Politiche sociali, crisi economica e logica di inclusione

Osservatorio sul Mezzogiorno
Anno I n. 3
POLITICHE SOCIALI, CRISI ECONOMICA
E LOGICA DI INCLUSIONE
I piani di zona e la crisi del lavoro: connessioni e contrapposizioni
di Maria Mangiatordi
SOMMARIO: 1. La cornice normativa
regionale: il Piano Regionale Politiche
Sociali 2009-2011 della Regione Puglia. 2. I
piani di zona (PdZ): obiettivi, struttura, area
di intervento e dotazione finanziaria. 3.
Alcune riflessioni: welfare e mondo del
lavoro, connessioni e peculiarità.
1. La cornice normativa regionale: il Piano
Regionale Politiche Sociali 2009-2011
della Regione Puglia
Il contesto all’interno del quale è stato
concepito il Piano Regionale Politiche
Sociali per il triennio 2009-2011 della Puglia
è complesso, giacchè da una parte risente
della profonda crisi economica che
attraversa l’economia a livello globale con
più forti ed evidenti effetti negativi sulle
zone storicamente meno sviluppate, quale lo
stesso Mezzogiorno d’Italia; dall’altro viene
fortemente condizionato da una più generale
crisi valoriale che ha generato meccanismi e
stili di vita non sostenibili, per cui si allarga
a dismisura la maglia della povertà, tende a
venir meno il cd. “ceto medio” e si riduce il
numero dei nuovi ricchi, nelle cui mani si
concentra una fetta di ricchezza sempre
maggiore.
All’interno di siffatta cornice si colloca il
Piano Regionale Politiche Sociali per il
triennio 2009-2011 della Regione Puglia.
Trattasi
di
uno
“strumento
di
programmazione di continuità e di
innovazione, per dare garanzie di
consolidamento e, insieme, opportunità di
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sviluppo al sistema dei servizi sociali e
sociosanitari integrati della Regione”1.
Obiettivo primario del secondo Piano
Regionale delle Politiche Sociali2 è costruire
“un sistema di servizi sociali e sociosanitari
proteso al miglioramento della qualità della
vita, delle condizioni di benessere e che
privilegia la prossimità con i cittadini”3.
Lo spirito che ha animato il legislatore
regionale è stato quello di mettere in atto un
welfare più attento ai bisogni reali dei
territori, nel rispetto delle peculiarità di
ciascuno di essi, e in grado di rispondere ad
una migliore concentrazione delle risorse
finanziarie all’interno di tutti gli Ambiti
territoriali sociali4.
Pertanto, il Piano Regionale delle Politiche
Sociali consente da una parte una maggiore
integrazione tra i diversi piani e programmi
e, quindi, fra le differenti fonti di
finanziamento; dall’altra permette di
accrescere
“l’attrattività
dell’intero
territorio regionale in termini di qualità
della vita e opportunità di inclusione
sociale”5.
Lo strumento in questione si inserisce in un
quadro normativo di riferimento ben preciso
1
Cfr. Piano Regionale delle Politiche Sociali (20092011), pag. 4.
2
Il Primo Piano Regionale delle Politiche sociali
risale al 2004 ed è stato in vigore fino al 2009.
3
Cfr. Piano Regionale delle Politiche Sociali (20092011), pag. 4.
4
Gli Ambiti territoriali sociali sono le unità
territoriali nelle quali si sviluppano le politiche
sociosanitarie. Il territorio pugliese è composto da
258 comuni ed è diviso in 45 ambiti territoriali
sociali.
5
Cfr. Piano Regionale delle Politiche Sociali (20092011), pag. 4.
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e articolato: le leggi regionali n. 13/2006, n.
19/2006, n. 25/2006, n. 26/2006, n. 7/2007
n. 39/2007; i Regolamenti Regionali n.
4/2007 e successive modifiche integrative, n.
1/2008, n. 21/2008, n. 23/2008 e n. 27/2008.
Il Piano delle Politiche Sociali deve
sicuramente interagire con il Piano
Regionale di Salute 2008-2010, approvato
con legge regionale n. 23/2008, anch’esso
attento alla qualità della vita, grazie alla
centralità di sistemi territoriali di cura e di
protezione sociale.
