Meccanismi Epigenetici nelle Malattie

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©2009 Neuroscienze.net
Journal of Neuroscience, Psychology and Cognitive Science
On-line date: 2009-01-05
Meccanismi Epigenetici nelle Malattie Neurodegenerative
di Roberto Dominici
Abstract
L’approccio genetico alle malattie neurodegenerative quali la malattia di Alzheimer, la Corea di Huntington, il
Parkinson si è rivelato condizione necessaria ma non sufficiente a risolvere il problema dell’eziologia di queste
patologie altamente invalidanti. Un esempio è fornito dalla malattia di Alzheimer la forma più frequente di demenza,
le cui cause rimangono ancora ignote. Nella rassegna vengono analizzati alcuni dei meccanismi implicati in particolare
nella eziopatogenesi della demenza di Alzheimer la cui conoscenza permetterà una visione completa dei fattori
causali.
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L’approccio genetico alle malattie neurodegenerative quali la malattia di Alzheimer, la Corea di Huntington, il Parkinson si è rivelato condizione
necessaria ma non sufficiente a risolvere il problema dell’eziologia di queste patologie altamente invalidanti. Un esempio è fornito dalla malattia di
Alzheimer la forma più frequente di demenza, le cui cause rimangono ancora ignote. Solo il 5-10% della malattia riconosce una trasmissione
ereditaria mendeliana, mentre il 90% è costituito dal tipo sporadico, ad esordio tardivo con una eziologia poligenica e multifattoriale. Una parte
della genetica, l’epigenomica, studia in maniera sistematica le variazioni dell’espressione dei geni durante il differenziamento e lo sviluppo
cellulare. I meccanismi epigenetici giocano un ruolo cruciale nel controllo dell’espressione dei geni e, di riflesso, cambiamenti nell’espressione dei
geni comportano modificazioni epigenetiche riscontrabili in regioni critiche dei rispettivi geni e delle proteine codificate da questi. La struttura di
una proteina matura è stabilita sia dalla sequenza di aminoacidi che da modifiche post-traduzionali. La sequenza di aminoacidi in una proteina
definisce la struttura primaria e il progetto della stessa: una catena lineare di aminoacidi diventa una proteina funzionale attiva quando si ripiega su
se stessa e si organizza in una forma tridimensionale grazie a legami o interazioni tra aminoacidi non contigui (idrofilia, idrofobicità) che
consentono alla proteina di assumere una conformazione tridimensionale caratteristica (folding), di grado più o meno complesso. La struttura è
responsabile dell’attività biologica, enzimatica, antigenica, propria di ciascuna proteina. Tra le proteine enzimatiche una classe importante è
costituita dalle proteasi.
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Molti processi biologici fondamentali si basano su un equilibrio tra enzimi con proprietà peculiari come le proteasi che iniziano i processi
proteolitici essenziali per la funzione cellulare e gli inibitori che controllano l’eccessiva attività delle stesse. Esistono diverse famiglie di inibitori di
proteasi, ma una in particolare, quella delle serpine (inibitori delle serin-proteasi) possiede un ruolo chiave nel controllo di numerosi processi intra
ed extracellulari. Il ruolo delle serpine in alcune funzioni biologiche, si differenzia da quello di altre famiglie di inibitori di proteasi, poiché si
caratterizza per un complesso meccanismo di azione che presuppone un drastico cambiamento nella loro forma. Alcune osservazioni di biologia
strutturale, sui complessi formati dalle serpine con i loro bersagli molecolari, hanno chiarito che il cambiamento di conformazione nella serpina, non
solo inibisce la proteasi ma ne prepara la sua inattivazione. Le serpine forniscono l’inibizione irreversibile necessaria per un efficace sistema di
controllo delle cascate proteasiche che possono essere iniziate partendo da poche molecole. Tutti i componenti della famiglia delle serpine
condividono la stessa struttura proteica, soprattutto nella regione mobile della molecola; le mutazioni che si verificano in questa regione inducono
una perdita di funzione con conseguenze che riflettono il ruolo fisiologico di ciascun inibitore. L’effetto finale di questi alterati meccanismi
conformazionali è la vulnerabilità nei confronti di un’alterazione della struttura terziaria della proteina e prende il nome di misfolding. Carrell ed
altri (1) hanno proposto il termine di malattie da alterata conformazione proteica dividendole in due gruppi principali: nel primo gruppo rientrano
patologie caratterizzate da eccessive quantità di proteine erroneamente strutturate (misfolded) e da accumuli di “rifiuti molecolari” quali le
amiloidosi sistemiche e localizzate, la malattia di Alzheimer (AD), il Parkinson, le Encefalopatie da prioni (TSE), la malattia di Huntington, la
Fibrosi Cistica, l’anemia a cellule falciformi, alcune neuropatie, l’emocromatosi ed altre condizioni più rare accomunate dalla aggregazione di
forme aberranti di proteine (Tab. 1). Nel secondo gruppo si annoverano malattie in cui una mutazione del gene causa un incompleto avvolgimento
della proteina che ne influenza la funzione. Il fulcro centrale in queste patologie segue una precisa dinamica che consiste nel cambiamento della
struttura secondaria e/o terziaria di una normale proteina funzionale, che porta all’alterazione della conformazione, ad una polimerizzazione
patologica delle varianti proteiche ed alla formazione di aggregati proteici intra ed extracellulari con varie organizzazioni sopramolecolari.
