Morfologia della camera pulpare

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Morfologia
della camera pulpare
Dalla ricerca di base alla metodologia clinica
Allan S. Deutsch, DMD
L’accesso alla camera pulpare è sempre
stato una procedura qualitativa. Si è
sempre pensato che, essendo l’altezza
della camera pulpare e le dimensioni
complessive del dente estremamente
variabili, niente che riguardasse la morfologia della camera pulpare fosse da
considerarsi costante.
Una revisione della letteratura endodontica riguardante la morfologia della
camera pulpare fa emergere scarse informazioni. Solo due studi hanno misurato
la distanza tra il pavimento della camera
pulpare e la biforcazione, ed entrambi
Figura 1
Lunghezza standard di 6,5 mm per
tutte le frese a rosetta.
Figura 2
Molari allineati. Le radici sono di
diversa lunghezza ma le corone hanno
all’incirca la stessa altezza dalla sommità della cuspide alla giunzione amelocementizia.
Pag. - 16
1a
2
arrivano alla conclusione che, nella maggior parte dei casi, tale distanza misura
circa 3 mm sia nei molari mascellari che
in quelli mandibolari.1,2
Fin dall’inizio del mio lavoro di endodontista, mi sono reso conto che, usando
un approccio qualitativo, sarebbe stato
molto più facile perforare la biforcazione
nella fase di preparazione della cavità
di accesso. Mentre cercavo un approccio
standardizzato, ho capito che la lunghezza del gambo della fresa a rosetta
n° 4 era la giusta risposta. Per i successivi 25 anni della mia carriera, la distanza
“L” corrispondente a 6,5 mm mi avrebbe
quasi sempre consentito di raggiungere
il tetto della camera pulpare di un molare (Fig. 1).
Svariati anni fa, mentre osservavamo
l’anatomia dei molari, rimanemmo col-
1b
piti dal fatto che, sebbene le dimensioni
delle radici variassero considerevolmente
da dente a dente, le corone erano pressoché della stessa grandezza (Fig. 2).
Tale scoperta ci indusse a ipotizzare che
anche l’anatomia della camera pulpare
poteva essere era la medesima in tutti i
molari.
Abbiamo perciò individuato i principali
punti di riferimento relativi all’anatomia
L’Informatore
Endodontico
Vol. 8, Nr. 1
2005
della camera pulpare dei molari mascellari e mandibolari e li abbiamo misurati.
Queste misure morfologiche sono visibili nella figura 3. Le misurazioni sono
state effettuate su 100 molari mascellari
e 100 molari mandibolari e i risultati
sono riportati nella Tabella I.
Abbiamo inoltre preso nota di varie
misure importanti relative alla morfologia della camera pulpare.
La distanza tra il pavimento della camera pulpare e la biforcazione era in media
3.0 mm sia nei molari mascellari che
nei molari mandibolari. Ciò confermava
i risultati cui erano giunti i due studi
sopra citati.1,2 Ciò significa che abbiamo meno di 3 mm su cui intervenire
prima di provocare un danno irreparabile. Per quanto riguarda il tetto della
camera pulpare, abbiamo scoperto due
fatti importanti. Il tetto si trova al livello della congiunzione amelocementizia
nel il 98% dei casi (Figg. 4a e 4b) e l’altezza di una camera pulpare è compresa
tra 1,5 e 2mm (Fig. 5a). Quest’ultima è
la misura più variabile a causa delle calcificazioni dovute all’età, alla carie e ai
precedenti interventi di restauro.
Infine, la scoperta più sorprendente è
3
stata che la distanza tra la sommità di
qualsiasi cuspide e il tetto di un molare
era estremamente costante e si aggirava
intorno ai 6,3 mm (Fig. 5b). Ciò concordava felicemente con la lunghezza di
6,5 mm della fresa che avevo misurato
empiricamente 25 anni fa. Le misure
riportate in questa pubblicazione aprivano la strada ad una tecnica di preparazione di cavità d’accesso clinicamente
più sicura ed efficace.3
Figura 3
Misure morfologiche chiave per i
molari e loro posizione anatomica nel
dente.
MISURE MEDIE IN MM PER I MOLARI MASCELLARI E MANDIBOLARI
N=100
A
B
C
D=(C-A)
E=(C-B)
F=(B-A)
Media (max)
3,05
2,96
0,79
0,78
25,80
26,00
4,91
4,57
1,06
0,91
21,60
20,00
11,15
10,90
1,21
1,21
10,90
11,10
8,08
7,95
0,88
0,79
10,9
9,94
6,24
6,36
0,88
0,93
14,11
14,60
1,88
1,57
0,69
0,68
36,50
43,00
(mand)
SD (max)
(mand)
Variazione %
(mand)
Tabella I
Misure medie per i punti di riferimento
relativi alla morfologia.
Pag. - 17
PROFILO DELL’AUTORE. Il Dr. Deutsch collabora in uno studio di Endodontzia a New
York City. Detiene 18 brevetti come coinventore di prodotti endodontici rivoluzionari per
Essential Dental Systems, un’azienda da lui stesso fondata. È una delle massime autorità
in endodonzia e ha tenuto conferenze e lezioni in oltre 150 diverse località nel mondo. Ha
Dal momento che i molari non sono
gli unici denti provvisti di biforcazioni,
cominciammo a misurare le distanze tra
i punti di riferimento dei premolari. La
Figura 4a
La misura “A” dal pavimento della
camera pulpare alla biforcazione è di
circa 3,0 mm in tutti i molari.
4a
Figura 4b
Il tetto della camera pulpare si trova
in corrispondenza della giunzione
amelocementizia nel 98% dei casi.
4b
Pag. - 18
figura 6 mostra dove sono state effettuate le misurazioni nei premolari con
biforcazioni.
Il nostro secondo articolo sulla mor-
scritto inoltre 200 articoli dentali in collaborazione con altri studiosi. Può essere contattato chiamando EDS al numero (800) 223-5394, oppure inviando un email all’indirizzo
[email protected] o visitando il sito essentialseminars.org.
L’Informatore
Endodontico
Vol. 8, Nr. 1
fologia della camera pulpare è stato
recentemente pubblicato negli abstract
del Journal of Dental Research del 2005.
Siamo stati un po’ più sofisticati in que-
5a
5b
2005
sto studio e abbiamo usato l’apparecchiatura digitale Trophy RVG per effettuare
le radiografie dei premolari. Una volta
eseguite le radiografie, abbiamo effet-
Figura 5a
Nei molari, l’altezza della camera pulpare è compresa tra 1,5 e 2,0 mm.
Figura 5b
La distanza dalla cuspide al tetto della
camera pulpare è costantemente vicina ai 6,5 mm
Pag. - 19
Morfologia della camera pulpare
Dalla ricerca di base alla metodologia clinica
tuato le misurazioni usando la modalità
di misurazione del sistema Trophy. La
distanza media tra il pavimento della
camera pulpare e la biforcazione era di
1,85 mm e l’altezza media della camera era 2,76 mm. Paragonando queste
misure con quelle dei molari scoprimmo
quanto segue: l’unica misura statistica-
Figura 6
Misure morfologiche chiave per
i premolari con biforcazione.
Figura 7a
Si può avvertire la caduta quando il
diametro della pallina è minore rispetto all’altezza della camera pulpare.
Figura 7b
Non si può avvertire la caduta quando
il diametro della pallina è uguale o è
maggiore dell’altezza della camera pulpare, come nelle camere calcificate.
Figura 8a
Uno stop a 7,0 mm posiziona la fresa
nel centro della camera pulpare, se le
dimensioni di quest’ultima rientrano
nella media.
Figura 8b
Uno stop a 7,0 mm posiziona la fresa
là dove, nei casi calcificati, si trovava di
solito il centro della camera.
Ciò consente di orientarsi meglio
durante l’intervento e di localizzare
più facilmente i canali.
7a
6
7b
Pag. - 20
8a
mente costante in tutti e tre i gruppi
(molari mandibolari, molari mascellari e premolari) era la “B” – dal tetto
della camera pulpare alla biforcazione.
Scoprimmo inoltre che la più piccola
variazione percentuale per i premolari
e la seconda più piccola per i molari si
riscontrava nella misura “D”, ovvero la
distanza tra la sommità della cuspide
e il tetto della camera pulpare. Questa
distanza nei premolari corrispondeva a
6,94 mm.4 La misura “D” era mediamente la stessa nei molari, sia mandibolari che mascellari, ma differiva nei
premolari con biforcazione. Sebbene
da un punto di vista statistico questo
numero sia diverso dalla media di 6,3
mm riscontrata per i molari, dal punto
di vista clinico risulta pur sempre molto
vicino. Espressa in numeri, la differenza
tra molari e premolari è pari a circa 0,60
mm.
L’insieme di queste misurazioni ci offre
per la prima volta un approccio quantitativo alla tecnica di preparazione di
cavità d’accesso, in contrapposizione al
nostro approccio standard qualitativo.
Qualitativamente, ci affidiamo alla sensazione di “caduta” che si sperimenta
quando la fresa attraversa il tetto della
camera pulpare entrando nella camera
stessa. È in questo momento che si passa
8b
L’Informatore
Endodontico
Vol. 8, Nr. 1
dal tagliare la dentina a lavorare sul tessuto molle. Possiamo rendercene conto
poiché il diametro di una fresa a rosetta
n° 4 è di 1,35 mm e l’altezza media
della camera pulpare è circa 2 mm.
D’altra parte non possiamo accorgercene
nelle camere pulpari calcificate, quando
il diametro della fresa a rosetta n° 4 è
maggiore dell’altezza della camera pulpare (Figg. 7a, 7b). Dal momento che la
distanza tra il pavimento della camera
pulpare e la biforcazione è di appena 2-3
mm, c’è poco margine di errore.
Possiamo a questo punto trasformare
questa tecnica un tempo qualitativa
in una tecnica quantitativa prevedibile, standardizzando la lunghezza della
fresa in modo che corrisponda all’altezza costante dalla cuspide al tetto della
camera pulpare. Centriamo questo obiettivo quando impostiamo uno stop fisso a
7 millimetri dalla punta del taglio della
fresa. Entrando con una fresa con stop
fisso impostato a 7 mm, ci troviamo
nella camera pulpare sia dei molari che
dei premolari (Fig. 8a). Di conseguenza,
questa operazione viene effettuata senza
alcun rischio di perforare la biforcazione. Nei denti con camere calcificate, la
profondità di 7mm ci porterà nel centro
della camera prima di incontrare la calcificazione. Ciò costituisce un punto di
partenza molto accurato per cominciare
a cercare i canali (Fig. 8b) e comporta
una riduzione significativa del tempo
necessario per trovarli.
Una volta che la profondità corretta è
stata predicibilmente raggiunta, usiamo una fresa diamantata a grana grossa
dalla punta non tagliente per levigare
e sagomare le pareti assiali della cavità
d’accesso (Fig. 9).
Questo modo di procedere offre un
duplice vantaggio anche a chi si dedica
alla pratica endodontica ormai da molti
anni:
1) aumenta la velocità dell’operazione;
2) l’affidabilità e la prevedibilità divengono standard. Reperire i canali
diviene così una semplice operazione
di routine.
Per commentare questo articolo, visitate il
forum di discussione all’indirizzo dentistrytoday.com.
9
Figura 9
Rifinitura e sagomatura della cavità
d’accesso con una fresa cilindrica diamantata a grana extra-grossa, extralunga, che non taglia in testa. Una volta
che le pareti sono levigate, è più facile
trovare i canali.
Traduzione dell’articolo originale:
Pulp Chamber Morphology. Basic Research
Leads to Clinical Technique
Dentistry Today, 24(3):124-127
Copyright © Dentistry Today Inc.
