Efesini 4:1 Io dunque, il prigioniero del Signore, vi esorto a

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Efesini 4:1 Io dunque, il prigioniero del Signore, vi esorto a comportarvi in modo degno della
vocazione che vi è stata rivolta, 2 con ogni umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi gli
uni gli altri con amore, 3 sforzandovi di conservare l'unità dello Spirito con il vincolo della pace. 4
Vi è un corpo solo e un solo Spirito, come pure siete stati chiamati a una sola speranza, quella
della vostra vocazione. 5 V'è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, 6 un solo Dio e
Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, fra tutti e in tutti.
Care sorelle e fratelli,
con questo passo, dopo la prima parte, nella quale illustra l’opera di Dio in Cristo per la salvezza dei
credenti, l’autore esorta i suoi lettori a vivere un’esistenza moralmente degna della vocazione che
hanno ricevuto e alla quale hanno già risposto risposto nella dimensione della fede: è quella parte di
una lettera che viene definita tecnicamente “parenetica”, ma che con più semplici parole possiamo
dire “esortativa”.
E’ uno schema ben definito, che riprende quello della predicazione e viene indicato come
“indicativo – imperativo” perché nella prima parte si impiega l’indicativo, per descrivere la realtà in
atto per l’azione di Dio e nella seconda si prescrive come comportarsi in conseguenza dell’agire di
Dio, usando per lo più l’imperativo, il modo del comando.
Passiamo ora a esaminare il testo.
Io dunque, il prigioniero del Signore, vi esorto a comportarvi in modo degno della vocazione che vi
è stata rivolta.
“Dunque” è la parola che collega la prima parte, quella che descrive, come dicevamo, la realtà di
salvezza messa in essere da Dio in Cristo, alla seconda, quella nella quale si esortano i lettori a vita
conforme alla loro fede: i due aspetti sono, come si vede legati in modo indissolubile conoscere
l’evangelo e accoglierlo per fede devono risolversi in una condotta moralmente coerente nella vita
quotidiana tanto all’interno della comunità, che nella vita personale.
Punto di riferimento per un comportamento moralmente degno, è la vocazione, la chiamata,
personale e condivisa, alla fede e, per mezzo della fede, alla salvezza e alla vita eterna.
La vocazione è una svolta radicale nell’esistenza del credente è l’inizio di un percorso di vita
rinnovata, è un cambio di orizzonte, in un certo senso una nuova nascita: ciò che segue deve essere
conforme al carattere fondante di quell’esperienza o non è autentica vocazione.
L’apostolo, col far cenno alla prigionia, più che a suscitare la simpatia o la compassione dei
destinatari della lettera, vuole rivestire le sue parole dell’autorità di chi paga in prima persona il suo
impegno per l’evangelo, di chi è in catene non per qualche disonesta ragione, ma a motivo di Cristo
ed è, quindi, prigioniero del Signore.
Con ogni umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi gli uni gli altri con amore: umiltà,
mansuetudine e pazienza sono dunque le virtù che si devono esercitare nell’ambito della vita
comunitaria.
In ogni gruppo umano, umiltà, mansuetudine e pazienza, se da tutti praticate, contribuiscono a
creare una buona atmosfera, concordia, spirito di squadra, senso di appartenenza.
L’umiltà dovrebbe essere per il cristiano, consapevole di essere oggetto di una grazia immeritata,
più che una virtù un modo di essere quasi in lui connaturato: dall’umiltà conseguono mansuetudine
e pazienza.
Mansuetudine, cioè mitezza d’animo e pazienza non vanno intese come passività esse sono ancora
una volta il modo d’essere, di reagire, di darsi una linea di condotta: ancora una volta è la
consapevolezza di quanta mitezza e pazienza sia stata usata da Dio verso di noi a motivarci ad
esercitarla nei confronti degli altri.
In una comunità di fede, è essenziale una “concordia d’anime”, che è, in primo luogo, del tutto
umana, ma non è cosa da poco: quel buon clima è espressione dell’amore che unisce tutti i membri
della comunità, umiltà, mansuetudine e pazienza si praticano gli uni nei confronti dell’altro
nell’amore e con amore.
Sopportarsi vuol dire tollerare con reciproca comprensione i difetti, le punte di carattere, le
mancanze che tutti indistintamente abbiamo, ottima ricetta, questa, per un’armonica vita in comune,
in famiglia o in comunità, ma lo stesso verbo greco può propriamente tradursi con supportarsi, cioè,
reciprocamente sostenersi, proprio come avviene in famiglia, dove reciprocamente, nell’amore e
con amore, ci si sopporta e, nel contempo, l’uno l’altro ci si supporta, ci si sostiene ed aiuta.
Proprio questa concordia d’anime, frutto non di naturale propensione, ma di impegno serio e
costante, è, nel contempo, espressione e condizione per aprire le porte all’agire dello Spirito Santo
nella comunità, agire che crea una ancor più perfetta, alta e profonda unità: quella che è prodotta da
Dio nella potenza dello Spirito in una comunità unita con il vincolo che la pace, prima quella degli
uomini, poi quella di Dio, creano fra chi crede.