Il quadro finanziario di riferimento
comprende considerevoli finanziamenti
derivanti dal PO FESR 2007-2013 e dal
PAR FAS 2007-2013, che mirano fra l’altro
alla crescita della dotazione infrastrutturale
sociale e sociosanitaria, attraverso una
maggiore offerta di contenitori qualificati in
grado di erogare servizi su base territoriale.
Il Piano Regionale delle Politiche Sociali si
articola in cinque parti6: la prima di analisi
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del contesto regionale; la seconda
contenente le strategie per il triennio 20092011; la terza dedicata alla programmazione
sociale per tipologie di intervento, con gli
obiettivi verso cui tendere a mezzo dei Piani
di Zona (PdZ); la quarta relativa al quadro
finanziario per il triennio in questione e, da
ultimo, la quinta dedicata alla innovazione
degli assetti istituzionali, organizzativi e
gestionali.
Pertanto, non è azzardato affermare che il
Piano Regionale delle Politiche Sociali
(2009-2011) è il frutto di “scelte che hanno
complessivamente maggiori chance di
sostenibilità e di efficacia, rispetto alla
capacità complessiva di modificare il
contesto, accrescere le opportunità,
assumere carichi di cura sostenibili, rendere
centrale l’approccio della promozione e
dell’inclusione accanto a quello della
assistenza, della riparazione, della cura”7.
6
In merito alla composizione del Piano Regionale
delle Politiche Sociali (2009-2011) così il legislatore
regionale precisa:
“- una prima parte dedicata alla descrizione del
contesto regionale così come fotografato nel
momento di transizione tra il primo e il secondo ciclo
di programmazione sociale regionale e alla
illustrazione dei risultati raggiunti insieme alla
criticità rilevate;
- una seconda parte dedicata alla definizione delle
strategie per il triennio che va a cominciare, rivolte a
dare stabilità al sistema integrato di interventi e
servizi sociali e sociosanitari e, insieme, ad
individuare elementi innovativi sia sul versante
dell’assetto istituzionale che su quello dell’assetto
operativo;
- una terza parte dedicata alla programmazione
sociale per macrotipologie di intervento, rivolta a
fissare obiettivi di servizio regionali, verso cui
tendere con i Piani Sociali di Zona di tutti gli ambiti
territoriali sociali, al fine di dare un tratto di
omogeneità, di equità distributiva e di pari
opportunità di accesso a tutti i welfare locali che
compongono il welfare regionale;
- una quarta parte riservata alla ricostruzione del
quadro complessivo delle risorse finanziarie
disponibili per il finanziamento della seconda
triennalità di programmazione sociale degli Ambiti
territoriali sociali, che offre importanti indicazioni
operative volte ad assicurare a ciascun Ambito
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territoriale la necessaria dotazione finanziaria per la
programmazione a regime dei servizi che concorrono
al perseguimento degli obiettivi di servizi assegnati,
ma anche per dare continuità ai servizi già avviati,
nel periodo di transizione tra il I e il II triennio, in
relazione allo stato di utilizzo delle risorse e alla
effettiva capacità di spesa degli stessi ambiti;
- una quinta parte dedicata, infine, alla innovazione
degli assetti istituzionali e organizzativo-gestionali
per favorire una governance più matura e per
raggiungere obiettivi di integrazione sociosanitaria
ampiamente condivisi e a lungo inseguiti, la cui
concretizzazione è ormai imprescindibile e
inderogabile, insieme al superamento di tutti quegli
elementi di criticità che hanno non di rado costituito
un freno alle possibilità reali di costruzione dei
sistemi di welfare locali in molti ambiti territoriali”.
Inoltre, al Piano sono allegate:
- le principali statistiche descrittive delle variabili
socio demografiche relative agli Ambiti territoriali;
- le linee guida per la stesura dei nuovi Piani Sociali
di Zona da parte degli Ambiti territoriali;
- le tavole dei riparti per Ambito territoriale relative a
tutti fondi (FNPS, FGSA, FNA) attribuiti al
finanziamento dei Piani Sociali di Zona e fin qui non
ancora ripartiti.
7
Cfr. Piano Regionale delle Politiche Sociali (20092011), pag. 5.
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2. I piani di zona (PdZ): obiettivi, struttura,
area di intervento e dotazione
finanziaria
Il Piano di Zona (PdZ) è stato da parte di
dottrina definito come il “il piano regolatore
del funzionamento dei servizi alle persone” e
rappresenta l’occasione per le comunità di
analizzare, valutare, programmare alla luce
dei bisogni dei cittadini, coniugando così la
programmazione regionale con quella locale,
prime istituzioni che il cittadino incontra e
con cui il cittadino viene in contatto.