BIBLIOGRAFIA
1) - Sterrett, J.D., Pelletier, H., Rusell, C.M.:
Tooth thickness at the furcation entrance of
lower molars. J. Clin Periodontol, 63:621-627,
1992
2) - Majzoub, Z., Kon, S.: Tooth morphology
following root resection procedures in maxillary first molars, J Periodontol, 63:290-296,
1992
3) - Deutsch, A.S., Musikant, B.L.:
Morphological measurements of anatomic
2005
landmarks in human maxillary and mandibular
molar pulp chambers. J Endod. 30:388-390
2004
4) - Deutsch, A.S., Musikant, B.L., GU S,
Isidro M.: Morphological measurements of
pulp chambers of human maxillary furcated
bicuspids. J Dent Res. 83 (Special Issue): 2005.
Abstract n° 2860. Disponibile anche online
all’indirizzo: www.dentalresearch.org.
Pag. - 21
Progressi in Endodonzia
Fare dell’eccellenza una conseguenza
della semplicità
Barry L. Musikant, DMD
Non c’è nulla di futile nell’utilizzare questi
strumenti nella maniera prescritta. Non si
possono saltare delle fasi e ogni strumento
deve svolgere il proprio compito, prima di utilizzare il successivo nella sequenza.
Il cammino che l’endodonzia ha compiuto per giungere allo stadio attuale è uno
studio nell’evoluzione del buon senso.
La relazione che intercorre tra l’obiettivo
della perfezione e i mezzi per raggiungerla è stata caratterizzata da numerosi
vicoli ciechi, cul-de-sac, circoli chiusi e
alcuni progressi occasionali.
La maggior parte di noi che operiamo
al giorno d’oggi, ha iniziato il proprio
viaggio nel mondo dei file in acciaio
inossidabile con conicità standard di
0,02. Questi strumenti venivano usati
manualmente per creare nei canali spazi
con una conicità di 0,02 più ampi rispetto allo spazio originale del canale e, nel
fare questo, per liberare meccanicamente il canale dai detriti. I fluidi irriganti venivano introdotti per dissolvere i
detriti organici rimasti e per rimuovere quelli che non erano fuoriusciti con
gli strumenti. Le forme ottenute con
Queste tecniche però non davano luogo
a sagomature che potessero essere otturate in maniera predicibile con condensazione laterale o verticale. Addirittura,
il tentativo di otturare completamente
un canale con condensazione laterale
o verticale poteva portare ad eccessi di
riempimento, vuoti, dolori post-operatori e a fratture radicolari. Portare lime
in acciaio di diametro maggiore intorno
a radici curve portava a sua volta all’affaticamento della mano e a varie forme
di distorsione di forma e direzione del
canale.
Anche dopo molta pratica, le prestazioni endodontiche, limitate a queste
due procedure, restavano ben lontane da
risultati ideali. Effettivamente il con-
Pag. - 24
cetto attuale di “ideale” doveva ancora
essere definito. Forme con una conicità
maggiore non erano ancora considerate
ideali e, di conseguenza, non erano stati
sviluppati i mezzi per raggiungerle. Ad
un certo punto, è diventato sempre più
evidente il fatto che l’utilizzo di file in
acciaio per allargare i canali e portarli
a una conicità superiore rispetto a 0,02
non era sufficiente per detergere, irrigare
o otturare i canali in maniera adeguata.
Il buonsenso ci induce a capire che esiste
una relazione tra la fase di sagomatura e
quella di otturazione. Se lo spazio canalare è più largo, allora verosimilmente
sarà più facile rimuovere completamente i detriti nel corso della sagomatura.
Se il canale è stato sagomato ad una
conicità superiore rispetto a quella standard di 0,02 mm/mm, di conseguenza i
coni di guttaperca introdotti nel canale
e sottoposti a condensazione sia verticale che laterale potranno anch’essi avere
una maggiore conicità; ciò genererà una
maggiore forma di resistenza e un minor
rischio di fuoriuscita di materiale dal
canale. Se i canali hanno maggiore conicità, è anche molto più facile irrigarli.
Le soluzioni che dissolvono i tessuti
giungono più facilmente in maggiore
contatto con i tubuli dentinali, i quali
sono anche più ampi una volta rimosso
lo smear layer tramite EDTA.
Esiste una dicotomia riguardo a ciò che
costituisce una strumentazione sicura. Da un lato, allargacanali Peeso con
punte non-taglienti vengono condannati
a causa del presunto rischio di perforazione e gradini. D’altro canto, aggressivi
allargacanali rotanti Ni-Ti con punte
taglienti vengono difesi per la loro efficienza nella sagomatura canalare. Alcuni
prediligono strumenti privi di estremità
taglienti ma con punte arrotondate per
meglio affrontare i canali curvi senza
rischio di perforazione. Tuttavia, uno
L’Informatore
Endodontico
Vol. 8, Nr. 1
2005
strumento che non taglia apicalmente
può spingere i detriti verso l’apice, rendendo problematico il sondaggio del
terzo apicale. È normale che una buona
forma di resistenza apicale induca il
dentista ad applicare maggiore pressione
apicale con lo strumento che ha in mano
o che richieda di tornare a strumenti
più piccoli, che possono anche creare un
canale laddove non esisteva prima dell’applicazione della pressione.
D’altro canto, gli allargacanali con
punte taglienti tendono a perforare il
tessuto piuttosto che spingerlo apicalmente. Insieme ad un disegno di lame
che si impegnano meno contro le pareti
dentinali rispetto alle lime, gli allargacanali con punte taglienti danno al
dentista una crescente sensibilità tattile, che aiuta a evitare una perforazione
apicale se e quando un parete viene colpita. Invece di applicare una pressione
maggiore per superare un intasamento,
la parete verrà riconosciuta come tale.
Una leggera precurvatura all’estremità apicale dello strumento permetterà
facilmente al dentista di superare ogni
curva apicale che può esistere, restando
ovviamente all’interno dei confini della
naturale anatomia del canale. Gli allargacanali Peeso, usasti solo per raddrizzare la curva coronale e per approfondire
la svasatura in questa zona, utilizzati con
un movimento leggero e non prolungato, rappresentano una tecnica facile da
apprendere e da insegnare e non costituiscono alcuna minaccia all’integrità
della radice. Un canale può essere raddrizzato solo rimuovendo struttura dentale dalla parete esterna, lontano dalle
biforcazioni. Così facendo, si elimina il
rischio di eseguire con questi strumenti
delle perforazioni da stripping.
Qualunque sistema rotante Ni-Ti si usi,
possiamo affermare che le conicità maggiori sono senz’altro più vantaggiose
rispetto alla conicità 0,02 mm/mm. Per
ottenere queste sagomature, nella maggior parte dei casi i sistemi rotanti in
Ni-Ti utilizzano dei manipoli riduttori
da bassa velocità. In genere essi ruotano
ad una velocità approssimativa di 150300 rpm, sebbene alcuni sistemi più
recenti raccomandino velocità di rotazione più elevate. I sistemi rotanti Ni-Ti
hanno la possibilità di produrre efficacemente sagomature con conicità maggiore. Il loro utilizzo, tuttavia, diventa
problematico quando l’anatomia endodontica presenta dei bruschi cambiamenti di direzione. Le curve oppongono
una resistenza maggiore al sondaggio
della zona apicale e causa stress torsionale e fatica ciclica. Per ridurre il grado
di stress torsionale e almeno in parte di
fatica ciclica, gli strumenti rotanti Ni-Ti
vengono usati con tecnica crown-down,
svasando per prime le zone più coronali
del canale, prima di raggiungere profondità maggiori. In genere, si cerca di raddrizzare la curva coronale appoggiandosi
alla parete esterna delle preparazioni.
Tale tentativo deve essere però limitato,
a causa della fragilità degli strumenti in
Ni-Ti in generale e di quelli rotanti in
particolare. Raddrizzare la curva coronale prima di sagomare la curva apicale
sottopone gli strumenti rotanti Ni-Ti
ad uno stress torsionale e a fatica ciclica assai minori. Tuttavia, la sola curva
apicale (se molto pronunciata) fa correre
seri rischi di fratturare gli strumenti per
fatica ciclica, anche se gli stress torsionali vengono in gran parte eliminati.
Se paragonato agli svantaggi delle tradizionali tecniche manuali, il sistema
rotante Ni-Ti mostra una serie di vantaggi che hanno convinto numerosi dentisti della sua complessiva superiorità.
Laddove la tecnica tradizionale crea spazi
con conicità di 0,02 mm/mm, il sistema rotante Ni-Ti crea spazi che il più
Pag. - 25
PROFILO DELL’AUTORE. Il Dr. Musikant ha tenuto conferenze in oltre 150 istituzioni in
tutto il mondo ed è co-autore di oltre 200 articoli in materia odontoiatrica pubblicati sulle
maggiori riviste di settore. I trent’anni di pratica clinica del dott. Musikant, come partner di
uno studio specializzato in Endodonzia a New York, lo hanno reso una delle massime autorità in materia. È possibile contattarlo al numero (800) 223-5394, all’indirizzo email: info
@essentialseminars.org o essentiatseminars.org.
delle volte hanno una conicità di almeno 0,04, cui corrisponde una forma di
resistenza doppia per la compattazione
verticale della guttaperca, con migliore
adattamento del materiale termoplastico. Spazi con conicità maggiore vengono irrigati in maniera più efficace. Una
conicità continua e omogenea garantisce
risultati assai migliori rispetto a quelli
incostanti dati da conicità di 0,02 mm/
mm. Maggiore è la conicità, maggiore
è la pressione idraulica sul cemento, con
maggiori possibilità di riempire i canali laterali con cemento o guttaper¬ca
quando vengono utilizzate tecniche termoplastiche.
Il passo successivo verso la semplificazione dell’eccellenza in Endodonzia è
stato cercare di capire se fosse possibile
ottenere queste maggiori conicità con
strumenti più sicuri rispetto ai sistemi
rotanti Ni-Ti e trovare strumenti che
potessero essere usati più volte rispetto
alle pochissime applicazioni concesse dai
sistema rotante Ni-Ti. Laddove un sistema rotante Ni-Ti richiede una preparazione canalare con tecnica crown-down,
gli allargacanali in acciaio possono essere tranquillamente usati con la tecnica
step-back. L’uso appropriato del Peeso
n° 2 e della fresa di Gates Glidden n°
2 fornisce una sufficiente preparazione
crown-down.
Il sistema rotante Ni-Ti rappresenta un
progresso quando viene paragonato alla
maniera tradizionale con cui venivano
utilizzate le lime in acciaio. Tuttavia,
il passaggio da lima in acciaio ad allargacanali in acciaio ha immediatamente
dimezzato l’impegno che gli strumenti
in acciaio prendono con le pareti dentinali mentre scendono verso la zona
apicale. La lima K tradizionale consta di
un filo metallico quadrato attorcigliato a
spirale, che genera un contatto continuo
su 4 punti. La lima K ha inoltre 24 lame
Pag. - 26
nella sua lunghezza di lavoro di 16 mm.
L’allargacanali, invece, consta di un filo
metallico triangolare anche esso attorcigliato a spirale, che genera un contatto
continuo su 3 punti. L’allargacanali ha
inoltre 16 lame sulla sua porzione lavorante di 16 mm. Più numerose sono le
lame lungo i 16 mm di parte lavorante,
più esse sono orientate in senso orizzontale e minore è l’efficacia con cui rimuovono la dentina quando vengono usate
con movimento rotatorio o alternato.
