G. Moro Ott. 99 2. ENERGIA INTERNA ED ENTALPIA. Nel seguito si considerano trasformazioni di un sistema chiuso tra due ben definiti stati di equilibrio. Solo con questo vincolo le variazioni delle proprietà tra stato iniziale e finale sono descrivibili con le grandezze di stato. Gli stati iniziali e finali sono quindi rappresentabili come punti in un diagramma di stato T, p. Catalogazione delle trasformazioni termodinamiche come reversibili/irreversibili. • Trasformazioni reversibili: il sistema passa attraverso stati molto prossimi a quelli di equilibrio. In questo caso non solo gli stati iniziali e finali, ma anche gli stati intermedi sono rappresentabili termodinamicamente, ottenendo così una traiettoria nel diagramma di stato. La natura reversibile di tali trasformazioni deriva dalla necessità di operare con piccoli (infinitesimali) incrementi dei parametri esterni rispetto alla condizione di equilibrio, cosicchè il senso della trasformazione può essere facilmente invertita cambiando il segno di tali incrementi. Esempio delle compressioni/espansioni (un gas in un cilindro con pistone): l’equilibrio meccanico richiede l’uguaglianza della pressione esterna pext (operante sul pistone) e la pressione p del sistema (supposto in equilibrio termodinamico) p = pext Per comprimere reversibilmente il sistema si dovrà incrementare la pressione esterna di una quantità molto piccola δp (tendenzialmente infinitesima) pext = p + δp in modo tale da non distruggere lo stato di equilibrio del sistema. Invertendo il segno di δp, si ha la trasformazione opposta (espansione). Volendo in tutta generalità comprimere il sistema dalla pressione iniziale p1 alla pressione finale p2 , si dovrà operare con una pressione esterna dipendente dal tempo, ad esempio p1 (t ≤ t1 ) = pext (t) = p1 + r(t − t1 ) (t1 < t < t2 ) = p2 (t ≥ t2 ) 1 dove r ≡ (p2 − p1 )/(t2 − t1 ) è la velocità di compressione. Affinchè la trasformazione sia reversibile, la variazione della pressione deve essere asintoticamente lenta (r → 0). Compressioni a velocità r finita sono irreversibili nella misura in cui si generano stati di non-equilibrio non rappresentabili nel diagramma di stato (o, più precisamente, rappresentabili solamente in un ipotetico diagramma multidimensionale che includa anche gradi di libertà descrittivi degli stati di non-equilibrio). • Le trasformazioni reversibili sono un caso limite delle trasformazioni reali. Analogamente si possono descrivere i processi di riscaldamento/raffreddamento, immaginando il sistema a contatto con un corpo esterno la cui temperatura Text possa essere modificata a piacimento. La condizione di equilibrio termico equivale all’uguaglianza con la temperatura T del sistema Text = T In un riscaldamento reversibile bisogna incrementare di una quantità infinitesima la temperatura del corpo esterno Text = T + δT in modo tale da conservare la condizione di equilibrio del sistema. Per variazioni brusche di Text si hanno trasformazioni irreversibili attraverso stati di non-equilibrio del sistema (ad esempio si vengono a stabilire gradienti di temperatura che determinano moti convettivi). Dati due stati di equilibrio, ad esempio determinati dalle coppie (T1 , p1 ) e (T2 , p2 ) di temperatura e pressione, esiste una infinità di trasformazioni (sia reversibili che irreversibili) che li connettono. Il I0 principio della termodinamica determina i vincoli per tali trasformazioni sotto forma di conservazione dell’energia. Un aspetto non ovvio della questione deriva dall’esistenza dei fenomeni di dissipazione (di energia macroscopicamente misurabile in energia distribuita a livello microscopico/molecolare). Si consideri come esempio la caduta nel vuoto di un peso di massa m inizialmente a riposo ad un altezza h0 dal suolo. Calcoliamo l’energia del sistema come somma dell’energia potenziale e cinetica E = mv 2 /2 + mgh dove g e l’accelerazione di gravità (g = 9.81 m/sec2 ), con E0 = mgh0 come valore iniziale. Immediamente prima dell’urto con il suolo, tutta l’energia 2 potenziale si è trasformata in energia cinetica in corrispondenza della velocità √ v0 = 2gh0 . Dopo un tempo sufficiente il peso è in uno stato di immobilità sul suolo, a cui va apparentemente attribuita una energia nulla, così violando il principio della conservazione dell’energia. Per ripristinarlo bisogna tener conto della dissipazione dell’energia cinetica mv02 /2 in “energia termica” del peso (assumendo che non ci sia dissipazione verso il sistema suolo), che si manifesta in un suo incremento di temperatura. Nel bilancio dell’energia bisogna includere anche tale contributo descritto dall’energia interna U , per cui a conservarsi è l’energia totale E = mv 2 /2 + mgh + U Nella trasformazione in questione si avrà allora una variazione di energia interna ∆U = mgh0 . La termodinamica statistica fornisce una interpretazione microscopica dell’energia interna come valore medio dell’energia