Entrando nello specifico, il Pdz è uno
strumento di programmazione e di spesa
promosso dai diversi soggetti istituzionali e
comunitari per rispondere a molteplici
finalità: analizzare i bisogni e i problemi
della popolazione sotto il profilo qualitativo
e quantitativo; riconoscere e mobilitare le
risorse professionali, personali, strutturali,
economiche pubbliche e private, umane
(profit e non profit, volontariato); definire
obiettivi e priorità nel triennio di durata del
PdZ, con conseguente ripartizione delle
risorse; individuare le unità di offerta e le
forme organizzative, nel rispetto dei vincoli
normativi e delle peculiarità di ciascuna
comunità; stabilire modalità gestionali atte a
garantire approcci integrati, efficacia,
efficienza, economicità e trasparenza;
prevedere modalità, responsabilità, tempi per
la verifica e la valutazione di programmi e
servizi.
I PdZ sono la risposta all’inadeguatezza del
vecchio modo di programmazione sociale
per dare risposte ai bisogni della collettività.
Ci si è resi conto del fatto che la complessità
dello scenario attuale richiede una nuova
logica anche con riferimento al welfare,
basata sulla concertazione interistituzionale,
al fine di mettere il livello superiore Regione - nelle condizioni concrete di
operare scelte in grado di dare risposta ai
bisogni delle collettività, ciascuna portatrice
di peculiarità, grazie ad un lavoro di rete con
il livello più basso - comuni e ambiti
territoriali sociali - e con tutte le realtà che in
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esso operano, istituzionali e non, tramite il
coinvolgimento effettivo di tutti gli
stakeholders. Il PdZ diventa in tal modo lo
strumento nelle mani del programmatore
locale per
garantire
una migliore
concordanza tra bisogni, programmi,
obiettivi e risultati, nell’ottica di una
ottimizzazione delle risorse finanziarie
(sempre più risicate8) da destinare alle
politiche sociali.
Le aree di intervento dei piani di zona sono
diverse e diversificate: politiche familiari e
per la prima infanzia9; politiche di genere e
per la conciliazione vita-lavoro10; politiche
integrate per la non autosufficienza11;
politiche per la promozione dei diritti delle
persone disabili e delle loro famiglie12;
8
Si pensi a tal proposito all’ultima manovra
finanziaria messa in atto dal Governo italiano e ai
tagli di risorse anche con riferimento ai servizi alla
persona, nonché al trasferimento sempre maggiore di
funzione agli Enti locali, imbrigliati in una serie di
vincoli sempre più stringenti (cfr. patto di stabilità e
spesa del personale) e dotati sempre meno di risorse
finanziarie da destinare all’erogazione di servizi,
talvolta anche essenziali.
9
Il Piano regionale prevede fra gli obiettivi specifici
l’affido, l’adozione, centri risorse per le famiglie,
servizi per la prima infanzia, prima dote, sostegno
alle famiglie, promozione dell’associazionismo
familiare, sostegno alle famiglie numerose,
qualificazione dell’offerta e dei servizi residenziali e
semiresidenziali, interventi indifferibili.
10
Il Piano regionale prevede fra gli obiettivi specifici
il piano dei tempi e degli spazi, sevizi per la
conciliazione, potenziamento della rete di contrasto
alla violenza, sostegno ad iniziative di mutuo-aiuto,
sviluppo dei patti di genere.
11
Il Piano regionale prevede fra gli obiettivi specifici
il potenziamento dell’accesso, il miglioramento della
conoscenza dell’offerta dei servizi, la definizione di
equipe dedicate, la messa a regime dell’UVM, lo
sviluppo di assegni di cura, di SAD e ADI, il
potenziamento di servizi diurni Alzheimer, il
potenziamento dei centri diurni e l’implementazione
del sistema informativo.
12
Il Piano regionale prevede fra gli obiettivi specifici
il potenziamento dell’integrazione scolastica e
l’assistenza specialistica, nonché del trasporto
scolastico e sociale, il potenziamento dei centri
diurni, lo sviluppo della conoscenza del fenomeno,
l’assistenza diretta personalizzata, SAD e ADI, la
connettività sociale, l’utilizzo ICF, il potenziamento
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politiche sociali nell’area della salute
mentale13; politiche per l’inclusione sociale
di soggetti svantaggiati14; politiche di
prevenzione del rischio di devianza minorile
e di promozione per gli adolescenti e i
giovani15; politiche per l’inclusione sociale
degli immigrati16; politiche per il contrasto e
la prevenzione di fenomeni di abuso,
maltrattamento e di violenza in danno di
donne e minori17; interventi sociali nell’area
delle dipendenze patologiche18; integrazione
sociosanitaria19.