In uno studio su tempi e movimento 1 è
stato visto che gli allargacanali arrivano
a lavorare nel terzo apicale con maggiore
efficacia rispetto alle lime, grazie al loro
minore contatto, che implica di conseguenza una minore resistenza. Altri
studi hanno mostrato che gli allargacanali riproducono l’architettura multiplanare dei canali con un’accuratezza molto
maggiore rispetto alle lime.2
Mentre gli allargacanali hanno chiaramente dimostrato una maggiore maneggevolezza nel trattamento del terzo apicale grazie al loro minore impegno, è
diventato evidente che la resistenza al
sondaggio apicale poteva essere ulteriormente ridotta dall’aggiunta di una
superficie piatta sull’intera lunghezza
di lavoro degli allargacanali (SafeSider,
Essential Dental Systems) (Fig. 1). La
superficie piatta riduce l’impegno contro le pareti dentinali a un contatto continuo su soli 2 punti. Inoltre, crea uno
spazio per i detriti, prevenendo il tipico
intasamento che si può verificare con le
lime tradizionali utilizzate con movimento rotatorio, sia che siano fatte in
acciaio che in Ni-Ti.
Forse ancora più interessante è notare
che laddove la superficie piatta incontra
le lame, si crea una sorta di “coltello”
(Fig. 2). Infatti, la superficie piatta crea
2 colonne di spire lungo l’intera lunghezza di lavoro dello strumento. Uno
L’Informatore
Endodontico
Vol. 8, Nr. 1
1
strumento di questo tipo lavora al suo
massimo su un manipolo con movimento alternato (Fig. 3): mentre una colonna
lavora in senso orario, l’altra lavora in
senso anti-orario. Bisogna inoltre tenere presnte che uno strumento con una
superficie piatta sull’intera lunghezza
di lavoro è più flessibile rispetto ad uno
di dimensioni equivalenti e di sezione
tradizionale.
Gli allargacanali con questa sezione
così particolare funzionano in maniera così efficace che perfino i canali con
considerevoli curvature apicali possono
essere allargati fino a un n° 40 utilizzando strumenti in acciaio con conicità
0,02 senza rischi di trasporto del canale. Infatti, gli strumenti in Ni-Ti sono
necessari solo per creare conicità superiori a 0,02 in canali con curvature apicali.
Anche in questo caso, il design degli
strumenti al Ni-Ti è uguale a quello
degli strumenti in acciaio. E come questi ultimi, vengono usati con manipoli
a rotazione alternata. Commutando il
motore dal movimento rotatorio a quello alternato, nessuno degli strumenti
2
2005
3
utilizzati subisce significativi stress torsionali, né è soggetto a cicli di fatica,
uno dei maggiori problemi quando si
utilizzano sistemi rotanti.
Poiché non ci si deve più preoccupare
dello stress accumulato dallo strumento,
non si pone più la necessità di frequenti
sostituzioni per evitare fratture. Infatti,
l’unico momento in cui resta indicata
per la sostituzione con uno strumento
nuovo è quando questo non taglia più,
vale a dire dopo almeno 8 trattamenti. È
un progresso il fatto che le conseguenze
negative della mancata sostituzione di
uno strumento con uno nuovo si limitino ad una diminuita efficacia, senza arrivare alla frattura. Sono incalcolabili le
conseguenze (positive) a livello di stress
per il professionista medio. Il basso costo
iniziale e la possibilità di utilizzarli più
volte riducono in maniera consistente il
costo di questi strumenti per ogni singolo uso.
Eliminata ogni preoccupazione per la
frattura, s’instaura un circolo virtuoso. Il dentista affronta casi sempre più
impegnativi, perché la frattura non rap-
Figura 1
Allargacanale SafeSider azionato dal
manipolo alternato Endo-Express.
Figura 2
Creando una superficie piatta su
tutta la lunghezza dell’allargacanale, si
formano 2 colonne di spire, con una
di queste che taglia in senso orario
rispetto allo strumento SafeSider e
l’altra che taglia in senso anti-orario.
Figura 3
Questa illustrazione mostra il movimento alternato di 45° e l’azione
meccanica delle spire così come i solchi orientati in senso maggiormente
verticale dello strumento.
Pag. - 27
Progressi in Endodonzia
Fare dell’eccellenza una conseguenza della semplicità
presenta più una potenziale, incresciosa
conseguenza. Affrontare casi più complessi fa accumulare al dentista maggiore esperienza, che porta maggiore
sicurezza, la quale a sua volta permette
di affrontare situazioni odontoiatriche
sempre più difficili. Rispetto ai sistemi
rotanti Ni-Ti, il dentista lavora con una
probabilità di successo molto superiore.
Il movimento alternato con allargaca-
Figura 4
Un esempio di ottime preparazioni
canalari che vengono abitualmente
eseguite con SafeSider ed EndoExpress e le conseguenti perfette
otturazioni.
4
Figura 5
Si noti l’assenza di distorsione dei
canali in seguito all’utilizzo della
sequenza di strumenti SafeSider con il
manipolo alternato Endo-Express.
5
nali appiattiti offre i seguenti vantaggi
rispetto ai sistemi rotanti Ni-Ti:
- Gli strumenti subiscono uno stress
torsionale largamente inferiore.
- Gli strumenti sono sottoposti a minore fatica ciclica.
- Un’eccessiva pressione apicale si rivela
assai meno pericolosa.
- Una prolungata permanenza in area
apicale si rivela molto meno critica.
- Il trattamento di canali curvi non
aumenta i rischi di frattura.
- Le punte degli allargacanali possono
essere precurvate per trattare curve
molto brusche.
- Una minore quantità di struttura dentale viene rimossa dalla parete interna
dei canali.
- Durante tutto il trattamento si conserva la sensibilità tattile.
- Gli strumenti possono essere utilizzati
più volte senza preoccuparsi di una
possibile frattura.
Figura 6
Anche i canali a forma di S vengono
solitamente trattati con sequenza
Safesider senza sostanziale rischio di
fratturare lo strumento.
Figura 7
Le preparazioni abitualmente eseguite
con SafeSider permettono a EZ-Fill
di eseguire in maniera predicibile
un’otturazione tridimensionale. Si può
osservare qui un esempio di otturazione eseguita con cono singolo, a
temperatura ambiente, con interposizione di resina epossidica EZ-Fill.
Pag. - 28
6
7
L’Informatore
Endodontico
Vol. 8, Nr. 1
- Si elimina l’affaticamento della mano,
pur mantenendo l’integrità dello strumento.
- Si riduce in maniera significativa il
costo del singolo utilizzo.
- Cosa più importante, il livello di sicurezza e fiducia del professionista viene
incrementato in maniera significativa.
Non c’è nulla di futile nell’utilizzare
questi strumenti nella maniera prescritta. Non si possono saltare delle fasi e
ogni strumento deve svolgere il proprio
compito prima di utilizzare il successivo
nella sequenza. In tal modo, se questa
sequenza, facile da apprendere, viene
seguita, risultati ottimi, predicibili e
facilmente raggiungibili sono alla portata di tutto coloro che usano questo
sistema (Figg. 4-8).
8
Figura 8
Un esempio di otturazione di un
molare inferiore dopo che gli strumenti SafeSide hanno sagomato i
canali con preparazione apicale N. 35
e conicità 0,08 mm/mm. Si noti come
una conicità di 0,08 mm/mm non
causa un eccessivo assottigliamento
della dentina coronale e, se necessario,
è possibile preparare immediatamente
lo spazio per un perno con la routinaria metodica.
Il Dott. Musikant detiene 18 brevetti per
la partecipazione all’invenzione di prodotti
endodontici per Essential Dental Systems,
azienda che lo annovera tra i suoi fondatori.
Per commentare questo articolo, visitate il
forum di discussione www.dentistrytoday.
com.
Traduzione dell’articolo originale:
The Evolution of Endodontic Progress.
Making Excellence a Reflection of Simplicity
Dentistry Today, 24(4):118-122
Copyright © Dentistry Today Inc.
BIBLIOGRAFIA
1) - Jerome, C.E., Hanlon, R.J.Jr. : Identifying
multiplanar root canal curvatures using stainless-steel instruments. J Endod. 29:356-358,
2003.
2) - Musikant, B.L., Cohen, B.I., Deutsch,
2005
A.S.: Comparison instrumentation time of
conventional reamers and files versus a new,
non-interrupted, flat-sided design. J Endod,
30:107-109, 2004.
Pag. - 29
Alcune considerazioni in tema
di “Lunghezza di Lavoro”
Parte I. Il limite della preparazione canalare
Dr. Arnaldo Castellucci
Un argomento molto discusso, sul quale
forse si continuerà a discutere per sempre, è dove far terminare la preparazione e quindi l’otturazione canalare, cioè
quale punto scegliere per la determinazione della lunghezza di lavoro degli
strumenti.
Molte scuole sostengono che la strumentazione e l’otturazione canalare devono
fermarsi a livello della giunzione cemento-dentinale in vicinanza della quale esiste la massima costrizione apicale (Fig.
1). In quel punto, inoltre, termina il
tessuto pulpare e quindi dall’endodonto
si passa al parodonto: le pareti canalari
non sono più formate da dentina, ma da
cemento.
In teoria questo modo di vedere le cose è
giustissimo, in quanto la costrizione apicale assicura un buono stop alla nostra
preparazione ed otturazione canalare,
che deve avere il massimo rispetto per il
parodonto e per i tessuti periapicali.
In pratica, però, le cose vanno diversamente. Come già sosteneva Coolidge 7
nel lontano 1929, la sede della giunzione cemento-dentinale è così variabile,
�
�
�
Figura 1
Rappresentazione schematica dell’apice radicolare secondo Kuttler. 1. Apice
anatomico, apice geometrico o vertice
della radice. 2. Centro del forame. 3.
Distanza tra il vertice ed il centro del
forame. 4. Giunzione cemento-dentinale. 5. Diametro del canale a livello
della giunzione cemento-dentinale.
6. Distanza tra il centro del forame
e la costrizione apicale (Da Kuttler,
modificata).
Pag. - 32
�
�
�
1
�
che tentare di usarla come guida durante
la rimozione della polpa e l’otturazione
del canale può essere di scarso aiuto per
l’operatore. Tale giunzione ha infatti
spesso limiti non netti e si può trovare
a differenti livelli all’interno del canale
stesso (Fig. 2).
Sempre secondo Coolidge, “non esiste
una linea netta di demarcazione tra
tessuto pulpare e tessuto parodontale
da poter essere utilizzata come guida
mentre si opera. Non solo la giunzione
cemento-dentinale è una linea divisoria immaginaria, ma il concetto che
ne sta alle spalle è erroneo e fuorviante. A proposito di questa zona è più
accurato parlare come della zona del
forame apicale e trascurare la posizione
variabile della giunzione tra dentina e
cemento”.
Il tessuto pulpare, osservato al momento
in cui entra all’interno del canale, ha
inoltre le stesse caratteristiche sia poco
prima che poco dopo il suo attraversamento del forame (è un largo fascio di
vasi sanguigni, nervi e tessuto connettivo), per cui è impossibile stabilire in
quale punto o a partire da quale linea
termina il tessuto pulpare e comincia
quello parodontale (Fig. 3). La conclusione dell’articolo di Coolidge è che
“sembra che il successo di un’otturazione canalare non dipenda dalla rimozione
del tessuto pulpare fino ad alcun punto
definito, ma dalla sua amputazione vicino al forame apicale.
Groove,12 in un articolo di pochi mesi
dopo, ribatteva che “dopo l’eruzione
l’apice radicolare è formato interamente
da cementoblasti e quindi l’estremità
della radice è formata interamente da
cemento. La polpa non si estende nella
zona composta da cemento. Se in quella porzione di canale fosse presente la
polpa, avremmo la formazione di dentina al posto del cemento. La polpa termi-
L’Informatore
Endodontico
Vol. 8, Nr. 1
2005
na pertanto alla giunzione cemento-dentinale e deve essere rimossa fino a questo
punto...”.