L’aggregazione proteica si manifesta quindi “in vivo” come il risultato di un inappropriato folding. In alcuni casi l’oligomerizzazione della proteina
misfolded nella conformazione a foglietti b e la formazione di aggregati proteici, produce protofilamenti che si organizzano strutturalmente in
fibrille ben definite formanti depositi di amiloide tossici per i tessuti con perdita di funzione della proteina aggregata. L’aggregazione
intermolecolare aberrante di specifiche proteine, con la formazione di depositi altamente ordinati di amiloide, caratterizza gli stadi avanzati delle
malattie conformazionali prima citate. L’osservazione dell’esistenza di un nuovo tipo familiare di demenza associato all’accumulo di un’inibitore
della serino-proteasi presente nel cervello, neuroserpina, ha permesso di postulare meccanismi conformazionali comuni alle demenze ed alle
“serpinopatie”. La neuroserpina è omologa alla a1-antitripsina, ed è sintetizzata e secreta dai neuroni durante la loro crescita, e si pensa che possa
promuovere la formazione delle connessioni interneuronali. La serpinopatia è caratterizzata dalla formazione nei neuroni di corpi d’inclusione
contenenti neuroserpina anomala ed è causata da mutazioni, a differente penetranza, delle neuroserpine. In condizioni normali i neuroni limitano
l’aggregazione intracellulare delle proteine, mediante meccanismi proteolitici. Quando l’aggregazione però supera un certo grado, questi
meccanismi non sono più sufficienti, con conseguente accumulo degli aggregati ed eventuale morte neuronale. La capacità dei meccanismi
proteolitici dei neuroni di tollerare un eccessivo carico si riduce in maniera età-dipendente, e questo spiegherebbe alcune forme di Alzheimer a
sviluppo tardivo caratterizzate dai tipici accumuli di precursore proteico della b-amiloide (b-APP) in quelle regioni come l’ippocampo e la corteccia
dotate di capacità proteolitica molto limitata. La distribuzione regionale degli aggregati proteici è differente in ciascuna delle demenze
conformazionali ed è responsabile della loro varia presentazione clinica alla quale contribuisce la severità dell’anomalia molecolare sottostante.
Infatti le mutazioni che causano una notevole instabilità conformazionale comportano un esordio molto precoce della malattia ed un interessamento
dei neuroni dei nuclei del talamo e cerebellari con conseguente comparsa di epilessia mioclonica progressiva. Mutazioni meno severe delle
neuroserpine determinano la comparsa di inclusioni neuronali corticali ampiamente distribuite ed un esordio molto più tardivo della demenza.
L’importanza di tali osservazioni negli studi sulle demenze familiari è dimostrata dal fatto che l’accumulo intraneuronale di proteine aberranti è di
per sé sufficiente a causare la malattia degenerativa ad esordio tardivo.
