La relazione fra struttura e sovrastruttura nella più generale

Enrico Grassi
La relazione fra struttura e sovrastruttura nella più generale
correlazione natura-uomo
[Chi o che cosa è alla base dei processi storici? Fattori oggettivi (l’economia, il clima)
o fattori soggettivi (le idee, la politica)? La confusione è nata dal fatto che nella storia si è
assistito alternativamente all’apparente precedenza di ciascuno dei due momenti. Questi
diversi ed opposti andamenti storici hanno ingenerato notevoli difficoltà nei tentativi di stabilire
un loro costante ordine di subordinazione].
1) Struttura e sovrastruttura
Non è possibile capire il nesso fra struttura e sovrastruttura, ovvero tra
produzione e cultura, senza inserirlo nel più generale rapporto tra uomo e
natura. Dovremo pertanto intrecciare nell’analisi questi due piani.
La relazione tra forze produttive, rapporti di produzione e cultura
rappresenta il punto su cui da sempre si è impantanata la discussione. La
confusione è nata dal fatto che nella storia si è assistito alternativamente al
primato di ciascuno dei tre momenti. La rivoluzione industriale (o rivoluzione
oggettiva delle forze produttive) ha determinato il sorgere di rapporti di classe
e di schieramenti politici (entità soggettive) prima inesistenti; l'affermarsi della
borghesia come classe (e quindi di nuovi rapporti di produzione) ha influito
direttamente alla fine del XVII secolo sulla formazione di partiti whigs e di
teorie giusnaturalistiche della società, nonché sull'ulteriore sviluppo di forze
produttive di tipo capitalistico; le grandi rivoluzioni politiche e culturali, a loro
volta, hanno rappresentato spesso un'anticipazione rispetto ai successivi
rivolgimenti nella tecnica e nei rapporti di produzione.
Questi diversi ed opposti andamenti storici hanno ingenerato notevoli
difficoltà nei tentativi di stabilire un loro costante ordine di subordinazione. Lo
dimostra il fatto che in sede storiografica si è sviluppato il dibattito sulle
precedenze cronologiche fra classi, forze produttive e idee, venendosi a
scambiare l'ordine circolare che domina sempre la complessità delle realtà
storiche con un ordine rettilineo e meccanico di semplice dipendenza. Io
condivido appunto l'opinione di coloro che credono in un andamento
dialettico, ovvero circolare, ma con base e verso, degli elementi che
costituiscono sia i processi naturali che la dinamica dei modi di produzione,
tale che dalla determinanza universale degli elementi materiali, si passi alla
dominanza degli altri fattori che progressivamente reagiscono sul loro stesso
fondamento nelle forme più varie e storicamente più determinate, attraverso
la particolare meccanica dell’oggettivazione, che dovrebbe mostrarci come in
situazioni specifiche, ad esempio nella fase declinante di un modo di
produzione, un'idea possa avere più forza oggettivante, ovvero essere più
"reale" delle stesse forze produttive, senza che per questo si cada
nell'idealismo.
Molti si sono bloccati sulle più classiche formule marx-engelsiane come
quella famosa della Prefazione a Per la critica dell'economia politica:
"nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti
determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che
corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali.
L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società,
ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale
corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita
materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la
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coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale
che determina la loro coscienza" (1).
Emerge dal passo riportato una duplice caratteristica dell'essere
sociale, in primo luogo che esso è costituito da più momenti, due dei quali
(forze e rapporti di produzione) formano la struttura, il terzo la sovrastruttura;
in secondo luogo che la struttura funge sempre da base materiale per la
sovrastruttura. Se questa tesi non venisse integrata con alcune osservazioni
che lo stesso autore riporta in altre opere e con i fondamenti della sua stessa
pratica teorica, si caratterizzerebbe per quel vieto meccanicismo che Marx fin
dalla giovinezza rimproverò ai materialisti del Settecento.
In realtà l'unidirezionalità struttura-sovrastruttura viene rovesciata da
Marx ogni volta che sottolinea l'incidenza della soggettività sulla natura,
sull'organizzazione sociale, sulla tecnica. È la prassi umana finalizzata che
modifica la natura, è la classe per sè che opera la rivoluzione, è
"la sua comprensione della natura e il dominio su di essa...che si presenta come il
grande pilone di sostegno della produzione e della ricchezza"
che pertanto non dipendono più dal tempo di lavoro immediato ma
"dall'applicazione di questa scienza alla produzione" (2).
