Assisi03_10_02

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3 Ottobre 2002 - Transito di san Francesco
“Il presente di Dio, la vita come vocazione”
Contesto
Leggendo i brani delle fonti francescane si ha la percezione di un incontro
di Francesco con la morte che in tutto vuole imitare la morte, gli ultimi
momenti di vita, di Gesù.
Francesco era ammalato da tempo, crocifisso dalle stimmate e da una vita
tutta orientata alla sequela di Gesù Cristo, raduna i suoi, i frati, li benedice,
prende del pane e lo spezza donandolo a tutti (proprio come nell’ultima
cena...) chiede che venga letto un brano di Giovanni 13, si apre alla lode di
Dio, invita tutti e tutte le creature a lodare Dio; si comprende così perché
la Chiesa proponga le letture di Paolo ai Filippesi e ai Galati; la sua morte
è ormai illuminata da quella di Cristo... invita allora anche sorella morte a
lodare Dio.
Chi ascolta Francesco, tanto sereno e pieno di gioia e di lode, potrebbe
pensare che stia vivendo un momento di poesia, un momento “leggero”...
Tutto è così bello e lineare, tutto così facile...
Il presente, luogo della salvezza
Può essere illuminate allora avvertire che Francesco, in questo momento,
per l’ennesima volta, vive il “presente” come ha imparato a fare da tanto
tempo. Il presente é il presente di Dio a Dio! La morte è incontro,
illuminato dallo Spirito sa che tutto, per lui è salvezza (Filippesi).
Come ho detto tale consapevolezza del presente non è cosa improvvisa.
Tutti gli avvenimenti concreti della sua vita, anche quelli che chiamiamo
brutti, dolorosi, quelli stessi segnati da peccato e poi da riconciliazione...
sono luogo e occasione di incontro e di salvezza.
Francesco vive tutti questi momenti con animo e atteggiamento
riconciliati, cristianamente riconciliati. Davanti a sé ha la morte di Cristo,
che lui in tutta la sua vita ha cercato di seguire, imitare, amare.
Le radici in Francesco
Ma Francesco non aveva forse già saputo cogliere il presente di Dio
nell’incontro col lebbroso, nella contemplazione del crocifisso di san
Damiano e nell’ascolto del Vangelo?
Francesco non ha forse saputo riconoscere la paternità di Dio proprio nel
momento di conflitto con suo padre Bernardone? E così non ha colto
nell’arrivo di nuovi compagni una parola di Dio che lo mette su di una
strada assolutamente nuova, la strada della fraternità?
Attraverso l’incontro con sacerdoti ‘poverelli’ (chiamati così da Francesco,
ma non possiamo non pensare che meritassero un appellativo più severo),
Francesco ha imparato ad amare ancor più la Chiesa, la sua comunità, la
sua famiglia, di fatto, tanto da esserci indicato come un restauratore della
Chiesa, per poi divenire un pilastro della Chiesa di Cristo.
La novità nella testimonianza di Francesco
Ma anche all’esterno della comunità, a partire dal proprio vissuto e dal
confronto con gli atteggiamenti altrui e della società del suo tempo,
Francesco ha proposto e propone anche a noi atteggiamenti nuovi:
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in epoca di violente crociate, Francesco sa incontrare il sultano con rispetto, disarmato,
annunciando semplicemente il nome e il Vangelo di Gesù
in epoca di movimenti pauperistici (anche eretici) Francesco sa rimanere nella Chiesa con
grandissimo amore e rispetto e sa collaborare al suo rinnovamento
in epoca di uomini di Chiesa potenti e ricchi e di una Chiesa fortemente gerarchica,
Francesco propone la povertà, la minorità e una comunità che vive le relazioni della
fraternità, le relazioni della famiglia
in epoca di ideali cavallereschi e di lotte comunali, l’annuncio evangelico è condensato da
Francesco nell’annuncio di pace (agganci biblici alle apparizioni del Risorto, ma anche
all’invio da parte di Gesù dei discepoli: “in qualunque casa entriate”...)
Ciascuno di noi, dopo essersi confrontato con san Francesco, se è serio,
dovrebbe interrogarsi sulla sua propria vita e ripartire dal Vangelo. Non lo
può fare senza guardarsi dentro e attorno…Ebbene il messaggio di questa
liturgia è semplice: cerchi di cogliere il proprio presente come luogo di
salvezza, momento di incontro con il Signore e occasione di testimonianza
cristiana rinnovata.
Conclusione: la vita come vocazione
Per far questo però occorre mettersi nella prospettiva della vita come dono
ricevuto e di cui rendere conto, e degli avvenimenti della vita come
“vocazione”. Dio ci chiama, proprio attraverso la vita, attraverso gli
incontri concreti, gli avvenimenti felici e dolorosi.
E perché non leggere gli avvenimenti dolorosi in una prospettiva di fede
come stimmate, e quindi come segni di salvezza (Galati).
In questa prospettiva di fede, che coglie la presenza di Dio - il Cristo che
vive in me (Galati) -, nella vita concreta, ecco che anche l’incontro con la
morte potrà essere vissuto con atteggiamento riconciliato. La morte, che si
può finalmente chiamare sorella, apre così le porte a un incontro pieno con
l’Altissimo, apre le porte a una vita senza fine.
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