agli studi in real life si evidenzino le diverse proprietà farmacologiche che i grandi trial clinici non sono riusciti a mostrare. Una recente survey ha mostrato che le proprietà più importanti che un’associazione dovrebbe avere secondo i medici sono il miglioramento dei sintomi e un potente effetto antiinfiammatorio oltre a un miglioramento del FEV1, un elevato profilo di sicurezza e tollerabilità e una rapidità di azione. Vi è una nuova combinazione costituita da formoterolo e fluticasone che presenta una maggior durata della plume inalata, favorendo la coordinazione del paziente, minor velocità di erogazione con basso rischio di impatto nelle alte vie aeree e con una diametro medio delle particelle di 3.5 micron in elevata percentuale. L’utilizzo del basso dosaggio della combinazione fluticasone formoterolo si è dimostrato migliore dei singoli componenti sul FEV1 e vi sono vantaggi clinici verso i singoli componenti. In conclusione la nuova combinazione fluticasone formoterolo si è dimostrata sicura e ben tollerata dimostrandosi valida nel migliorare il controllo dell’asma garantendo un efficace controllo dei sintomi del paziente in tempi rapidi ed maniera efficace, riducendo inoltre la frequenza delle riacutizzazioni. 6 Prof. C. Tantucci Iperinsufflazione polmonare statica e dinamica nel paziente con BPCO: cause, conseguenze e nuove riflessioni. L’iperinsufflazione polmonare statica è legata a malattie che portano ad una distruzione del parenchima polmonare come l’enfisema panlobulare. Queste alterazioni derminano una riduzione del ritorno elastico associata alla perdita dell’interdipendenza fra polmone e piccole vie aeree che causa una riduzione del flusso con aumento del volume residuo (alterazione che avviene precocemente in questi pazienti) e, nel tempo, anche della capacità polmonare totale. Nell’iperinsufflazione vi è un aumento della capacità funzionale residua in parta legata alla riduzione della zona di apposizione diaframmatica. La muscolatura scheletrica è ancora in grado di generare una certa forza, ma durante eventi acuti come le riacutizzazioni vi è minore possibilità di compenso. L’iperinflazione dinamica è determinata da fattori che sono tempo dipendenti, ma non necessariamente legata all’esercizio fisico in quanto può verificarsi anche a riposo. Quali sono i fattori che la determinano? Ad esempio elevate costanti di tempo che implicano una difficoltà di svuotamento del sistema, un’aumentata richiesta ventilatoria con aumento del volume corrente e/o della frequenza respiratoria (che comporta una riduzione del tempo espiratorio) o la presenza di flusso limitazione durante respiro corrente in un paziente che non presenti più riserva di flusso. Il sistema non riesce a tornare al volume di rilasciamento e quindi il volume di fine espirazione aumenta con riduzione della capacità inspiratoria; inoltre la pressione alveolare media di fine espirazione non torna a 0 ma sarà positiva (pressione positiva di fine espirazione intrinseca, PEEPi). L’iperinflazione polmonare dinamica può portare ad un notevole incremento del carico di lavoro della muscolatura respiratoria essendovi una soglia rappresentata dalla PEEPi ad ogni atto respiratorio. Le conseguenze dell’iperinsufflazione polmonare dinamica sono una presenza della PEEPi che è disomogenea in base alle alterazioni delle varie regioni, una riduzione della capacità inspiratoria e un’acuta alterazione dei muscoli respiratori nel generare forza. Globalmente vi è un progressivo incremento del volume di fine espirazione che ha un ruolo importante nella meccanica respiratoria. Nella BPCO si assiste ad incremento del volume residuo, a fenomeni di air 7 trapping e, nelle fasi finali, anche ad un modesto incremento della capacità polmonare totale. È frequente che un soggetto con iperinsufflazione polmonare statica sviluppi questa alterazione anche a livello dinamico e questa è la ragione per cui i broncodilatatori funzionano nei pazienti con patologia sostenuta da un grave enfisema. Ad oggi purtroppo non vi sono farmaci che contrastino l’iperinsufflazione polmonare statica che è una perdita dell’elastanza del polmone. L’iperinflazione polmonare porta ad un progressivo incremento del volume residuo (anche in presenza di VEMS ancora normale) e successivamente aumenta la capacità funzionale residuo e solo negli stadi avanzati vi è aumento della capacità polmonare totale. Per quanto concerne i fenomeni dinamici, durante l’esercizio è stato dimostrato che anche i pazienti con ostruzione lieve tendono a presentare iperinsufflazione polmonare dinamica, nonostante questo non sia vero in assoluto per tutti i pazienti. Tale fenomeno di aggrava con l’incremento dell’ostruzione al flusso. Il consumo d’ossigeno è molto ridotto nei soggetti flusso limitati e non vi sono dubbi che l’iperinflazione polmonare dinamica sia la chiave di volta dell’intolleranza all’esercizio fisico. Dal punto di vista sintomatologico, nel soggetto ostruito vi è la presenza di dispnea da sforzo, ed il soggetto tende a limitare l’esercizio fisico creando un circolo vizioso. Nel paziente BPCO con ostruzione al flusso di grado progressivamente crescente è stato dimostrato con l’ecocardiografia che il grado di iperinflazione a riposo si associa a riduzione telediastolica