Intervento del Presidente del Senato della Repubblica Pietro Grasso

TRACCIA DELL’INTERVENTO DI PIETRO GRASSO
AL FORUM:
“LO SCENARIO DI OGGI E DI DOMANI
PER LE STRATEGIE COMPETITIVE”
“Villa d’Este”, Cernobbio – 5, 6 e 7 settembre 2014
Working paper, settembre 2014.
Per gentile concessione dell’Autore.
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Forum Ambrosetti: Lo scenario di oggi e di
domani per le strategie competitive.
Agenda per Cambiare l'Europa
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Intervento del Presidente Grasso
Villa d’Este, Cernobbio,
6 settembre 2014
Presidente Ambrosetti, Autorità, Signore e Signori,
Ho accolto con molto piacere l'invito a partecipare a questo importante forum internazionale che,
anche quest’anno, unisce nella splendida cornice di Villa d’Este voci diverse ed autorevoli del
mondo dell’economia e della politica per un confronto aperto e vitale sulle sfide e sui problemi
dello scenario economico e geopolitico mondiale, europeo e italiano. Sono particolarmente
onorato di poter aprire questa sessione dedicata alle prospettive evolutive dell’Europa che negli
scorsi anni è stata arricchita dai pregnanti interventi del Presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano. Discutere del futuro dell'Europa equivale, oggi più che mai, a definire anche il destino
del nostro Paese, economico, politico ed istituzionale. In questo senso, il dibattito di quest'oggi è
necessaria premessa per il confronto che domani, secondo tradizione, sarà animato da esponenti
del governo, della politica e dell'economia, da analisti e da esperti. Per parte mia considero
appropriato lasciare a quel consesso il merito delle questioni su cui si concentra il dibattito politico
italiano ed europeo in questo difficile momento, mentre vorrei con voi condividere alcune
riflessioni di carattere prospettico.
Un filo rosso accompagna il dibattito sull’Europa che di anno in anno si svolge nel Forum
Ambrosetti: questo legame di continuità è dato dalla considerazione integrata dei profili
istituzionali ed economici del progetto europeo. E mi pare molto opportuno che in questa sessione
mattutina si parli insieme di riforme, di equilibri di potere, di scelte economiche e di governance,
nella consapevolezza che non vi possono essere politiche economiche o di settore efficaci senza
una vera Politica, capace di rappresentare e di dare voce ai diversi interessi in causa. Sono
fermamente convinto, in altre parole, che non ci sia più spazio in Europa per "policies without
politics". E riprendere questo filo rosso significa ripartire dall’auspicio che il Presidente Napolitano
ha rivolto l'anno scorso a questa assemblea, invocando “un salto di qualità: procedere sulla via
dell’integrazione - sono parole del Presidente - per acquisire maggiore autorevolezza politica ma
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anche maggiore capacità di attirare capitali, risorse tecnologiche e umane, capaci di stimolare e
sostenere la ripresa, l'occupazione e l'innovazione”.
Oggi quel salto di qualità si rivela ancora incompiuto e ancora più urgente. Come ha avvertito
anche il Consiglio Europeo del 30 agosto, oggi la situazione economica dell’Unione, dopo una
limitata, forse apparente ripresa, registra una preoccupante recessione e una minaccia
deflazionistica che investono non solo l’Italia, da tempo considerata Paese “a rischio”, ma anche
Paesi prima ritenuti “stabili” come la Francia e la Germania: cala il Pil, aumenta il deficit, sono
fermi consumi e investimenti. L'Europa rischia di affondare sotto il peso della deflazione, ormai
presente in tutto il continente. I prezzi diminuiscono, la domanda diminuisce, l'occupazione si
restringe.
