volere se stessi non liberi - Pontificia Università della Santa Croce

Le libertà postmoderne
Simone de Beauvoir e Michel Foucault
a confronto
Rev. Prof. Francisco Fernández Labastida
Facoltà di Filosofia
Pontificia Università della Santa Croce
Roma, 17 settembre 2015
Chiarimenti e contestualizzazioni
Che cosa vogliamo dire quando
parliamo di pensiero postmoderno?
L’io di fronte a Dio: libertà per la scelta etica
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L’io è libero in quanto «…mettendosi in rapporto con se
stesso, volendo essere se stesso,
egli si fonda in trasparenza nella
potenza che l’ha posto» (Søren
Kierkegaard, La malattia mortale)
«Per Kierkegaard l’io è libertà,
ma opera in quanto egli si
riflette nell’Assoluto e questo
riflettersi è riferire se stessi,
l’oggetto della scelta e la scelta
stessa, a Dio» (Cornelio Fabro,
Riflessioni sulla libertà).
Morte di Dio e el mondo come
volontà di potenza
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«Il più grande avvenimento recente — che “Dio è morto”,
che la fede nel Dio cristiano è divenuta inaccettabile —
comincia già a gettare le sue prime ombre sull’Europa»
(Friedrich Nietzsche, La gaia scienza).
«Un’entità vivente vuole soprattutto scatenare la sua forza —
la vita stessa è volontà di potenza —: l’autoconservazione è
soltanto una delle conseguenze indirette e più frequenti»
(Friedrich Nietzche, Al di là del bene e del male, n. 13)
«Questo mondo è la volontà di potenza – e nient’altro! E
anche voi stessi siete questa volontà di potenza – e
nient’altro!» (Friedrich Nietzsche, La volontà di potenza)
La «morte dell’uomo» e la dissoluzione
del soggetto moderno
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Qualora sotto la volontà e sotto la coscienza del soggetto
moderno ci fosse come fondamento solo una cieca e
irrazionale volontà di potenza, la libertà e la coscienza
stessa diventerebbero mere apparenze. L’io non sarebbe
libertà, ma semplice fenomeno della volontà di potenza.
«Nietzsche ritrovò il punto in cui uomo e Dio si
appartengono a vicenda, in cui la morte del secondo è
sinonimo della scomparsa del primo, e in cui la promessa
del superuomo significa anzitutto l'imminenza della morte
dell'uomo» (Michel Foucault, Le parole e le cose).
Rapporto tra morte di Dio e scomparsa
della libertà
«La “causa sui” è la maggiore autocontraddizione che sia
stata concepita fino a oggi, una specie di stupro e d’innaturalità della logica: ma lo sfrenato orgoglio dell’uomo l’ha
portato al punto di irretirsi profondamente e orribilmente
proprio in quest’assurdità. Il desiderio del “libero volere”, in
quel metafisico intelletto superlativo, quale purtroppo continua sempre a signoreggiare nelle teste dei semidotti, il
desiderio di portare in se stessi l’intera e ultima responsabilità per le proprie azioni e di esimere da essa Dio, mondo,
progenitori, caso, società, equivale infatti ad essere appunto
nientemeno che quella “causa sui” e a tirare per i capelli se
stessi dalla palude del nulla all’esistenza con una temerità
più che alla Münchhausen» (Friedrich Nietzsche, Al di là del
bene e del male, n. 21).
… ma anche della necessità
«Il “volere non libero” è
mitologia: nella vita reale
si tratta soltanto di “forte”
e “debole” volere»
Friedrich Nietzsche
Al di là del bene e del male,
n. 21
La libertà postmoderna: tra affermazione
assoluta e dissoluzione
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La critica nietzscheana del soggetto moderno ha dato luogo
a due posizioni contrapposte:
–
la libertà e l’essere del soggetto sono intrinsecamente
finiti e contingenti, e si trovano racchiusi dentro lo spazio
della storia umana. Si parla ancora di una libertà assoluta,
tuttavia senza un fondamento trascendente (Heidegger,
Sartre, Simone de Beauvoir).