Secondo Groove, quindi, non si devono
lasciare frammenti di polpa nel canale
o porzioni di canale non trattate, ma
la preparazione canalare deve arrestarsi
alla giunzione cemento-dentinale, senza
andare oltre.
Sempre secondo Groove, non c’è dubbio
circa l’esistenza della giunzione cemento-dentinale, non c’è dubbio che la linea
di demarcazione è irregolare, ma non
è detto che tale irregolarità esista in
tutta la circonferenza del canale. “Dal
momento poi che la formazione di dentina precede la formazione del cemento,
è ovvio che vi debba essere una linea
definita di demarcazione tra i due tessuti”. “La presenza dell’irregolarità della
giunzione non significa che non sia pratico o che sia impossibile otturare alla
giunzione cemento-dentinale”. Pertanto,
per evitare di essere approssimativi, deve
essere scelto un punto ben preciso che
faccia evitare sia i sovrariempimenti che
i sottoriempimenti e, sempre secondo
Groove, l’unico punto sicuro è la giunzione cemento-dentinale.
Orban, 16 in un articolo immediatamente successivo apparso nello stesso
anno, nella stessa rivista e con lo stesso
titolo, in accordo con quanto scritto da
Coolidge e criticando Groove, afferma
invece che da un punto di vista pratico è
impossibile usare la giunzione cementodentinale come confine nella preparazione ed otturazione endodontica e che
quando questo si verifica, il più delle
volte è per puro caso.
Bisogna inoltre tenere presente che,
sempre da un punto di vista pratico, la
localizzazione della giunzione cemento-dentinale come sede della massima
costrizione apicale affidata alla sensibilità tattile può essere spesso ingannevole 4
anche se alcuni Autori sostengono il
contrario.23
In un articolo recentemente apparso in letteratura, infatti, Ricucci e
Langeland 19 affermano addirittura che,
premesso che la costrizione apicale non
può essere determinata clinicamente con
accuratezza e che è stata trovata anche a
3,8 mm dall’apice anatomico, la determinazione della sua sede deve essere affidata principalmente alla sensibilità tattile e giudicano l’utilizzo dei localizzatori
apicali assolutamente controindicato!
Secondo il parere dell’autore, questo è
quanto di più approssimativo si può
affermare! Fermarsi alla “costrizione”
basandosi sulla sensibilità tattile equivale a dire fermarsi dove gli strumenti arrivano perché semplicemente non
siamo in grado di farli procedere più
apicalmente. L’autore inoltre mette in
guardia il lettore nei confronti della
pericolosità di simili articoli reperibili in
letteratura. Articoli come questo, infatti, incoraggiano a lavorare in maniera
approssimativa e pertanto con risultati a
2
Figura 2
Il cemento radicolare può risalire
all’interno del canale, per cui la giunzione cemento-dentinale può essere
di difficile localizzazione anche istologicamente.
Figura 3
A parte gli odontoblasti, il tessuto
pulpare presenta le medesime caratteristiche sia prima che dopo aver
attraversato il forame apicale.
3
Pag. - 33
PROFILO DELL’AUTORE. Il Dr. Arnaldo Castellucci dal 1979 esercita la professione limitatamente
all’Endodonzia. Attualmente è Professore a Contratto di Endodonzia Clinica presso il Corso di Laurea in
Odontoiatria e Protesi dell’Università di Firenze. Past President dell’ IFEA e della SIE, è anche Active
Member della American Association of Endodontists (AAE) e della European Society of Endodontology
Figura 4
In questo caso la costrizione
apicale non corrisponde alla giunzione
cemento-dentinale, ma è più coronale,
dove le pareti canalari quasi si
toccano tra loro.
Figura 5
In questo caso la costrizione apicale
corrisponde alla presenza di una
calcificazione coronale rispetto alla
giunzione cemento-dentinale.
4
lunga scadenza del tutto imprevedibili.
La “costrizione” avvertita dagli strumenti può essere infatti dovuta alla presenza
di una calcificazione o di un restringimento del lume canalare più o meno
lontano dal reale termine dell’endodonto
(Figg. 4, 5), pertanto la sensibilità tattile usata per determinare la lunghezza
di lavoro è da considerarsi sicuramente
inaffidabile.17 E’ ben noto d’altra parte
come alla base di tutti gli insuccessi
endodontici esista sempre una preparazione e quindi un’otturazione corta 29
per cui la regola arbitraria per cui la
preparazione canalare deve terminare 1
o più millimetri corta è da considerarsi
inaccettabile nella moderna endodonzia,
in quanto predispone il caso al fallimento!3,15
Altrettanto ingannevole può essere la
risposta dolorosa sollecitata nel paziente. Una volta terminata la preparazione del canale e passata l’anestesia, o in
presenza di una polpa necrotica, infatti, alcuni operatori potrebbero pensare
che il paziente sia in grado di avvertirci
5
Pag. - 34
quando il nostro strumento raggiunge il
forame apicale e tocca i tessuti vitali circostanti. In realtà, la sensazione dolorosa
avvertita dal paziente nel primo caso
potrebbe essere dovuta alla pressione
idraulica che lo strumento determina
all’interno del canale, pur senza raggiungere il forame apicale. Nel secondo
caso, inoltre, la risposta dolorosa potrebbe essere sollecitata dal contatto con
del tessuto pulpare infiammato ma vivo
ancora presente all’interno del terzo apicale di un canale apparentemente necrotico.
Esistono inoltre casi in cui, in presenza
di polpa necrotica in un paziente ovviamente non anestetizzato, la prima risposta dolorosa da parte del paziente l’abbiamo quando il nostro strumento è già
parecchi millimetri oltre apice!
Skillen 24 infine sottolinea l’impossibilità, addirittura dal un punto di vista
istologico, di definire una netta linea
di demarcazione tra polpa da una parte
e membrana parodontale dall’altra, per
cui risulta impossibile, anche istologicamente, trovare un punto all’interno del
canale nel quale finisca il tessuto pulpare
e cominci quello parodontale.
In conclusione, sia per motivi istologici (completa irregolarità del confine
cemento-dentinale, mancanza di differenziazione del fascio vascolo-nervoso
pulpare prima e dopo il suo ingresso
nel forame apicale), sia per motivi clinici (impossibilità di poter identificare e
localizzare clinicamente tale giunzione
cemento-dentinale, inaffidabilità della
sensazione tattile di massima costrizione
apicale, inaffidabilità della sensazione
dolorosa del paziente), anche se sarebbe
auspicabile riuscire ogni volta a terminare la preparazione e l’otturazione canalare a livello della giunzione cementodentinale, ciò è purtroppo impossibile.
Altri ricercatori fanno allora uso di for-
(ESE). Relatore di fama internazionale, è autore del testo “Endodonzia”, è direttore responsabile del
Giornale Italiano di Endodonzia, è Direttore Responsabile e Scientifico della rivista “L’Informatore
Endodontico”, è fondatore del Centro per l’Insegnamento della Micro-Endodonzia, con sede in Firenze, dove
insegna e tiene corsi teorico-pratici di Endodonzia Clinica e Chirurgica al microscopio.
L’Informatore
Endodontico
Vol. 8, Nr. 1
mule matematiche e statistiche per localizzare tale giunzione, ma anche questo
metodo non può considerarsi rigoroso,
in quanto pecca anch’esso di approssimazione e di arbitrarietà.
Quando Kuttler 13 afferma che lo spessore “medio” del cemento apicale è di
0,5 mm e pertanto la preparazione e
l’otturazione canalare devono fermarsi
a 0,5 mm dal forame, ammette in altre
parole che seguendo questa metodica,
alcune volte si è lunghi mentre altre si è
corti rispetto alla giunzione ed al punto
di arresto ideale.
Secondo Stein e Corcoran,27 Kuttler ha
studiato la distanza media tra i diametri
maggiore e minore del forame apicale
in 268 denti. Ha trovato che la distanza
media è di 0,507 mm in pazienti tra i 18
e i 25 anni e 0,784 mm in pazienti dai
55 anni in poi.
Secondo Green 11 il punto di massima
costrizione apicale si troverebbe in media
a 0,75 mm dal forame.
In un recente articolo, Rosenberg 20
afferma che la distanza che dovrebbe
essere sottratta dall’apice radiografico è
basata su studi in cui è stata misurata
la distanza media tra il forame apicale
e l’apice radiografico. Dopo di che si è
determinata la differenza media con una
deviazione standard. Il problema con
questa tecnica approssimativa è che i
denti che noi trattiamo non sono una
media, ma sono unici.
Un’altra considerazione che può essere
fatta è la seguente: se un operatore non
va al forame per poi decidere di stare
corto da esso di 0,5 o 1 mm, come fa a
sapere di essere esattamente 0,5, 1 o più
millimetri lontano dal termine del canale? A questo mondo, per conoscere la
distanza da un punto ad un altro bisogna
misurare da quel punto a quell’altro.
Secondo Pecchioni, 18 considerando lo
spessore medio del cemento e del lega-
mento alveolo-dentario, è bene che la
preparazione e l’otturazione canalare si
arrestino a 0,5-1 mm dall’apice radiografico per avere la sicurezza di lavorare fino all’apice endodontico, cioè alla
giunzione cemento-dentinale.
Da tutto ciò si può dedurre che la distanza dalla quale ci dovremmo tenere
dal forame apicale varia a seconda delle
diverse scuole.
Secondo altri Autori, ancora, la preparazione e l’otturazione canalare dovrebbero essere eseguite leggermente corte
rispetto al forame apicale anche per un
altro motivo e cioè per la mancata corrispondenza tra apice radiografico e apice
anatomico.
Secondo il parere dell’Autore, esiste a
questo punto molta confusione sui termini che vengono usati.
Per Apice Anatomico 1 (chiamato anche
Apice Geometrico) si intende la punta o
vertice della radice, determinata morfologicamente.
Per Apice Radiografico 1 s’intende l’apice
anatomico visto in radiografia.
Per Forame Apicale 1 s’intende l’apertura del canale radicolare sulla superficie
esterna della radice, apertura che non
coincide necessariamente con l’apice anatomico, a seconda della curvatura apicale
del canale radicolare.
Visto che la giunzione cemento-dentinale non può essere scelta come termine
della preparazione ed otturazione canalare perché clinicamente, oltre che istologicamente, impossibile da determinare,
visto che la scelta di stare corti è una
scelta abbastanza arbitraria e soggettiva
(0,5-0,75-1 fino a 3 mm a seconda dell’Autore che l’operatore decide di seguire), risulta necessario dover stabilire un
altro punto di riferimento per la determinazione della lunghezza di lavoro dei
nostri strumenti.
Secondo Schilder 22 la preparazione e
Pag. - 35
2005
Alcune considerazioni in tema di “Lunghezza di lavoro”
l’otturazione canalare devono essere eseguite fino al “termine radiografico del
canale”, intendendo come tale il punto
in cui radiograficamente il canale incontra il profilo della radice. Questo porta
alle seguenti considerazioni:
- la sua determinazione non è arbitraria
o soggettiva e non è dettata dalle statistiche;
- è facilmente riconoscibile clinicamente da operatori anche di scuole diverse,
attraverso la semplice osservazione di
una radiografia intra-operatoria correttamente eseguita;
- nel 50% dei casi 6,11 il canale termina
all’apice anatomico o geometrico o
vertice della radice e quindi è riconoscibile radiograficamente, pertanto
usare il termine radiografico del canale
in questi casi non comporta né sovrastrumentazione né sovrariempimento;
- nel caso in cui l’emergenza del canale non sia all’apice geometrico della
radice ma in posizione laterale, essa
sarà sempre riconoscibile radiograficamente se situata in posizione mesiale o
distale, come molto spesso accade 5,14,28
(40%circa);
�������
�
Figura 6
In uno studio di Dummer, la distanza
media tra il forame apicale e l’apice
anatomico (sempre visibile radiograficamente) è di 0,38 mm.