I sistemi biologici posseggono efficaci meccanismi di controllo che coinvolgono molecole di trasporto “chaperoni” e meccanismi di selettiva
degradazione proteasi dipendenti, come il sistema ubiquitina-proteasoma (UPS), che assicurano il corretto folding e l’eliminazione di strutture
proteiche anomale. L’alterato funzionamento del “sistema di controllo di qualità” delle proteine esportate dalle cellule si traduce in modifiche di
conformazione, anomalo assemblaggio e auto-associazione, aggregazione proteica e deposito nei tessuti con conseguente innesco di processi
degenerativi. Le proteine aggregate possono assumere varie organizzazioni strutturali tra cui è prevalente quella a foglietti b; in questo livello di
configurazione i legami idrogeno non si formano tra residui aminoacidici appartenenti ad uno stesso tratto di una singola catena peptidica, ma tra
gruppi peptidici che appartengono a catene o a tratti distinti di una singola catena, mentre nella struttura ad a elica i legami idrogeno si formano tra
gruppi della stessa catena. Il malfunzionamento dei sistemi di controllo provoca l’accumulo di proteine instabili (prevalentemente con struttura b)
dal punto di vista strutturale e termodinamico con maggiore possibilità di aggregarsi. Tutti i processi neurodegenerativi presentano anomali
meccanismi di folding di proteine neuronali, come descritto di recente da Stanley Prusiner. Una proteina attiva nel cervello impropriamente
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processata, può determinare un malfunzionamento di distinti set di neuroni. Un esempio di questo tipo è dato dalle malattie da prioni. Questi ultimi,
definiti proteine infettive, nei mammiferi si replicano coinvolgendo la proteina prionica di membrana normale (PrPc) inducendo un’alterazione della
sua struttura e la conversione in PrPsc. Quest’ultima è costituita in prevalenza da foglietti b, ed in tale configurazione la proteina anomala tende ad
aggregare “in vitro” ed a formare nuclei prionici che possono essere i precursori delle placche cerebrali amiloidi tipici di queste forme di
encefalopatie, sebbene non sia ancora chiaro se il processo neurodegenerativo sia indotto dalla PrPsc nella forma solubile o aggregata.
Il reticolo endoplasmatico è responsabile del controllo del folding appropriato delle proteine prima che queste raggiungano la loro sede di azione.
Proteine di secrezione con marcati difetti nel folding del polipeptide nascente, oppure nell’assemblaggio delle subunità vengono normalmente
trattenute nel RE e poi degradate attraverso il sistema di ubiquitazione proteasomica. Esistono molte modalità mediante le quali una proteina
anomala non raggiunge il suo stato maturo: un meccanismo di controllo qualità post-RE nel quale una proteina mutata oppure con conformazione
non matura va incontro a trasporto anterogrado nel complesso dei Golgi e nei comparti post-Golgi prima di essere dissipata nello spazio
intracellulare. In alcuni casi, queste proteine possono essere riportate nel RE e successivamente avviate ad una opportuna degradazione, altre volte
vengono “marcate” nel sistema endosomico per essere poi degradate da proteasi lisosomiali o vacuolari. Cambiamenti del normale ambiente fisico
della cellula (riduzioni del pH, dei depositi di Ca2+, dell’apporto energetico), influenzano la sintesi proteica nel RE, il corretto avvolgimento delle
proteine, i processi post-traduzionali e la formazione di legami disulfurici S-S, con un accumulo di proteine anomale nel RE stesso. L’accumulo di
proteine anomale attiva un sistema di traduzione di segnale chiamato (UPR) unfolded protein response attraverso l’aumento dell’espressione di geni
della risposta allo stress RE-associato (chaperoni). Pertanto mutazioni nelle proteine coinvolte nel traffico Golgi-RE provocano un’inibizione della
capacità di degradazione delle proteine con conformazioni alterate. Nel lievito sono state identificate una serie di proteine (Der1p, Der3/H ed 1p,
Hrd3p) direttamente coinvolte nella degradazione delle proteine malformate. Studi recenti hanno indagato il ruolo dello stress cellulare a livello del
RE e dello sviluppo di patologie del pancreas come il diabete. In presenza di fattori stressanti che interferiscono con il protein folding, si attivano
alcune proteine che trasducono nel RE segnali di stress quali IRE1, PERK, e ATF6 responsabili sia dell’attivazione di apoptosi (morte
geneticamente programmata) (per attivazione della caspasi-12) che della sopravvivenza a livello delle b-cellule del pancreas. In seguito ad uno
sbilanciamento tra fattori pro ed antiapoptotici a favore dei primi, si attivano segnali provenienti dai cosiddetti “recettori della morte cellulare” con
danno del DNA ed innesco dell’apoptosi delle stesse b-cellule. Questo meccanismo può essere alla base dello sviluppo della malattia diabetica di
tipo 1 e 2. Una caratteristica unica delle b-cellule è il loro RE molto sviluppato forse dovuto al loro ruolo nella sintesi e secrezione insulinica. Il
gruppo di ricerca coordinato da Ida Biunno ha caratterizzato il ruolo del gene SEL1L nella proliferazione delle b-cellule del pancreas; SEL1L
protegge queste cellule dallo stress a livello del RE. E’ interessante notare che SEL1L possiede sequenze simili alla proteina Hrd3p di lievito, un
componente della famiglia proteica HDR responsabili della degradazione associata nel RE di numerose proteine (ERAD). Un altro meccanismo
implicato nello sviluppo di patologie è quello responsabile della degradazione di diverse proteine (il peptide b-amiloide (Ab), insulina, glucagone,
amilina, fattore natriuretico atriale e la calcitonina) che presentano la propensione a formare fibrille ricche di foglietti b, da parte di una
zincotiolo-metallopeptidasi chiamata IDE (enzima che degrada l’insulina).
