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ANNO XXI NUMERO 167 - PAG V
IL FOGLIO QUOTIDIANO
SABATO 16 E DOMENICA 17 LUGLIO 2016
IL DIO DELLA SCIENZA
Perché gli studiosi non possono ignorare i miracoli. Parla il fisico Robert Kurland: “Ve lo dimostriamo”
di Matteo Matzuzzi
a prima caratteristica di un miracolo è che esso si relaziona alla fede
in Dio. E’ un atto o un segno che proviene da Dio. I miracoli sono ritenuti essere eventi rari, soprannaturali, non legati alla legge naturale. Certo, non tutti gli eventi rari sono miracoli. Vincere
la lotteria è un evento raro, ma non un
miracolo. Ma i miracoli esistono”. Robert Kurland è un fisico, ha lavorato
nel dipartimento di Chimica di quello
che un tempo era il Carnegie Institute
of Technology, poi è passato alla State
University di New York a Buffalo, al
Roswell Cancer Institute, alla Cleveland Clinic, alla Bucknell University.
Studi ad Harvard, è tra i massimi esperti mondiali di materia e anti materia (si
digiti “equazione Kurland-McGarvey”
su Google o su qualunque altro motore
di ricerca per farsene un’idea). Eppure,
lui ai miracoli ci crede. E’ convinto, dice al Foglio, che una forza superiore e
soprannaturale, invisibile ed eterna,
governi il mondo. Alla questione dedica pure un ebook di prossima uscita,
“No War between Science and the
Church – Truth cannot contradict
Truth” (Nessuna guerra tra la chiesa e
la scienza – la verità non può contraddire la verità”.
“Se non credessi nei miracoli, dovrei
sostenere che la scienza può spiegare
tutto. E io non credo sia così. Dovrei ritenere che il naturalismo (o materialismo o scientismo che dir si voglia) sia
l’unica spiegazione per ogni cosa e processo. In altre parole, dovrei accettare
nente biologo John Burdon Sanderson
Haldane, che era solito dire: “Sono
scienziato, quindi ateo. Questo significa
che quando realizzo un esperimento,
prevedo che nessun dio, angelo o diavolo interferisca con quanto mi accingo a
fare”. Sei anni fa ci fu una dotta battaglia a colpi di articoli sulla stampa americana relativa al connubio tra scienza
e fede. Iniziò sul Wall Street Journal il
fisico Lawrence Krauss, che sposava
appieno le tesi di Haldane, sostenendo
che i miracoli hanno in qualche modo a
che fare con la magia e l’irrazionale, e
di conseguenza credere in Dio è in opposizione a un mondo rivelato dalla
scienza, un mondo intelligibile dalla ragione e governato dalla legge. A rispondere, sulla rivista cattolica conservatrice First Things, c’aveva pensato un altro fiisco, Stephen M. Barr: “Non c’è alcuna contraddizione logica nel credere
sia nelle leggi naturali sia nei miracoli”. Non vi è “alcuna contraddizione storica tra le due idee”, aggiungeva Barr,
“come dimostra il fatto che molte delle
leggi fondamentali della fisica sono state scoperte e prendono il nome da uomini che nei miracoli hanno creduto.
Sarebbe senza dubbio un grande sorpresa, per Kraus, apprendere che tanti fisici nel campo della fisica delle particelle e della cosmologia sono devoti
cristiani che credono nei miracoli”.
E ce ne sono pure di atei che ci credono, come la professoressa Jacalyn
Duffin, canadese, storica della medicina e già presidente dell’American association for the History of Medicine e
della Canadian Society for the History
of Medicine. Trent’anni fa, le capitò di
“Se non credessi nei miracoli,
dovrei sostenere che la scienza è
in grado di spiegare tutto. E io
non credo sia così”
“Non
esiste
alcuna
contraddizione logica o storica nel
credere alla veridcità sia delle leggi
naturali sia dei miracoli”
che le cosiddette leggi di natura siano
nient’altro che leggi prescrittive, anziché tentativi descrittivi di fornire un
‘quadro matematico’ del nostro mondo”, spiega Kurland. Bisogna uscire dagli schemi, da un’impostazione troppo
rigida e non cedere alla tentazione di
soddisfare empiricamente ogni umana
necessità, come quella di pretendere
che anche l’ignoto diventi in qualche
modo evidente o addirittura lapalissiano: “Uno che crede nell’onnipotenza e
onniscenza divina potrebbe domandarsi perché Dio non si metta a creare in
natura qualcosa che noi – sempre secondo i nostri schemi – riterremmo esse un miracolo. La risposta è sempre la
medesima, e cioè che le cosiddette leggi di natura sono descrittive e non prescrittive. Dio non può fare in modo che
due più due faccia cinque. Però può
curvare lo spazio, cosicché la somma
degli angoli interiori di un triangolo
non sia di centottanta gradi. In altri termini, Dio può rendere possibile ciò che
è logico ma allo stesso tempo difficile.
