La Verità come costruzione nel pensiero contemporaneo
“La scuola del sospetto”
Il pensiero contemporaneo in larga misura è figlio di quell’attitudine che Paul Ricoeur
definì – in riferimento a Marx, Nietzsche e Freud – “la scuola del sospetto”.
Secondo la sua visione, i tre grandi maestri, pur molto diversi e apparentemente
incompatibili tra loro, sono accomunati da un’identica volontà di smascherare le
finzioni dell’ideologia, della cultura e della coscienza. La loro demistificazione
critica è l’occasione “per liberare l’orizzonte per una parola più autentica”
(Dell’interpretazione. Saggio su Freud, trad. it. E. Renzi, Milano, Il Saggiatore, 1967,
p. 48).
Il debito del pensiero contemporaneo verso i tre filosofi non sta però tanto nell’avere
criticato teorie precedenti allo scopo di sostituirle semplicemente con altre: in questo
la scuola del sospetto non sarebbe stata più innovativa di Aristotele che critica Platone
o Spinoza che critica Cartesio per proporre una nuova visione del mondo. Il debito, in
realtà, consiste nell’avere mostrato come ogni ideologia, ogni forma di cultura,
ogni rappresentazione della coscienza siano strutturalmente delle costruzioni,
degli artefatti intellettuali.
Un sospetto più antico
Si tratta di un’intuizione che viene da lontano, che rimanda alle teorie humeane
sull’Io quale fascio di percezioni e del nesso causale quale rielaborazione e
proiezione mentale di eventi passati, nonché alla dialettica trascendentale
kantiana.
Kant, infatti, nello scuotersi, grazie a Hume, dal
“sonno dogmatico”, aveva inteso assicurare un’area
di esercizio sicuro e certo per la metafisica, ma nel
farlo aveva rinunciato a difendere l’intero confine
abbandonando gran parte degli oggetti che avevano
tradizionalmente fatto parte del territorio della
filosofia al regno del dubbio scettico, alla pura
pensabilità – o impensabilità – del noumeno.
Così, dopo aver detto che in fondo le cosiddette
leggi sono enunciati linguistici che la Ragione
prescrive alla Natura, valide fintanto che continui a
essere coerente e rispettata la corrispondenza tra i
fenomeni e la nostra capacità di descriverli
universalmente tramite le forme a priori della
sensibilità e dell’intelletto, Kant era passato alla
confutazione sistematica delle Idee della
Ragione. Io, Mondo, Dio. Esse non sono altro,
infatti, che costruzioni che la mente effettua per il
suo bisogno di inserire le singole esperienze all’interno di un quadro teorico
più vasto, ossia di conferire un senso più ampio alle sparute certezze che possono
essere rilevate nell’incontro tra le forme della mente pensante e i dati fenomenici.
La dimostrazione dell’infondatezza delle tre idee metafisiche non lascia però spazio
alla loro sostituzione con altrettante idee correttamente fondate. Semplicemente, per
Kant, è una tendenza della ragione quella di costruire delle cornici d’insieme
per organizzare e ridurre a unità di senso la molteplicità dei dati relativi alla sfera
interiore o esteriore. Si tratta di un errore gnoseologico che, occamisticamente, va
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eliminato dall’orizzonte della scienza. Ciò richiama anche la cosiddetta “legge di
Hume”, ossia la confutazione della legittimità dell’implicazione deontologica
(“deve” o “non deve”) a seguito di una constatazione ontologica (“è” o “non è”). Se
parliamo in termini strettamente e puramente razionali, si tratta di errori. Ma l’uomo è
anche volontà e sentimento e le idee metafisiche saranno recuperate nella Critica
della Ragion Pratica (immortalità dell’anima e Dio) e in quella del Giudizio (l’ordine
nella Natura o nella Storia).
Solitamente la componente scettica, ben
presente nel pensiero di Kant, non viene
enfatizzata e gli studenti faticano a
riconoscerla. Analogamente, gli studenti non
colgono l’importanza dello scetticismo nel
pensiero di Hegel, se non quando si
imbattono nel momento dell’antitesi, inteso
però come un passaggio meccanico più che
come la essenziale leva della dialettica
hegeliana.
Invece,
la
“potenza
del
negativo” è la chiave della sua legge del
pensiero e della realtà.