L’alterazione del metabolismo di b-APP è considerato un evento centrale nell’eziopatogenesi dell’Alzheimer; tale evento è caratterizzato dal taglio
di tre enzimi proteolitici denominati a, b e g-secretasi (Fig.1). Se il taglio è operato dagli enzimi a e g-secretasi si origina il frammento innocuo p3;
se invece b-APP è tagliata da b e g-secretasi, si può produrre il peptide Ab innocuo di 40 aminoacidi, oppure la versione tossica, lunga 42
aminoacidi che si accumula al di fuori della cellula. La g-secretasi fa parte di un complesso proteico localizzato nella membrana lisosomiale ed è
costituito da vari componenti quali: Presenilina-1 (PS1), Nicastrina (NcT), mAPH1 e PEN2, componenti necessari per il riconoscimento di substrati,
assemblaggio di complessi, stabilità e localizzazione dello stesso nei siti d’azione. Questo complesso catalizza la proteolisi del recettore Notch e
dell’APP. La co-espressione delle quattro proteine induce la formazione degli eterodimeri della presenilina, glicosilazione della nicastrina ed
aumento dell’attività della g-secretasi. La nicastrina viene sintetizzata nei fibroblasti e neuroni nella forma immatura, glicosilata nell’apparato di
Golgi e raggiunge lo stato maturo dopo l’aggiunta di gruppi sialici nel network trans-Golgi. Le preseniline 1 e 2 (PS1, PS2) sono proteine
transmembraniche molto conservate e costituiscono componenti funzionali di complessi residenti nel RE e nel complesso di Golgi (Fig.1). Sia la
PS1 che 2 sono essenziali e posseggono un’attività catalitica e proteolitica a livello dei dominii transmembrana di diverse proteine quali bAPP,
Notch e Ire1p. La proteolisi intramembrana di bAPP (il clivaggio g-secretasi) risulta alterata da mutazioni a carico delle preseniline, determinando
un’iperproduzione di derivati neurotossici, amiloidogenici di Ab (1-42). Sono state descritte diverse mutazioni missense del gene PS1 che sono alla
base delle forme familiari ad esordio precoce di AD (FAD). Le varianti di PS1 legate alle forme familiari di AD, inducono un’alterazione del
processo proteolitico dell’APP capace di provocare un aumento della suscettibilità all’apoptosi. E’ stato riportato che le mutazioni di PS1
influenzino la risposta UPR, con il conseguente accumulo di proteine non avvolte nel RE in varie condizioni di stress. Il RE ed il compartimento
intermedio RE-Golgi possono essere siti di generazione di peptidi tossici di Ab 1-42 in presenza di alterazioni del sistema UPR causate da
mutazioni a carico della PS1. E’ stato ipotizzato che gli aumentati livelli di Ab 1-42 potrebbero essere il risultato di APP ritenuta a livello del RE a
seguito del cattivo funzionamento UPR e del traffico proteico. Le mutazioni di PS1 inducono inoltre una ridotta espressione della proteina di
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trasporto GRP78/Bip coinvolta nel folding proteico, ed i cui livelli sono ridotti nei cervelli degli AD. La cattiva regolazione dei meccanismi UPR è
dovuta al malfunzionamento del fattore IRE1 (chinasi transmembrana del RE), uno dei sensori delle condizioni di stress nel lume del RE. Infatti,
l’iperespressione di GRP78 in una linea di neuroblastoma con mutazioni di PS1, ripristina quasi del tutto la resistenza allo stress RE ai livelli tipici
delle cellule con PS1 normale. Le modificazioni delle proteine coinvolte nelle varie condizioni prima citate sono spesso sottili rendendo l’approccio
diagnostico di laboratorio difficile e spesso non conclusivo. I test di biologia molecolare sono utili quando la patologia è causata da una mutazione
nel gene, permettendo di ottenere rapidamente una diagnosi come si verifica nel caso di alcune forme di Parkinson, nella corea di Huntington, nella
fibrosi cistica e nelle amiloidosi familiari. Nelle malattie neurodegenerative acquisite come l’AD sporadico e le malattie da prioni, la proteina
patologica conserva la stessa struttura primaria ma va incontro a modificazioni conformazionali responsabili della malattia. La diagnostica di
laboratorio, in queste ultime condizioni rimane ancora elusiva ed occorrerà trovare metodologie innovative in grado di fornire risposte utili alle
persone che ne sono affette.
permalink: http://www.neuroscienze.net/index.asp?pid=idart&cat=2&arid=396
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