di interazione delle molecole e della loro energia cinetica rispetto al baricentro del sistema (ovviamente ci sono fluttuazioni di tale energia attorno al valore medio quando si consideri il sistema in equilibrio con l’ambiente). Enunciazione del Io principio della termodinamica: • per ogni sistema chiuso esiste una funzione di stato detta energia interna U la cui variazione in una trasformazione è data da ∆U = q + w dove q e w sono rispettivamente il calore assorbito dal sistema ed il lavoro fatto sul sistema. Da notarsi la convenzione sui segni di q e w, con valori positivi corrispondenti ad incrementi energetici del sistema. Inoltre • se il sistema non è immobile allora il principio va riferito all’energia totale ∆E = q + w con E inclusiva sia dell’energia interna che dell’energia cinetica e potenziale. • Ha senso considerare solo trasformazioni tra stati di equilibrio in cui sono definite le grandezze di stato, quale l’energia interna che può essere pensata come funzione di stato di variabili indipendenti, ad esempio U = U (T, p). 3 • L’energia interna è una proprietà estensiva. • L’energia interna è determinabile solamente in base al Io principio. Ne consegue che sono misurabili solo variazioni di energia interna. Si può attribuire un valore assoluto ad U solo se si fissa un qualche stato di riferimento (come per altre forme di energia). L’affermazione che U è una grandezza di stato costituisce il postulato del Io principio. Il calore non è una grandezza di stato caratterizzante lo stato di equilibrio di un sistema, ma il flusso di energia (interna) che si stabilisce tra 1) due corpi a temperatura differente e 2) separati da una superficie diatermica (cioè conduttrice di calore). Le superfici adiabatiche sono per definizione quelle che non consentono il flusso di calore. • Definizione di processi adiabatici come trasformazioni in assenza di flusso di calore: q = 0. o Il I principio fornisce anche il criterio di misura della quantità di calore. Si consideri una generica trasformazione tra due stati di equilibrio ∆U = q + w Introducendo una trasformazione adiabatica tra gli stessi due stati e quindi con la stessa variazione di energia interna (essendo una grandezza di stato) ∆U = wad si può derivare la quantità di calore q = wad − w • La quantità di calore è definita sulla base di misure di lavoro. Da questo punto di vista si può analizzare l’esperimento di Joule per la determinazione dell’equivalente meccanico della kilocaloria, definita come quantità di calore nel processo: 1 kg H2 O (p = 1Atm, T = 287.65K) → 1 kg H2 O (p = 1Atm, T = 288.65K) cioè per riscaldare un kg di acqua da 14.5◦ C a 15.5◦ C alla pressione atmosferica. Una trasformazione alternativa tra gli stessi due stati si può realizzare 4 in maniera adiabatica, utilizzando un peso di massa m che per caduta da una altezza ∆h mette in rotazione un agitatore. Per opportuna scelta (empiricamente verificabile) di m e ∆h, la dissipazione dell’energia meccanica da parte dell’agitatore assicura la trasformazione adiabatica tra i due precedenti stati. Applicando il primo principio si ha ∆U = mg∆h + wvol dove wvol è il lavori di volume fatto dalla pressione atmosferica (essendoci comunque variazioni di volume dell’acqua). Se la stessa trasformazione viene effettuata con una una quantità di calore q fornita da un corpo esterno, si ottiene ∆U = q + wvol con lo stesso lavoro di volume. Per confronto si deriva q = mg∆h e la realizzazione dell’esperimento fornisce il seguente valore numerico della kilocaloria 1 kcal = 4.184 kJ Da notarsi che in questo esperimento ambedue le trasformazioni sono irriversibili. Es. Quale dovrebbe essere l’altezza ∆h se m = 1 kg? Come si deve realizzare in pratica l’esperimento? Normalmente le misure di quantità di calore si effettuano nei calorimetri utilizzando una sostanza di riferimento. Il principio basilare è che la quantità di calore assorbita da un corpo deve essere esattamente uguale a quella ceduta dal corpo con cui è a contatto. Applichiamo il primo principio singolarmente a ciascun corpo ∆U1 = q1 + w1 ∆U2 = q2 + w2 ed al sistema costituito dal loro insieme tenuto conto del carattere estensivo dell’energia interna ∆U = ∆U1 + ∆U2 = q + w 5 dove q = q1 + q2 w = w1 + w2 se il sistema globale è mantenuto in condizioni adiabatiche, allora q = q1 + q2 = 0 cioè le quantità di calore assorbite dai due corpi sono uguali in modulo e di segno opposto. Anche il lavoro è descrittivo di una trasformazione e non dello stato di equilibrio di un sistema. Se ne possono distinguere diversi tipi a seconda della forma di interazione con il sistema, in particolare 1) lavoro meccanico di una forza meccanica che agisce sul sistema producendo il moto di una superficie di separazione, 2) lavoro elettrico prodotto da una differenza di potenziale imposta dall’esterno che genera una corrente nel sistema. Forme di lavoro associate ad altri tipi di campi