–
la libertà e l’essere del soggetto non sono originari, ma si
tratta di fenomeni generati da una irrazionale volontà di
dominio che guida la storia umana. Il volere e il sapere si
riducono a potere (Michel Foucault)
L’io di fronte al nulla: Condannato ad essere
libero
«Se Dio non esiste, non troviamo
davanti a noi dei valori o degli ordini
in grado di legittimare la nostra
condotta. Così non abbiamo… delle
giustificazioni o delle scuse. Siamo
soli, senza scuse. E’ ciò che esprimerò
con le parole che l’uomo è condannato ad essere libero. Condannato
perché non si è creato da se stesso, e
pur tuttavia libero, perché, una volta
gettato nel mondo, è responsabile di
tutto ciò che fa» (Jean-Paul Sartre,
L’esistenzialismo è un umanismo).
Simone de Beauvoir (1908-1986)
Cenni biografici
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Educata nel cattolicesimo, perde la fede nell’adolescenza.
Compagna di vita sentimentale e intellettuale di Jean-Paul
Sartre (1905-1980).
Rappresentante di spicco del movimento esistenzialista.
Offre un’elaborazione profonda delle ricadute etiche
dell’esistenzialismo sartriano in Pirro e Cinea (1944) e Per
una morale dell’ambiguità (1947)
La sua opera Il secondo sesso (1948) diventa una delle fonti
d’ispirazione del movimento femminista.
Il libero progettare
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«L’esistenza precede l’essenza»: gettato nel mondo, in
mezzo alle cose e ad altri uomini, l’uomo diventa se stesso
attraverso l’attività che generano i suoi progetti.
Il senso dei progetti dell’uomo non risiede in una finalità
esterna al suo libero progettare.
«Un progetto è esattamente ciò che esso stesso decide di
essere, ha il senso che si dà: non lo si può definire
dall’esterno. Esso non è contraddittorio, è possibile e
coerente dal momento in cui esiste, ed esiste non appena
un uomo lo fa esistere» (Pirro e Cinea).
L’altro in quanto altro può essere un mio
progetto? Mi posso donare all’altro?
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«C’è dedizione solo se assumo come fine un fine definito
dall’altro; ma allora è contraddittorio supporre che proprio
io possa definire questo fine per lui» (Pirro e Cinea)
«Avendo eliminato ogni teleologia che trascenda quella
posta dal singolo vivente, diventa impossibile definire
oggettivamente alcun bene dal punto di vista
contenutistico: qualcosa assume valore solo se gli è
attribuito dal libero porsi progettuale del soggetto. Ma se le
cose stanno così, non è neanche possibile definire che cosa
sia bene per l’altro a prescindere del suo volere: è proprio
questo che rende intrinsecamente impossibile una vera
dedizione» (E. Colombetti, L’etica smarrita della liberazione).
Libertà ontologica e libertà morale
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Tutti gli essere umani possiedono una libertà ontologica
originaria, che risiede nella sua capacità di trascendere se
stessi attraverso del proprio progettare, fondata cioè sulla
tensione tra ciò che la coscienza è e quello che può
diventare.
C’è però un secondo livello nell’esercizio della libertà, che
Simone de Beauvoir chiama libertà morale, e risiede
nell’affermazione consapevole della libertà ontologica.
Il raggiungimento di questo livello dipende dal soggetto, ma
è anche condizionato dalle circostanze sociali, culturali e
politiche. Inoltre, l’uomo può rigettare la sua libertà
ontologica, ingannare se stesso per paura della
responsabilità (malafede).
Gli imperativi morali
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La morale si sviluppa in seno alla dialettica di questi due livelli della
libertà. Simone di Beauvoir riassume in due imperativi le linee
guida dell’agire umano:
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«Volere se stessi liberi»
–
«Volere gli altri liberi»
«volere lo svelamento del mondo, volersi libero, è un unico e
medesimo movimento» (Per una morale dell’ambiguità)
Si può parlare di moralità perché è sempre possibile la malafede,
cioè volere se stessi non liberi, quando si rifiuta o si rinuncia a
prendersi la responsabilità della propria esistenza.
Volere se stessi liberi non è spontaneità, ma impegno.
Volere gli altri liberi
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Non esiste l’uomo (essenza), ma gli uomini (esistenze).
Parimenti, non c’è la libertà, ma uomini liberi.
L’uomo ha bisogno del riconoscimento degli altri uomini
perché il suo agire non cada nel mondo dei fatti.
«Volere che vi sia dell’essere implica allora anche volere che
vi siano uomini che fanno sì che il mondo sia dotato di
significati umani; allo stesso tempo, non è possibile rivelare
l’essere se non sullo sfondo di un mondo già rivelato da altri
uomini» (E. Colombetti, L’etica smarrita della liberazione).
«L’uomo può trovare una giustificazione della propria
esistenza solo nell’esistenza degli altri» (Per un’etica
dell’ambiguità).