A. Forame apicale. B. Apice anatomico.
A-B: distanza tra il forame e l’apice
anatomico misurata sulla superficie
esterna della radice.
Pag. - 36
6
�
- nel caso invece in cui il forame sia spostato in posizione vestibolare o linguale, è ovvio che non sarà riconoscibile
radiograficamente e la strumentazione al termine radiografico del canale,
in questi casi, comporterà una sovrastrumentazione di qualche frazione di
millimetro, dato che esiste una certa
distanza, non valutabile radiograficamente, tra vertice della radice e forame apicale. Tale distanza, misurata
da Dummer 9 sulla superficie esterna
della radice in un gruppo di 270 denti
comprendenti incisivi, canini e premolari, sia mascellari che mandibolari,
è risultata essere in media 0,38 mm!
(Fig. 6).
Un recente lavoro di Olson e coll.15 condotto su 305 canali radicolari sia anteriori che posteriori, ha inoltre dimostrato che il forame apicale può essere
localizzato accuratamente con il solo
esame radiografico correttamente eseguito (tecnica dei raggi paralleli) in ben
l’82% dei casi. I canali nei quali non era
possibile la localizzazione radiografica esatta erano rappresentati dai canini
superiori per il 50%, dai molari superiori per il 25% e dagli incisivi centrali
superiori per il 23%.
Una ricerca condotta dall’Autore 5 su
227 denti per un totale di 342 canali
ha portato a conclusioni ancora più confortanti. Lo studio è stato condotto su
denti estratti da mascellari e mandibole
secche: è stata eseguita la cavità d’accesso, è stata introdotta una lima in ciascun
canale fino a vedere allo stereomicroscopio la punta dello strumento affacciarsi
al forame apicale (Fig. 7 C), è stata bloccata la lima a quel livello con materiale
indurente (resina acrilica) e infine i denti
sono stati reinseriti nei rispettivi alveoli
per una valutazione radiografica (Figg.
7 A, B). I risultati della ricerca sono
mostrati nella figura 8. Nelle categorie
L’Informatore
Endodontico
Vol. 8, Nr. 1
2005
7b
7a
A e B la punta della lima, precedentemente posizionata al forame apicale, era
visibile radiograficamente esattamente a
contatto con il profilo esterno della radice e pertanto poteva essere accuratamente vista in radiografia. Nella categoria A
(48%) la lima appariva uscire all’apice
radiografico, mentre nella categoria B
(40,9%) la lima sembrava uscire sulla
superficie radicolare mesiale o distale.
Nella categoria C infine la lima appariva radiograficamente corta rispetto al
profilo della radice. Ciò dimostra che nel
48% dei casi il forame apicale è all’apice
anatomico (e pertanto è localizzabile
radiograficamente), nel 40,9% dei casi
l’emergenza del canale è in posizione
mesiale o distale (e pertanto è ancora
riconoscibile radiograficamente) e infine
solo nel 11,1% dei casi il forame è sulla
superficie vestibolare o linguale della
radice (e pertanto non è visibile radiograficamente) (Tab. I).
Le conclusioni che possiamo trarre da
tutto ciò sono le seguenti:
1° - Nell’88,9% dei casi è possibile
determinare radiograficamente con esattezza la sede del forame apicale.
2° - Se si vuole considerare approssimativa la scelta del termine radiografico del
canale (dato che ciò talvolta comporta
una preparazione ed una otturazione leg-
Figura7
A, B. I denti di questo cranio e di
queste mandibole sono stati estratti,
è stata preparata la cavità d’accesso,
sono stati posizionati gli strumenti
esattamente al forame apicale sotto
controllo allo stereomicroscopio a 64
ingrandimenti (C), sono stati bloccati
a quella profondità con resina acrilica,
dopo di che i denti sono stati reinseriti nei rispettivi alveoli per la valutazione radiografica eseguita con tecnica
dei raggi paralleli.
7c
164
140
48,0
38
%
40,9
%
11,1
%
A
B
Tab 1
C
Tabella I
La ricerca dimostra che nell’88,9%
dei casi il forame apicale è localizzabile radiograficamente e che solo
nell’11,1% dei casi è necessario restare “radiograficamente corti” e utilizzare “l’apice elettronico” come punto
di riferimento della nostra lunghezza
di lavoro.
germente oltre apice), essa non può essere considerata più approssimativa della
scelta di restare 0,5 mm o 0,75 mm o 1
mm corti rispetto all’apice radiografico
o addirittura di più, come sostengono
alcuni.19
Il risultato di tale scelta porta spesso al
mancato trattamento di una porzione di
Pag. - 37
Alcune considerazioni in tema di “Lunghezza di lavoro”
Parte I. Il limite della preparazione canalare
8
Figura 8
Radiograficamente, gli strumenti potevano apparire in posizione
A: se il forame era all’apice anatomico
e pertanto all’apice radiografico, ovverosia se il canale era diritto;
B: se il forame si apriva mesialmente o
distalmente, perché il canale curvava
in quella direzione;
C: se il forame si apriva vestibolarmente o lingualmente/palatalmente,
perché il canale curvava in quella
direzione.
Dal momento che gli strumenti
erano stati bloccati al forame sotto
controllo a forte ingrandimento, non
potevano esserci canali con strumenti
fuori apice.
9a
canale ben più ampia e all’intasamento
del forame apicale. D’altra parte, tale
scelta non mette al riparo da un’eventuale sovrastrumentazione, con conseguente
sovrariempimento, di quei casi limite in
cui l’apertura del forame apicale dista
numerosi millimetri dall’apice anatomico (Fig. 8).
Secondo il parere dell’Autore, pertanto,
è da preferirsi una tecnica che adotta,
come punto cui riferire la lunghezza
di lavoro degli strumenti, il termine
radiografico del canale, pur sapendo che
talvolta (è cioè l’eccezione e non la rego-
9b
Pag. - 38
9c
la) questo comporterebbe un’otturazione
che sporgerebbe al di là del forame di
qualche frazione di millimetro. In ciò
siamo confortati dal fatto che un piccolo
eccesso di materiale da otturazione in un
canale tridimensionalmente riempito è
irrilevante e ben tollerato dall’organismo, come dimostrato da studi compiuti
da numerosi Autori.2,8,10,21,25,26
Anche in questi ultimi casi, tuttavia,
(cioè nell’11,1 % dei casi del precedente
studio), non si eseguono preparazioni
ed otturazioni “lunghe”, in quanto gli
attuali localizzatori elettronici apicali
ci informano sulla reale posizione del
forame apicale e quindi sulla corretta
lunghezza di lavoro.
Pertanto possiamo senza dubbio affermare che oggi il punto cui fare riferire
la profondità apicale della nostra preparazione ed otturazione è rappresentato
dall’“apice elettronico”, che coincide in
circa il 90% dei casi con il temine radiografico del canale.
Inoltre, visto che la causa degli insuccessi in endodonzia è rappresentata da
batteri lasciati in una porzione di canale
non detersa e non sigillata, visto che il
canale termina al forame apicale, visto
che il forame si può aprire su qualunque
versante dell’apice radicolare, che senso
9d
L’Informatore
Endodontico
Vol. 8, Nr. 1
ha prendere come punto di riferimento
per la lunghezza di lavoro un punto scelto arbitrariamente più o meno lontano
da qualcosa (apice radiografico) e che
può NON avere niente a che fare (Fig.
9) con il reale termine del canale?
Come si spiega poi il fatto che restando
“corti” nei denti vitali, il moncone pulpare a contatto con il materiale da otturazione rimane vivo e vitale per sempre,
senza andare incontro ad alcuna infiammazione, mentre lo stesso materiale, se
spinto fuori apice, è causa di infiammazione, di granuloma da corpo estraneo
e alla fine del fallimento endodontico?
Lo stesso Groove,12 che era favorevole al
concetto della giunzione cemento-dentinale, all’inizio dello scorso secolo diceva:
“Ho dei grossi dubbi sul fatto che lasciare 2 o 3 millimetri di tessuto pulpare al
termine del canale porti al successo delle
nostre terapie. Molto facilmente questo
moncone pulpare va incontro ad atrofia
ed i risultanti prodotti di putrefazio-
9e
2005
ne passano attraverso il forame apicale
nei tessuti periapicali, causando infezione. Non vedo alcuna giustificazione per
poter lasciare intenzionalmente del tessuto pulpare, in quanto non c’è alcuna
ragionevole assicurazione che la terapia
avrà successo.
L’unica giustificazione che l’autore del
presente articolo vede allo stare corti è
che così facendo ci si rende la vita molto
più facile, in quanto in Endodonzia tutte
le difficoltà risiedono negli ultimi 1 o 2
millimetri apicali.
Infine, volendo elencare i vari metodi
a nostra disposizione per calcolare la
corretta lunghezza di lavoro, non si può
non prendere in considerazione quello
che forse può sembrare il più empirico
ma che sicuramente è il più attendibile
di quelli fino ad ora menzionati, sicuramente quello di più facile attuazione, e
che è rappresentato dal punto di costante
asciugatura del canale, misurabile come
il più estremo punto asciutto del cono di
9f
Figura 9
A. La radiografia mostra una delle
mandibole della ricerca. Nel primo
premolare inferiore di sinistra lo strumento è esattamente al termine radiografico di uno dei due canali, mentre
nel secondo premolare lo strumento
è visibilmente corto. B. La radiografia
mostra sulla scala millimetrata che lo
strumento è corto di oltre due millimetri rispetto all’apice radiografico. C.
Radiografia dello stesso dente estratto.
D. Radiografia del medesimo dente in
proiezione mesio-distale. Lo strumento
è al forame che si apre sulla superficie
vestibolare della radice e che pertanto
non è evidenziabile con le normali
proiezioni radiografiche. E, F. Si noti di
quanto lo strumento dovrebbe estrudere oltre apice per essere all’apice
radiografico. Ma che senso avrebbe in
un caso come questo fermarsi a 0,5
mm dall’apice radiografico?
Pag. - 39
Alcune considerazioni in tema di “Lunghezza di lavoro”
Parte I. Il limite della preparazione canalare
Figura 10
La radiografia mostra molto bene
quanto è assurdo usare l’apice radiografico (A) come punto di riferimento
per la lunghezza di lavoro, soprattutto
quando esso non ha niente a che fare
con la reale sede del forame apicale
(B), reale termine del canale radicolare, punto in cui devono realmente
terminare le nostre preparazioni ed
otturazioni. In questo caso la terapia è
stata eseguita al termine radiografico
del canale ma nello stesso tempo è
lontana almeno 3 millimetri dall’apice
radiografico!
10
carta. Se esistono dei dubbi con i metodi
precedenti (radiografia, localizzatore apicale, sensibilità tattile) quello sul quale
possiamo sicuramente fare affidamento è
il punto di asciugatura del canale misurato sul cono di carta.20
Il giorno in cui sarà disponibile uno
strumento in grado di localizzare clini-
camente la giunzione cemento-dentinale e quindi di farci terminare in quel
punto la strumentazione e l’otturazione canalare, non ci sarà più motivo di
discutere se è meglio restare uno o più
millimetri corti o rischiare di essere
talvolta qualche frazione di millimetro
lunghi, ma saremo tutti concordi nello
scegliere quello come punto di arresto
del nostro trattamento, dato che lì esiste
la massima costrizione apicale, lì termina l’endodonto mentre al di là siamo nel
parodonto, e saremo sicuri di ottenere
sempre il successo non solo clinico, ma
anche biologico, dei nostri trattamenti.
Quel giorno però, purtroppo, è ancora
molto lontano.