Preoccupa, anche come fattore di alterazione della coesione sociale, il crescere delle
diseguaglianze, anche nei Paesi che hanno subito meno la crisi. Secondo i dati dell'Istat in Italia il
dieci per cento dei cittadini possiede circa la metà della ricchezza nazionale, mentre un altro dieci
per cento della popolazione ha raggiunto la soglia della povertà. Intervenire su tali stridenti
disparità è una priorità assoluta.
La gravissima crisi dell'occupazione rischia di consegnare un'intera generazione all'incertezza ed
alla marginalità; l'assenza della ripresa alimenta il grave senso di insicurezza dei cittadini e incide
sulla coesione sociale. Mentre nel frattempo realtà esterne all’euro-zona, come gli Stati Uniti e il
Regno Unito, che in questi anni hanno decisamente perseguito politiche improntate alla crescita,
sembrano mostrare una significativa ripresa dei principali fattori produttivi.
Alcune diagnosi della situazione sono funeste: vi è chi definisce l’area euro una catastrofe
economica; chi parla di una “double-dip” o per alcuni paesi di una “triple-dip recession”, chi
prefigura un nuovo suicidio politico dell’Europa a cento anni di distanza da quello che già all’inizio
del XX secolo coincise con il primo conflitto mondiale. Taluni poi oggi attribuiscono le cause di
questa perdurante fase di crisi dell’Euro-zona a fattori economici contingenti e congiunturali, come
la persistenza di regole monetarie e finanziarie talmente rigide da rendere difficili le riforme
strutturali. Sul piano politico, viceversa, si tende sempre di più a denunciare l’incapacità della
classe politica europea di assumere scelte coraggiose e dirompenti per fare ripartire l’economia,
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approvando riforme strutturali che determinino nuove opportunità di occupazione, come il
Presidente della BCE Draghi ha auspicato alla riunione dei banchieri centrali a Jackson Hole.
Ho seguito con interesse la decisione della BCE dell'altro ieri che ha abbassato i tassi di interesse
fino al livello dell'0,05 % e annunciato acquisti dei titoli ABS, anche senza poterne indicare l'entità
per il momento, con il doppio obiettivo di garantire maggiore stabilità dei prezzi contrastando la
deflazione e fare ripartire il circuito creditizio per incentivare l'economia reale.
Sarebbe improprio che entrassi nel merito delle risposte per affrontare questa situazione, che
spettano ai governi e alle parti politiche, ma mi pare necessario riconoscere che una politica di
austerità ad ogni costo non sia più sostenibile. Di fronte alla crisi del debito sovrano nell'area euro
io ho condiviso la necessità imperativa di dotare l'Unione di strumenti incisivi per definire e
verificare la disciplina di bilancio agli Stati membri. E certamente i vari pacchetti legislativi adottati
istituiscono controlli profondi e penetranti. Ma la caduta del prodotto interno lordo e della
domanda interna impone oggi come indifferibile, senza abbandonare la via del rispetto delle
regole, una svolta drastica in direzione della crescita, anche facendo uso della flessibilità già
esistente per fare spazio ai costi delle riforme strutturali, come ha suggerito il Presidente Draghi.
Da un punto di vista politico più generale, a me sembra che il tentativo di affrontare la crisi con una
prospettiva di breve o medio termine sia destinato a rivelarsi inesorabilmente fallimentare. Le
criticità di oggi sono il risultato di una crisi strutturale che investe la natura stessa dell’Unione
Europea, la coesione tra le diverse aree, le prospettive di integrazione future. La crisi politica è più
radicata e profonda ancora di quella economica. Penso ai diversi elementi di asimmetria che
condizionano le sorti dell’integrazione, a partire dall’area euro non coincidente con i confini
geografici dell’Unione o alla scelta di Paesi come il Regno Unito o la Repubblica Ceca, pur con
motivazioni molto diverse scelgono di non aderire a tasselli fondamentali della nuova governance
economica, come il Fiscal compact; agli opt-out in materia di giustizia e sicurezza; alle esitazioni
anacronistiche, in nome della difesa della sovranità nazionale, ad unire le forze rispetto a fenomeni
che solo uniti possiamo affrontare, la criminalità economica o le migrazioni, per esempio. Penso
alla seria frattura che si è prodotta fra Paesi creditori che alimentano i meccanismi di
stabilizzazione finanziaria e Paesi debitori, che per accedere ad un percorso di risanamento dei
debiti sovrani subiscono significative conseguenze politiche ed istituzionali.
