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Funzionalità
tiroidea
È una ghiandola che partecipa in maniera essenziale
nella regolazione endocrina generale dell’organismo.
Uno squilibrio nel suo funzionamento può essere rilevato
grazie a indagini quali la valutazione dei livelli
degli ormoni prodotti, ecografia, scintigrafia e ago aspirato
DI PAOLA CIMETTI
FARMACISTA
C
ome si verifica nell’esperienza
clinica, molto spesso un paziente scopre casualmente di
soffrire di alterazioni del funzionamento
della tiroide, preziosa ghiandola implicata in delicati meccanismi di regolazione
endocrina. Gli ormoni tiroidei, infatti, sono di importanza critica per il tessuto nervoso, per quello scheletrico e, non ultimo, per quello riproduttivo. Gli effetti sulla crescita e sulla termogenesi si accompagnano anche a una notevole influenza
sul metabolismo dei nutrienti assunti con
la dieta, ossia grassi, carboidrati, proteine e vitamine e dei farmaci. Inoltre, la velocità di secrezione e degradazione di
quasi tutti gli ormoni, tra cui catecolamine, cortisolo, estrogeni, testosterone e insulina risulta influenzata dal suo stato di
funzionamento. Le alterazioni a cui è
soggetta sono di vario genere: può essere
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sede di infiammazioni che danno vita a tiroiditi, ingrandirsi, causando la formazione del cosiddetto gozzo, o produrre una o
più tumefazioni, i noduli, possibili sedi di
tumori. Il ricorso in prima istanza a esami
del sangue e successivamente ad altre
tecniche diagnostiche strumentali può
evidenziare la presenza di uno di questi
stati o una coesistenza delle diverse situazioni. L’indagine della funzionalità tiroidea si effettua quando si sospetta una
malattia in questa sede o semplicemente
come controllo di routine per valutare
l’efficacia di una cura in atto con ormoni
tiroidei. In assenza di sintomi indicativi di
malattia, le analisi del grado di funzionalità sono comunque indicate in gravidanza, periodo durante il quale i livelli serici
di ormoni possono risultare alterati, in
tutte le donne che hanno compiuto i cinquant’anni, nello screening dell’ipotiroi-
dismo congenito nei neonati e in particolari condizioni di rischio, per esempio in
caso di precedenti interventi chirurgici
sulla ghiandola o di familiarità per malattia tiroidea, in presenza di un gozzo o
quando si prendono determinati farmaci,
come litio o amiodarone.
DOSAGGIO DEGLI ORMONI
Il primo accertamento al quale sottoporsi, per escludere o evidenziare danni alla
ghiandola tiroidea, è un esame del sangue per stabilire i dosaggi delle frazioni libere degli ormoni circolanti, che corrispondono alla quota realmente attiva,
perché non influenzata dalla quantità e
dalla capacità legante delle proteine di
trasporto. Si tratta di triiodotironina (T3),
tiroxina (T4) e ormone tireotropo (Tsh),
secreto dall’ipofisi, capace di regolare la
produzione diretta dei primi due tramite
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un meccanismo di feedback negativo. La
tiroide secerne soprattutto il T4, poi compartimentalizzato nei tessuti periferici di
reni e fegato per essere trasformato nella
forma biologicamente attiva T3. Dal momento che T4 è il solo a essere prodotto
direttamente dalla ghiandola tiroidea, deriva che è presente in concentrazione
maggiore nel sangue, rispetto al T3 che è
presente in quantità decisamente inferiore (vedi tabella). Il T4 può, in alternativa,
essere convertito in reverse T3 (rT3 ), privo di attività biologica. Queste conversioni
sono alla base della fine regolazione della
concentrazione di ormoni nel sangue,
che rispecchia fedelmente lo stato funzionale della tiroide: così come una bassa
concentrazione è indice di scarsa funzione della ghiandola, viceversa un aumento degli ormoni è segno di uno stato di
ipertiroidismo. Un valore basso del Tsh, al
contrario, è in genere segno di funzione
aumentata della tiroide, mentre un valore
aumentato depone per una tendenza all’ipotiroidismo. Nei pazienti con ipertiroidismo, la velocità di metabolismo di T3 e
T4 è aumentata e l’emivita diminuita, il
contrario avviene negli ipotiroidei. Farmaci come rifampicina, fenobarbital, carbamazepina e fenitoina sono in grado di indurre gli enzimi microsomiali epatici, con
conseguente aumento del metabolismo
dei due ormoni. Un altro prodotto della tiroide è la calcitonina, importante nella regolazione del metabolismo del calcio, il
cui dosaggio è utile nella diagnosi di un
particolare tumore, il carcinoma midollare della tiroide. Il dosaggio della calcemia,
pur non essendo un esame di routine,
può essere indicatore di una disfunzione
tiroidea. La quantità di calcio nell’organismo dipende dalla dieta e dall’azione di
due sostanze che ne regolano il metabolismo: la vitamina D e il paratormone, prodotto dalle ghiandole paratiroidi. Un’alterata calcemia può derivare, nel nostro caso, anche da una disfunzione nella produzione di paratormone, conseguente,
per esempio, a una pressione anomala
delle paratiroidi da parte di una tiroide
gonfia o dopo un’operazione alla ghiandola durante la quale sono state danneggiate le ghiandole paratiroidi.
