Paul Ricoeur e i tre maestri del sospetto «[...] nel momento stesso in cui i nostri tre maestri del sospetto, Marx, Nietzsche e Freud, trovano la loro convergenza positiva essi offrono alla fenomenologia del sacro e a ogni ermeneutica come meditazione del senso e come reminiscenza dell’essere la più radicale contrapposizione [...]». PAUL RICOEUR, Dell’interpretazione. Saggio su Freud (1965) «Per chi è cresciuto alla scuola della fenomenologia, della filosofia esistenzialista, del rinnovamento degli hegeliani e delle ricerche di tendenza linguistica, l’incontro con la psicanalisi costituisce uno choc considerevole. Quello che viene affrontato e messo in discussione infatti, non è l’uno o l’altro tema della riflessione filosofica, ma l’insieme del progetto filosofico stesso. Il filosofo contemporaneo incontra Freud nello stesso campo di interessi di Nietzsche e Marx; tutti e tre stanno davanti a lui come i protagonisti del sospetto, i penetratori degli infingimenti. Nasce con loro un problema nuovo, quello della menzogna della coscienza e della coscienza come menzogna». PAUL RICOEUR, II conflitto delle interpretazioni (1969) Paul Ricoeur (Valence, 27.02.1913, Châtenay Malabry, 20.05.2005), filosofo francese seguace di Karl Jaspers e Edmund Husserl, nel suo saggio Dell’interpretazione. Saggio su Freud (1965), il più importante di quella fase del suo pensiero che viene definita della svolta ermeneutica, definisce Marx, Nietzsche e Freud, «tre maestri che in apparenza si escludono a vicenda», i tre maestri del sospetto, perché hanno appunto sospettato che dietro ai fenomeni culturali e alle norme e idee morali si nascondessero meccanismi di altra natura, cioè interessi economici o desideri o pulsioni istintive. Essi hanno in comune l’attitudine a ricercarne l’autentico significato in una struttura profonda, nascosta alla coscienza del soggetto, e a smascherare pertanto come falsa scienza quella di origine cartesiana, proprio quella che avrebbe dovuto invece fugare ogni dubbio. Se la filosofia cartesiana ammetteva che, di fronte al dubbio sulla realtà, ci fosse comunque la certezza del pensiero umano (cogito ergo sum), i tre filosofi portano invece il dubbio all’interno di questa stessa certezza, di fatto annullandola. Comune a questi tre pensatori è infatti l’idea che la coscienza che l’uomo ha di se stesso non è in grado di cogliere la verità, che non vi è coincidenza immediata tra apparenza e struttura profonda della realtà, e che dunque occorra una «decifrazione» di tale coscienza. Essi criticano l’idea di un soggetto assoluto, razionalmente orientato, e di una coscienza razionale trasparente a se stessa, propri della tradizione cartesiana. Il positivismo, in quest’ottica, ne esce a pezzi: criticato apertamente da Nietzsche e Marx, scoprirà i suoi limiti anche con l’opera di Freud che, pur partendo da un ambiente positivista, finisce col portare l’attenzione sulla natura inconscia e quindi arazionale del comportamento umano. Karl Marx sostiene che non è la coscienza che determina la vita, ma è la vita che determina la coscienza: non sono le idee che cambiano la realtà, ma è la realtà economico-sociale che condiziona e determina le idee. Dunque anche le idee morali, in quanto prodotto storico e sociale, sono un riflesso delle condizioni della vita materiale: non vivono di vita propria ma sono le idee delle classi dominanti. Friedrich Nietzsche, annunciando la morte di Dio, proclama la crisi irreversibile del pensiero filosofico e della morale dell’Occidente. Attraverso il metodo genealogico egli compie un’opera di smascheramento delle motivazioni reali della condotta umana, al di là delle finzioni ipocrite con cui vengono oscurate e nascoste. Nel «mondo inferiore» le cose non sono quel che appaiono e le azioni che riteniamo ispirate a valori sono in realtà dettate dall’intenzione di procurarsi un piacere e di evitare il dolore. La morale, la religione, la metafisica occultano il fondamento essenzialmente egocentrico ed utilitaristico delle azioni