Il PdZ viene predisposto dai Sindaci da soli
ovvero riuniti nella Conferenza dei Sindaci
all’interno degli ambiti territoriali sociali che
dei servizi di integrazione sociale, l’abbattimento
delle barriere architettoniche.
13
Il Piano regionale prevede fra gli obiettivi specifici
lo sviluppo SAD e ADI, il potenziamento dei servizi
diurni e delle case famiglia.
14
Il Piano regionale prevede fra gli obiettivi specifici
il potenziamento delle strutture leggere, lo sviluppo
della rete pronto intervento sociale e di percorsi di
inserimento lavorativo.
15
Il Piano regionale prevede fra gli obiettivi specifici
il potenziamento centri diurno minori, ADE, degli
interventi di contrasto bullismo, delle prestazione
sociali dei consultori, degli interventi di contenimento
della disperazione scolastica, il favorire gli
inserimenti lavorativi, l’animazione sociale, gli
interventi a sostegno del protagonismo giovanile e in
materia di sicurezza stradale.
16
Il Piano regionale prevede fra gli obiettivi specifici
la costituzione di sportelli per l’integrazione, il
sostegno dell’offerta abilitativi, la lotta alla tratta, i
corsi di lingua, i servizi di mediazione linguisticoculturale, le iniziative di contrasto al lavoro
irregolare.
17
Il Piano regionale prevede fra gli obiettivi specifici
interventi di prevenzione e tutela, equipe
multidisciplinari, informazione e formazione,
istituzione di centri antiviolenza, sostegno economico
alle vittime, pronto intervento sociale.
18
Il Piano regionale prevede fra gli obiettivi specifici
la costituzione di tavoli di coordinamento stabili, di
interventi di prevenzione, di interventi a bassa soglia,
l’istituzione dei CPTC.
19
Il Piano regionale prevede fra gli obiettivi specifici
UVM, VMD, SVAMA, PAI, PUA, LEA, protocolli
operativi di presa in carico, il monitoraggio delle liste
di attesa, la riqualificazione dell’offerta dei servizi
residenziali e semiresidenziali, la costituzione di una
rete territoriale più forte.
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costituiscono un gruppo di piano formato da
forze politiche, tecnici e rappresentanti dei
soggetti istituzionali o della solidarietà
organizzata (enti profit e no profit,
associazioni) presenti nello specifico ambito
territoriale.
All’interno di ciascun PdZ viene costituito
un Ufficio di Piano. La stesura del PdZ
passa per diverse fasi: la predisposizione
degli strumenti di rilevazione dei soggetti
presenti sul territorio relativi ai bisogni, alle
risorse e ai servizi; l’analisi dei dati e
l’individuazione degli obiettivi e delle
priorità con il coinvolgimento diretto dei
vari stakeholders; la stesura del PdZ con
obiettivi, sotto-obiettivi, risultati attesi,
indicatori, azioni da compiere, interventi e
servizi da garantire, soggetti responsabili,
oneri necessari, tempi di attuazione,
momenti di verifica e valutazione;
individuazione delle modalità gestionali per
garantire approcci integrati con il distretto
sanitario. Pertanto, la predisposizione del
PdZ comporta tre fasi di lavoro: una prima
fase di analisi dei problemi e dei bisogni;
una seconda in cui vengono messi a punto i
contenuti de PdZ con conseguente
approvazione e stipula dell’accordo di
programma, ove necessario; e l’ultima in cui
si avvia la gestione unitaria e integrata del
PdZ.
Il Piano, una volta elaborato, viene
sottoposto alla approvazione dei Consigli
Comunali dei Comuni aderenti all’ambito
territoriale sociale e, quindi, trasmesso alla
Regione affinché la Giunta Regionale ne
verifichi la compatibilità con gli obiettivi.
Dopo l’approvazione del PdZ è possibile
formalizzare gli accordi20, i contratti di
programma e tutto ciò che serve alla
gestione integrata del PdZ.