Il prevalere del sistema sulla dialettica,
l’affermarsi conclusivo dell’intero quale
totalità che ricomprende in sé il processo e le
tappe della necessaria alienazione dell’Idea
fanno perdere di vista la profonda
influenza
della
logica
della
contraddizione di Hegel su posizioni
filosofiche
successive
improntate
al
massiccio impiego della critica e dello scetticismo.
Gli esponenti della sinistra hegeliana usano le armi dialettiche del filosofo di Stoccarda
contro di lui (per attaccare l’interpretazione della destra hegeliana e le élite
conservatrici che se ne avvalevano), ma anche i membri dello storicismo tedesco
attingono scetticamente al medesimo arsenale. Una volta eliminato il piano
provvidenzialistico dello sviluppo necessario dell’Idea e della sua necessaria
incarnazione terminale nell’opera dello stesso Hegel, mostrare che ogni concetto o
forma culturale siano figli del proprio tempo storico e non delle verità eterne introduce
elementi critici eversivi. La storia non è più un percorso unilineare, il cui
dispiegarsi di senso è dominato dalla Provvidenza sacra (Cristianesimo) o profana
(Illuminismo, Hegel, Marx), ma è un articolarsi di eventi interpretati solo a posteriori.
L’Uomo torna misura di tutte le cose.
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La vertigine ermeneutica
“I fatti sono stupidi come vitelli”
scrive Nietzsche: la storia e la scienza
non maneggiano più delle realtà, ma
delle interpretazioni e, inoltre, di
ogni
interprete
esiste
un’interpretazione. Con Nietzsche
si ha l’annuncio della vertigine
ermeneutica, dello sprofondamento
del discorso filosofico in un terreno
nel quale ogni tentativo di fondazione
‘oggettiva’ è vano. La verità è una
moneta che non si può più
spendere, è un valore tramontato
con la rivelazione della “morte di
Dio”. Il mondo fondato da valori
oggettivi,
trascendenti,
veri
è
scomparso nel nulla e la risposta a
questo nulla non è appendersi al
cadavere dei valori decaduti o
surrogarli con gli pseudo-valori della
modernità
(progresso,
ideologie
politiche, mode ecc.). ‘Dio’ è come il
bel frutto caduto dall’albero delle
Muse quando Hegel descrive la fine
dell’arte classica: una volta che il suo
mondo non è più vitale, non serve
tentare di rimettere il pomo sul ramo.
A uccidere ‘Dio’ ha contribuito il
positivismo, l’esaltazione ottocentesca della scienza che assurge al rango di vitello
d’oro in grado di subentrare a un dio vacante. Ma la scienza stessa produce la crisi
della propria consacrazione quando, per effetto delle scoperte avvenute in ogni
campo (dalla fisica alla matematica, dalla
chimica alla biologia), gli scienziati
dubitano di poter dare vita a un sapere
compiuto e certo.
Il teorema d’incompletezza di Gödel, il
principio
d’indeterminazione
di
Heisenberg,
il
falsificazionismo
di
Popper rappresentano la presa di
coscienza di uno scacco, quella che
Freud avrebbe potuto riconoscere come
un’ulteriore ferita narcisistica, inferta
all’ideale della scienza onnipotente nei
propri ambiti operativi.
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Un’ultima forma attraverso
la
quale
si
esprime
l’atteggiamento scettico nel
pensiero contemporaneo è
quella che si ricollega al
riconoscimento,
con
Freud,
della
natura
composita e complessa
della psiche. La psicanalisi,
anche quella più recente,
che
diverge
da
Freud,
riconosce la psiche come un
fenomeno che nasce da
interazioni
di
differenti
centri pulsionali tra loro e
all’interno
delle
dinamiche sociali nelle
quali
il
soggetto
è
compreso.
A rendere ancora più complessa la questione, è la stessa nozione di soggetto a
essere presa in causa dagli sviluppi dello strutturalismo, del poststrutturalismo e del
postmodernismo. Pensatori come Foucault, Derrida e Deleuze hanno indagato i
meccanismi e i dispositivi storici, economici, sociali nei quali il soggetto si costruisce e
decostruisce nel corso della storia, in una dialettica tra tentativi di riduzione dei
significati per scopi di dominio e, in opposizione a essi, di liberazione ed
emancipazione dei significati in nuovi regimi di senso. In tutto questo, non
serve più interrogarsi sulla verità come evento extramentale e Gorgia appare più
attuale che mai.
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