Nello stesso testo marxiano quindi si passa dalla determinanza della
produzione alla dominanza della coscienza ed al suo autonomo sviluppo.
Prima la coscienza si presentava come semplice derivato della natura e delle
forze produttive, ora la coscienza si oggettiva nella natura, nelle merci, nelle
macchine. Potrei aggiungere "weberianamente" che anche la morale e la
religione possono trasformarsi in "struttura" se si predica l'abnegazione al
lavoro o, al contrario, il non-lavoro, se si proibisce o, al contrario, si esalta
l'attività finanziaria.
Osservati nel divenire storico i due flussi di eventi sembrano alternarsi
liberamente nella funzione di determinato e di determinante, facendo sorgere
un problema di metodo ineludibile, giacchè impongono una scelta di fondo sul
rapporto tra "materia" e "spirito". A partire da queste premesse, va ritenuta
superficiale quella descrizione che pone come causa tutto ciò che precede nel
tempo, in quanto conduce a coordinare tutti i fattori dell'essere sociale,
evitando di ordinarli in schemi più complessi e profondi.
Va osservato però che l'assunto metodico materialista, presupponendo
che il nesso che stringe i due livelli dell'essere sociale, ovvero della struttura e
della sovrastruttura, sia di subordinazione, non riesce a spiegare in modo
immediato la contraria fenomenologia storica, che ha indotto molti a seguire il
criterio della coordinazione.
2) Uomo e natura
Per cercare di sciogliere questo nodo, sarà opportuno ripartire dal
rapporto più generale uomo-natura, che precede e fonda il rapporto fra
struttura e sovrastruttura.
Tutti osserviamo che la coscienza umana, attraverso vari tipi di prassi,
si oggettiva in nuove forme naturali, artificiali e culturali, modifica cioè la
1 - Prefazione a Per la critica dell'economia politica, Opere, Editori Riuniti, Roma 1986, XXX, p. 298
(MEW, Dietz Verlag, Berlin 1969, 13, S. 8). Un concetto simile si trova in Ideologia tedesca, Opere, V, p.
22 (3, S. 26).
2 - Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica, La Nuova Italia, 1970. II, p. 401 ( 42, S.
601).
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natura, crea nuova tecnica, istituisce nuove tipologie culturali. Natura,
macchine e società sono, e non soltanto appaiono, prodotti della coscienza e
della prassi umana. È questo il tema dell'oggettivazione che Marx mutua,
modificato, da Hegel.
Il materialista sa però che la coscienza in questione non è quella dei
vari spiritualismi laici e religiosi, ma una complessa evoluzione della natura
stessa nell'uomo (ovvero della natura che "si è fatta" uomo). Va sottolineato
questo doppio ruolo della coscienza naturale, di prodotto della natura prima e
di produttore di natura poi (natura naturata e natura naturante si potrebbe dire
forzando alcuni termini classici), per poter intendere un'ulteriore articolazione
del discorso di Marx. Ciò che l'uomo produce con la sua prassi si ripresenta
allo stesso uomo come nuova natura, come macchina, come merce, come
cristallizzato rapporto sociale.
"Questo fatto - dice Marx - non esprime niente altro che questo: che l'oggetto,
prodotto dal lavoro, prodotto suo, sorge di fronte al lavoro come un ente estraneo, come una
potenza indipendente dal producente. Il prodotto del lavoro è il lavoro che si è fissato in un
oggetto (in einem Gegenstand fixiert), che si è fatto oggettivo: è l'oggettivazione del lavoro.
La realizzazione del lavoro è la sua oggettivazione (Die Verwirklichung der Arbeit ist ihre
Vergegenständlichung" (3).
La soggettività si è oggettivata, diventando così nuova natura. Il lavoro,
reale termine medio tra natura e "spirito", ha fatto da ponte fra i due termini,
per essere al tempo stesso sia coscienza che forza produttiva, ovvero una
forza creativa cosciente.
