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Un dialogo edificante
Quella del FIT è una scena contemporanea che affascina e coinvolge sempre più
spettatori
/ 17.10.2016
di Giorgio Thoeni
La 25esima edizione del Festival Internazionale del Teatro e della scena contemporanea (FIT) è stata
archiviata con un bilancio positivo. Dal 30 settembre al 6 ottobre una struttura come il FIT,
indipendente, legata al territorio con uno sguardo attento alle proposte internazionali di qualità, ha
messo a frutto il dialogo con LuganoInScena proponendo un cartellone coraggioso e innovativo.
Un confronto che ha dato linfa alla dimensione contemporanea del festival e che ha anche suggerito
soluzioni inedite. Come l’aggiunta di uno spazio alla sua declinazione logistica. E il grande
palcoscenico del LAC si è così trasformato in una teatro in grado di ospitare fino a duecento
spettatori con file di sedie ora disposte in piano ora su gradinate (o tutte e due). Un’idea vincente
che ha contribuito ad accogliere il numeroso pubblico che ha seguito la programmazione che si è
distinta per originalità e coraggio.
Il teatro in particolare sta indicando al FIT un nuovo percorso: accanto alla drammaturgia
«mainstream» costruita sulla parola troviamo soluzioni che si allontanano dal territorio teatralmente
classico, in una dimensione diversamente espressiva. Come la trama di racconti filmati in cui lo
storyboard cattura lo spettatore con un gioco di fruizione in equilibrio fra attualità, memoria ed
evocazione, dove verità e finzione si alternano in una calcolata teatralità. Come Su l’umano sentire,
collage di ricordi luganesi raccolti dall’Officina Orsi, come soprattutto nell’esemplare e geniale
installazione di Perhaps All the Dragons della compagnia belga Berlin. Ancora dal Belgio arriva il
monologo su tapis roulant di Kristien De Proost Tristero: 75 minuti di estenuante training per
confessioni personali miste a denuncia sociale.
Di assoluto rilievo è stato il ritorno di Lucia Calamaro con La vita ferma. Dramma sul dolore del
ricordo, tre atti di grande freschezza drammaturgica e di eccellente bravura interpretativa con
Simona Senzacqua, Riccardo Goretti e Alice Redini. L’autrice l’ha definito un «dramma di pensiero».
Modulato attorno al tema della morte scopriamo un emozionante universo di presenza-assenza nel
quotidiano di una famiglia normalissima dove la figura di moglie e madre viene improvvisamente a
mancare. Considerata fra i migliori autori italiani viventi, con le sue invenzione drammaturgiche, la
Calamaro ci trasporta in una scrittura teatrale straordinariamente profonda, linguisticamente ricca e
sensibile, attenta al dettaglio e pronta a mettersi in discussione nel caos dei pensieri. Il suo è un
teatro che non investe sugli accadimenti, non vuole sorprendere o conclamare. Nello sviluppo della
narrazione prende per mano lo spettatore accompagnandolo in una dinamica riflessiva dalla
semplicità espressiva disarmante.
Sul filo della grande scrittura il FIT ha inserito Scannasurice, secondo testo pensato per il teatro da
Enzo Moscato e messo in scena da Carlo Cerciello per l’eccellente interpretazione di Imma Villa. Un
ritratto antioleografico di Napoli dopo il terremoto degli anni 80, una discesa agli Inferi, nei bassi
della città, nel cuore di una popolazione ferita e sofferente dove trionfa la bellezza di un’anima
genuina e drammatica come la sua parlata così poetica, così dimenticata. Non possiamo dimenticare
il Theatre NO99 con The Clowns’ Raid Of Destruction. La pluripremiata compagnia estone diretta da
Tiit Ojasoo e Ene-Liis Semper ha trasformato il palco del LAC in una galleria di caratteri espressivi,
forti e inquietanti. Un’opera totale per un universo del desiderio, della crudeltà, dell’amore in una
metamorfosi dove la figura clownesca presenta il suo lato più scabroso in una giostra di quadri di
grande potenza. Sublime.
Il FIT ha anche permesso di riproporre Princess karaoke con Anahì Traversi e Camilla Parini, uno
spettacolo che ha debuttato in aprile a Bellinzona oggi rivisto e corretto da Cristina Galbiati in veste
di Dramaturg per un esito più centrato e completo, una produzione che già ci era piaciuta nella sua
prima versione e che ora ha trovato il suo equilibrio. Ultime righe dedicate al sorprendente e
trascinante Acceso del regista cileno Pablo Lorrain per l’immensa bravura di Roberto Farìas che ci
ha proiettato nella più profonda emarginazione fatta di mostruosi abusi: un «pugno nello stomaco»
ha chiuso un festival che ha seminato alta qualità.
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