Assemblea 2006, intervento del presidente Calearo

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Associazione Industriali della Provincia di Vicenza
Assemblea generale, 6 giugno 2006
Relazione del presidente Massimo Calearo
Autorità, colleghi, signore e signori,
vincere si può. Voglio aprire questo mio intervento richiamando subito il titolo
della nostra assemblea di quest’anno, perché sia chiaro fin dall’inizio qual è il
messaggio di fondo che oggi dobbiamo dare a noi stessi, ai nostri collaboratori,
alle nostre imprese e al paese.
Vincere si può. L’anno scorso, in questa sede, avevo insistito sulla necessità di
abbandonare il concetto di crisi e di declino per pensare in termini di
trasformazione e di metamorfosi.
Quella tra declino e metamorfosi non è una differenza soltanto di parole, ma è
una differenza nei fatti. Un diverso approccio ai problemi. La volontà e la
capacità di vedere il bicchiere mezzo pieno, e non mezzo vuoto.
Un anno dopo, mi piace pensare che proprio quella differenza abbia fatto la
differenza.
Dagli ultimi mesi dell’anno scorso hanno finalmente cominciato ad arrivare
segnali di ripresa dell’economia italiana. Segnali dapprima deboli, poi più
consistenti, legati da un lato a un andamento positivo della domanda interna e
dall’altro lato alla ripresa delle esportazioni.
In Italia nei primi tre mesi di quest’anno la produzione industriale ha avuto un
aumento del 2,9% rispetto agli stessi mesi del 2005. Secondo il Centro Studi
Confindustria, l'economia italiana, nel 2006, dovrebbe espandersi grazie a una
crescita delle esportazioni e degli investimenti.
Indicatori positivi sono arrivati anche dalle imprese vicentine, sebbene la ripresa
non abbia ancora interessato tutti i settori produttivi. Rimangono alcune
situazioni di difficoltà, a volte marcata, che ci auguriamo possano essere
superate dal consolidamento della tendenza in atto.
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Si respira un’aria migliore. Non abbastanza, tuttavia, da pensare che sia lecito o
opportuno abbassare la guardia.
Il rovescio della medaglia sta nel fatto che l’Italia nel 2005 ha avuto una crescita
del prodotto interno lordo sostanzialmente nulla, mentre nel contempo nell’area
dell’Unione Europea il PIL è salito in media dell’1,3%, l’economia mondiale è
cresciuta di quasi il 5% e gli scambi internazionali hanno fatto segnare un
aumento vicino al 7%.
Stiamo camminando, ma siamo in fondo al gruppo. E’ un po’ come se, trascorsa
la “notte delle economie avanzate”, noi ci accorgessimo di aver messo la sveglia
due ore più tardi degli altri, che nel frattempo si sono alzati, sono usciti di casa e
sono andati a lavorare e a produrre. Il fatto positivo è che siamo svegli anche
noi; quello negativo e che stiamo ancora facendo colazione.
Il nostro paese, in altre parole, si trova davanti una sfida che non è riuscito
ancora ad affrontare: agganciare la ripresa internazionale.
Questo “aggancio” è condizionato da due incognite: da un lato il rafforzamento
dell'euro rispetto al dollaro, dall'altro le elevate quotazioni del petrolio e delle
materie prime.
I dati positivi che arrivano dalla congiuntura, dunque, non vanno interpretati
come il superamento delle difficoltà che hanno caratterizzato la nostra economia
in questi ultimi anni. E’ ancora presto per considerare quella in atto
un’inversione di tendenza solida e duratura.
Credere nella capacità di riscossa
Il nostro Paese ha vissuto in questi anni una realtà economica difficile. Non è
stata una crisi legata soltanto a certi tipi di produzione o a certe aree del paese,
quanto piuttosto una crisi di quella parte del mondo produttivo che più si è
trovata in difficoltà di fronte alla trasformazione profonda del sistema
economico internazionale.
Chi andava bene in questi anni ha migliorato ulteriormente la sua posizione. Chi
andava male ha avuto un contraccolpo ancora più duro.
Questa è una questione legata sì alla dimensione delle imprese, ma ancor più a
quello che io definisco il trittico “uomini-prodotto-mercato”.
Le imprese che in tempi non sospetti hanno investito in tecnologia, sugli uomini,
sul brand, sulle alleanze, oggi possono raccogliere i frutti di quel lavoro. E
guardare con più ottimismo al futuro.
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Con questo sano realismo e senza perdere di vista i nostri limiti, rimane il fatto
che oggi ci troviamo a guardare avanti con una prospettiva migliore rispetto a un
anno fa. Con più convinzione sulla possibilità di ripresa, con più fiducia nei
nostri mezzi.
Se questo accade è merito dei tanti imprenditori italiani che non hanno mollato.