D'altra parte questa circolarità con base e verso, che con l'uomo
assume una determinazione specifica, si era già presentata nella storia della
natura sia prima che dopo la comparsa della vita sulla terra: la spirale
ambiente-popolazione animale-nuovo ambiente-nuova popolazione è solo
una forma più arcaica del doppio ruolo, determinante e determinato, di ogni
elemento del circolo. Ciò per indicare che l'uomo è uno degli innumerevoli
anelli della "grande catena dell'essere", con una sua specifica collocazione
(centrale quanto si vuole), in uno specifico rapporto di causa ed effetto
nell'ambito della più generale complessità. Infatti ogni ente riceve l'impulso
della causa in base alla sua capacità di esserne affetto, che a sua volta
dipende dalla particolare costituzione di ciascuno e dalle norme che regolano
l'insieme.
Un principio quindi deve essere riconosciuto come fondamentale:
l'originarietà ontologica della natura, anche dopo che è sorta la coscienza
manipolatoria dell'uomo attraverso il lavoro, che opera scelte e pone fini,
creando l'essere sociale.
La natura passa, attraverso l'uomo, dalla meccanicità alla possibilità
della scelta, ovvero all'alternativa, che non può significare la generica libertà
della tradizione spiritualistica. È in questo processo che si passa dalla
determinanza della natura alla dominanza dell'uomo-natura sulla natura,
attraverso cui le leggi naturali possono essere dominate e modificate, ma non
eliminate.
"Nella sua produzione, l'uomo può soltanto operare come la natura stessa (wie die
Natur selbst): cioè unicamente modificando le forme dei materiali" (4).
Il processo di socializzazione dell'essere induce la perdita della
percezione della continuità natura-pensiero da parte di molti teorici, e la
conseguente caduta in forme di soggettivismo esasperato, ovvero in una delle
tante forme della metafisica del soggetto. Porre la "libertà" all'inizio della
3 - Opere filosofiche, III, p. 298 (MEW, Ergänzungsband, cit., p. 511).
4 - Il capitale, Editori Riuniti, Roma 1974, I, p. 75 (23, S. 57).
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storia della coscienza, come ha fatto un settore importante della cultura fino
all'esistenzialismo compreso o porla al culmine di un processo di evoluzione
naturale (5), porta a risultati simili se per libertà dalla natura non si intende il
dominio delle leggi della natura stessa, che ovviamente contempla anche la
creazione di nuove forme naturali, attraverso un processo continuo di
trasformazione-socializzazione dell'esistente.
Partire dalla natura per annullarla in un punto del suo sviluppo
corrisponde alla posizione di chi pone una differenza originaria tra due sfere
quali necessità e libertà, natura e coscienza, organismo e ambiente, per
giungere alla loro successiva interazione, come tra esterni, in un risultato che
è visto come sintesi di elementi eterogenei.
L'interazionismo può valere a sconfiggere l'ingenuo meccanicismo o
l'astratto sociologismo, che partono da uno solo dei poli preso isolamente e
considerato come determinante rispetto all'altro, ma non comprende la
dialettica unità-distinzione dei due fattori.
Rose, Lewontin e Kamin dopo aver riconosciuto il loro debito di
gratitudine verso il meccanicismo, in quanto negazione materialistica di ogni
dualismo, e verso l'interazionismo, in quanto negazione dell'ingenuo
meccanicismo, hanno ricercato, in un circuito che parta dalla natura, quel
processo che va dall'uomo all'ambiente naturale o dall'uomo all'ambiente
sociale, in base a norme reciproche di reazione, attraverso cui ciascun
termine si modella modellando l'altro, senza che l'uno si confonda con l'altro.
Solo in tal modo i due termini evitano di essere considerati come esterni che
si incontrano (pur rimanendo sempre oggettivamente distinguibili), o viceversa
come immediatamente interni l'uno all'altro (anche se l'uno si è oggettivato
nell'altro).