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ENDODONTISTS: Glossary. Contemporary
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2) - BERGENHOLTZ, G., LEKHOLM, U.,
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Pag. - 41
2005
Come trattare gravi curvature
canalari e ostacoli apicali
Un caso endodontico
L. Stephen Buchanan,
DDS, FICD, FACD
Paura e aspettativa: erano le due sensazioni contrastanti che provai guardando
la radiografia preoperatoria che il mio
socio mi porgeva.
“Cosa ne pensi? È un caso di cui vorresti
occuparti?” mi chiese Jack.
“Beh!” risposi. “Immagino che dovrei
fare più attenzione a ciò che chiedo, ma
sì, se riesco a risolverlo, questo è decisamente un caso da presentare durante le
mie lezioni. Inseriamolo nel programma.
Devo ringraziarti... credo.”
Ero stato così impegnato con le lezioni
che non riuscivo a dedicarmi alla professione per più di uno o due giorni la
settimana. A questo ritmo, non avevo
abbastanza pazienti per raggiungere un
numero significativo di casi, necessari
per aggiornare la mia presentazione “Art
of Endodontics”. L’ultima cosa che volevo era dare a qualcuno dei miei allievi
l’impressione che avessi smesso di esercitare. Così avevo chiesto al mio socio Jack
Sturm, che trascorre ben quattro giorni
alla settimana in studio, se potessi avere
qualche caso insolito che gli fosse capitato recentemente.
Lettura della radiografia
Esaminando la radiografia, la prima cosa
che mi ha colpito è stata la radice distale malamente attorcigliata (Fig. 1). È
abbastanza comune che le radici distali
dei molari inferiori presentino curvature
Figura 1
Radiografia preoperatoria del primo
molare inferiore che mostra una
curvatura accentuata ma graduale
della radice mesiale e un brusco attorcigliamento della radice distale a 3
mm dall’apice. Si noti come la lesione
associata con questa radice circonda
la regione apicale curvata, allargandosi
sul suo aspetto coronale. La forma e la
posizione di questa radiotrasparenza
annunciano l’anatomia canalare contenuta in quella radice.
Pag. - 4
1
distali, ma questo caso appariva insolito
poiché la radice era piegata in corrispondenza della congiunzione dei suoi terzi
medio e apicale, a quasi 3,5 mm dall’apice, e non sulla punta come accade
di solito. Era anche preoccupante vedere
che il canale diminuiva di dimensioni
in corrispondenza dell’attorcigliamento
– un chiaro segno di ramificazione.
In secondo luogo, notai l’ampia e accentuata curvatura della radice mesiale. Vidi
due contorni del legamento parodontale
dalla cresta ossea mesiale fino alla regione apicale, che indicavano una radice
molto ampia con forse due apici separati. La posizione della lesione apicale
associata a quella radice indicava che
poteva contenere canali con un angolo
di curvatura maggiore di 90°. Era la più
ardua sfida professionale che mi fossi
trovato di fronte negli ultimi due anni.
Visita
Eseguii la visita del paziente, durante la
quale mi resi conto che la situazione dal
punto di vista parodontale e restaurativo
erano ideali. Il dente era asintomatico e
dal test di vitalità la polpa era risultata
necrotica, come mi aspettavo. La camera
pulpare era nascosta dalla corona d’oro,
ma gli orifizi canalari presentavano un
diametro di dimensioni soddisfacenti,
così non prevedevo serie difficoltà di
accesso. Dal punto di vista medico non
c’erano controindicazioni al trattamento, il paziente era un ragazzo simpatico
che si sentiva a suo agio nell’ambiente
odontoiatrico e acconsentì rapidamente
al trattamento che gli raccomandavo.
Naturalmente, lo avvisai che in un caso
come il suo, le probabilità che l’intervento non riuscisse erano piuttosto alte
e gli prospettai l’eventualità di un’otturazione retrograda effettuata chirurgicamente nelle zone del canale che non fossi
riuscito a trattare.
L’Informatore
Endodontico
Vol. 8, Nr. 1
2005
Prima seduta di trattamento
Durante la visita successiva, ho somministrato al paziente una fiala e mezzo di
lidocaina con adrenalina 1:100.000 per
indurre il blocco del nervo mandibolare
secondo la tecnica Gow-Gates, e mezza
fiala di Septocaina (Septodont) per infiltrazione vestibolare. L’iniezione eseguita
con la tecnica Gow-Gates ha quasi sempre effetto immediato e la Septocaina,
con la sua eccezionale capacità di insinuarsi attraverso lo spesso osso corticale,
anestetizza facilmente tutte le innervazioni accessorie fino a raggiungere gli
apici radicolari di tutti i molari inferiori. Non uso mai Septanest per l’anestesia
tronculare, perché quando viene iniettata in prossimità dei tronchi nervosi,
essa tende a causare una parestesia permanente.
Posizionata la diga di gomma, la cavità
d’accesso è stata eseguita facilmente, grazie all’utilizzo delle frese LA Axxess™
(SybronEndo). Dopo aver eseguito un
accesso iniziale con una fresa chirurgica
a rosetta al carburo di tungsteno n° 4,
la punta pilota allungata e l’estremità
a forma di parabola di queste frese diamantate (Fig. 2) permettono di preparare circa il 90 % della cavità, portandola
alle dimensioni ideali in circa un minuto, senza dover controllare nient’altro se
non l’angolazione della fresa.
E’ utile lavorare sotto irrigazione per
rimuovere facilmente i detriti e utilizzare delle frese molto taglienti, senza
rinunciare ad avere un perfetto controllo. Ciò è possibile per il fatto che
la punta pilota si comporta come una
punta per fresatrice nel suo viaggio guidato intorno al perimetro della camera
pulpare. Poiché la punta pilota ha un
diametro di soli 0,2 mm, è facile inserirla in orifizi canalari anche piccoli per
creare una forma ad imbuto che guiderà ogni strumento in ciascun canale.
Angolando la fresa, si ottiene una più
profonda penetrazione nei canali, dopo
di che un’estremità della fresa viene sollevata facendo perno sulla punta pilota,
finché la cavità non è in asse in maniera ideale per le successive procedure di
sagomatura.
Ho quindi riempito la cavità d’accesso
con il lubrificante ProLube (Dentsply/
Tulsa), utilizzando il dispenser monodose. Poiché questo dente era necrotico,
c’erano meno possibilità di bloccare il
canale con del tessuto pulpare vitale,
tuttavia accade spesso che casi risultati
non vitali e con lesioni apicali presentino
residui pulpari vicino alla porzione apicale. Inoltre, date le curvature esagerate
di queste radici, il minimo arresto sarebbe stato imperdonabile, per cui pensai
che non avrebbe avuto senso sfidare il
fato facendo a meno del lubrificante.
Sono fortemente convinto dell’assoluta
necessità di riempire la camera pulpare
con un lubrificante prima della strumentazione iniziale di qualsiasi sistema canalare. Una volta che gli studenti del corso
di laurea in odontoiatria hanno appreso
questa tecnica, passano mesi senza che
in clinica si verifichi un solo caso di
intasamento del canale e, per quanto mi
riguarda, l’uso di un lubrificante è stato
una delle cose più semplici ed efficaci
che ho aggiunto alle mie procedure. Tra
l’altro, rivestire con il lubrificante le
2
Figura 2
La fresa diamantata LA Axxess con
la sua punta pilota di 2 mm di diametro e la forma parabolica al termine
dell’area di taglio dello strumento.
La punta pilota si comporta come
la punta di una fresatrice e la rapida
conicità della porzione tagliente crea
una svasatura imbutiforme a livello
degli orifizi canalari.
Pag. - 5
PROFILO DELL’AUTORE. Il Dr. Buchanan si è diplomato presso l’American Board of
Endodontics ed è membro dell’International College of Dentists e dell’American College of
Dentists. È Assistant Clinical Professor presso il Corso di Laurea in Endodonzia della USC
School of Dentistry di Los Angeles. I dentisti interessati alla sua serie di videocassette “The
Art of Endodontics” e ai suoi corsi pratici a Santa Barbara, California, possono chiamare
lime per il sondaggio scanalare, semplicemente appoggiandole sul blocchetto di carta, non è altretttanto efficace
quanto l’effetto di pompaggio ottenuto riempiendo di lubrificante l’intera
camera pulpare. L’unica ragione per cui
alcuni miei studenti talvolta si rifiutano
di riempire la cavità d’accesso (ovviando
alla noiosa necessità di rivestire ogni
lima con cui stanno sondando i canali) è
perché la loro preparazione della cavità
d’accesso è inadeguata. In questo caso
risulta difficile inserire le lime negli
orifizi canalari completamente coperti e
quindi nascosti dal lubrificante.
Sono entrato inizialmente nel canale
distale con una lima K n°10 e non mi
ha sorpreso incontrare un ostacolo (Fig.
3). Raramente effettuo una radiografia
per la determinazione della lunghezza di lavoro poiché, per questo scopo,
mi fido del mio localizzatore apicale
Root ZX (J. Morita) più che della radiografia. Ad ogni modo, appena sospetto
una situazione insolita, effettuo sempre una radiografia durante le fase di
strumentazione. In questo caso, lo strumento non andava da nessuna parte vicino all’apice né in direzione del versante coronale della curva radicolare, così
l’ho estratto, ho preso una lima K n°
08, ne ho curvato la punta (Fig. 4) con
una pinza EndoBender (SybronEndo),
ho girato lo stop a goccia in direzione
della curva e l’ho inserita nel canale.
Indirizzando la curvatura della lima
in direzione distale, sono riuscito ad
avanzare nel canale più di quanto avessi
potuto in precedenza, così ho collegato
al gambo della lima la clip del localizzatore apicale, che mi ha dato una
lettura “lunga”. Questo mi ha sorpreso,
poiché non avevo ancora raggiunto la
lunghezza stimata. Ho effettuato un’altra radiografia (Fig. 5) e ho visto che la
lima si piegava con un angolo di circa
160° in direzione della lesione coronale! Interessante, ma non avevo ancora
sondato gli ultimi 2,5 mm della radice,
così sapevo che c’era dell’altro da scoprire. Dopo vari tentativi di scendere più
apicalmente, precurvando nuovamente
la lima ogni volta e cercando di spingermi oltre le prime 2 traiettorie canalari,
esasperato, decisi di esplorare i canali
mesiali.
Una nuova lima K n° 08 non precurvata
scivolò facilmente (il lubrificante riempiva ancora la cavità d’accesso) nel canale mesiovestibolare, fino a raggiungere
la lunghezza indicata dal localizzatore
apicale, ruotandola in senso orario-antiorario ed esercitando una leggera pressione apicale ed estraendola più volte per
disimpegnarla ogni volta che incontrava
resistenza. Ho appoggiato lo stop alla
sommità della cuspide mesiovestibolare,
ho estratto la lima dopo averla inserita
Figura 3
La radiografia mostra una lima n°
10 nel canale radicolare distale che
incontra un ostacolo.
Figura 4
La pinza EndoBender con una lima K
dalla precurvatura ideale. Da notare la
curva graduale in corrispondenza dell’ultima lama, necessaria quando si ha
a che fare con delle irregolarità apicali.
Pag. - 6
3
4
il numero 805 999 4529. Per informazioni relative a questo articolo, potete visitare il sito
www.endobuchanan.com. Al suo interno troverete inoltre aggiornamenti sui prodotti GT e
risposte alle Frequently Asked Questions divise per argomenti. Chi desideri rivolgere domande
su casi particolarmente complessi può chiamare il numero 800 528 1590.
L’Informatore
Endodontico
Vol. 8, Nr. 1
fino a 1 mm oltre apice, in modo da
stabilire la pervietà del forame e sono
quindi rientrato con una lima K n° 10.
