Quella che possiamo considerare la tradizione centrale della

Quella che possiamo considerare la tradizione centrale della sociologia , che ha coniato il termine stesso di
sociologia nasce in Francia con Emile Durkheim. A differenza della scuola Americana la quale trasferiva
l’atteggiamento empirico con cui l’antropologia analizzava le società tribali direttamente nell’osservazione
della vita metropolitana moderna, Durkheim che ha influenzato l’antropologia successiva utilizza i dati
etnografici ricavati dalle società semplici per giungere ad una teoria generale dell’origine e della funzione
delle rappresentazioni collettive e del simbolismo sociale. In realtà D. non distingueva l’antropologia dalla
sociologia per l’oggetto di studio, egli si concentrava sul tipo di analisi. Utilizzava il materiale etnografico
come base essenziale per spiegare non solo il funzionamento di una data società ma per estenderlo alla
società nel suo complesso , moderna o tribale che fosse. L’ottica di D. si contrappone a quella di altri
antropologi contemporanei, il suo intento non è quello di cogliere la particolarità e la varietà delle credenze
e delle pratiche culturali delle religioni primitive quando gli elementi costanti, permanenti. Pur non avendo
mai usato questo termine D. fa della cultura il centro della teoria sociologica. La ragione più importante
riguarda il fatto che per D. qualunque società ha un carattere fondamentalmente simbolico. Già in passato
autori come Spencer avevano cercato di dare delle risposte al perché la società stesse insieme, quale fosse il
collante che teneva uniti gli elementi di una società, senza disintegrarsi in una lotta di tutti contro tutti. Per
d. a differenza di spencer non sono la razionalità e l’interesse individuale a tenere unita la società quanto la
presenza di una dimensione simbolica. Simboli sono le credenze e i rituali condivisi che svolgono una duplice
funzione: rappresentare e raffigurare la società e al tempo stesso di permettere la comunicazione tra i suoi
membri. Le leggi fondamentali della sociologia mostrano come le variazioni nei modelli di interazione
sociale determino variazioni nel comportamento e nelle convinzioni della gente. Gli individui sviluppano
progressivamente ruoli sempre più specializzati , non semplicemente perché l’inventano ma a causa
dell’aumento della popolazione ,a cui si aggiunge lo sviluppo della tecnologia e dei mezzi di trasporto. Anche
nel suo studio sul suicidio D. era interessato non tanto al suicidio in sé quanto teso a spiegare che ad un alta
densità fisica corrisponde un più basso tasso di suicidi questo perché l’individuo si sente parte del gruppo
meno solo. Questo bozzolo attorno all’individuo ha u effetto morale ed emotivo ed è quando questo bozzolo
si rompe che si allentano i rapporti sociali portando al suicidio. Questo bozzolo morale per D. è dato dai
rituali sociali. Essi sono più evidenti nella religione ma una volta che se ne individua una struttura
fondamentale può essere estesa ovunque anche all’interazioni della vita quotidiana .Il rituale è un momento
contraddistinto da un momento di alta densità sociale .Condividendo un medesimo posto fisico, uno stesso
focus gli individui non sono solo riuniti ma diventano consapevoli del gruppo che li circonda, certe idee
finiscono per rappresentare il gruppo stesso diventandone siboli.essi generano una corrente emotiva un
consenso morale e cognitivo che unisce gli individui,crea vincoli e consente loro di identificarsi con una
collettività che li trascende. Nella divisione del lavoro sociale,D mostra che questi simboli unificanti sono
prodotti da forme diverse della medesima struttura sociale.
Della divisione del lavoro sociale.
In Della divisione del lavoro sociale, Durkheim si domanda come mai l’individuo diventa sempre più
autonomo e al tempo stesso viene sempre più a dipendere dal resto della società. Infatti, lo sviluppo
dell’individuo che caratterizza la modernità non è accompagnato da un indebolimento dei legami sociali,
ma piuttosto da un cambiamento di questi ultimi. Le società premoderne (prive della divisione del lavoro)
non conoscono spazi per le differenze e per le individualità, le unità sociali stanno insieme perché sono
tutte simili e ugualmente sottoposte all’unità di grado superiore di cui fanno parte (l’individuo alla famiglia,
la famiglia al clan, il clan alla tribù). È una solidarietà meramente “meccanica”, come quella delle molecole
di un corpo inorganico: e che sia una solidarietà meccanica appare evidente non appena si considerino i
sistemi giuridici che vigono all’interno delle società premoderne, che sono tutti sistemi che adottano
sanzioni repressive contro chi viola le leggi. Al contrario, nelle società moderne, in cui fortissima è la
divisione del lavoro, ogni individuo e ogni gruppo svolge funzioni diverse: la solidarietà non si fonda più
sull’uguaglianza ma sulla differenza; gli individui e i gruppi stanno infatti insieme perché nessuno è
autosufficiente e tutti dipendono da altri. E gli stessi sistemi giuridici mirano non a reprimere, bensì a
ristabilire l’equilibrio infranto da chi ha violato le norme (sono cioè sanzioni restitutive). La solidarietà
meccanica è caratterizzata dalla giustapposizione di segmenti sociali equivalenti (ordini, clan), e
l’accettazione da parte dei singoli dei presupposti della coesione collettiva tramite funzioni repressive. In
questo stadio gli individui vengono colti per somiglianza e la personalità individuale è assorbita in quella
collettiva. La solidarietà organica si manifesta attraverso la differenziazione di funzioni specializzate
(altrimenti detta divisione del lavoro) che implica la cooperazione cosciente e libera degli agenti sociali,
quindi lo sviluppo della contrattualizzazione delle relazioni sociali e la nascita dello Stato moderno
democratico, centralizzato, gestionale, e la conseguente concezione dell’individuo come persona. In
quest’ambito prevale l’adozione di un diritto di tipo restituivo (o privato).