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Questi fattori di crisi, radicati nella stessa struttura politica ed istituzionale dell’Unione,
condizionano profondamente le strategie economiche e monetarie dell’Unione. Per questo, non è
immaginabile che il salto di qualità che noi tutti invochiamo sia percorribile solo sul terreno della
politica macroeconomica. Noi dobbiamo saper guardare con lucidità e realismo ai problemi politici
dell’Unione mossi da quello spirito costruttivo che ha guidato i padri fondatori del progetto
europeo – penso fra tutti ad Alcide De Gasperi ed Emilio Colombo - utilizzando questa lunga fase
di crisi come opportunità per ripensare e quindi rilanciare l’originario sogno di un'Europa unita e
coesa, un'utopia realizzata cui dobbiamo un periodo di pace e stabilità unici nella storia
internazionale.
Nel peculiare progetto europeo si è cercato di edificare un’unione politica su un'integrazione
economica, e quest’ultima attraverso un'unione monetaria. In questo senso, l’Unione europea
nasce come tentativo di una democrazia “di risultato”, una democrazia che si prefigge di soddisfare
i bisogni dei cittadini non investendo sulle procedure partecipative, bensì sulla capacità di garantire
ai singoli livelli più elevati di tutela dei diritti e delle libertà di quelli che i singoli Stati avrebbero
potuto offrire. Un disegno che sembra essere inesorabilmente fallito con la crisi economica e del
debito che, intaccando l’unione monetaria e quindi l’integrazione economica, ha minato alle basi
anche l’architettura politica raffreddandone ulteriori e necessari progressi. E i cittadini hanno
avvertito uno smarrimento profondo, una distanza profonda fra le istituzioni europee e la vita
reale, quotidiana. Così questa grave congiuntura si è convertita in una crisi di sistema, in una
drammatica incertezza esistenziale.
Oggi occorre quindi in prima battuta collocare la governance di una vera e propria unione
economico-monetaria nel contesto istituzionale dell'Unione e così contribuire a rafforzare la
legittimità dei processi decisionali. Bisogna in altri termini potenziare la democrazia "di processo",
in primis consolidando la legittimazione democratica dell’esecutivo europeo, valorizzando al tempo
stesso i poteri di controllo del Parlamento europeo e degli stessi parlamenti nazionali. Il processo
che, nel mese di luglio scorso, per la prima volta nella storia dell’integrazione europea ha portato il
Presidente della Commissione ad ottenere la fiducia quasi unanime sia del Consiglio sia del neoeletto Parlamento segna un'importante evoluzione costituzionale. Ma serve allo stesso tempo
rafforzare il legame fiduciario che lega il Consiglio europeo, il Consiglio dei Ministri e la
Commissione al Parlamento; così come a livello nazionale, i Parlamenti devono sapere svolgere un
controllo capillare e di carattere preventivo sulle scelte che i governi rappresenteranno a Bruxelles.
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Affrontare in maniera costruttiva la crisi significa quindi tornare alle origini, alle domande che i
cittadini pongono all’Unione europea e che solo la politica, con i suoi canali rappresentativi, è in
grado di assicurare.
Mi avvio a concludere. Il monito a Jackson Hole della Presidente della Federal Reserve Janet Yellen
a "mettere il lavoro al centro" è sintomatico del percorso che negli ultimi mesi ha segnato l’uscita
dalla crisi degli Stati Uniti. Altrettanto significativa la posizione di Mario Draghi che ha posto
l'accento sulla necessità che i governi nazionali adottino riforme strutturali per rilanciare
l'occupazione. Si tratta del riconoscimento che la ripresa in Europa può solo derivare dalla
combinazione di politiche capaci di intervenire sui fattori monetari, ma prima ancora sull'economia
reale.