Che hanno creduto nella metamorfosi e non nel declino. Che hanno scommesso,
come noi, sulle capacità delle proprie imprese e dei propri collaboratori.
E’ proprio questa l’idea di fondo che vorrei uscisse da questo nostro incontro.
Un messaggio di fiducia e di ottimismo.
Se riusciremo a fare in modo che davvero la crisi diventi occasione di scelta e di
cambiamento, riusciremo anche a fare il passo successivo e a far diventare il
cambiamento occasione di nuova crescita e di nuovo sviluppo.
Come avete sentito poco fa dalla voce che ha aperto questo nostro incontro, e
come avrete letto nell’invito a questa assemblea, il messaggio è che oggi più che
mai giochiamo tutti una partita decisiva per il futuro del paese, e tutti abbiamo il
dovere di dare il meglio. Senza presunzione, ma credendo nelle nostre capacità.
E’ anche per questo che abbiamo voluto accanto a noi, oggi, un testimone
particolare di quella “voglia di vincere” che ha caratterizzato questi decenni di
crescita della nostra provincia.
Mi riferisco a Enrico Fabris. Un giovane atleta vicentino che credo abbiate avuto
modo di conoscere tutti, nei mesi scorsi, grazie alle sue imprese sportive.
Enrico Fabris ha soltanto 24 anni e alle Olimpiadi invernali di Torino ha vinto
una medaglia di bronzo e due medaglie d’oro nel pattinaggio velocità.
Io vedo Enrico come il simbolo delle virtù positive dell'imprenditoria vicentina:
la tenacia, la voglia e la capacità di dare il meglio di se stessi e di vincere. Sia
singolarmente che in squadra.
Noi imprenditori finora lo abbiamo fatto soprattutto da singoli, da solisti. Enrico
Fabris - con le sue medaglie d’oro vinte sia nella specialità individuale che in
quella a squadre - ci dice che il gioco di squadra non elimina l’individualità, ma
mette insieme i reciproci punti di forza.
Ne consegue che certe competizioni si possono vincere da soli, ma correndo
insieme se ne vincono anche altre. Dunque, si vince di più.
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Voglio riprendere la frase con la quale avevo chiuso il mio intervento
all’assemblea dell’anno scorso: il futuro è ancora da scrivere, e possiamo farlo
tutti insieme.
Il piccolo imprenditore solista è stato senza dubbio il fattore trainante del nostro
sviluppo, ma oggi per confrontarsi nel mercato globale c’è bisogno di essere
inseriti in una rete. Fare sistema.
La crescita delle piccole imprese dipende in misura sempre maggiore dalla loro
capacità di stringere alleanze e interagire tra loro.
Questa capacità cresce quanto più cresce, nelle aziende e tra le aziende, una
cultura d’impresa che esalti le relazioni tra le persone, l’interscambio di
esperienze, la collaborazione.
E’ l’uomo che fa la differenza, insomma. Oggi più di ieri.
Il sistema imprenditoriale del Nordest deve affrontare, per la sua continuità e per
il suo ulteriore sviluppo, una nuova fase centrata sulla capacità di gestire non
solo le risorse materiali ma anche, e soprattutto, quelle immateriali.
Cosa chiede l’impresa alla politica
L’uomo fa la differenza dentro le aziende perché nelle aziende c’è un obiettivo
che tutti condividono e perseguono: creare nuovi prodotti, conquistare nuovi
mercati, arrivare prima degli altri a determinati traguardi. In una parola,
l’obiettivo comune è il bene dell’azienda, e con essa il bene di chi vi lavora.
L’uomo non fa la differenza, invece, quando mancano traguardi condivisi,
quando si perde di vista il bene comune. Questo è il ruolo fondamentale che
spetta a chi governa: lavorare per il bene comune.
A chi oggi è forza di governo chiediamo di affrontare i nodi dell’economia
italiana, e di risolverli, senza dover pagare tributi ideologici ad alcuni dei partiti
che fanno parte della maggioranza.
Il nostro compito, come Associazione e come parte importante e ascoltata di
Confindustria, rimane quello di sempre: confrontarci con la politica su idee e
progetti, non su questioni ideologiche.
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Come ha ricordato il presidente Montezemolo all’assemblea di Confindustria di
due settimane fa, “l’autonomia è un valore a cui non dobbiamo rinunciare,
perché significa indipendenza e credibilità”.
Due elementi, questi, che ci servono non per evitare di sbilanciarci, ma
semplicemente per svolgere in modo più efficace quella che è la missione
primaria della nostra associazione: promuovere la crescita delle imprese e, di
riflesso, del paese.
Se si è credibili si è più ascoltati. Da tutti. Più ascoltati per quello che si dice e si
propone, non per il grado di amicizia che lega all’interlocutore.