Questi valori individuali finiscono per assumere i caratteri di una vera e propria religione laica che D.
chiama il culto del’individuo. L’individuo non è più soltanto un componente della società ma diventa
oggetto sacro per la società stessa . Anche il culto dell’individuo diventa un vero e proprio sistema valoriale
in quanto gli individui non cooperano solo nelle loro attività ma anche in ciò che pensano e credono.
Durkheim usa il concetto di rappresentazioni collettive,che si sviluppano al’interno delle nostre idee sociali
e queste idee formano i contenuti della nostra coscienza, la cui novità è dettata dal fatto che quest’ultime
assumono tanto carattere comunicabile e comune quanto istituzionale e oggettivo. Le rappresentazioni
collettive sono per D. delle istituzioni sociali. Egli distingue rappresentazioni sui generis come quelle
individuali, e una parte non del tutto cosciente della rappresentazione che oltre ad essere esterna alla
coscienza individuale si impone con carattere di obbligatorietà ed esteriorità. Queste caratteristiche
appartengono a quelli che d. definisce FATTI SOCIALI, indipendenti dall’individuo, una fonte di autorità
autonoma che gli oltrepassa.Il substrato da cui derivano non è l’individuo, ma l’insieme associato di questi ,
che entrano in relazione reciproca. Il nuovo approccio allo studio delle credenze collettive sarà poi ripreso
da Mauss , in particolare il carattere istituzionale e oggettivo del mito che accostato al linguaggio creano un
sistema simbolico istituzionalizzato , un comportamento verbale codificato che trasmette , come la lingua
modi di classificare e organizzare l’esperienza.D. mettere in luce il duplice carattere delle rappresentazioni
collettive cognitivo e morale, si introduce l’idea che i concetti e le credenze operino in determinati contesti
sociali da cui dipendono. A differenza di Compte D. riteneva che solo in quanto fatti sociali le
rappresentazioni collettive sono indagabili scientificamente, e che le credenze comuni non contino per il
grado di verità quanto per essere un elemento ordinatore e regolativo del comportamento individuale.
Questa riflessione non implica un autonomia e indipendenza della società, delle rappresentazioni collettive
dagl’individui ma hanno assunto un carattere oggettivo ed esteriore del tutto particolare agl’individui che
ne fanno uno che le producono e le modificano.
La ricerca sul suicidio (1897)
Il suicidio è considerato solitamente come un atto eminentemente individuale, il cui studio, quindi,
compete alla psicologia. Durkheim in questa sua ricerca viole dimostrare invece che il suicidio è un fatto
sociale nel senso che varia in rapporto con variabili sociali, in rapporto con mutamenti o di ordine
economico, o di ordine religioso, o di altro genere ancora cosicchè le motivazioni individuali,
psicologiche, non costituiscono le vere cause del fenomeno. Questi motivi che la coscienza individuale
ignora sono costituiti dalla società e dal suo diverso potere di integrazione.
In questa ricerca riappare dunque l’esigenza della religione, intesa nel senso più lato, come forza morale
che mantiene la coesione degli individui nella società.
Questi limiti dell’impostazione della ricerca, non devono mettere in ombra i meriti che pure sono
notevoli in quanto Durkheim riesce a risalire ad alcune cause sociali del suicidio pur considerandole
come cause esclusive anziché come fattori che agiscono in un vasto contesto di concause. Durkheim
giunge così alla conclusione finale che il suicidio varia in ragione inversa al grado di integrazione della
società religiosa, in ragione inversa al grado di integrazione della società domestica; in ragione inversa
al grado di integrazione nella società politica. Quanto al fattore religioso, Durkheim mette in evidenza
come il tasso dei suicidi è più alto tra i protestanti in quanto la loro religione, ammettendo il libero
esame, consente un più ampio margine di libertà individuale; è più basso tra i cattolici in quanto la loro
fede impone loro delle regole che non possono assolutamente essere messe in discussione (dogma della
fede); è ancora più basso tra gli ebrei in quanto gruppo minoritario che si regge sulla sua forte coesione
interna. Durkheim, afferma che non è tanto il libero esame che determina la più alta incidenza dei
suicidi quanto piuttosto il fatto che la chiesa protestante è meno fortemente integrata della chiesa
cattolica.