Una libertà e una morale ambigue
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Tuttavia, il collegamento che cerca di stabilire Simone de
Beauvoir tra il primo e il secondo imperativo non riesce,
perché
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il riconoscimento che richiede l’affermazione della
propria libertà non ha bisogno nella pratica che tutti gli
uomini siano liberi;
–
inoltre è impossibile nella pratica evitare conflitti e
violenza, perché non esiste un astratto “Utile all’Uomo”
ma utili a uomini singolari.
Alla fine «le libertà si sostengono come le pietre di un
arco, ma ciascuna giustifica se stessa e le sue alleanze» (E.
Colombetti, L’etica smarrita della liberazione).
Michel Foucault (1926-1984)
Cenni biografici
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Mente brillante, si laurea in filosofia alla Scuola Normale
Superiore nel 1948, e in Psicologia nel 1950, e si diploma in
psicopatologia in 1952.
Presenta disturbi psichici e deve essere internato in un
ospedale psichiatrico.
Attivista politico-sociale per i diritti degli omosessuali e degli
emarginati.
Tra le sue opere possiamo segnalare: Storia della follia nell'età
classica (1961); Le parole e le cose: un'archeologia delle scienze
umane (1966); Sorvegliare e punire: nascita della prigione
(1975); Storia della sessualità (3 voll., 1976-1984)
Morì di AIDS.
Archeologia del sapere
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Le leggi che conformano il sapere in un periodo storico
o in un ambito sociale concreto non sono i sistemi
logico-scientifici-concettuali codificati in modo conscio,
ma un insieme di regole che agiscono a livello
subconscio nella psiche degli individui (a priori storici).
Per poter rivelarli bisogna scavare sotto i concetti
trasmessi dalle fonti storiche. In questo modo vengono
“disotterrati” gli strati subconsci che fondano e
spiegano le leggi e le strutture sociali.
Genealogia del sapere
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Foucault condivide con Nietzsche la concezione
prospettivista della conoscenza che rende impossibile
parlare di verità: se il mondo manca di un senso unico, è
possibile interpretarlo in infiniti modi.
Inoltre, ogni stile di pensiero è intrinsecamente
contingente. Ogni epoca genera (da qui il nome genealogia)
con modalità diverse e particolari soluzioni efficaci per gli
stessi problemi di adesso.
“Sapere è potere”
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Le scienze umane moderne (la medicina, la psicologia e la
psichiatria, la sociologia, nonché le cosiddette “scienze della
sessualità”) servono alle strutture di controllo della società.
La chiave d’interpretazione delle manifestazioni culturali e
delle pratiche sociali è il convincimento nietzscheano che il
desiderio di sapere è inseparabile dalla volontà di potere,
radicata a livello subconscio (Freud).
La finalità del sapere non può essere separata dalla finalità
del potere: quando sappiamo, controlliamo, e quando
controlliamo, sappiamo.
Tecniche di controllo sociale del
sistema disciplinare moderno
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L’osservazione gerarchica: il semplice fatto di sapersi
osservato serve per controllare i comportamenti illeciti
(telecamere, fotografie, ecc.).
Il giudizio normalizzatore: la diffusione degli standard
vincolanti a tutti i livelli della vita sociale.
Gli esami: permettono controllare l’adeguamento agli
standard e conservare i dati dell’individuo.
L’oblio di sé come via di fuga dalla
volontà di controllo
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La coscienza della volontà di controllo non rende liberi.
La via di fuga può esserci soltanto attraverso l’oblio di sé e
la dissoluzione dell’io.
La libertà per sé come autocostituzione o creazione di sé (si
veda la posizione esistenzialista) Foucault oppone una
libertà da sé come perdita di sé.
L’affrancamento rispetto al soggetto, cioè la perdita
dell’individualità non vuol dire dare fine alla propria vita,
ma inmmergersi nel mare della vita impersonale,
nell’estasi del piacere del dionisiaco.
Alla fine, che può restare della libertà?
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Sia la posizione esistenzialista che quella foucaultiana
restano dentro la gabbia del nichilismo nietzscheano,
perché non possono aprirsi ad un’orizzonte trascendente
che possa fondare la libertà.
La via di uscita non è né la libertà assoluta senza scopo
(esistenzialismo), né il determinismo mascherato
(Foucault), ma l’affermazione soggettiva di una libertà
finita, che è creata e fondata da una libertà assoluta e
trascendente (il Dio cristiano).