del ventricolo sinistro. Quindi più vi è iperinflazione più vi è un ostacolo al ritorno venoso. Nei soggetti BPCO al test da sforzo incrementale si assiste ad un ridotto aumento del polso dell’ossigeno che si associa ad un mancato incremento della gettata cardiaca. È probabile che nei BPCO in stadio avanzato questo fattore può ridurre il massimo lavoro e il consumo di ossigeno. Secondo una recente survey i pazienti potrebbero avere più sintomi al risveglio e probabilmente il dormire male riduce in maniera importante sulla qualità della vita. In clinostatismo vi è una riduzione della capacità funzionale residua di circa 700-900 ml. Nel paziente ostruito durante la notte può incrementare la flussolimitazione con riduzione relativamente inferiore della capacità funzionale residua come durante un esercizio di media entità durante tutte le ore di sonno. Questi aspetti hanno conseguenze importanti per l’utilizzo di una terapia desufflatrice che funzioni anche durante la notte. L’iperinflazione polmonare è un alterazione con impatto sull’outcome in quanto accorcia la durata della vita essendo un predittore di mortalità. Quale è il nesso con la mortalità? La ridotta tolleranza all’esercizio fisico, che si è dimostrata 8 correlare alla sopravvivenza, può essere una spiegazione, ma vi è probabilmente anche un incremento della frequenza delle riacutizzazioni, l’infiammazione sistemica, lo squilibrio neurovegetativo e forse anche l’ipossemia notturna. In conclusione la presenza di iperinflazione dinamica in pazienti con BPCO si associa a dispnea cronica e ortopnea se grave, a diminuita tolleranza all’esercizio e ridotta qualità della vita. L’iperinflazione dinamica è inoltre un fattore indipendente di mortalità e quindi desufflare il paziente con la terapia farmacologica, non farmacologica e riabilitativa è di primaria importanza nel trattamento dei pazienti con BPCO. 9 Dr. P. Santus Novità nella classe dei LAMA:il vantaggio della somministrazione bis in die I dati funzionali che raccogliamo nelle nostre valutazioni non sono direttamente fruibili dal paziente ma si estrinsecano nei sintomi che questi riferiscono alle valutazioni ambulatoriali. Fra i sintomi più rilevanti ricordiamo dispnea, tosse ed espettorato, e sensazione di costrizione toracica. La dispnea rappresenta un sintomo centrale e con elevato impatto secondo gli stessi pazienti. Da rilevare è inoltre che i sintomi presentano una variabilità circadiana con, in genere, un picco al mattino. Qual è il comportamento dei pazienti rispetto alla terapia in relazione ai sintomi? Al variare di questi nel 50% dei casi i pazienti variano il comportamento terapeutico anche con l’utilizzo di farmaci al bisogno. In una scala temporale più estesa, in presenza di un peggioramento dei sintomi, la compliance del paziente alla terapia si riduce di molto. Potrebbe essere utile una strategia basata su un rinforzo dell’attività terapeutica che mantenga a livelli elevati l’efficacia del farmaco gestendo al meglio la variabilità giornaliera dei sintomi. Tra i farmaci recenti, l’aclidinium è un antimuscarino in dose di 400 mcg 2 volte die per il quale vi sono studi che ne hanno mostrato l’efficacia rispetto a formoterolo e tiotropio. Su tale farmaco vi sono, inoltre, studi che ne hanno valutato anche nelle ore notturne i valori di FEV1. Come concetto generale sembra che la seconda somministrazione nella giornata porti ad un aumento nel grado di broncodilatazione rispetto alla terapia in monosomministrazione sia in acuto che nella somministrazione dopo 15 giorni. Sono stati studiati inoltre l’impatto sui sintomi respiratori di questa molecola ed è stato dimostrato che questi fossero migliorati in maniera significativa. Ma come valutare i sintomi notturni? Ad esempio si possono utilizzare degli score di gravità. Anche in periodi più lunghi, ad es. 6 settimane vi è un potenziamento della broncodilatazione dato dalla seconda somministrazione di aclidinium rispetto a tiotropio anche in termini di sintomatologia sia notturna che diurna (limitazione attività quotidiane). In studi di più lunga durata (52 settimane) è stata testata l’efficacia clinica e funzionale di alcidinium. I nostri dati preliminari hanno approfondito lo studio di questo farmaco e di glicopirronio anche con il single breath test oltre alla funzione con spirometria globale. 10 In BPCO gravi il volume residuo, le resistenze e la capacità funzionale residua si riducono con entrambi gli anticolinergici (più rapidamente con aclidinio), mentre specularmente aumenta la capacità inspiratoria per aclidinium. La slope dela fase 3 si riduce con aclidinium come per una migliore distribuzione della ventilazione polmonare. All’EGA è stata riscontrata un incremento dei valori di ossemia e una riduzione della capnia con aclidinium a 3 ore dal basale ed un significativo impatto sulla dispnea (scala VAS). In conclusione la doppia somministrazione può avere una importante rilevanza nell’ottenimento del successo terapeutico ponendo al centro le necessità del paziente. 