vita della Chiesa • 1 “La Chiesa cattolica in Medio Oriente: comunione e testimonianza” Si tiene a Roma, dal 10 al 24 ottobre, il Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente. L’incontro è stato voluto da papa Benedetto XVI un anno fa, all’indomani del suo viaggio in Terra Santa. I l Sinodo della Chiesa cattolica per il Medio Oriente che è in corso in questi giorni a Roma nasce dalla richiesta di molti Vescovi delle chiese orientali che papa Benedetto ha potuto personalmente incontrare nel corso della sua visita in Terra Santa del maggio 2009. Il tema scelto per questo Sinodo, “La Chiesa cattolica in Medio Oriente: comunione e testimonianza”, è quanto mai attuale e rispecchia le sfide che i cristiani delle chiese orientali devono affrontare nella complessa situazione odierna dei Paesi del Medio Oriente. Il Sinodo riguarda paesi arabi e non arabi, e copre una vasta area geografica che va dall’Egitto alla Turchia, dall’Iran ad Israele, passando per i paesi del Golfo, l’Iraq, il Libano, la Siria, la Giordania, la Palestina e Cipro. Tocca direttamente o indirettamente la realtà di 14 milioni di cristiani, che vivono in mezzo a 330 milioni di abitanti, contando gli Arabi, i Turchi, gli Iraniani, i Greci e gli Ebrei. Considerata, quindi, la complessità di questo mosaico di popoli, di lingue, di fedi e culture, si rende indispensabile una trattazione complessiva - e non particolareggiata - dei problemi e delle sfide esistenti in Medio Oriente. Gli obiettivi principali che il Sinodo si pone sono due: da una parte confermare e rafforzare i cristiani nella loro identità attraverso la Parola di Dio e i 8 Sacramenti; dall’altra ravvivare la comunione ecclesiale tra le Chiese particolari di Rito Orientale, perché possano offrire una testimonianza di vita cristiana autentica, gioiosa e attraente. Le Chiese cattoliche di Rito orientale (Melchiti, Siriaci, Maroniti, Copti, Armeni e Caldei) sono numerose in Medio Oriente. “Tali Chiese”, come ha precisato Mons. Shomali, “da una parte hanno bisogno di vivere i loro particolarismi liturgici, linguistici e pastorali, e d’altra parte hanno bisogno di una più grande comunione tra loro”, una comunione che “lascia a desiderare”. Esse inoltre necessitano di un rinnovamento liturgico e pastorale” che la Chiesa latina ha vissuto con il Concilio Vaticano II che ha rivoluzionato la liturgia, l’ecclesiologia e lo sguardo verso il mondo contemporaneo. Gli obiettivi che il Sinodo si prefigge scaturiscono da un’attenta disanima dei principali problemi che le comunità cristiane del Medio Oriente si trovano ad affrontare: l’emigrazione dei cristiani (e dei non cristiani) del Medio Oriente che è iniziata verso la fine del XIX secolo e che ha indebolito il tessuto cristiano; la conversione all’islam di alcuni cristiani (si calcola, per esempio, che in Egitto circa 15.000 giovani donne cristiane ogni anno diventano musul- mane per ragioni di matrimonio; senza contare i lavoratori stranieri. che nei paesi del Golfo si convertono all’islam per avere maggiori possibilità di trovare lavoro); la crescita dell’islam politico, un fenomeno saliente che si ripercuote sulla regione e sulla situazione dei cristiani nel mondo arabo; la mentalità del ghetto («La religione, come elemento di identificazione, non solo differenzia ma può anche dividere e rendere schiavo, causando chiusura e ostilità», Instrumentum laboris). Di fronte alla complessità di questi problemi e di queste sfide, il Sinodo non pretende di offrire soluzioni prefabbricate a tutti i problemi dei cristiani che vivono in Medio Oriente. Piuttosto vuole aiutare i cristiani di quelle Chiese a (ri)scoprire la loro identità e la missione loro affidata, quella cioè “di essere testimoni autentici di Cristo risorto e della forza dello Spirito Santo presente nella sua Chiesa, nei Paesi in cui sono nati e in cui vivono”. 