20
Il PdZ, in particolare, costituisce il presupposto per
la stipula dell’accordo di programma tra comuni,
singoli, associati e Asl di riferimento con riferimento
alla gestione dei servizi ad elevata integrazione sociosanitaria.
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3. Alcune riflessioni: welfare e mondo del
lavoro, connessioni e peculiarità
Il Piano Regionale delle Politiche Sociali
vigente e i diversi Piani di Zona messi a
punto dagli ambiti territoriali sociali sono il
simbolo di un modo diverso di concepire il
welfare, puntando sulla concertazione e il
coinvolgimento dei diversi stakeholders
anche nella fase di analisi e di scelta delle
strategie da mettere in campo. Trattasi di un
approccio sicuramente più impegnativo, ma
allo stesso tempo più efficace.
Sono strumenti di programmazione, ma
prima ancora di quella partecipazione di cui
tanto si parla oggi e che, tuttavia, nei fatti
difficilmente
trova
applicazione,
sostanzialmente perché essa richiede grande
senso di responsabilità sia dei vertici che
della base. Sicuramente è una modalità di
fare politica sociale innovativo e in grado di
mettere in atto sinergie positive fra
istituzioni ed enti espressione della comunità
(si pensi a tutti gli attori del terzo settore,
alle associazioni, ma anche agli enti profit e
non profit, oltre che ai sindacati, ai
rappresentanti del mondo imprenditoriale
nonché ai semplici cittadini) e che, pertanto,
consente alle ricchezze umane ed
economiche del territorio di emergere e di
sprigionare effetti positivi con evidenti
ricadute positive sull’intera collettività.
Tutto ciò trova concreta applicazione nella
misura in cui all’interno dei diversi ambiti
territoriali sociali i diversi uffici di piano si
mettono in ascolto effettivo dei bisogni e
degli interessi di cui tutti gli stakeholders
sono portatori.
Ma allo stesso tempo
richiede un grado elevato dei diversi soggetti
privati di mettersi in gioco e di costruire una
rete,
venendo
fuori
dalla
logica
dell’individualismo sterile, purtroppo molto
diffusa nel nostro meridione e che
costituisce uno dei principali motivi per i
quali la nostra terra così ricche di risorse e
potenzialità non riesce ancora a prendere il
volo e ad esprimere al meglio tutte le
potenzialità.
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Una riflessione doverosa la si deve fare sul
momento particolare che si sta vivendo nel
mondo del lavoro: una crisi notevole, con
alti tassi di disoccupazione e un modello
legislativo che, per quanto abbia tentato di
ammodernarsi e di adattarsi alla richiesta di
flessibilità imperante nell’economia attuale,
risulta comunque non adeguato e incapace di
dare risposte efficaci.
Sarebbe illusorio, come da parte di qualcuno
si tenta di fare, ritenere che la risposta alla
crisi che stiamo attraversando possa essere
contenuta nelle politiche sociali attraverso
una serie di strumenti più o meno innovativi
(si pensi ai tradizionali sussidi piuttosto che
alle borse lavoro ovvero ai vaucher, solo per
citarne alcuni). Le risposte alla crisi
occupazionale vanno cercate all’interno del
sistema lavoro, e quindi intervenendo
efficacemente sulla normativa del lavoro,
nonché sugli ammortizzatori sociali – si
pensi alla cassa integrazione nonché alla
formazione e riqualificazione del personale
(a tal proposito si evidenzia come spesso la
riqualificazione non sia mirata ad un
effettivo reinserimento nel mondo del lavoro
ma viene pensata e strutturata come mero
palliativo) - nonché sui sistemi di accesso al
credito, che spesso costituiscono una
barriera insormontabile per i piccoli
imprenditori, e sulle tassazioni che ricadono
su chi voglia fare impresa. Welfare e lavoro
sono strettamente connessi, ma non nella
misura in cui il welfare possa sostituire il
lavoro.
La Carta costituzionale sancisce all’art. 1
che “L’Italia è una Repubblica democratica,
fondata sul lavoro”: da qui bisogna ripartire
con urgenza e solidarietà, chiedendo da un
lato ai ceti più ricchi sacrifici proporzionati
alla propria situazione economica e
patrimoniale, dall’altro al legislatore di
concentrarsi sulle riforme che in questo
momento sono realmente urgenti e
indifferibili.
Diversamente si rischia di attentare a quella
democraticità di cui parla l’art. 1 della
Costituzione.
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