"Il punto essenziale, in questa panoramica generale sulla natura delle interazioni tra
gli organismi e i loro ambienti, consiste nel fatto che tutti gli organismi, e specialmente gli
esseri umani, rappresentano non semplicemente i risultati, ma anche le cause dei loro
ambienti. Lo sviluppo, e certamente lo sviluppo psichico, deve essere visto come un
cosviluppo dell'organismo e del suo ambiente. Anche se può essere vero che in qualche
momento l'ambiente pone un problema o fornisce una stimolazione a un organismo,
attraverso il processo di risposta a questa stimolazione l'organismo stesso altera i termini
della sua relazione con il mondo esterno, e ricrea gli aspetti rilevanti di tale mondo. La
relazione tra organismo e ambiente non consiste in una semplice interazione di fattori interni
ed esterni, ma in uno sviluppo dialettico dell'uno e dell'altro attraverso le successive risposte
e controrisposte" (6).
Schmidt, molti anni prima, pur non avendo raggiunto chiarezza e
coerenza sulla complessità dialettica dei sistemi sociali e naturali, oscillando
tra meccanicismo e sociologismo, aveva afferrato la circolarità natura-societàindividuo e, insieme, l'impossibilità della riduzione kautskiana della storia
umana a momento immediato della storia naturale. Nei tre passi di seguito
riportati va sottolineata l'intenzione dell'autore di ribadire il rango ontologico
della natura e insieme la circolarità che si istituisce con gli enti che da essa
derivano (particolarmente con l'uomo), senza annullare la specificità di
nessuno di essi.
"Il ricambio organico ha per contenuto l'umanizzazione della natura e la
naturalizzazione degli uomini ... Così come gli uomini incorporano le loro forze essenziali
nelle cose naturali lavorate, inversamente le cose naturali quali valori d'uso, sempre più
abbondanti nel corso della storia, acquistano una nuova qualità sociale.
5 - V. Andreoli, La terza via della psichiatria, Mondadori, Milano 1980, capp V e VI.
6 - S. Rose, R. Lewontin, L. Kamin, Il gene e la sua mente, Mondadori, Milano 1983, p. 280 (Not in our
genes, edizione degli stessi autori).
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Nell'uomo la natura perviene all'autocoscienza e in virtù della sua attività teoreticopratica essa si ricongiunge con se stessa. Se l'uomo, operando sulla esteriorità a lui
estranea, sembra in un primo momento altrettanto esterno ed estraneo ad essa, tuttavia
questo suo agire si dimostra 'condizione naturale dell'esistenza umana' (che è essa stessa
una parte della natura) e quindi come automovimento della natura.
Marx non considera la realtà soltanto 'sotto la forma dell'oggetto', e nemmeno,
nonostante il suo apprezzamento di Hegel, soltanto 'sotto la forma del soggetto', bensì
mantiene l'indissolubile intreccio dei due momenti" (7).
2) Ritorniamo a struttura e sovrastruttura.
Dal punto di vista che è emerso vorrei provare a ridefinire il nesso che
intercorre tra forze produttive, rapporti di produzione e politica (o cultura più in
generale).
Per forze produttive si intende genericamente il capitale e il lavoro, per
riferirmi al modo di produzione capitalistico. I rapporti di produzione sono dati
dai rapporti tra le classi, che trovano una prima espressione generale nei
rapporti giuridici. Il regime politico è un elemento semindipendente di ogni
struttura sociale data: il capitalismo ad esempio può esistere con o senza la
democrazia. In base a questa classificazione è possibile distinguere alcuni
fenomeni sociali.
Un atto politico può avere come obiettivo un risultato semplicemente
politico (minore o maggiore democrazia) o un nuovo rapporto di produzione o
infine l'adozione di nuove tecniche. Così come è possibile che la prassi
politica si oggettivi in nuove forze e nuovi rapporti di produzione, è anche
possibile il contrario, che nuove forze produttive richiedano cambiamenti nei
rapporti di produzione e nell'assetto politico. Ogni evento sociale pertanto
oltre ad avere effetti nella sfera a sè omogenea, può trasferire i propri risultati
in ambiti diversi.
La struttura evolve in sovrastruttura, la sovrastruttura si realizza in
nuova struttura, questa, essendo ormai nuova oggettività, funge da base per
ulteriori sviluppi della coscienza collettiva. Il lavoratore sociale con il suo
general intellect, con il suo potenziale teorico, pratico, ideologico, formatosi in
condizioni strutturali date, modifica la natura producendo nuove macchine e
merci, che a loro volta si ripresentano come condizioni oggettive, inducenti
nuovi modi d'essere della coscienza sociale.
