CONNESSIONI E SAPERI DI RECUPERO Emanuela Mancino Occorre ricordare. La memoria è quanto mai “essere nel tempo”: fondamento della coscienza, dell’identità, veicolo di confronto e strumento di progetto. Ma è altresì vero che necessario complemento del ricordo è l’oblio. Per la tradizione filosofica occidentale la memoria come mneme si riferisce ad una realtà che pare rimanere continua, sostanzialmente intatta; la memoria come mneme acquista il senso della persistenza. Però esiste anche la reminiscenza – anamnesis – che si riferisce alla competenza di recupero di qualcosa che si possedeva già, ma che per qualche motivo è stato perso o dimenticato. È noto che secondo la dottrina platonica dell’anamnesi (intrisa di influssi orfici, pitagorici, pervasa dai condizionamenti di un maestro che, come Socrate, mostrava i modi attraverso cui si esperisce la maieutica), la conoscenza apparirebbe come una forma di rievocazione, di ricordo, di riemersione di una sapienza originaria. Il riferimento ad un sapere di cui l’uomo sarebbe privato e che, durante la propria esistenza, sarebbe chiamato a recuperare non pervade solo la cultura classica: narra una leggenda ebraica che i nove mesi che l’uomo trascorre nel ventre materno sono mesi di “formazione”. Protetto e separato dal mondo dal corpo della madre, il nascituro viene istruito dall’arcangelo Gabriele che gli insegna la Torà. Solo dopo aver imparato tutta la Legge, è pronto a nascere; ma anche a dimenticare tutto ciò che ha imparato, perché – prosegue la leggenda – l’uomo appena nato dovrà dedicare tutta la sua esistenza a cercare di recuperare il sapere perduto, o meglio dovrà tentare di riconnettersi ad esso. Inizia, con alcuni rapidi riferimenti, a delinearsi un interessante aspetto del sapere. Sapere ed esperienza appaiono vincolati; inoltre memoria ed oblio sono movimenti necessari all’apprendimento. A conferma dell’esistenza di un passaggio da una sorta di memoria implicita ad una memoria esplicita viene incontro anche la scienza, attraverso i suoi studi sulla creazione della memoria esperienziale. L’amigdala, gruppo di strutture interconnesse e disposte a forma di mandorla (amigdala, in greco) nel cervello, è ritenuta un centro di integrazione di processi neurologici superiori, come le emozioni, e viene coinvolta nei sistemi della memoria emozionale. L’amigdala è coinvolta anche nel sistema di comparazione degli stimoli ricevuti con le esperienze passate. È una sorta di archivio di emozioni: in quanto magazzino e centralina emozionale, analizza l’esperienza in atto, quel che accade, e confronta il vissuto corrente con quanto già accaduto in passato. La metodologia di confronto si esplica in modo associativo: individuato un elemento-chiave simile tra le due situazioni diversamente distribuite nel tempo, l’amigdala svolge un’associazione e innesca la reazione. Per fortuna, dato che esiste il rischio che la situazione possa rievocare non solo cornici emozionali simili ma anche simili -e spesso oltrepassate- modalità di razione (giacché nell’amigdala vengono archiviati soprattutto ricordi impliciti del periodo neonatale) e dato che l’emozione “grezza” viene espressa indipendentemente e con tempi diversi dal controllo razionale, mentre l’amigdala lavora per una reazione “impulsiva”, altri centri cerebrali si attivano per agire una sorta di “risposta correttiva”. Per addentrarci ancora di più nei “meandri della memoria”, sarà un’altra novella a mostrare l’importanza della regolazione della memoria, della necessaria alternanza tra memoria e oblio: è una delle Finzioni di Borges a immaginare l’esistenza di Ireneo Funes, un uomo in grado di ricordare tutto, o meglio: di mantenere desta la memoria di ogni cosa. In lui ogni memoria è contemporaneamente presente. La sua mente appare affollata: Se “noi in un colpo d’occhio, percepiamo tre bicchieri su un tavolo, Funes tutti i rami i grappoli e i frutti di un pergolato”. L’uomo della provincia argentina, ricordando l’esatta posizione e colore delle nuvole di ogni minuto di ogni giorno di ogni anno della sua vita, desiderava che il linguaggio si piegasse al ricordo, creando un vocabolo differente per ogni nuvola, giacché la sola parola “nuvola” non sarebbe stata sufficiente a descrivere quel continuo