Non può rendere possibile, invece, ciò
che sul piano logico è impossibile”.
Questioni difficili, anche per un fisico come lui. E ancora più difficili da
spiegare a giovani studenti sempre più
diffidenti riguardo le questioni di fede:
“Penso che una strada per rendere più
facile spiegare ai ragazzi questo tema
sia quella di insegnare di più la storia
della scienza, di mostrare che il suo
progresso non è stato un percorso lineare, ma pieno di deviazioni e scossoni. E di mostrare che la chiesa è stata
la levatrice della scienza, che è nata
con la civiltà europea e non altrove”.
Domande che hanno prodotto un travaglio interiore nel percorso di fede anche allo scienziato Kurland: “Più o meno vent’anni fa, quando mi stavo preparando a entrare a far parte della chiesa cattolica, ero molto turbato dal fenomeno eucaristico, dalla transustanziazione. Come fisico, non potevo accettare che un’ostia potesse diventare il corpo di Cristo e del vino il suo sacro sangue. Allora, l’anziano e saggio prete che
mi stava preparando mi domandò se
credessi nel miracolo della resurrezio-
guardare al microscopio del midollo osseo malato, attaccato dalla leucemia.
Una situazione disperata, la prognosi
non poteva che essere infausta. Il verdetto, suo, era chiaro: morte certa. Sette anni dopo, ancora per caso, scoprì
che quel midollo apparteneva a una
persona che era sopravvissuta al male
e che il caso era passato al vaglio del
Vaticano: c’era una causa di canonizzazione (la beata Marie-Marguerite d’Youville) in ballo, e la sua analisi di quel
midollo osseo era servita per portare
agli altari la religiosa canadese vissuta
nel Settecento. La commissione di Roma era scettica, e una prima perizia
aveva escluso interventi soprannaturali. Per sbloccare la causa, serviva il parere di un esperto terzo. Fu scelta la
professoressa Duffin, che esaminò il reperto rigorosamente anonimo. Impossibile che quel materiale organico appartenesse a una persona viva, scrisse la
scienziata. Oggi, a più di tre decenni da
quella vicenda, Duffin allarga le braccia: “Non so spiegarmi come quella paziente sia ancora viva. Anche se sono
ancora atea, credo ai miracoli. Eventi
straordinari che accadono e per i quali non vi sono spiegazioni scientifiche”.
Atei o no, Robert Kurland ci tiene a sottolineare – per averli studiati – che i
processi della chiesa cattolica sul punto sono tra i più rigorosi che abbia visto nella sua vita: la chiesa tutto vuole
meno di mostrarsi superficiale riguardo guarigioni improvvise e canonizzazioni affrettate.
Insomma, dire che Dio non esiste
perché non interviene negli esperimenti di laboratorio, come sosteneva sicuro di sé e dei propri mezzi empirici Haldane, ricorda molto “l’annuncio trionfale di Krusciov secondo il quale gli
astronauti non avevano visto Dio” nelle loro peregrinazioni ultraterrene. Basterebbe tenere presente quanto sosteneva il matematico Hermann Weyl, che
spostando l’occhio da microscopio a microscopio, non poteva fare altro che
constatare che Hermann Weyl: “Questa
armonia perfetta è conforme a una ragione sublime”.
Twitter @matteomatzuzzi
L
Processione per san Gennaro a Napoli. Il rito dello scioglimento del sangue del santo, un miracolo che si ripete (foto LaPresse)
ne di Cristo. ‘Certo’, risposi: ‘E’ questo
il motivo per il quale sto per diventare
cattolico’. A quel punto lui mi rispose:
‘Bene, se credi in un miracolo, perché
non in un secondo o in altri ancora?’.
Quella risposta mi ha reso tutto più
semplice e più chiaro”.