Ci ritroviamo a questo punto entro la stessa problematica che era sorta
nell'analisi del rapporto uomo-natura, al problema cioè del nesso fra termini
distinti, ovvero al tentativo di rintracciare un loro ordine di subordinazione, per
evitare la "cattiva" coordinazione e la "cattiva" identità.
Quanto alla prima, si prendano le pagine "esemplari" di uno storico del
peso di Braudel che, facendo sua la teoria dei fattori, nega che esistano
elementi determinanti nella storia, affermando che "il processo sociale è un
tutto indivisibile", e che tutte le distinzioni sono artificiali, anche se a volte utili
nell'esposizione, fino ad affermare che:
"L'ideale, peraltro impossibile, sarebbe di poter presentare tutto su un solo piano e in
un sol colpo".
Questa incapacità di subordinare in un intreccio organico un corpo di
fattori conduce Braudel a rifiutare il concetto di feudalesimo, di capitalismo, e
di sistema in generale, giacchè:
7 - A. Schmidt, Il concetto di natura in Marx, Laterza, Bari 1973 (Der Begriff der Natur in der Lehre von
Marx, Europä ische Verlagsanstalt, Frankfurt, 1962). I tre passi citati sono rispettivamente a p. 71, 72,
73.
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"ogni società è diversità, pluralità, essa si divide contro se stessa e tale divisione è
probabilmente il suo stesso essere ( 8).
Quindi non sarebbe esistito un feudalesimo, perchè insieme vi fu una
società signorile, una teocratica, una statale e una feudale. In sintesi, non
solo una società si fonderebbe su una serie di fattori equivalenti (economici,
politici, culturali), ma a rigore non sarebbe legittimo parlare di una determinata
società in quanto si darebbe sempre un insieme di più società, ove due volte
concentricamente si nega la possibilità di rintracciare un ordine unitario nel
tutto, a vantaggio di una visione piattamente orizzontale e descrittiva.
La "cattiva" identità invece si ripresenta ogni volta che si cerca di
identificare pensiero e natura, economia e politica, in base alla constatazione
che non è possibile distinguere ciò che è sempre in reciprocità con altro, in
una circolarità senza inizio, ovvero in una circolarità-identità, in cui viene a
mancare l’indipendenza dei due lati, il per sé, l’indifferenza. Morin è uno degli
ultimi anelli di questa catena che dall'esse est percipi, attraverso Kant, giunge
alle varie forme di machismo, sostenendo l'unità indifferenziata dei fattori (9).
Un intervento di rilievo sul rapporto natura-cultura è quello di Godelier,
che ha il merito di porre (ma non di risolvere) il problema nei suoi termini
essenziali:
"La frontiera tra la natura e la cultura, la distinzione tra il materiale e l'ideale tende, del
resto, a cancellarsi quando si analizza la parte della natura che è direttamente sottomessa
all'uomo, prodotta o riprodotta da lui (animali e piante domestiche, utensili, armi, abiti...).
Questa natura esterna all'uomo non è esterna alla cultura, alla società, alla storia.
Essa è la parte della natura trasformata dall'azione e, dunque, attraverso il pensiero
dell'uomo. È realtà materiale e, nello stesso tempo, ideale, o almeno deve la sua esistenza
all'azione cosciente dell'uomo sulla natura, azione che non può esistere nè riprodursi senza
che intervenga, fin dall'inizio, non solamente la coscienza, ma il pensiero in tutta la sua realtà,
cosciente e inconscia, individuale e collettiva, storica e non storica. Questa parte della natura
è natura appropriata, umanizzata, divenuta società: la storia inscritta nella natura" (10).