11 Dr. F. Braido L’aderenza al trattamento nel paziente con BPCO: ruolo centrale del device La trattazione verterà sull’aderenza e il ruolo del device alla luce dell’evoluzione tecnologica. L’assunzione continuativa e corretta del farmaco è basilare per l’ottenimento di risultati nei trial della ricerca scientifica. In molti trial vi è evidenza che l’aderenza al trattamento ha importanti ripercussioni cliniche ed economiche (incremento di ospedalizzazione e mortalità in assenza di aderenza). Nello studio TORCH della durata di 3 anni vi era comunque una quota di pazienti che assumeva meno dell’80% delle dosi con ripercussioni sulla mortalità in chi non assumeva con continuità la terapia. La non aderenza ha costi sociali ed economici e quindi agire sull’incremento dell’aderenza può essere una strategie per ottimizzare i costi dei sistemi sanitari. È necessario avere terapia efficaci ed un piano di gestione della malattia e del paziente per implementare l’aderenza. La mancata aderenza può essere legata all’abbandono del trattamento (che viene assunto solo in un periodo dell’anno) o la non assunzione di tutte le dosi prescritte. Maggiore è la percezione dell’efficacia della terapia più il paziente è aderente. Vi sono tuttavia altri elementi come la durata del trattamento, la complessità e frequenza del regime terapeutico (piani terapeutici complessi sono legati ad una minore aderenza), gli effetti collaterali, i costi, la via di somministrazione e il device. Il device si pone come “tassello” fra paziente e la terapia e può essere avvertito sia come beneficio che svantaggio dal paziente. Per questo è importante è ciò che il paziente riferisce sulla malattia nella scelta della terapia più congrua. Recentemente vi è stato un incremento dell’utilizzo delle polveri inalatoria e riduzione degli MDI. Per il medico è importante la precisione della dose e la deposizione nelle zone bersaglio (dove sono localizzati i recettori). L’evoluzione tecnologica dei nuovi device permette che il farmaco venga inalato sotto forma di particelle di dimensioni adeguate per il raggiungimento dei target. Lo sviluppo dei nuovi device è stato seguito con un accorgimento tecnico, è stato ridotto l’orifizio dal quale si inala per incrementare il delta di pressione che garantisca il dissolvimento 12 in particelle di dimensioni adeguate. I nuovi device (come il Genuair®) hanno dimostrato che i pazienti riescano a generare il flusso inspiratorio necessario ad attivare correttamente il dispositivo. Con questo device è stato dimostrato inoltre che la quantità di farmaco che arriva nella sede target è oltre il 30%. Con farmaci radiomarcati si è dimostrato che la porzione più periferica è quella che viene raggiunta tramite Genuair®. Il paziente, riguardo il device, richiede che sia facile da usare, discreto, facilmente portabile e abbia dei sistemi di feedback che lo informano dell’avvenuta inalazione in maniera corretta. Un altro aspetto concernente le aspettative del paziente riguarda l’avere un indicatore di dose, un sistema semplice di blocco una volta terminate le dosi e che garantisca di non caricare più dosi in successione se non è stata inalata correttamente la dose. Per il paziente indipendentemente dal tipo di device la facilità nel farlo funzionare è l’obiettivo prioritario. È possibile creare endpoint dedicati, con questi, uno studio dedicato con placebo ha mostrato che dopo due settimane una percentuale significativamente maggiore di pazienti preferica il nuovo device Genuair® rispetto a HandiHaler®. Centrale è la propensione a continuare l’uso degli inalatori riferita dal paziente. Una recente survey ha sottolineato strategicamente l’importanza dei device come strumento di cura per malattie ad alto impatto inoltre sono da combattere le criticità fondamentale come la percezione che tramite questo strumento di terpia si curino malattie lievi e con farmaci “soft”. In conclusione è necessario diffondere il messaggio che vi siano nuove tecnologie efficaci nella terapia inalatoria e farmaci che ne possono usufruire. 13 Prof. M. Pistolesi. Traslare le evidenze della letteratura scientifica al singolo paziente: il ruolo dello pneumologo La BPCO è un campo di studio complesso includendo la bronchite cronica (che colpisce la vie aerre di calibro maggiore), la malattia delle piccole vie e l’enfisema (che porta a distruzione delle parti più periferiche del parenchima). Vi è inoltre il problema dell’overlap asma-BPCO. Ad eccezione dell’enfisema si tratta di malattie dell vie aeree conduttive. In tutte queste patologie vi è un ruolo attivo dei vasi. Nel 2007 si pensava di trattare il paziente BPCO in base al grado di ostruzione del VEMS. Nel 2011 vi è stata un ridefinizione della BPCO che la definiva malattia trattabile e si poneve l’accento sulle riacutizzazioni bronchiali (evento acuto caratterizzato dal peggioramento dei sintomi oltre la variazioni giornalieri e porta il medico ad un cambio di terapia). Su queste acquisizioni sono stati integrati i sintomi (valutati su due scale) e la presenza di riacutizzazioni al grado di ostruzione bronchiale per definire una terapia inalatoria più precisa. Il problema riacutizzazioni è in correlazione con il fenotipo. Spesso si utilizza ormai la TC torace per valutare il grado di enfisema anziché la DLCO. All’incremento dell’enfisema e all’ispessimendo delle vie aeree incrementavano il numero di riacutizzazioni. In una coorte di pazienti BPCO quelli con maggiore enfisema (misurato alla TC o con la DLCO) sono