Per il dosaggio della calcemia è sufficiente un normale prelievo di sangue a digiuno. Negli adulti i valori normali del calcio
totale nel sangue oscillano in genere tra
8,5 e 10,4 milligrammi per centimetro
cubo di sangue, mentre nei bambini sono leggermente più alti. Si ha ipercalcemia quando i valori sono superiori a 10,5,
mentre se i valori ematici sono inferiori a
8,5 si parla di ipocalcemia. Una falsa ipocalcemia si può avere se il livello di albumina nel sangue è più basso del normale, situazione che si verifica per esempio
durante la gravidanza. In caso di valori alterati si deve, inoltre, sempre tenere in
considerazione la possibile interferenza
di alcuni farmaci, come cortisonici, diuretici e lassativi, causa, se usati per parecchio tempo, di ipocalcemia.
ANTICORPI ANTITIROIDEI
Oltre agli ormoni circolanti, è utile dosare anche alcuni anticorpi prodotti contro
componenti della cellula tiroidea o dei
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suoi prodotti, quali gli anticorpi antiperossidasi tiroidea, antitireoglobulina e
antirecettore del Tsh. La loro determinazione può portare alla diagnosi di alcune
patologie a carattere autoimmunitario,
quali la tiroidite di Hashimoto o la malattia di Graves.
Gli anticorpi antiperossidasi di classe IgG
sono diretti contro il più importante enzima coinvolto nella sintesi degli ormoni tiroidei. Sono presenti in quasi tutte le malattie autoimmuni che creano danni in
questo distretto, quali la malattia di Hashimoto, il mixedema e la malattia di Graves-Basedow. Hanno un’importanza patogenetica essenziale perché la loro presenza è correlata con la fase attiva della
malattia. La combinazione di questo test
con la determinazione degli anticorpi antitireoglobulina è indispensabile nella
diagnosi differenziale. Gli anticorpi antitireoglobulina possono essere rilevati nel
40-70 per cento di pazienti affetti da tiroidite cronica, nel 70 per cento di pazienti
affetti da ipotiroidismo, nel 40 per cento
di pazienti affetti da morbo di Graves-Basedow, e in una piccola percentuale di
pazienti affetti da altre patologie autoimmuni, in particolare anemia perniciosa.
Individui normali, in particolare donne
anziane, possono essere aspecificamente positivi. Prima del prelievo devono essere sospesi tutti i farmaci per almeno 72
ore, ed è consigliabile presentarsi all’esame a digiuno da almeno otto ore. Il dosaggio della tireoglobulina serve anche
nel controllo dei pazienti operati di tumore differenziato della tiroide, per verificare
se sono ancora presenti cellule in grado
di produrre questa sostanza che è esclusiva delle cellule tiroidee.
Il recettore del Tsh è, insieme al Tsh, la
principale via di regolazione della ghiandola tiroide. Nelle patologie autoimmuni,
i livelli alti degli anticorpi contro il recettore del Tsh possono spiegare la causa del
morbo di Graves-Basedow, i livelli bassi
alcune forme di mixedema. È consigliabile eseguire il prelievo a digiuno da dodici ore, tenendo conto che la somministrazione di iodio radioattivo nei tre giorni
che precedono il test può alterarne i risultati. Durante il trattamento tireostatico,
inoltre, i valori possono diminuire.
Una volta valutati i risultati degli esami,
l’endocrinologo prescriverà gli eventua-
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puntoeffe 33
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VALORI TIROIDEI
Nome
Valore
normale
Risultati
Risultati
nell’ipotiroidismo nell’ipertiroidismo
64 - 154 nmoli/L
Tiroxina totale
9 - 24 pmoli/L
Tiroxina libera
1,4 - 2,6 nmoli/L
Triiodotironina totale
3 - 8 pmoli/L
Triiodotironina libera
0,3 - 5 mU/L
Tireotropina
titolo < 1
Anticorpi antitireoglobulina
titolo < 1
Anticorpi antiperossidasi
Captazione dello iodio123 a 24 ore 5-35 per cento
li accertamenti per ogni caso, valutando prima la situazione di familiarità,
eventuali altre patologie del paziente o
la presenza di noduli alla palpazione
della ghiandola.
ESAMI STRUMENTALI
Spesso gli esami del sangue non bastano
a formulare una diagnosi. Nel caso di rilevazioni anomale dei valori ormonali circolanti nel sangue, si ricorre a metodi di
indagine strumentale, per valutare il grado di compromissione della ghiandola.