dell’uomo e si propongono come forma di rassicurazione in quanto forniscono delle certezze: di qui l’alleanza dell’asceta e del santo contro il comune nemico inferiore, cioè le pulsioni del desiderio; e contemporaneamente le rinunce e i tormenti che accompagnano l’invenzione del peccato. Per Nietzsche la morale cristiana, che predica il dovere, l’obbedienza e l’uguaglianza, è solo una morale del risentimento dei deboli contro i forti. Sigmund Freud mette infine in discussione alcuni punti fermi della concezione tradizionale della morale. Per la psicoanalisi, l’Io è il campo di battaglia di forze potenti, in conflitto tra di loro, che spesso sfuggono al controllo della parte cosciente. Le esigenze morali nascono dal bisogno di controllare le pulsioni istintuali, aggressive, che minacciano di distruggere la società incivilita. Il Superio interiorizza i comandi e i divieti che genitori ed educatori rivolgono al bambino e che rispecchiano i valori della società, traducendoli in comando morale e in senso di colpa, che si manifesta come bisogno di punizione. L’etica appare pertanto come un «esperimento terapeutico» che, attraverso gli imperativi del Super-io, cerca di raggiungere quel risultato che non è possibile raggiungere in altro modo. Naturalmente, continua Ricoeur, «questi tre maestri del sospetto non sono altrettanti maestri di scetticismo»: ognuno, a modo suo, punta a una liberazione-estensione della coscienza. E a questo punto i tre pensatori divergono nell’individuazione sia della struttura profonda della realtà sia degli strumenti per accedervi. Secondo Marx è necessario ricercare nei concetti di ideologia, falsa coscienza, alienazione, sovrastruttura le espressioni di una rappresentazione “rovesciata” del mondo. Egli ritiene invece che l’esplicarsi dell’attività umana sia animata esclusivamente dalle sue necessità materiali, economiche, strutturali, e individua nella presa di coscienza da parte del proletariato la via per una trasformazione della realtà: essa potrà avvenire solo col cambiamento dei processi materiali di vita, del modo di produzione che caratterizza una data società. In tal senso la concezione di Marx sottende un’etica della liberazione del proletariato, attraverso la rivoluzione: liberazione dall’alienazione, che ha radici nella base economica capitalistica, nello sfruttamento dell’uomo sull’uomo attuato dai capitalisti, detentori della proprietà dei mezzi di produzione. Nietzche, con il suo nichilismo, evidenzia la fallacità delle convinzioni umane e la loro subordinazione alla volontà di potenza. Zarathustra, attraverso lo studio genealogico della morale, propone allora una radicale transvalutazione di valori, cioè una morale che sia fedele alla terra (non al cielo) e dica sì alla vita: la sua è però una morale aristocratica, un’etica dei migliori, di piena affermazione, forte e gioiosa, delle energie vitali dell’individuo, rivelata solo all’oltreuomo, capace di volere l’eterno ritorno dell’eguale. Infine Freud mette a nudo, con la scoperta dell’inconscio, la natura fragile e combattuta della coscienza umana e individua nella ricerca psicoanalitica la via per raggiungere un equilibrio psichico capace di alleviare il disagio dell’individuo e della società. Ricoeur, se da una parte condivide la critica di questi pensatori all’idea di una coscienza razionale trasparente a se stessa e fonte di ogni certezza, d’altro lato non ritiene che il semplice richiamo a una struttura profonda possa esaurire e risolvere i problemi dell’interpretazione. Le diverse interpretazioni dovranno essere poste a confronto e, a determinate condizioni, riveleranno aspetti importanti e complementari dell’attività simbolica dell’uomo. Per Ricoeur, infatti, la comprensione di un testo (e più in generale dei fenomeni culturali che trovano espressione nei prodotti dell’ingegno umano) è il risultato delle spiegazioni che le discipline interpretative (dalla psicanalisi alla critica letteraria, alla fenomenologia della religione) ci offrono di esso.