quelli con un declino più rapido. Integrando questo ed altri studi si raggiunge l’evidenza che: le riacutizzazioni non hanno una frequenza significativamente diversa nei pazienti con malattia delle vie aeree conduttive rispetto a quelli con enfisema e, pertanto, non caratterizzano il meccanismo fisiopatologico alla base dell’ostruzione del flusso aereo. Riguardo le riacutizzazioni e la gravità: l’ospedalizzazione, l’uso di steroidi ed antibiotici sono più frequenti nei pazienti in stadio GOLD 4. Ne consegue che più che essere un fenotipo la riacutizzazione ci fornisce informazioni sulla gravità della malattia ed è meglio considerabile come un indice attendibile di gravità della BPCO più che un attributo riferibile ad un fenomeno specifico. Un fenotipo dovrebbe avere delle caratteristiche stabili e ripetibili mentre negli studi i pazienti possono passare dalla categoria frequente a infrequente 14 riacutizzazione e viceversa e quindi, vi sono evidenze che la frequenza delle riacutizzazioni non sia stabile nel tempo. Uno dei problemi nella ricerca sulla BPCO è la mancanza di una definizione condivisa, il fatto che spesso non venga segnalata perché il paziente non si presenta dal medico, possa avvenire improvvisamente e vi sia confusione diagnostica con l’embolia polmonare, lo scompenso cardiocircolatorio e la polmonite. Un'altra evidenza da traslare nella pratica è che la frequenza di riacutizzazioni non sia facilmente misurabile ponendo problemi nel classificare alcuni pazienti secondo le recenti linee guida. Secondo il parere di esperti oltre alla misurazione del flusso sarebbe utile per far progredire le conoscenze sulla BPCO comprendere i meccanismi della limitazione del flusso (malattia delle piccole vie aeree o l’enfisema). Compito del medico è valutare quale fra i meccasmi sia presente e quale sia primario. Recenti evidenze confermano che la funzione polmonare e la presenza di espettorato purulento permettono di classificare i pazienti in base alla gravità e al fenotipo analogamente a quanto permette di quantificare la TC torace. È difficile guidare la terapia con la classificazione GOLD che pur valutando la gravità del paziente non ne permette una definizione del fenotipo. In conclusione, il ruolo della pneumologo consiste nell’incentivare la valutazione clinica e funzionale completa evitando di limitarsi alla semplice misura della curva flusso/volume e del numero di riacutizzazioni come raccomandato dalle più recenti linee guida. L’identificazione mediante dati clinici e funzionali completi del meccanismo fisiopatologico alla base dell’ostruizione del flusso aereo (endotipo) è essenziale per indirizzare la terapia verso le manifestazioni cliniche (fenotipo) di ciascun paziente. 15 Prof.ssa C. Bucca Le implicazioni terapeutiche della co-morbidità cardiovascolare in BPCO Fra le comorbidità della BPCO la presenza di cardiopatia è la più frequente. Questa associazione è legata alla presenza degli stessi fattori patogenetici e di una significativa morbilità e mortalità con una prognosi peggiore in presenza di entrambe le patologie. Nonostante questi aspetti frequentemente solo una delle due condizioni viene diagnosticata. È pertanto importante nel paziente respiratorio ricercare la presenza di cardiopatie misconosciute ed inviare il paziente al cardiologo per ottimizzare la terapia sui due fronti. Il punto comune alle due patologie è l’infiammazione sistemica legata al fumo di sigarette o inquinanti che si riflette a livello coronarico, a livello della funzione cardiaca e anche nella presenza di ipertensione. Vi sono vari mediatori infiammatori coinvolti in questi processi ad esempio il TNF-alfa, la proteina C-reattiva o l’interleuchina 6. Le alterazioni sono a livello dell’interstizio polmonare, dell’alveolo con la presenza di edema e nella formazione di versamento pleurico. Vi sono inoltre un sovraccarico del circolo polmonare venoso con incremento della pressione di incuneamento e altri fattori come l’ipossemia che possono associarsi alla presenza di ipertensione polmonare. Studi di epidemiologia hanno evidenziato che lo scompenso cardiaco è presente in circa il 20% dei pazienti con BPCO e, analogamente, la prevalenza di BPCO fra i pazienti con scompenso cardiaco varia dal 20 al 32%, mentre il 10% dei pazienti ospedalizzati per scompenso cardiaco acuto è affetto anche da BPCO. Vi è inoltre un rischio di 4.5 volte maggiore di sviluppare scompenso cardiaco nei pazienti affetti da BPCO. Le implicazioni cliniche di questa coesistenza di patologie sono importanti se si considera che anche nei pazienti con BPCO lieve, le malattie cardiovascolari sono responsabili del 50% circa di tutti i ricoveri e di oltre il 20% delle morti; la BPCO raddoppia il rischio di patologie cardiovascolari e tale rischio aumenta con il progredire della malattia. Nella BPCO le malattie cardiovascolari e il tumore del polmone sono le più importanti fonti di morbilità e mortalità. In pazienti affetti da cardiopatia la coesistenza di BPCO può essere un fattore importante per l’ospedalizzazione, inoltre i pazienti con BPCO sono a rischio di ricevere un minore trattamento per lo scompenso come ad 16 esempio betabloccanti o ace-inibitori. Vi è il problema della diagnosi di entrambe le condizioni. La radiografia