Queste definizioni si presentano nella forma della "cattiva" circolarità,
essendo ormai in esse l'insieme natura-cultura un tutto indifferenziato, sulla
cui base dovrebbe cadere il pregiudizio materialistico nella individuazione del
fondamento sociale. Tuttavia, a parere di Godelier, la circolarità-identità si
scinde al suo interno per diventare circolarità con base e verso, con una
infrastruttura ed una sovrastruttura, superando la posizione semplicemente
descrittiva e coordinatoria di molti storici ed antropologi, attraverso
l’individuazione di rapporti di subordinazione tra i fattori che costituiscono una
società. Bisognerebbe solo non avere idoli economicistici nel ricercare
l'infrastruttura sociale, giacchè, se escludiamo il capitalismo ove la struttura
economica funge sempre da base di tutto il sistema, negli altri modi di
produzione tale funzione può essere assunta dai rapporti parentali, politici e
religiosi.
La distinzione fra struttura e sovrastruttura non sarebbe quindi altro che
la distinzione di una gerarchia di funzioni e di causalità strutturali, che
assicurano le condizioni di riproduzione della società.
"Eppure quando la parentela funziona come rapporto di produzione, non è più quella
che conosciamo nella società capitalistica; e lo stesso succede per la religione o per il
politico. Si potrebbe quindi avanzare un'ipotesi del tutto contraria, e suggerire che la
8 - F. Braudel, I giochi dello scambio, Einaudi, Torino 1981 (Les jeux de l’échange, Colin, Paris 1979). I
tre passi si trovano nelle pagine 400-473.
9 - E. Morin, Il metodo, Feltrinelli, Milano 1983, cap. I. (La méthode, Seuil, Paris 1977).
10 - M. Godelier, L'ideale e il materiale, Ed.Riuniti, 1985, p. 14. (L’idéal et le matérial, Fayard, Paris
1984)
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parentela, la religione e il politico dominano solo in quanto funzionano, allo stesso tempo,
anche come rapporti di produzione, come 'infrastrutture"' (11).
Come esempio-tipo viene presentato quello del Grande Inca, figlio del
sole, che controlla e regola le condizioni di riproduzione della società nel
rapporto con la natura. In questo caso
“l’ideologia religiosa non costituisce la superficie delle cose, ma la loro parte
interna,...funziona[va]...come un elemento dei rapporti di produzione” (12).
I rapporti sociali quindi (tra cui religioni e parentele), quando
determinano l'accesso alle risorse, sarebbero veri e propri rapporti di
produzione.
Mi sembra che l'incomprensione del meccanismo dell'oggettivazione
non consenta a Godelier di capire in profondità il grado di compenetrazione
tra reale e ideale. In realtà il pensiero rimane in lui sempre esterno al reale,
avendo come funzione quella di ordinare il concreto naturale e sociale. Viene
ridotto ad una sorta di funzione trascendentale, che mantiene la separazione
tra funzioni a priori e mondo da costituire, come se la funzione ordinatrice non
fosse a sua volta emersa dalla storia dell'evoluzione naturale e sociale. Non
viene superato il punto di vista del dualismo, quando si parte dal reale e
dall'ideale intesi come due realtà esterne che vanno mediandosi, in un
intreccio che (stranamente per un materialista) mantiene sempre un verso
che va dall'ideale al reale e mai dal reale all'ideale, se escludiamo il caso del
capitalismo. Quindi non solo un dualismo, ma un dualismo con un solo
termine attivo, il pensiero ordinatore, in grado di rovesciarsi sull'altro termine,
per dotarlo di strutture logiche, nella migliore tradizione neokantiana. Godelier
ha dimenticato di spiegare l'origine naturale e strutturale del pensiero
ordinatore, concedendo a Marx solo la disposizione a due livelli della
complessità sociale, rendendo originarie le strutture sociali, che, prima di
essere reali, sono logiche, ove di materialistico rimane ben poco.
È forse possibile che un modo di produzione sia anticipato e poi
sorretto da un movimento ideale, nato nel fuoco delle contraddizioni reali ed
ideali della società precedente, ma non sarà certo un movimento di idee a
rendere possibile il proprio duraturo successo, quanto piuttosto la sua
capacità di comprendere, anticipatamente o meno, i movimenti delle forme
concrete della riproduzione sociale. Un modo di produzione è un fatto
complesso, in cui si oggettivano e si intrecciano elementi naturali ed elementi
sociali di vario genere (produttivi, di classe, di cultura, ecc.) sorti
gradualmente dalle forze emergenti di una precedente società.