Quanto alla situazione familiare, Durkheim mette in evidenza che la famiglia in quanto tale
tendenzialmente preserva dal suicidio e tanto più ciò è vero quanto più essa appare ben integrata. Il
tasso dei suicidi tende ad aumentare con l’aumento dei divorzi e delle separazioni legali. Non è tanto
l’istituzione giuridica del divorzio a provocare l’aumento dei suicidi quanto l’indebolirsi nella società del
vincolo matrimoniale. Non tanto il matrimonio per sé, ma il matrimonio con figli preserva dal suicidio.Lo
scapolo è descritto da Durkheim come un individuo non sottoposto ad alcuna disciplina per ciò che
riguarda le sue passioni, esemplificando la sua figura nel Don Giovanni.
Per quanto riguarda il mondo politico, Durkheim sostiene che quando vi sono grandi sconvolgimenti
sociali, quali le guerre o le rivoluzioni, il tasso dei suicidi tende a diminuire e da ciò si può affermare che
le grandi scosse sociali come le grandi guerre popolari ravvivano i sentimenti collettivi, stimolano lo
spirito di parte come il patriottismo, la fede politica, la fede nazionalistica e concentrando le attività
verso un unico scopo determinano, almeno per un periodo, una più forte integrazione sociale.
Egli individua 4 tipi di suicidio:
1) il suicidio egoistico.
C’è da dire innanzitutto che il termine “egoistico” è inteso da Durkheim come “prevalenza
dell’individualismo sul senso del sociale” cioè quando la coscienza individuale prevale su quella collettiva
e ciò va visto in correlazione con quanto avviene nella società con il venir meno della sua forza di
coesione
2) Suicidio altruistico
E’ il suicidio caratteristico delle società semplici, fondata sul prevalere della coscienza collettiva su
quella individuale: quando l’individuo si annulla completamente nella società tende a seguire un
imperativo morale uccidendosi con il venir meno del senso della sua funzione sociale. E’ il caso del
suicidio dei vecchi e dei malati che si sentono ormai socialmente inutili, di quello delle mogli che
seguono i mariti nella morte, di quello dei servitori alla morte dei padroni.
3) suicidio anomico
Durkheim inizia l’esame di questo tipo di suicidio considerandolo rispetto alle crisi economiche. Sulla
base di dati statistici non elaborati personalmente ma a sua disposizione egli sostiene che il tasso di
suicidi aumenta nei momenti di crisi, intendendo come crisi sia quelle recessive come quelle di
prosperità.
Durkheim considera che se le crisi industriali o finanziarie aumentano i suicidi non è perché
impoveriscono, giacchè le crisi di prosperità hanno lo stesso risultato ma perché sono delle perturbazioni
dell’ordine collettivo. L’uomo, contrariamente agli animali, non sa autoregolarsi perciò una volta
raggiunta una meta, tende a volerne raggiungere altre più ambiziose, in un processo che si imbatte
prima o poi in limiti invalicabili. Ma perseguire un fine inaccessibile significa condannarsi a uno stato di
perenne insoddisfazione. Pertanto, il limite agli appetiti individuali deve essere posto dall’autorità
morale della società. Soltanto la società è in grado di svolgere questa funzione moderatrice perché
soltanto essa ha qual potere morale superiore di cui l’individuo accetta l’autorità. E’ la società che
stabilisce i limiti del benessere economico in relazione alle varie professioni e condizioni sociali e in una
condizione normale gli individui accettano tali limiti. In una monografia dedicata a Saint Simon,
pubblicata nello stesso periodo della ricerca sul suicidio, Durkheim scrive che “ciò che è necessario
perché l’ordine regni è che la maggior parte degli uomini si accontenti della propria sorte; ma ciò che è
necessario perché se ne accontentino non è che posseggano di più o di meno ma che siano convinti di
non avere diritto ad avere di più”.
Durkheim afferma che vi è una particolare sfera della vita sociale in cui l’anomia si trova allo stato
cronico ed è il mondo del commercio e dell’industria. Egli si riferisce al suo tempo in quanto afferma
anche che in altri periodi vi erano forze sociali che ostacolavano questo stato cronico dell’anomia. Qui si
ha l’esaltazione della religione (non importa quale) intesa nella sua accezione più ampia come fattore
che regola i desideri individuali indicando i limiti oltre i quali non si poteva andare, di imporre il suo
sistema normativo. Nella società industriale, invece, caduti i vincoli imposti dalla religione, la vita
economica è abbandonata alla libera concorrenza senza alcun freno esterno: e dalla vita economica
l’anomia passa anche negli altri settori della società. La ricerca di infinito, nella vita sociale, è solo segno
di sregolatezza, di anomia.
4) il suicidio fatalistico
è un tipo di suicidio cui Durkheim fa soltanto un piccolo cenno: egli scrive che esiste un tipo di suicidio
che si contrappone al suicidio anomico come quello egoistico si contrappone a quello altruistico. E’
quello risultante da un eccesso di regolamentazione, quello che commettono i soggetti che hanno un
avvenire completamente chiuso, con passioni violentemente compresse da una disciplina eccessiva. E’ il
suicidio di chi si sposa troppo giovane, delle donne sposate senza figli.