toracica non è sufficientemente sensibile, i risultati delle prove di funzionalità respiratoria possono essere di difficile interpretazione, mentre le misure ecocardiografiche sono limitate dall’iperinflazione che comporta una difficile finestra acustica. L’ostruzione delle vie aeree sommata alla restrizione legata alla cardiopatia può essere misdiagnosticata o mal valutata in termini di gravità ad esempio per variazioni degli indici di ostruzione con la diuresi. Fra i dati di laboratorio, il peptide natriuretico atriale non è un marker specifico in quanto aumenta anche in presenza di cuore polmonare. Nonostante questo limite, uno studio ha dimostrato che l’utilizzo precoce del peptide natriuretico atriale in Pronto Soccorso permette di supportare la diagnosi di scompenso cardiaco non noto. Anche i reperti obiettivi sono sfumati ed aspecifici nei pazienti con entrambe le patologie. La prima terapia della BPCO si basa sull’utilizzo di broncodilatatori beta-agonisti che, soprattutto se non selettivi, aumentano il rilascio di catecolamine endogene e il consumo dell’ossigeno del miocardio. I principali effetti cardiaci dei beta2 stimolanti sono la presenza di aritmie legate ad un aumento del drive adrenergico e depressione della funzione miocardica. Vi è inoltre una down-regulation dei recettori beta1 che potrebbe avere ripercussioni sulla contrattilità del miocardio. Altri effetti deleteri dei beta2 stimolanti nel paziente cardiopatico possono essere la presenza di tachicardia, ipokalemia e allungamento dell’intervallo QT. Sono soprattutto da evitare nel cardiopatico i beta2 stimolanti per via orale che presentano maggiori effetti collaterali rispetto alla via inalatoria in assenza di un aumento dell’efficacia terapeutica. Nonostante vi siano pochi dati su questi effetti. Gli anticolinergici sono preferibili nei pazienti cardiopatici con BPCO, ma anche in questo ambito vi sono pochi studi. Particolarmente complessa risulta la valutazione degli effetti opposti dalla terapia fra beta2 stimolanti e betabloccanti, questi ultimi in particolare sono negati spesso ai pazienti con BPCO per timore degli effetti di bronco-ostruzione. È importante utilizzare betabloccanti cardioselettivi nel paziente BPCO. Fra gli altri farmaci cardioattivi, ace-inibitori e antiangiotensina 2 possono avere effetti positivi a livello polmonare; inoltre gli antiagonisti dell’aldosterone possono avere un effetto protettivo sulla membrana alveolo-capillare, mentre la digitale può dare vasocostrizione. In conclusione la combinazione di scompenso cardiaco e BPCO ha interessanti aspetti terapeutici che necessitano in maggior parte di conferme scientifiche. I betabloccanti nei pazienti con ostruzione 17 moderata e fissa non sembrano pericolosi nella BPCO anche se vi sono pochi studi sui nuovi betabloccanti e mancano dati a lungo termine su questi pazienti. Gli effetti avversi dei beta-gonisti nei pazienti con cardiopatia necessitano di ulteriori studi. 18 Prof. A. Rossi Innovazione nella terapia del paziente asmatico L’asma può sembrare un problema in gran parte risolto. Sicuramente si sono ridotti drasticamente i pazienti ricoverati per asma bronchiale. Questo è legato al fato che la grande maggioranza dei pazienti asmatici (circa l’80%) può essere controllata dalla combinazione di salmeterolo/fluticasone come mostrato da uno studio clinico. Tuttavia vi è un quinto di pazienti che non è controllato con questa terapia (dato confermato da vari studi). Uno dei problemi del controllo della malattia è l’assunzione continua della terapia. Si pensa che il paziente che assuma la terapia ma non sia controllato appartenga a un diverso fenotipo di asma (asma grave allergico, asma eosinofila, asma neutrofilica, asma neutrofilica ecc.). Vi sono innovazioni nella terapia dell’asma che sono pensate per i pazienti non controllati dalla terapia di associazione (ad es. l’omalizumab). Negli ultimi anni, il flusso di comunicazione fra i pazienti e l’organizzazione ha portato a benefici per gli stessi pazienti. Il mepolizumab (un anti-interleuchina 5) è un interessante farmaco con numerosi lavori che dimostrano che questo farmaco riduca il numero delle crisi rispetto al placebo. Dal punto di vista della terapia con farmaci biologici il trattamento dell’asma è avanti rispetto a quello della BPCO. Data l’eterogeneità della malattia potrebbe essere anche che sottogruppi di pazienti asmatici possano beneficiare di terapia differenti (ad es. antitrombotici). Cosa hanno di diverso i pazienti non controllati? Un aspetto è la presenza di una maggiore quantità di muscolo liscio nelle vie aeree periferiche. Inoltre questo muscolo presente in maggiore quantità è più vicino al lume. È da ricordare che il muscolo liscio è un potente strumento che difende la membrana alveolo capillare. Il muscolo liscio si accorcia fino al 10% della lunghezza iniziale contraendosi anche in vie aeree che hanno perso i legami con i tessuti circostanti che la ostacolano. In letteratura vi è grande interesse per le piccole vie aeree. Cosa succede alle vie aeree periferiche negli asmatici asintomatici? È stato dimostrato con l’utilizzo dell’isoproterenolo che la maldistribuzione della fase 3 si riduca e compaia il volume di chiusura. È noto che le piccole vie aeree