Si torna al punto di partenza, e cioè
l’umana e comprensibile convinzione
Il travaglio verso la fede: “Non
potevo accettare che un’ostia
potesse diventare il corpo di Cristo
e del vino il suo sacro sangue”
che solo la scienza possa rassicurare e
spiegare ciò che in realtà facilmente
spiegabile non è. “La scienza non può
però rispondere alla domanda essere o
non essere”, ribatte Kurland citando
una celebre massima di padre Stanley
Jaki, il filosofo teologo e fisico ungherese benedettino che dedicò la vita allo studio del rapporto tra la scienza e
la religione, tanto da insegnarlo perfino dalle auguste cattedre di Princeton.
“La scienza – osserva il nostro interlocutore – in fin dei conti può solo rispondere sul come accadono certe co-
se. Non sul perché. Per dare una risposta al perché dobbiamo spostarci sul
piano della fede: il nostro scopo su
questa terra, che cosa accadrà quando
moriremo. Sono tutte domande che trovano risposta nel catechismo cattolico.
La scienza non può rispondere alle domande sull’etica e la bellezza, ad
esempio. Anche nella scienza, insomma, ci sono misteri, profondità che potrebbero rimanere inesplorate. Come
ha sottolineato il celebre fisico e filosofo francese Bernard d’Espagnat, c’è
una ‘realtà velata’ che sottende quel
fondamentale settore della scienza, la
meccanica quantistica”.
Eppure, il rapporto tra la fede e la
scienza è sempre stato tormentato, quasi si trattasse di due rette parallele che
corrono vicine, verso l’infinito, ma che
mai s’incontrano. Coesistono o no? “Ribaltiamo la domanda – dice Bob Kurland – come possono la fede e la scienza non coesistere? Ogni scienziato ha
fede nel fatto che il suo lavoro sia basato su un universo fondamentalmente
ordinato, con leggi uniformi che nella
maggior parte dei casi possono essere
espresse matematicamente”. Lo diceva
anche Giovanni Paolo II, del resto: “Gli
scienziati, come tutti gli esseri umani,
dovranno prendere decisioni su ciò che
in definitiva dà senso e valore alla loro
vita e al loro lavoro; faranno questo bene o male, con quella profondità di riflessione che si acquista con l’aiuto della sapienza teologica, o con una sconsiderata assolutizzazione delle loro conquiste al di là dei loro giusti e ragionevoli limiti”. Kurland riconosce che “la
scienza sviluppatasi nei secoli del Medioevo non gode più di troppi riconoscimenti, benché abbia fondamenti veri.
La fede della Scolastica medievale afferma che Dio creò un mondo meraviglioso e ci diede l’intelligenza di comprendere ed esultare per le sue opere”.
Dopotutto, fa notare il nostro interlocutore, lo dice anche il Salmo 19: “I cieli
raccontano la gloria di Dio”.
E’ un rapporto vivo, quello tra scienza e fede, che gode di ottima salute, insomma. L’importante, ancora una volta,
è usare elasticità mentale, lasciar perdere la rigidità con la quale si considera l’ordine delle cose. Una relazione
che Giovanni Paolo II aveva spiegato in
poche ma efficaci parole, nella lettera
inviata trent’anni fa all’allora direttore
della Specola vaticana, padre George
Coyne: “La scienza può purificare la religione dall’errore e dalla superstizio-
ne; la religione può purificare la scienza dall’idolatria e dai falsi assoluti. Ciascuna può aiutare l’altra a entrare in un
mondo più ampio, un mondo in cui possono prosperare entrambe”. Parole che
Robert Russel, fondatore e direttore
del Center for Theology and The Natural Sciences di Berkeley, definiva “rivoluzionarie”. Karol Wojtyla, aggiungeva
“La scienza può purificare la
religione dall’errore e la religione
può purificare la scienza dai falsi
assoluti”, disse Giovanni Paolo II
Russel, “invece che appellarsi a una
strategia ad hoc per l’introduzione di
scoperte scientifiche nell’orizzonte intellettuale della chiesa, il Papa vuole
collocare questo processo all’interno di
un opportuno metodo teologico. Questo
metodo, fides quaerens intellectum (la fede che cerca di comprendere), richiede
che le teorie scientifiche dimostrate
vengano incorporate in teologia impiegandole per illuminare alcuni contenuti della fede cristiana”.
Una linea diametralmente opposta
da quella, asettica e asciutta, dell’emi-