Stesso risultato. Quando poi ho tentato di inserire una lima K n°15 fino
alla stessa lunghezza, mi sono accorto
che scendeva con maggiore difficoltà
ed opponeva resistenza ad un ulteriore avanzamento, fermandosi a circa 1,5
mm dalla lunghezza di lavoro. Invece di
insistere con la n°15 o lavorare con una
n°10 muovendola avanti e indietro per
40 volte, ho eseguito l’allargamento del
canale con la tecnica step-back.
Ho usato una lima in nichel-titanio n°
20 (Lexicon, Dentsply/Tulsa) con due
cicli di taglio secondo la tecnica delle
forze bilanciate, ho confermato la pervietà con una lima K n° 10 andando
oltre apice di 1 mm, dopo di che è stato
facile raggiungere la lunghezza di lavoro
con una lima n° 15.
La preparazione del canale mesiolinguale
è stata eseguita in maniera praticamente
identica e ho effettuato una radiografia
con due lime K n° 15 inserite in ciascun
canale (Fig. 6). Il canale mesiovestibolare presentava un grado di curvatura
pari a circa 45° in direzione distale nei
due terzi coronali e una leggera curvatura in direzione opposta (mesiale) in
prossimità della parte apicale. Il canale
mesiolinguale presentava una curvatura
pari a circa 130° che diveniva più seria
2005
man mano che si avvicinava al forame.
Ho rimosso il ProLube con la mia siringa aria/acqua, in modo che la diga non
si riempisse di schiuma al momento di
usare l’ipoclorito di sodio. Ho quindi
irrigato ogni canale con ipoclorito di
sodio ed ho incaricato la mia assistente
di mettere un set di lime GT Rotary
Serie 20 (Dentsply/Tulsa) alla misura del
canale mesiale più corto.
Come sempre, ho iniziato a sagomare
ciascun canale con la lima GT 20/.10
usando una leggera ma ferma pressione apicale e impostando 300 giri al
minuto e un limite di torque pari a 275
Newton/cm sul monitor di controllo del
mio manipolo DTC Aseptico™. Con
questa lima ho eseguito tre cicli di taglio
in ciascun canale, facendo attenzione a
rimuoverla al primo accenno di blocco
(la lima ruotava senza avanzare apicalmente), l’ho quindi ripulirta dei residui
di dentina accumulatisi tra le lame e
poi l’ho inserita nuovamente. La lima
20/.10 ha lavorato all’interno del canale
mesiovestibolare per una profondità di
4mm prima di arrestarsi e, quando è
uscita, non aveva le lame piene di limatura dentinale – segno che era giunto
il momento di passare a lavorare con la
lima 20/.08 a conicità inferiore. Poiché
il canale mesiolinguale era più diritto
nei suoi due terzi coronali, la lima ivi
inserita è avanzata più in profondità in
Figura 5
La radiografia mostra una lima K n°
10 in una curvatura di circa 160° nel
canale distale. Si noti la posizione centrale di questa porta d’uscita rispetto
alla lesione d’origine endodontica.
5
6
Figura 6
La radiografia mostra le lime K n° 15
nei canali mesiali alle loro lunghezze di
lavoro. Si noti la doppia curvatura del
canale mesiovestibolare e la curvatura
di 130° del canale mesiolinguale.
Pag. - 7
Come trattare gravi curvature canalari e ostacoli apicali
Un caso endodontico
3 cicli di taglio, per una lunghezza di
circa 6 mm. La lima GT 20/.08, impostata alla stessa velocità di rotazione e
allo stesso limite di torque, è avanzata
due volte prima di arrestarsi nel canale
mesiovestibolare ed è riuscita a lavorare
in maniera significativa solo quando è
stata inserita nel canale mesiolinguale, a
causa della severa curvatura che vi aveva
incontrato. La lima GT 20/.06 (300 giri
al minuto e limite di torque pari a 175
Newton/cm) ha lavorato per due volte
nel canale mesiovestibolare e una volta
nel mesiolinguale prima di diventare
inefficace e richiedere di passare alla
lima GT 20/.04.
La lima 20/.04 ha raggiunto con facilità
la parte terminale del canale mesiovestibolare con 2 passaggi mentre, dopo
3 tentativi, non ne voleva sapere di
raggiungere la lunghezza di lavoro nel
canale mesiolinguale. Così ho rinunciato
e sono passato alla conicità successiva,
cioè ad una lima manuale in nicheltitanio con conicità .02, utilizzata con 3
cicli della tecnica delle forze bilanciate e
un tocco leggero. Una volta che la lima
K n° 20 ha raggiunto l’apice del canale mesiolinguale, la lima rotante GT
20/.04 ha fatto lo stesso con facilità.
Ho quindi irrigato i canali con la soluzione Smear Clear™ (SybronEndo) contenente EDTA al 17% per rimuovere
il fango dentinale mentre eseguivo la
determinazione del diametro del forame
apicale (gauging) e terminavo entrambe
le preparazioni. Ho ripulito entrambi
gli apici con una lima K n° 15 e la mia
lima K n° 20 in nichel-titanio ha raggiunto l’apice di entrambi i canali, mentre la n° 30 si è fermata 1,5 mm prima,
a causa della sottile sagomatura iniziale. I diametri dei forami di entrambi i
canali sembravano essere di 0,2 mm e,
tenendo conto delle curvature, ho scelto
la conicità .06 come obiettivo di sago-
Pag. - 8
matura finale per entrambi.
La lima GT 20/.06 ha lavorato senza
sforzo nel canale mesiovestibolare per
tutta la sua lunghezza ma si è arrestata nel canale mesiolinguale, così l’ho
estratta immediatamente ed ho preso
una lima GT manuale 20/.06 più adatta
a far fronte a quella curvatura del canale,
più pronunziata in direzione apicale.
Usando la tecnica delle forze bilanciate
con movimento inverso (le lime manuali GT hanno le lame disposte in senso
antiorario), la lima è arrivata facilmente alla lunghezza di lavoro nel canale
mesiolinguale con 2 cicli di taglio.
Sempre irrigando con EDTA, ho confermato la continuità della conicità apicale
in entrambi i canali dopo averli detersi
con una lima K n° 15 e mi sono accertato che la lima K n° 20 NiTi continuasse ad impegnarsi al forame. I canali
mesiali a questo punto erano sagomati!
Ho irrigato con ipoclorito di sodio, ho
asciugato tutti e 3 i canali con i coni
di carta, li ho riempiti con idrossido di
calcio usando una siringa TempCanal
(Pulpdent) e ho sigillato con cotone e
Cavit (Premier) la cavità d’accesso. A
questo punto ho potuto tirare un sospiro di sollievo. Comunque, stavo ancora
rischiando di perdere il caso.
Dopo aver rimosso la diga di gomma, ho
somministrato al paziente sei compresse
da 375 mg di Naprosyn (farmaco generico), gli ho fornito le consuete istruzioni postoperatorie e gli chiesto di tornare
2 settimane dopo per l’ultima (si spera)
seduta.
Seconda seduta
Ho praticato l’anestesia e l’isolamento
con la diga di gomma in maniera identica alla prima seduta. Ho quindi rimosso
l’otturazione temporanea in Cavit usando una fresa a rosetta n° 6 e tolto l’idrossido di calcio ivi collocato in precedenza
L’Informatore
Endodontico
Vol. 8, Nr. 1
irrigando i tre canali con ipoclorito di
sodio, utilizzando un ago Maxiprobe di
diametro 90 (Dentsply/Tulsa). Ho poi
utilizzato una lima K n° 10 per controllare la pervietà dei canali mesiali, andando alla lunghezza di lavoro e passandoci
attraverso e irrigando nuovamente con
ipoclorito di sodio. Nel canale distale ho
precurvato una lima K n° 08 che, superando una curvatura di 160° in direzione coronale, è arrivata alla lunghezza di
lavoro. Poi ho irrigato nuovamente con
ipoclorito di sodio.
Ho utilizzato il lubrificante ProLube per
riempire la cavità d’accesso in vista del
tentativo di sondare la porzione apicale
del canale distale. Ho impostato una
lima K n° 08 alla lunghezza del canale
accessorio che terminava in direzione
coronale e ne ho precurvato gli ultimi 2
mm, con un angolo di 90°. Ruotata in
direzione distale, la lima ha raggiunto la
lunghezza di lavoro. L’ho quindi orientata in direzione vestibolare e con estrema
attenzione l’ho estratta finché ho avvertito un piccolo urto, dovuto al fatto che
la lima uscendo dal canale accessorio,
urtava contro la parete del canale principale. Il trucco qui consisteva nel non
tirare troppo indietro la lima, onde evitare che si impegnasse contro l’ostacolo
esistente nella parte diritta più coronale.
Euforico, ma non per questo meno prudente, ho esercitato una leggera pressione, ho ruotato la lima in senso orarioantiorario, con un’angolazione compresa
tra i 60° e i 90°: la lima è scesa nel canale per circa un millimetro e si è fermata. Dopo aver trovato un preciso punto
d’appoggio, con attenzione ho inserito
ed estratto la lima per 10 volte tentando
un ulteriore avanzamento apicale. Non
è accaduto nulla, così ho aumentato la
pressione apicale sulla lima mentre la
ruotavo in senso orario-antiorario senza
successo. Ho estratto la lima e, dopo
2005
averla nuovamente precurvata, l’ho reintrodotta nella stessa maniera. Compiuto
un lieve progresso in direzione apicale,
ho nuovamente estratto la lima.
La mia prossima mossa consisteva nel
misurare, precurvare e posizionare una
lima K n° 06 nel punto problematico, una strategia che ha funzionato dal
momento che la lima è avanzata (ruotandola in senso orario-antiorario) di
altri 0,75 mm verso l’apice radicolare.
Quando la lima ha opposto resistenza ad
un ulteriore avanzamento, l’ho estratta.
Ho inserito le lime K n° 08 e n° 10 fino
al punto di impegno, al fine di creare un
maggiore spazio per la lima n° 06. Ho
nuovamente precurvato la lima K n° 06,
l’ho nuovamente posizionata nella zona
apicale ed essa è arrivata alla lunghezza
di lavoro, come indicato dal localizzatore
apicale (Fig. 7).
A questo punto s’impongono varie considerazioni. In primo luogo, le lime
endodontiche che si usano per sondare
i canali non vanno mai ruotate oltre
90° in senso orario: con traiettorie così
tortuose, si romperebbero all’istante.
Un movimento rotatorio in senso orarioantiorario tipo caricamento d’orologio o
un’attenta rotazione in senso antiorario
rappresentano soluzioni sicure ed efficaci. In secondo luogo, si può esercitare
una moderata pressione apicale durante
la rotazione in senso orario-antiorario
7
Figura 7
La radiografia mostra la lima K n° 06
scesa al di là dei due ostacoli coronali.
Si notino le due direzioni della curvatura del canale mentre questo termina
apicalmente.
Pag. - 9
Come trattare gravi curvature canalari e ostacoli apicali
Un caso endodontico
delle lime di dimensioni inferiori alla n°
15, dal momento che questi fragili strumenti si deformano facilmente prima
di fare un gradino in una parete canalare. Quando una lima si deforma, di
solito oppone resistenza al movimento
di estrazione. È il momento di rimuoverla e di precurvare ed inserire una
nuova lima. Infine, non vi è alcuna possibilità di insinuarsi in questo genere
di configurazioni canalari senza avere
preventivamente riempito di lubrificante la cavità d’accesso in modo da portare
costantemente il lubrificante fino alle
zone apicali.