Quello che chiediamo a tutta la classe politica è di maturare la consapevolezza
che nel nostro paese occorre mettere l’impresa al centro dello sviluppo.
Non per dare vantaggi a noi imprenditori, ma per consentire alle imprese di
rimettere in moto il paese, la sua economia e il suo sviluppo. Non c’è interesse
più pubblico di questo.
Una nuova prospettiva per la “famiglia Italia”
Abbiamo bisogno di interventi per favorire la competitività. Di scelte capaci di
rimettere in moto l’economia. La priorità è quella di riequilibrare i conti
pubblici. Lo confermano anche le cifre arrivate in questi giorni, tutt’altro che
confortanti.
Il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, nella sua relazione della scorsa
settimana davanti all’assemblea dell’Istituto, ha ricordato che una correzione
forte e incisiva è necessaria per raggiungere nel 2007 l’obiettivo di ridurre al
2,8% l’incidenza del debito pubblico sul Pil.
Un intervento in tal senso, serio e realmente convinto, è necessario se vogliamo
che il risanamento sia duraturo; se vogliamo applicare al paese una politica di
sviluppo degna di questo nome.
Conti pubblici in disordine rappresentano una pesantissima palla al piede per
qualsiasi governo, limitandone la possibilità di impostare una politica economica
efficace.
Naturalmente, la soluzione non può passare attraverso un aumento delle
imposte. La strada da seguire è innanzitutto quella del contenimento della spesa.
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Una qualsiasi famiglia nella quale escono più denari di quanti ne entrino ha due
possibilità: o prende il problema sul serio e diminuisce le spese, oppure continua
a vivere allegramente e fa debiti.
L’Italia per decenni ha seguito la seconda strada: ha vissuto allegramente e ha
fatto debiti. Negli ultimi tempi si è cercato di invertire questa tendenza, di
diminuire le spese correnti, iniziando con il combattere gli sprechi.
Bisogna proseguire su questa strada. I margini di manovra ci sono, e ce ne
rendiamo conto se pensiamo che la spesa pubblica copre oggi quasi la metà
dell’intero prodotto interno lordo del paese.
Con questa composizione della spesa non potremo mai guardare molto avanti,
perché è evidente che restano poco più che le briciole a disposizione degli
investimenti esteri che riguardano il nostro futuro, dalla ricerca alla formazione,
dalle infrastrutture alla logistica.
Oltre a contenere la spesa, abbiamo di fronte a noi alcuni obiettivi che devono
essere condivisi per consentire davvero una modernizzazione del paese.
C’è bisogno di misure che mettano le imprese in grado di competere, creando un
clima favorevole agli investimenti nel nostro paese, che oggi fatica ad essere
ancora attrattivo.
Al nuovo governo chiediamo in primo luogo un intervento per la riduzione del
cuneo fiscale. Nel programma di questa maggioranza si parla di un taglio di 5
punti. Confindustria ne chiede almeno 10.
Qualcuno ha detto che dieci punti sono una richiesta eccessiva. Certo non è una
richiesta di poco conto, ma è quanto serve alle nostre imprese per generare le
risorse necessarie agli investimenti, per potersi confrontare con concorrenti che
operano in paesi – anche europei - dove il costo del lavoro è più basso.
C’è bisogno poi di definire una politica dell’energia che porti a una diminuzione
del 20% in cinque anni dei costi energetici a carico del paese. Oggi in Italia
paghiamo l’energia più cara d’Europa, anche a causa di un mercato ancora
ingessato e poco concorrenziale.
Di questo se ne accorgono le famiglie, e se ne accorgono in modo pesante le
imprese.
Anche in questo settore ci sono scelte non più differibili: diversificare le fonti
primarie, realizzare nuove linee di trasmissione e interconnessione, potenziare i
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gasdotti e realizzare i rigassificatori, agire contemporaneamente sul fronte del
risparmio energetico.
Fondamentale è anche il campo della ricerca e dell’innovazione. Il nostro paese
si gioca buona parte della sua capacità competitiva nel saper fare cose nuove e
nel farle prima degli altri.
C’è bisogno di uno snellimento burocratico e amministrativo con un minore
intervento dello Stato nell’economia.
Riprendere il cammino delle riforme
E' necessario, dunque, continuare sul cammino delle riforme per modernizzare il
paese, per dargli un maggior livello di liberalizzazione e privatizzazione, per
favorire la concorrenza e mettere a disposizione strumenti che favoriscano la
crescita dimensionale delle imprese.
Riprendere il cammino delle riforme significa avere la ragionevolezza di non
buttare a mare “a priori” quanto fatto finora da altri, non stracciare le riforme
avviate, ma completare e semmai correggere se si pensa che correzioni vadano
fatte.