siano fortemente coinvolte nell’asma in fase silente e questo fenomeno è reversibile con un semplice broncodilatatore (probabilmente in maggior misura con uno steroide). Nei soggetti che 19 hanno più frequenti riacutizzazioni le vie aeree sono più compromesse. Nei soggetti con asma di difficile controllo vi è differenza nella pendenza della fase 3 e nel volume di chiusura che è più elevato. È stato confermato che nei pazienti con asma difficile è compromesso il volume di chiusura. Nel paziente non controllato vi è un problema essenzialmente farmacologico e probabilmente anche una sede di lesione che non viene raggiunta dalla terapia. Nuove tecnologie come la TC in espirio permettono di studiare le vie aeree periferiche che possono essere studiate funzionalmente anche con il volume di chiusura e il volume residuo. Vi è un aumentato volume residuo nell’asma, ma la capacità polmonare totale non è fissa. All’incremento del volume residuo vi è anche un aumento della capacità polmonare totale che tende a preservare la capacità vitale. Pertanto, nel follow up del paziente asmatico, la misurazione del volume residuo potrebbe affiancarsi alla spirometria semplice nel dimostrare quest’alterazione funzionale. Le vie aeree periferiche sono un potenziale bersaglio terapeutico e vi sono delle combinazioni terapeutiche che le raggiungono, vi sono dei vantaggi? La deposizione del farmaco in vie aeree compromesse potrebbe essere influenzata, ma uno studio dedicato ha dimostrato che tale deposizione è confrontabile in asma, BPCO e sani. La formulazione extrafine di beclometasone formoterolo, rispetto a fluticasone salmeterolo, è altrettanto efficace e sicura con vantaggi nella rapidità della broncodilatazione. La deposizione con la polvere avviene nel polmone profondo perché le particelle sono sottili (masso diametro di massa media). Più le particelle sono grandi, più contengono farmaco che tende ad impattare sulle vie aeree superiori; quindi è importante che il diametro di massa media sia adeguato affinchè il farmaco arrivi in periferia. Uno studio trasversale ha mostrato che la formulazione extrafine penetra più in profondità raggiungendo un maggiore controllo della terapia con una dose inferiore di steroide. Vi è quindi un effetto clinico importante per la formulazione extrafine del farmaco. È stato recentemente dimostrato che l’utilizzazione della combinazione beclometasone-formoterolo al bisogno porta meno riacutizzazioni rispetto al salbutamolo al bisogno. Questo approccio è utilizzabile anche nello step-down terapeutico nel paziente con asma controllato. In conclusione l’asma è una malattia delle piccole vie aeree e non una “piccola malattia” delle vie aeree. È importante che le piccole vie aeree siano studiate anche nel paziente asmatico, almeno con la misurazione regolare dei volumi polmonari con attenzione al volume residuo. Il trattamento farmacologico deve interessarsi alle alterazioni delle piccole vie particolarmente nell’asma grave. 20 Prof. S. Centanni L’impatto delle riacutizzazioni di BPCO: dal dato alla real life La trattazione verterà sull’impatto delle riacutizzazioni integrando dati scientificie e la real life. Quest’ultima è importante perché riflette le necessità della pratica clinica quotidiana. Non vi sono evidenze scientifiche del coinvolgimento sistemico della BPCO, ma questa è condizione patologica respiratoria con importanti effetti sistemici. La BPCO ha un substrato infiammatorio e vi è uno stress ossidativo con interessamento soprattutto muscolare. La funzione polmonare ha risvolti complessi che vanno oltre il solo FEV1 che, tuttavia, mantiente un ruolo in una prima stadiazione della patologia. Nella BPCO le esacerbazioni sono un punto importante. Nel corso di riacutizzazione vi è un rilascio di mediatori (ad es. il TNF alfa, la proteina C reattiva) che hanno un impatto cardiovascolare importante. È noto che la BPCO abbia forti correlazioni con la funzione cardiovascolare che aumentato nelle fasi di acuzie spiegando, almeno in parte, gli eventi cardiovascolari acuti in corso di riacutizzazione di BPCO. Di questo importante impatto nella BPCO vi sono evidenze già a livello dell’endotelio. In sintesi, le riacutizzazioni possono comportare un peggioramento anche delle condizioni cardiovascolari e possono rappresentare un momento di pericolo legato a queste condizioni. Lo stress ossidativo è un elemento centrale per quanto riguarda le disfunzioni muscolo scheletriche e per il rischio cardiovascolare nel paziente BPCO. Il polmone è uno scambiatore di gas e l’ossigeno è una molecola cardine per la vita. La sedentarietà è un dato con importanti ripercussioni cliniche. L’attività fisica è il più grande predittore dell’outcome nel paziente BPCO e migliorando l’attività fisica si hanno importanti effetti clinici su vari livelli. Le riacutizzazioni impattano sulla funzione, su mediatori dell’infiammazioni e sono un aspetto da considerare fortemente negli aspetti di prevenzione e trattamento. La definizione più accettabile della riacutizzazione prevede un aumento dei sintomi respiratori che necessiti di un intervento medico superiore al trattamento abituale. Nell’anamnesi è necessario valutare che il paziente assuma con regolarità la terapia prescritta. È stato proposto di