Dopo essere arrivato con lo stop al punto
di repere, ho portato la lima n° 06 fino
a 2 mm oltre apice e l’ho fatta lavorare
con 20 o 30 movimenti di ampiezza
ridotta avanti e indietro, fino a che non
era completamente disimpegnata. La
lima n° 08 ha poi raggiunto la lunghezza di lavoro piuttosto facilmente e
così ha fatto la lima n° 10. Per consentire alla lima n° 15 di raggiungere la
lunghezza di lavoro ho dovuto lavorare
molto con tecnica step-back con le lime
K n° 20 e n° 25 in acciaio precurvate,
nonché fare una sagomatura iniziale con
tecnica di preparazione crown-down con
una lima rotante GT 20/.10 (lavorando
corto rispetto ai primi ostacoli). Come
sempre, ho tirato un sospiro di sollievo
quando la lima15 ha raggiunto la lunghezza di lavoro: il 90% delle incognite
del caso era stato risolto.
L’allargamento in sequenza step-back
con le lime K precurvate n° 20, n° 25
e n° 30 è stato portato a termine con 4
ricapitolazioni. Ogni volta che riutilizzavo i tre strumenti, il loro uso veniva
preceduto dall’utilizzo di una lima K
n° 10 inserita fino all’apice ed oltre, per
ripulire le pareti del canale e garantire
la pervietà apicale. Alla n° 10 ho fatto
seguire la n° 20 ruotandola in senso
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orario-antiorario fino al suo impegno
e poi tagliando la dentina durante il
movimento in uscita. Ho fatto lavorare
la lima per tre volte durante il movimento in uscita dopo la rotazione tipo
caricamento di orologio, prima di passare alla lima successiva di diametro maggiore. Di nuovo, dopo aver usato la n°
25 e la n° 30, ho confermato la pervietà
apicale con la n° 10 e ho ricominciato
la preparazione con la sequenza stepback, partendo dalla n° 20. Dopo ogni
ricapitolazione, ciascuna lima scendeva
più apicalmente e più vicino alla lima
precedente, terminando con la n° 20 che
raggiungeva la lunghezza di lavoro, la
n° 25 che si fermava ad 1 mm e la n° 30
che si arrestava a 2 mm.
A questo punto, i due terzi coronali e i
3 mm apicali del canale distale presentavano una forma conica ma tra queste
zone c’era una discontinuità di conicità. Per collegare queste 2 sagomature, la coronale e l’apicale, ho deciso di
usare una lima GT manuale, poiché una
lima rotante non avrebbe mai superato il
primo ostacolo.
Con una pinza EndoBender, ho utilizzato una tecnica che avevo appreso dal
dottor David Rosenberg. Ho stretto la
lima GT manuale in nichel-titanio con
la pinza, l’ho piegata formando un angolo di 180° e l’ho tirata con forza verso il
centro della pinza. Il dottor Rosenberg
mi aveva insegnato che, piegando esageratamente una lima NiTi, potevo vincere la sua memoria di forma e conferirle
una curvatura residua inferiore, compresa tra i 35° e i 60°, sufficiente per
superare l’ostacolo esistente nel canale
(Fig. 8).
Dopo aver precurvato la lima GT, ho
indirizzato lo stop verso la precurvatura.
Ho introdotto la lima nel canale, prima
con la curvatura in direzione distale per
superare il primo ostacolo, poi in dire-
L’Informatore
Endodontico
Vol. 8, Nr. 1
zione vestibolare per superare il secondo. Immediatamente dopo aver superato
l’imbocco del canale accessorio curvo in
direzione coronale, la lima si è impegnata nel canale principale. A questo punto
la precurvatura diventava irrilevante,
così la lima poteva essere ruotata senza
conseguenze e specificatamente con la
tecnica manuale delle forze bilanciate
con movimento inverso.
Ho ruotato la lima GT in senso antiorario (la direzione delle lame) finché si
è avvitata saldamente nel canale. Ho
esercitato una ferma pressione apicale
sull’impugnatura ed ho ruotato la lima
di 360° in senso orario. All’inizio, la
lima ha opposto una crescente resistenza, ma dopo l’iniziale rotazione di 180°,
si è allentata ed è ruotata facilmente,
effettuando il taglio della dentina. Ho
ruotato nuovamente la lima in senso
antiorario e poi inversamente in senso
orario di 360° con pressione apicale, per
farle eseguire il taglio nella dentina. Ho
eseguito tre cicli di rotazione e taglio
prima di rimuovere la lima dal canale
per pulirla. L’ho quindi precurvata nuovamente, l’ho introdotta al di là degli
ostacoli e ho lavorato ulteriormente nel
canale fino a raggiungere la lunghezza
di lavoro con la terza sequenza.
Ho introdotto a questo punto la lima K
n° 15 precurvata nel canale e attraverso
il forame e sono passato poi alla lima
K n° 20 precurvata, che si è impegnata
alla lunghezza di lavoro, confermando
così la continuità apicale della conicità.
Per rimuovere lo strato di fango dentinale creato dal taglio della dentina, ho
utilizzato come irrigante la soluzione di
EDTA. Infine ho usato una lima K n°
10 per confermare la pervietà apicale e
laterale ed ho irrigato con ipoclorito di
sodio: la sagomatura del canale distale
era completata!
Inserire i coni di guttaperca nei canali
8
2005
Figura 8
Lima manuale GT 20/.06 dopo un’accentuata precurvatura, eseguita per
vincere la sua memoria di forma. Ciò
è stato necessario – con lo stop a
goccia ruotato per indicare la direzione della precurvatura della lima – per
evitare gli ostacoli apicali e consentire
alla lima di lavorare nella porzione
apicale del canale distale.
mesiali è stato facile, malgrado le gravi
curvature, perché non c’erano impedimenti. Ho inserito in ciascun canale un
cono di guttaperca GT .06 fino al punto
d’impegno, li ho poi afferrati con delle
pinzette da medicazione (disposte a 90°
rispetto ai coni) leggermente appoggiate
a ciascun punto di repere e li ho quindi
estratti dai canali. Ho misurato ciascun
cono e l’ho tagliato in modo che arrivasse a 0,5 mm rispetto dalla lunghezza di
lavoro del rispettivo canale. La prova dei
coni dei canali mesiali era completata.
L’inserimento del cono di guttaperca
nel canale distale era un’altra storia. Il
primo cono che ho provato nel canale si
è deformato in corrispondenza del primo
ostacolo, così ho raffreddato un secondo
cono avvolgendolo in una garza imbevuta d’alcool per indurirlo, poi l’ho precurvato come una lima e ho fatto un tentativo di superare l’irregolarità. Niente
di fatto. Ho allora chiesto alla mia assistente di portarmi una tazza colma d’acqua fredda ed ho raffreddato un altro
cono, l’ho piegato e ho tentato di nuovo.
Niente di fatto. Dopo 7 o 8 tentativi, ho
deciso di passare ad un’altra strategia.
Mentre un canale ben sagomato è facile
riempirlo fino al suo termine lateralmente al cono introdotto, è praticamente impossibile riempirlo oltre l’estensione apicale dello stesso cono, per cui
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Come trattare gravi curvature canalari e ostacoli apicali
Un caso endodontico
Figura 9
La radiografia mostra il canale distale
otturato mediante un GT Obturator
20/.06 e i coni di guttaperca GT
inseriti nei canali mesiali. Da notare
il controllo apicale dell’otturazione,
così come il riempimento delle altre
due porte d’uscita. Il GT Obturator è
stato spinto avanti finché non ha urtato contro l’ostacolo.
Figura 10
Il nuovo strumento Elements con
combinati il System B e l’erogatore
di guttaperca calda (rispettivamente a
destra e a sinistra).
Pag. - 12
ho pensato di usare un GT Obturator
(Dentsply/Tulsa). Con la tecnica che utilizzo generalmente con i GT Obturator,
quando il carrier raggiunge la sua posizione finale 1 mm corto rispetto alla
lunghezza di lavoro, sulla sua punta
si trova una quantità di guttaperca e
cemento esattamente pari ad 1 mm. In
questo caso, però, avevo almeno 4 mm
di spazio al di là del primo ostacolo.
Così, dopo aver irrigato con alcool ed
asciugato il canale distale meglio che
potevo con i coni di carta GT, ho agito
in maniera opposta rispetto alla mia tecnica consueta.
Non ho rimosso 1,5 mm di guttaperca dalla punta del carrier, ho rivestito
letteralmente il canale con il Kerr Pulp
Canal Sealer con un cono di carta, non
ho eliminato il cemento in eccesso con
altri coni di carta e non ho posizionato
il GT Obturator lentamente nell’arco
di 6/7 secondi: dopo averlo riscaldato, l’ho spinto nel canale in 2/3 secondi, tutto questo allo scopo di spingere
oltre la punta del carrier una quantità
di cemento e guttaperca maggiore del
solito. Ho quindi introdotto nei canali
mesiali i coni precedentemente provati
e ho effettuato una radiografia (Fig. 9).
Wow! Tre porte di uscita erano state
otturate e la parte terminale dell’apice
era otturata fino alla lunghezza esatta:
un risultato sbalorditivo considerando
9
che il carrier si era fermato 4 mm prima,
in corrispondenza dell’ostacolo. L’unico
motivo di disappunto era la mancanza
di una fuoriuscita di cemento alla fine
del canale laterale più coronale (il primo
ostacolo). Ciò poteva significare che era
stato otturato leggermente corto.
A questo punto ho asciugato i canali
mesiali e ho confermato la loro lunghezza con i coni di carta GT. Ho allora posizionato i rispettivi coni con il cemento,
ho otturato i canali utilizzando i plugger precedentemente tarati del System B
(down-packing) ed ho completato l’otturazione (back-packing) con l’erogatore
di guttaperca dell’apparecchio System
B/Elements (SybronEndo) (Fig. 10). La
radiografia postoperatoria mostrava due
canali laterali riempiti nel canale mesiovestibolare (uno a metà della radice e
l’altro apicale) mentre il canale mesiolinguale mostrava una coppia di canali
accessori nel terzo apicale (Fig. 11).
Con grande sollievo, ho chiuso la cavità
d’accesso con cotone e Cavit, ho rimosso la diga di gomma ed ho effettuato
le radiografie finali. Sei mesi dopo ho
sottoposto il paziente ad una visita di
10
L’Informatore
Endodontico
Vol. 8, Nr. 1
2005
Figura 11
La Radiografia postoperatoria mostra
l’otturazione definitiva dei canali radicolari. Si notino i canali laterali a metà
della radice e in posizione apicale nel
canale mesiovestibolare e la curvatura
a S del canale mesiolinguale.
11
controllo, da cui è emerso che il processo
di guarigione era ormai ad uno stadio
avanzato (Fig. 12).
Conclusioni
Questo caso ha confermato molte cose
che già sapevo, vale a dire:
- precurvare le lime e usare stop direzionali è l’unico modo per trattare
un’anatomia canalare particolarmente
complessa
- le lime manuali GT sono uno strumento indispensabile per sagomare i
canali tortuosi
Disclosure: Il dottor Buchanan è detentore del
brevetto per il Sistema Endodontico GT prodotto e venduto da Dentsply. Detiene inoltre
il brevetto per la sorgente di calore System B
Heat Source ed è l’inventore della tecnica dell’Onda Continua di Condensazione così come
delle frese diamantate LA di SybronEndo.
12
Figura 12
Radiografia di controllo che mostra
un’eccellente guarigione a distanza di
6 mesi dal trattamento.
- la fortuna gioca un ruolo fondamentale
per la riuscita di molti interventi eccezionali.
Ma ho imparato anche qualcosa di
nuovo: ovvero che la tecnica di otturazione con i carrier può essere la soluzione migliore quando si ha a che fare con
degli impedimenti e come le varianti
presenti nel loro utilizzo possono essere
manipolate per allungare o accorciare il
materiale da otturazione che va al di là
del carrier.
Traduzione dell’articolo originale:
Managing severe canal curvatures and apical
impediments. An endodontic case study.
Dentistry Today, 24(4):124-131
Copyright © Dentistry Today Inc.
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