movimento e cambiamento. Funes poteva con una sola occhiata memorizzare tutte le venature, i bordi e i colori delle foglie ed a ciascuna foglia avrebbe voluto dare un nome differente. Borges aggiunge: “Aveva imparato senza fatica l’inglese, il francese, il portoghese, il latino. Sospetto, tuttavia, che non fosse molto capace di pensare. Nel mondo sovraccarico di Funes non c’erano che dettagli, quasi immediati”. Il dubbio di Borges è un dubbio culturale ed anche pedagogico. Morin risponderebbe che l’uomo evoluto non è chi è dotato di un bagaglio, chi accumula sapere, ma chi ha “una testa bene fatta”. Non “ben piena”. Sapere e apprendimento si colorano, quindi, non di accumuli, ma di selezione. Memoria ed emozione cooperano all’apprendimento attraverso la capacità di sintesi. Nei contesti o nei momenti di formazione l’esperienza esistenziale viene chiamata ad esprimersi, a proiettarsi, ripescando in “quel che si sa già”, nelle diverse forme in cui quel sapere è… saputo. Ma è anche vero che la formazione promuove nuovi apprendimenti e inedite connessioni cognitive. Altre metafore, connesse a ormai consuete dissertazioni sulle reti di conoscenza e le declinazioni multimediali del decentramento del potere della conoscenza, proporrebbero di affrontare il tema del sapere e delle connessioni attraverso internet, ma visto che abbiamo iniziato con i ricordi, sarà bene rispolverare dai magazzini della memoria un film ed un libro. Si tratta di Fahrenheit 451, romanzo del 1951 di R. Bradbury, pellicola del 1966 di F. Truffaut. In un ipotetico futuro la società demonizza il libro, in quanto minaccia la felicità collettiva, assicurata dallo sviluppo tecnologico e lo brucia, li brucia, li arde, li scova e li arde, portando il fuoco alla temperatura di 451 gradi Fahrenheit perché brucino meglio. I libri richiedono tre competenze, che costituiscono anche le ragioni per cui vengono eliminati: 1. sono sostanza e specchio della vita e mostrandone i molteplici aspetti costituiscono un “rischio di conoscenza” e memoria; 2. richiedono tempo, per la lettura. Il tempo è un altro rischio, come ricorda la domanda del comandante dei pompieri incendiari a Montag, l’ancora per poco esemplare fuochista dei roghi letterari: “Che fai, tu Montag, nel tempo libero?”, “Taglio l’erba del prato” “E se ti dicessero che è vietato, continueresti a farlo?” “Certo che no!”; 3. se i primi due punti sono stati rispettati, il lettore ha saputo cogliere nei testi, grazie ad un pensiero vigile, una propria capacità di lettura e profondità. La rigogliosa ricchezza di stimoli che derivano dal libro americano e dal film del cineasta francese richiederebbero soste di tempo che un formatore e chi si occupi di apprendimento dovrebbe potersi prendere spesso, ma a proposito di connessioni e sapere, intrecciate con una conoscenza che si sa già e con la possibilità di realizzare nuove e inediti “link”, l’ipotesi suggerita dall’epilogo della vicenda incendiaria è estremamente interessante e si vuole qui rilanciare due stimoli di riflessione. Si è detto che la formazione è in grado di richiamare l’esperienza esistenziale ad esprimersi, progettarsi, recuperando le conoscenze precedenti. A tal proposito sarà suggestivo ricordare quel che insegna Montag alla scuola dei pompieri, mentre spiega come individuare, nelle case dei sospetti bibliofili, i luoghi in cui potrebbero annidarsi gli odiati oggetti stampati. Montag dice: “Per saper trovare, devi saper nascondere!”. Si è ricordato inoltre che la formazione promuove nuovi apprendimenti e inedite connessioni cognitive. Alla fine del film e del libro, la salvezza e la sopravvivenza per lo scibile umano è garantita da uomini-libro, persone che imparano ciascuna a memoria un testo e che, all’occorrenza, possono ripeterlo. Montag, convertito alla lettura (“Devo leggere! Devo mettermi in pari con i ricordi del passato!”) raggiungerà il luogo in cui gli uomini-libro vivono e li incontrerà progressivamente. Ognuno di loro, stringendogli la mano, si presenterà con il proprio titolo ed il proprio autore. “Io sono la Repubblica di Platone. Ti piacerebbe, Montag, uno di questi giorni, leggere la Repubblica di Platone?”. Non sono, forse, queste, reti di conoscenza? Potenziali, come ogni buon sapere.