classificare le riacutizzazioni in lievi, cioè che vengono controllate da un incremento della terapia abituale 21 effettuato dal paziente; moderate che necessitino di steroide e/o antibiotici; gravi che richiedano accesso in PS o ospedalizzazione. I tre sintomi cardine della riacutizzazione sono aumento della dispnea, aumento della tosse aumento o modifiche delle caratteristiche dell’espettorato. La presenza di questi sintomi presenta anche ripercussioni sulla terapia. Vi sono varie cause di riacutizzazioni con un ruolo principale legato alle infezioni batteriche o virali, ma anche una correlazione con l’inquinamento, le variazioni climatiche e l’interruzione della terapia di fondo. La diagnosi differenziale coinvolge numerosi quadri clinici. I fattori associati ad un aumento delle esacerbazioni sono l’età, il grado di ostruzione, la presenza di secrezioni e tosse produttiva, la durata della patologia, l’utilizzo di steroide nell’anno precedente, la colonizzazione batterica, le comorbidità. Lo studio ECLIPSE ha mostrato che circa il 33% dei pazienti BPCO è frequente riacutizzatore e questa possibilità è presente in tutte le classi di gravità della patologia con impatto sulla storia naturale della malattia. Il paziente frequente riacutizzatore tende ad essere stabile nel tempo ed identificabile con l’anamnesi con la pregressa storia di riacutizzazioni come principale fattore predittivo. Un recente studio italiano conferma il dato dello studio ECLIPSE anche nella realtà italiana. Vi è anche un impatto sulla depressione che è più frequente nel paziente con frequenti riacutizzazioni. Il numero di riacutizzazione correla con la prognosi e la riospedalizzazione impattando in maniera importante sul paziente. Il declino funzionale è accelerato nel paziente frequente riacutizzatore con impatto sulla qualità di vita del paziente come confermato in più studi. L’accesso in pronto soccorso ha importante ripercussioni prognostiche e spesso questi pazienti non hanno ancora avuto diagnosi di BPCO. L’eziologia infettiva è la causa principale di riacutizzazione. Tra i virus il più importante è il rhinovirus mentre fra i batteri sottolineamo l’Haemophilus come patogeno più frequente, mentre lo Streptococcus Pneumoniae rimane il patogeno di più frequente riscontro nelle polmoniti. Più grave è l’ostruzione più elevata è la probabilità di avere un’infezione da gram negativi come le Enterobacteriaceae e lo Pseudomonas aeruginosa. Tutti i documenti sulla BPCO si focalizzano sulle riacutizzazioni. La terapia inalatoria consente di prevenire un buon numero di riacutizzazioni. Cosa possiamo fare per prevenire le riacutizzazioni? Promuovere la vaccinazione antinfluenzale e la partecipazione a programma riabilitativi, utilizzare l’O2 terapia se necessaria, la verifica della corretta assunzione della terapia inalatoria e la disassuefazione dal fumo di sigaretta. Sul tabagismo la prevenzione rimane il metodo migliore. 22 In conclusione le riacutizzazioni sono eventi frequenti nella vita del paziente BPCO con impatto immediato (morbilità, ospedalizzazioni e mortalità) e tardivo (declino della funzione respiratoria). Alcuni pazienti sono frequenti riacutizzatori, sebbeno non dobbiamo dimenticare che alcune di queste siano prevenibili. Circa il 50% delle riacutizzazioni sono sostenute da batteri. È necessario stratificare i pazienti per identificare quelli più a rischio di riacutizzazione. 23 Prof. F. Blasi European lung white book: la realtà epidemiologica delle malattie respiratorie in Europa Le malattie respiratorie sono la seconda causa di morte in Italia. La trattazione verterà sul lavoro di raccolta di dati epidemiologici europei sulle malattie respiratorie che ha esitato in un libro, il “White Book”, che è stato presentato al Parlamento Europeo. Le problematiche relative alle patologie croniche sono legate al cambiamento della popolazione. La piramide delle età mostra profonde divergenze fra i vari paesi ed in Italia il 30% della popolazione ha oltre 65 anni, dato che incide sulla prevalenza delle malattie croniche. Altro punto è l’urbanizzazione con il conseguente problema dell’esposizione all’inquinamento, problematica nella quale la pneumologia è disciplina primaria. A livello europeo il 15% della mortalità è legato a malattie respiratorie, con le infezioni respiratorie che rimangono una causa importante. Mentre le malattie croniche sono in riduzione a livello europeo l’unico percentuale in aumento è legata alla malattie respiratorie. L’invecchiamento della popolazione è un punto importante. Sappiamo il guadagno in anni di vita della popolazione grazie alle cure. Da sottolineare sono anche le ineguaglianze nella gestione della salute nei vari paesi, dato legato al censo. Negli Stati Uniti vi è grande differenza nell’accesso alle cure sanitarie rispetto al reddito con alcune popolazioni più a rischio. Vi sono differenze anche all’interno di distanze ridotto come in diversi quartieri di una stessa città come dimostrato a Londra. Le mortalità e le incidenze nelle diverse malattie sono analizzate per patologie. Riguardo la BPCO vi è una prevalenza di 23 milioni di soggetti, di questi circa 1 milione viene ricoverata e vi sono circa 150.000 decessi anno. In percentuale sono affetti il 5-10% dei pazienti di