Ma non basta. Un'Unione più forte internamente deve imparare a rilanciare la propria presenza, il
proprio peso nel mondo per governare, e non solo subire le trasformazioni degli equilibri mondiali,
in un quadro geopolitico connotato da fenomeni sconvolgenti che prevalentemente hanno luogo ai
nostri confini. Sono convinto che proprio in questa direzione saprà operare con determinazione ed
equilibrio e nell'interesse di tutti il nuovo Alto Rappresentante designato per la Politica Estera
Federica Mogherini, cui rivolgo con orgoglio affettuosi auguri di buon lavoro.
Non posso naturalmente fornire opinioni sui diversi provvedimenti che il Governo sta
programmando per la riforma del mercato del lavoro, della giustizia civile, della spesa e del
patrimonio pubblici. Posso dire che sono convinto che nel nostro Paese occorra una trasformazione
profonda, direi genetica e culturale nella gestione della cosa pubblica. Dobbiamo sapere ascoltare
con più attenzione la voce dell'economia reale, dell'associazionismo imprenditoriale e dei
sindacati, di coloro che producono ricchezza e futuro per il Paese. Dobbiamo imparare ad adottare
i modelli di efficienza e professionalità che produce il settore privato più competitivo. E dobbiamo
imparare a curare e verificare l'attuazione delle leggi che approva il Parlamento, giacchè è un vizio
antico e tutto italiano quello di dare per conclusa una riforma con il voto delle Camere,
dimenticandosi che l'effettività dei provvedimenti nel mondo reale è determinata dall'efficienza e
dalla rapidità con cui se ne cura il compimento. In questo credo che anche il Parlamento possa
seguire l'esempio di altri Paesi nei quali le assemblee legislative dedicano molta più attenzione alla
revisione della effettiva attuazione delle norme.
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Nelle prossime settimane il Senato dovrà occuparsi di due riforme strutturali di grande importanza
per consentire al Paese di tornare a crescere: la riforma del mercato del lavoro e quella della
pubblica amministrazione. Su questi temi, che incideranno direttamente sulle prospettive
economiche dell'Italia, non possiamo permetterci ulteriori ritardi. Parallelamente dovrà proseguire
il cammino della legge elettorale già approvata alla Camera ma sulla quale si prospettano
interventi migliorativi. Per parte mia mi impegnerò per garantire che il lavoro in assemblea sia al
tempo stesso approfondito e rapido e lo stesso impegno chiederò alle forze politiche e a tutti i
senatori. Il mio auspicio è che non ritorni su questi temi così vitali quel clima di chiusura reciproca
alle ragioni altrui che ha caratterizzato la discussione della riforma costituzionale e che si riesca ad
improntare il confronto democratico a quel senso di urgenza e di responsabilità di cui ha
fortemente bisogno il Paese.
L'Italia deve tornare a sognare. L’Europa deve tornare a sognare. E la politica deve tornare al centro
per dare il suo contributo, traducendo in azioni i sogni, i bisogni e le aspirazioni di tutti. Io sono
fermamente convinto che non esista un'alternativa ad un rafforzamento della nostra Unione. Si
tratta di una sfida esistenziale: le nostre comuni radici ci vincolano a un destino comune, che non
permetteremo sia compromesso da improbabili ideologie distruttive e revisionistiche. L'Italia, un
grande Paese che sessant’anni fa per prima ha creduto nell’utopia europea, non mancherà di
impegnarsi per il futuro di ciascuno e di tutti. Questo, io credo, sia il nostro collettivo dovere e
questo considero il mio più importante impegno personale. Grazie.