Penso ad esempio alla Legge 30 sulla riforma del mercato del lavoro, nota come
“Legge Biagi”. E’ una riforma da difendere nei suoi obiettivi e anche nei
risultati che fin qui ha ottenuto.
Ricordiamolo: più della metà dei contratti di lavoro temporaneo realizzati con la
Legge Biagi viene trasformata poi in contratti di lavoro permanente.
E’ difficile sostenere che questa legge abbia alimentato la precarietà. Certo, va
completata, e lo diciamo non da oggi, con la parte che riguarda gli
ammortizzatori sociali. Ma non è una legge sulla quale tornare indietro.
Non c’è bisogno di tornare indietro su nulla. C’è bisogno di andare avanti.
Avanti con le riforme, avanti eventualmente con quelle correzioni di rotta che il
dibattito politico riterrà di prendere in esame. Ma avanti comunque.
Ai parlamentari vicentini, chiediamo una rappresentanza capace di adoperarsi
per portare le nostre istanze nelle sedi istituzionali.
Non c’è dubbio che nel nuovo governo la presenza del Veneto sia a dir poco
sottostimata. Praticamente quasi nulla.
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Voglio tuttavia andare al di là della conta dei rappresentanti del nostro territorio
nelle “stanze dei bottoni” romane, per chiedere a tutti i parlamentari vicentini e
veneti un impegno a portare avanti con forza le istanze del nostro territorio, per
portare al nostro territorio risultati efficaci e concreti.
Noi siamo pronti a dare il nostro sostegno tecnico per aiutare al meglio la loro
attività.
Le infrastrutture come opportunità
Tra gli obiettivi condivisi deve esserci quello delle infrastrutture. Un tema sul
quale la nostra provincia e la nostra regione continuano ad avere una forte
carenza.
Il precedente governo ha avviato alcune opere importanti, ci auguriamo che il
nuovo governo prosegua il lavoro.
In questi giorni si è parlato del rischio che le attuali ridotte capacità di spesa
dello Stato portino ad un blocco di alcuni dei grandi cantieri aperti in questi anni
in Italia. Se così fosse sarebbe un pesante passo indietro per le prospettive di
modernizzazione del nostro Sistema-Paese.
Le infrastrutture sono una priorità che non può essere rimessa in discussione ad
ogni “stormir di fronde” dei bilanci pubblici. Né ad ogni alzata di voce di
qualche gruppo di pressione locale. Le infrastrutture sono una voce chiave per
far muovere il paese.
Le cose da fare sono tante. Tutte figlie di ritardi che si sono accumulati per
decenni. E tutte diventate, di conseguenza, impellenti. Bisognose di soluzioni
rapide, definitive. A partire dal completamento del Corridoio 5 e al passante di
Mestre.
Non si tratta di “fare strade” soltanto perché lo chiedono le aziende. Pensiamo,
ad esempio, a quanto bisogno di collegamenti migliori ha il Nordest per sfruttare
al meglio una risorsa fondamentale per la sua economia quale è quella del
turismo.
Sulle infrastrutture credo che pubblico e privato possano realizzare sforzi
comuni. E’ quanto stiamo facendo come Associazione, anche a livello locale,
attraverso un confronto con la Provincia e con i Comuni nell’esame dei rispettivi
strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica.
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Un confronto che parte da un presupposto: il nostro territorio deve pensare al
proprio sviluppo puntando sulla sostenibilità territoriale e ambientale della
crescita economica.
Questo tipo di sviluppo richiede un salto di qualità capace di superare i nodi
strutturali del nostro sistema economico e territoriale, sia dentro che fuori dalle
aziende.
Nelle imprese lo si può fare puntando sulla qualità e sull’innovazione,
incrementando così la produttività del nostro apparato produttivo e dei servizi.
Fuori dalle aziende, lo si può fare potenziando e riqualificando le infrastrutture
materiali (le reti di trasporto, le piattaforme logistiche, le reti ambientali) e le
infrastrutture immateriali (il sistema dell’istruzione e della formazione, i centri
di ricerca).
Pronti a vincere
Ho iniziato il mio intervento con un invito forte alla fiducia, alla convinzione
che il futuro del nostro paese può essere ancora un ottimo futuro. Voglio
chiudere ancora con questo invito.
In futuro, il mondo e gli scenari economici e sociali nei quali viviamo non
saranno meno problematici di oggi. Ma è proprio per questo che dobbiamo
guardare avanti convinti che ce la possiamo fare.
Tornare alla crescita è la priorità economica indicata anche dal governatore della
Banca d’Italia Draghi.
Tornare a crescere vuol dire tornare a vincere. Noi siamo qui, come sempre,
pronti a fare la nostra parte. Pronti a vincere.
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