27 ottobre Sui lavori del Sinodo, e sulla situazione dei cristiani in Medio Oriente, con particolare riferimento all’Iraq, incontro con mons. Jean Benjamin Sleiman, Vescovo dei Latini di Baghdad, partecipante al Sinodo. ore 20.30 nella Casa dei Missionari Saveriani, viale Trento, Vicenza vita della Chiesa • 2 Le Chiese cattoliche di rito orientale Il Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente, in corso in questi giorni a Roma, è l’occasione per conoscere un po’ più da vicino le Chiese di rito orientale, un complesso mosaico di comunità, sparse ormai in tutto il mondo attraverso l’emigrazione. T utte le Chiese cattoliche in Medio Oriente risalgono alla prima Chiesa cristiana di Gerusalemme. Si divisero nel V secolo, dopo i Concili di Efeso e Calcedonia, principalmente per questioni cristologiche. Questa prima divisione diede vita alle Chiese conosciute oggi con il nome di “Chiesa Apostolica Assira d’Oriente” (che veniva chiamata nestoriana) e “Chiese Ortodosse Orientali”, cioè le Chiese copte, siriane ed armene, che venivano chiamate monofisite. Spesso tali divisioni ebbero luogo per motivi politico-culturali (più che per motivi dottrinali), come dimostrano i teologi medievali d’Oriente appartenenti alle tre grandi tradizioni “melchite”, “giacobite” e “nestoriane”. In seguito il grande scisma dell’XI secolo separò Costantinopoli da Roma e, successivamente, l’Oriente Ortodosso dall’Occidente Cattolico. Tutte queste divisioni esistono ancora oggi nelle varie Chiese del Medio Oriente. Dopo le scissioni gran parte delle Chiese cattoliche orientali nascono con l’intento di rinnovare l’unione con Roma, pur mantenendo il rito e la lingua liturgica originaria. Oggi le Chiese cattoliche d’Oriente sono sette (sira, siro-malankarese, caldea, armeno-cattolica, copta, etiope siro-malabarese e maronita - queste ultime due, in realtà, non si sono mai separate da Roma), in maggioranza arabe o arabizzate. Sono attive in una vasta area che passa da Egitto, Etiopia, Eritrea fino all’Iraq e all’Iran, toccando anche India del Sud, Libano, Palestina, Siria, Giordania, Turchia, Grecia, Cipro, Albania meridionale, Macedonia, Bulgaria… A questi si aggiungono i Paesi dell’Europa centrale e orientale con i cattolici slavi e romeni di rito bizantino, i Paesi del Caucaso. Una regione molto estesa che raggiunge anche i Paesi occidentali attraverso la diaspora dei fedeli. Provengono da tradizioni culturali, e dunque anche liturgiche, differenti: greca, siriaca, copta, armena o latina, il che costituisce la loro ammirabile ricchezza e complementarietà. Ci sono quattro diversi gradi o livelli nella tipologia delle Chiese orientali cattoliche: le Chiese patriarcali, con un’autogestione molto elevata nella scelta del patriarca e dei vescovi (copta, caldea, armena, siriaca, maronita e melchita); le Chiese arcivescovili maggiori, con la stessa potestà legislativa, ma che chiedono conferma al pontefice per l’elezione del capo della Chiesa, mentre scelgono liberamente i propri vescovi (quella ucraina e siro-malabarese); le Chiese metropolitane, con una potestà legislativa inferiore (etiope, siro-malankarese, romena e rutena americana); e, infine, altre Chiese sui iuris (bulgara, greca, ungherese, slovacca e la diocesi di Krizevci, che comprende tutta la ex Iugoslavia). Nonostante l’esiguità numerica delle Chiese orientali rispetto al totale dei cattolici latini nel mondo (le proporzioni sono di 20 milioni di fedeli su un miliardo), la loro importanza sta nella capacità di rappresentare la ricca tradizione della Chiesa cattolica universale in diverse forme. Fin dalle origini del cristianesimo, infatti, erano presenti vari riti e diverse unità amministrative ecclesiali. 9