La pace è, se vogliamo, il segno dell’agire di Dio: esprime in modo compiuto quell’armonia che il
creatore già imprime nella sua opera; la comunità “in pace” è immagine di quell’armonia e l’uomo
corrisponde all’immagine di Dio che in lui è stata impressa.
Vi è un corpo solo e un solo Spirito, come pure siete stati chiamati a una sola speranza, quella
della vostra vocazione.
Corpo e spirito, in quanto corpo e spirito dell’uomo, sono immagine del Corpo di Cristo, cioè la
chiesa, e dello Spirito Santo: un corpo è vivificato e animato da un solo spirito, così il Corpo di
Cristo, cioè la chiesa, è vivificato e animato dallo Spirito Santo di Dio; il corpo è uno, se uno è lo
Spirito, lo Spirito è uno, se uno è il corpo.
Ancora una volta unità è anche armonia, perfezione ed equilibrio di forze: è più una sinfonia di
suoni che un suono solo, una mirabile complessità in perfetto accordo.
Unità è il concetto che sentiamo ripetere del continuo, da questo punto in poi: una è, in primo luogo,
la speranza legata alla vocazione cristiana.
Chiamata alla fede, tramite la fede, alla salvezza e alla vita eterna, speranza comune e condivisa da
tutti i credenti, la vocazione torna nell’argomentazione come centrale, si conferma così il suo
valore: non si tratta di una scelta di carattere intellettuale, di aderire ad una filosofia ed alla sua
visione del mondo e della vita; ciò che è in gioco è il senso stesso dell’esistenza.
V'è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo: seppure in modo indiretto, questa triade,
Signore, cioè Cristo, fede e battesimo, si riferisce ancora alla vocazione tracciando quasi le tappe di
un percorso: l’incontro con Cristo, la vocazione e la risposta della fede e, infine, il battesimo che
corona il percorso con l’ingresso nella chiesa, nel Corpo di Cristo.
Anche qui il motivo dell’unicità viene ripetuto con insistenza: l’unità nella comunità si fonda
sull’unicità di Cristo, della fede, del battesimo e sull’unità di tutte queste cose, parte dell’unico
disegno di salvezza di Dio in Cristo per tutti gli uomini e tutte le donne.
Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, fra tutti e in tutti.
L’argomentazione si conclude con il richiamo all’unicità di Dio, il riferimento è al Deuteronomio,
in particolare a quei passi che costituiscono la preghiera ebraica conosciuta come Shemà Israel, cioè
“ascolta Israele”.
L’unicità di Dio è il fondamento ultimo dell’unità del corpo di Cristo, Dio è, infatti, fonte di ogni
cosa esistente, è colui che opera in Cristo e nella potenza dello Spirito Santo per la salvezza
dell’umanità e dell’intera creazione.
Ma questo Dio unico non è un Dio lontano o irraggiungibile, egli è Padre di tutti: cioè per tutti è
padre e come un padre si comporta nei confronti di tutti.
Dio è certamente sopra tutti e sopra ogni cosa, concetto questo che è di immediata evidenza: il
Creatore è anche colui che regge e governa il mondo e la storia.
Di non facile traduzione e interpretazione la seconda espressione che viene tradotta fra tutti, come
per la Nuova Riveduta, ma anche si interpreta anche: agisce per mezzo di tutti e così anche si
traduce: per tutti …
Ogni traduzione e interpretazione ha le sue buone ragioni: ciò che si può ritrovare in comune è la
precisazione che Dio, che pure è sopra tutti e tutto, è fra tutti e agisce, nella potenza dello Spirito,
per mezzo di tutti e a vantaggio di tutti.
Dio è, infine, in tutti, ancora una volta nella potenza dello Spirito per guidare nella conoscenza,
nella fede, nella testimonianza, nell’agire, forza che vivifica e anima il credente e la comunità così
come lo spirito vivifica e anima il corpo di ognuno di noi e ognuna di noi.
L’unità del Corpo, cioè della chiesa, che si fonda sull’unicità di Dio, non è evidentemente cosa che
cade dall’alto e che venga passivamente subita; l’unità che viene dallo Spirito è accettata e accolta,
ma anche preparata dall’amore e dalla pace nelle quali e grazie alle quali si esercitano quelle virtù:
umiltà, mansuetudine, pazienza capaci di creare concordia e un clima positivo che lasci soffiare lo
Spirito, senza soffocarlo. L’esortazione ci chiama ad un impegno concreto in questo senso, per
essere nel concreto fedeli alla nostra vocazione ed esserne, perciò, degni, sempre consapevoli che,
come leggiamo poco prima nella medesima lettera: … è per grazia che siete stati salvati, mediante
la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. AMEN
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