Ecografia
L’ecografia della tiroide è l’esame diagnostico di riferimento per lo studio
morfologico, utilizzata per determinare il
volume della ghiandola e per escludere
la presenza di processi infiammatori o la
presenza di noduli. Come tutte le tecniche ecografiche, si basa sulla differente
capacità dei tessuti di riflettere gli ultrasuoni emessi da una sonda elettrica; lo
stesso apparecchio è in grado di registrare l’intensità delle onde riflesse, convertendole in segnali elettrici e ricostruendo in tempo reale l’aspetto anatomico della tiroide. È un’indagine semplice, rapida (dura circa dieci minuti) e non
invasiva, priva di effetti collaterali perché
del tutto indipendente da radiazioni ionizzanti o sostanze radioattive, tanto che
può essere effettuata anche in gravidanza o durante l’allattamento. Il paziente
non necessita di alcuna preparazione:
l’esame si esegue in posizione supina
sul lettino con il capo in iperestensione.
Una piccola sonda viene appoggiata sul
collo dopo avervi deposto una piccola
quantità di gel conduttore. L’immagine
viene catturata ed elaborata da un com-
34 puntoeffe
bassa
bassa
normale o bassa
bassa
alta
spesso presenti
spesso presenti
bassa
alta
alta
alta
alta
bassa
di solito presenti
di solito presenti
alta
puter che la registra come una fotografia. Con l’ecografia si può:
♦ misurare la ghiandola, calcolarne il volume e valutare la risposta di una tiroide
ingrandita al trattamento;
♦ verificare la presenza di un nodulo, misurarlo nelle tre dimensioni, esaminarne
le caratteristiche (solido, liquido, misto), i
margini, i rapporti con le altre strutture;
♦ valutare le risposta alla terapia di un
singolo nodulo;
♦ seguire un paziente operato di tumore,
per valutare un’eventuale recidiva;
♦ eseguire una biopsia guidata quando il
nodulo è piccolo o vicino a strutture delicate, quali le arterie;
♦ se associata alla tecnica doppler, studiare la vascolarizzazione della tiroide o
di un singolo nodulo e trarne importanti
informazioni circa la funzionalità e l’attività metabolica.
L’ecografia fornisce, quindi, informazioni
morfologiche (forma, dimensioni, presenza di noduli e loro caratteristiche) e
sui linfonodi delle aree vicine, ma non
fornisce un giudizio funzionale. Gli aspetti funzionali della ghiandola possono essere indagati in maniera più approfondita
attraverso un ulteriore esame diagnostico, la scintigrafia, mentre per cercare
conferme al sospetto di malignità è necessario valutare il campione cellulare
aspirato sotto guida ecografica.
Scintigrafia
Si tratta di un’indagine radiologica che
utilizza un tracciante radioattivo e ne valuta la distribuzione nel parenchima della
tiroide. Per usi di routine, oggi non si usa
più lo iodio131, ma il tecnezio99, una sostanza artificiale che viene captata dalla
tiroide allo stesso modo dello iodio, ma
che non rientra nella produzione ormonale. Il tecnezio offre altri vantaggi, quali
la minore quota di radiazioni assorbite e
una maggiore velocità di esecuzione
dell’esame, essendo iniettato endovena.
Le aree ipercaptanti, osservate tramite
un computer, assumono colorazione
convenzionale in giallo e in rosso, mentre
le aree ipocaptanti in azzurro e in verde.
Se un nodulo tiroideo non capta il tracciante, il nodulo viene definito freddo:
può trattarsi di cisti, adenomi o carcinomi. Se capta il tracciante, invece, è caldo:
può esserci un adenoma iperfunzionante, di solito benigno. Nel primo caso, le
aree circostanti della ghiandola saranno
scarsamente rappresentate indicando
uno stato di riposo di tali zone; nel secondo caso, si dovrà ricorrere a ulteriori accertamenti di tipo citologico per definire
la natura benigna o maligna del nodulo
stesso. L’esame distingue anche forme
ambigue di iper o ipotiroidismo.
Ago aspirato
Se l’ecografia è in grado di rilevare la presenza di noduli, si rende necessario aspirarne il contenuto tramite un ago sottile
per valutarne la composizione. Questo tipo di esame si applica in caso di patologia nodulare di ogni genere (noduli freddi
alla scintigrafia o noduli scoperti in ecografia e non identificati alla scintigrafia).
L’esame non è doloroso, si fa in ambulatorio senza anestesia. Dopo avere disinfettato la cute del collo, si inserisce, sotto
controllo ecografico o durante un’esperta
palpazione, un ago molto sottile, di diametro di solito 22G o 23G, finché la punta abbia raggiunto la parte del nodulo che
si vuole analizzare. Se durante la puntura
sul nodulo si aspira sangue in eccesso e
il campione non risulta valutabile, la procedura deve essere ripetuta. Lo stesso
vale se, in presenza di un nodulo prevalentemente colloidoicistico, viene aspirato solo il liquido cistico. La quantità di
materiale cellulare aspirata viene poi strisciata su vetrini per essere successivamente colorata e analizzata al microscopio, per escludere la presenza di cellule
neoplastiche. Dopo queste valutazioni, è
possibile ricorrere anche a esami come
la radiografia, la tac e la risonanza magnetica, per andare a fondo nella valutazione dei casi più complessi.
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