La cultura (ideologica, religiosa, giuridica, scientifica, ecc.) si afferma
come forma sovrastrutturale che accompagna la storia di un modo di
produzione e si trasforma con esso (poco importa se la sua nascita e le sue
metamorfosi precedano o seguano il modo di produrre). Come ogni struttura
produttiva deve fare i conti con la propria riproduzione e con la riproduzione
dell'organismo sociale nel suo complesso, così la sovrastruttura deve
rispondere alla struttura: il cristianesimo ha potuto fungere da ideologia del
feudalesimo, pur avendolo preceduto cronologicamente, perchè ben si adattò
all'impianto piramidale della società feudale. Molte sono le assonanze con la
selezione naturale.
Lo stesso cristianesimo, per diventare ideologia della borghesia
capitalistica nelle prime fasi del suo sviluppo, dovette cambiare segno
attraverso il protestantesimo, poco importa se come conseguenza o come
anticipazione dei modi di essere del capitalismo stesso. Il materialismo storico
11 - Ivi, p. 37.
12 - Ivi, p. 40.
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non vuole negare libertà all"'infinita" progettualità della mente umana, chiede
solo che la ragione del progetto vincente vada ricercata nella "selezione
naturale" che si istituisce tra i vari progetti per l'esistenza reale di una
qualsiasi società. Il fondamento reale di un modo di produzione (tanto della
struttura che della sovrastruttura) è quindi nella sua capacità di risolvere i
problemi (o di superare le contraddizioni) che si presentano nei processi
relativi al ricambio organico uomo-natura in ogni determinata epoca storica.
Il ricambio organico quindi funge sempre da base e assegna pertanto
un verso all'andamento dei vari elementi che compongono un modo di
produzione, sia della struttura che della sovrastruttura, determinandone il
successo o l'insuccesso in base alla loro capacità di garantire la riproduzione
e lo sviluppo dell'essere sociale nel suo complesso. La riprova di ciò è
nell'irrealtà di una fondazione tutta ideologica delle regole del rapporto uomonatura, come vorrebbe chi ritiene possibile lo sganciamento dei bisogni umani
dalla loro origine naturale e l'istituzione di forze produttive e di rapporti di
produzione senza vincoli di continuità con il passato, prescindendo da un
qualsiasi riferimento alla natura (socializzata o meno) e alla possibilità storica,
che non possono non fungere da condizioni per il successo della prassi
umana.
Nel primo paragrafo si diceva che la coscienza teorica e pratica
dell'uomo, sebbene emersa da precedenti processi evolutivi della natura, si
oggettiva in nuove forme naturali. Questo giudizio va ormai integrato con un
suo corollario, che la coscienza politica dell'uomo, formatasi nelle lotte sociali,
si oggettiva in nuove forze e rapporti di produzione, che si ripresentano poi di
fronte all'uomo in forma di oggettività estranea, dando inizio ad un nuovo
processo con base e verso.
Chiunque pensi che questo processo di socializzazione culmini prima o
poi in una sorta di smaterializzazione del reale, o in una specie di ribellione
della coscienza ai vincoli dell’essere e quindi in un “regno della libertà”,
dimentica che la natura, per quanto trasformata e umanizzata, non può
perdere mai la sua caratteristica di realtà stretta entro leggi oggettive, anche
quando queste ultime sono state prodotte dall'uomo. L'essere può diventare
sempre più sociale, ma non può abbandonare il suo statuto ontologico
originario in una metamorfosi contro natura. Tutti i teoremi sulla morte della
centralità della produzione, sull'autonomia della politica, e, in ultima analisi,
ogni radicale teoria del gioco (da Nietzsche a Luhmann) sono una metafisica
del soggetto e la negazione di un'ontologia materialistica.
Attraverso il dominio, l'uomo potrà mutare profondamente i modi del
processo di ricambio organico con la natura, fino a sconvolgere, ad esempio,
la tecnica alimentare o riproduttiva, ma non riuscirà mai a sopprimerli. Ciò
vale anche per il lavoro: si potrà dominare il processo produttivo fino ad
"eliminare" (si fa per dire) il lavoro vivo immediato, ma non certo il lavoro in
qualche sua forma.
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