più di 40 anni con fattore di rischio principale il fumo di sigaretta e secondariamente l’esposizione professionale, l’inquinamento e fattori genetici. Riguardo la mortalità in Europa, grazie a questo studio, è possibile avere online dal sito della società Europea i dati aggiornati riguardanti i singoli Paesi. Sulla tubercolosi (TB) vi sono circa 400000 nuovi casi annui in europa che comportano la morte di circa 40000 pazienti. Un particolare allarme è l’elevata frequenza relativa della 24 TB farmaco resistente (MDR) che rappresenta un importante problema di sanità pubblica. Per far emergere il problema, un riassunto di due pagine per ogni malattia è stato fatto per chiarificare con immagini su costi, ricoveri e mortalità e delle varie patologie. La sola BPCO costa 200 miliardi all’anno. Attualmente, grazie alla società europea (ERS) le malattie respiratorie sono state inserite nei programmi di ricerca europei. Vi sono importanti nessi fra HIV e TB, ad esempio in Grecia vi è un aumento di HIV e TB con ripercussioni importanti (ad esempio l’aumento della mortalità perinatale). Questo libro è stato presentato al parlamento europeo ed è diventato un punto di riferimento per la commissione sanitaria europea. 25 Dr. G. F. Sferrazza Papa L’ecografia del diaframma Il diaframma è innervato dal nervo frenico ed è il principale muscolo inspiratorio. La disfunzione diaframmatica è una condizione patologica sottodiagnostica che causa dispnea da sforzo e rientra nella diagnosi differenziale della dispnea di origine indeterminata. Le cause di disfunzione del diaframma sono molteplici dalle lesioni chirurgiche del nervo frenico (durante la chirurgica toracica, del collo e la cardiochirurgia), alla neuromiopatia associata alla terapia intensiva, alle malattie demielinizzanti, alle neoplasie o dall’utilizzo di farmaci come gli steroidi. Un problema diagnostico rilevante è quale test utilizzare per lo studio del diaframma nella pratica clinica. È necessario distinguere la paralisi diaframmatica monolaterale, che si manifesta con dispnea essenzialmente da sforzo o può essere un riscontro occasionale all’RX del torace, e la paralisi bilaterale che comporta la presenza di dispnea anche a riposo (con ortopnea e dispnea all’immersione in acqua) e frequentemente comporta insufficienza respiratoria e necessità di ventilazione meccanica. I test di funzionalità ventilatoria (spirometria in orto- e clinostatismo, massima pressione inspiratoria) e la misurazione della pressione transdiaframmatica permettono di escludere una paralisi diaframmatica bilaterale, ma possono non essere sufficientemente sensibili nell’individuare alterazioni nella paralisi monolaterale. Recenti studi dimostrano che l’ecografia è una metodica accurata anche nell’individuazione della disfunzione diaframmatica monolaterale. Inoltre, l’ecografia diaframamtica è utile in numerose indicazioni come la presenza di dispnea da sforzo di natura da determinare, un difetto ventilatorio restrittivo inspiegato, la guida per l’esecuzione dell’elettromiografia, un sospetto interessamento diaframmatico nell’ambito di patologie neuromuscolari, un difficile svezzamento dalla ventilazione meccanica o la valutazione diaframmatica nell’ambito di una sopraelevazione radiografica dell’organo. Rimane da verificare il ruolo dell’ecografia nell’ambito della patologia infettiva (ascessi subfrenici) e neoplastica. Negli ultimi anni vi sono stati numerose pubblicazioni sull’ecografia diaframmatica soprattutto in terapia intensiva nello studio del weaning del paziente difficile da estubare. 26 Lo studio ecografico del diaframma non è attualmente standardizzato, a nostro parere è utile studiare il muscolo diaframma con varie proiezioni. Dividendo il muscolo nei due emidiaframmi distinguiamo la zona di apposizione, che rappresenta circa il 50% della superficie del muscolo e la cupola diaframmatica. È possibile studiare la zona di apposizione con sonda lineare con approccio transtoracico nel seno costofrenico. In tale proiezione si visualizza il diaframma come una struttura ipoecogena (scura) delimitata da due linee iperecogene (pleura e peritoneo che appaiono bianche). L’esame si conduce facendo inspirare il paziente da capacità funzionale residua a capacità polmonare totale e valutando l’ispessimento della zona di apposizione, un ispessimento >20% dimostra permette di escludere la paralisi diaframmatica. È utile confermare la diagnosi con lo studio della cupola diaframmatica. Questa è studiabile con approccio addominale in ipocondrio destro con sonda convex misurandone l’escursione a tidal volume, durante sniff test e all’inspirio forzata in M-mode. L’algoritmo diagnostico nel sospetto di una disfunzione diaframmatica bilaterale prevede in primo luogo l’esecuzione di prove di funzionalità ventilatoria, massima pressione inspiratoria (o sniff test) e, in presenza della persisenza del dubbio diagnostico, è consigliabile l’esecuzione di esami di secondo livello come la misurazione della pressione trasndiaframmatica o l’ecografia diaframmatica. In conclusione, l’ecografia è una metodica utile ed accurata per lo studio della funzione diaframmatica, sono tuttavia necessari ulteriori studi per verificarne il ruolo nella patologia infettiva, neoplastica e congenita. 27