esterni, sebbene possibili, non verrano esaminate. Per il lavoro meccanico si distinguono due tipologie fondamentali a seconda delle modalità della sua esecuzione a) lavoro puramente dissipativo (sfregamento, agitazione) come nell’esperimento di Joule, che non provocano variazioni di volume se non per effetto termico, b) lavoro di volume in cui la forza esterna è utilizzata per modificare il volume del sistema e che sotto opportune condizioni può essere restituito dal sistema (cicli di compressione/espansione). Il primo tipo essendo stato precedentemente esaminato, consideriamo ora il lavoro di volume ed i metodi per la sua determinazione. Il caso più semplice si ha quando su un sistema inizialmente all’equilibrio con dati (p1 , V1 ) si esercita una pressione esterna costante pext ̸= p1 . Dopo un tempo sufficiente il sistema raggiunge il nuovo stato di equilibrio (p2 , V2 ) con p2 = pext . Immaginando un cilindro di superficie S in cui il pistone esegua uno spostamento ∆x nella direzione della forza esterna Fext , si ottiene per il lavoro di volume wvol = Fext ∆x = pext S∆x = −pext ∆V dove ∆V = V2 − V1 . 6 • La precedente relazione determina il lavoro fatto sul sistema solo in assenza di attrito tra pistone e cilindro, altrimenti si avrebbe parziale dissipazione del lavoro meccanico sul contenitore. Affinchè tale lavoro sia anche calcolabile, oltre che misurabile da differenze di volume ∆V , occorre che lo stato finale sia determinato univocamente. Ma ciò dipende dalla temperatura raggiunta dal sistema in relazione allo scambio termico con l’ambiente. • Definizione di termostato: sistema in grado di scambiare velocemente grandi quantità di calore senza cambiare la sua temperatura (esempio: miscela di acqua e ghiaccio). Per i processi isotermi nei quali il sistema è a contatto con un termostato a temperatura T fissata, il lavoro di volume è deducibile dall’equazione di stato V = V (T, p) Es. Dato lo stato iniziale (p1 , T ), esprimere il lavoro di volume come funzione della pressione esterna costante pext = p2 nel caso di i) un gas ideale, ii) un liquido nell’approssimazione a compressibilità costante. Nel caso generale in cui la pressione esterna non è costante ma cambia con il tempo t in una qualche prefissata maniera, pext = pext (t), si dovrebbe misurare il volume del sistema V (t) in funzione del tempo. L’esperimento è rappresentabile come due grafici per la pressione esterna ed il volume come funzioni del tempo. Se quest’ultimo ha un andamento monotono, la funzione può essere invertita come t = t(V ) che sostituita in pext (t) genera la rappresentazione pext = pext (V ) Dalla quantità di lavoro infinitesima dwvol per uno spostamento del pistone dx con variazione di volume dV dw = Fext (V )dx = −pext (V )dV si deriva il lavoro per integrazione ∫ wvol = − V2 pext (V )dV V1 che (a parte il segno) coincide con l’area sottesa dalla curva pext (V ). In presenza di una pressione esterna variabile, il lavoro non è calcolabile se non 7 si conosce la risposta del sistema, cioè il suo volume in funzione del tempo. Si consideri allora il caso particolare in cui la trasformazione sia isoterma e reversibile, cosicchè la pressione esterna è deducibile dall’equazione di stato per la pressione pext = p(T, V ): ∫ wvol = − V2 p(T, V )dV V1 Nel caso particolare dei gas ideali si ottiene ∫ wvol = − V2 nRT dV /V = −nRT ln(V2 /V1 ) = −nRT ln(p1 /p2 ) V1 Es. Integrare wvol per compressioni isoterme reversibili del gas di van der Waals. Es. Integrare wvol per compressioni isoterme reversibili di un liquido nell’approssimazione a kT costante. Es. Confrontare il lavoro di compressione isotermo reversibile a 25◦ C da p1 = 1bar a p2 = 2bar per una mole di gas ideale ed una mole di acqua (kT = 5.01 × 10−5 /bar). Es. Confrontare il lavoro di volume per la compressione isoterma di una mole di gas ideale a 25◦ C da p1 = 1bar a p2 =2bar, condotta i) reversibilmente o ii) a pressione esterna costante. Es. Dimostrare che in tutta generalità (wvol )rev. ≤ (wvol )irr. per trasformazione isoterme (sia compressioni che espansioni o loro insiemi). Es. Può il lavoro di volume fatto da una forza esterna avere un esito puramente dissipativo? Considerare come esempio una compressione seguita da una espansione (ambedue isoterme) tra gli stessi due stati, ed eseguite i) con pressione esterna costante o ii) reversibilmente. Per il lavoro elettrico consideriamo solamente quello derivante dal passaggio nel sistema di una corrente. Quindi il sistema deve presentare due capi metallici attraverso cui si possa stabilire un flusso di carica. Si consideri prima il caso in cui i capi siano connessi da una semplice resistenza R a cui si possa applicare la legge di Ohm, ∆V = Ri. Imponendo una differenza di potenziale ∆V costante per un tempo ∆t si effettua un lavoro elettrico wel = q∆V 8 dove q = i∆t è la carica trasportata. Nel caso di potenziali applicati dipendenti dal tempo, si dovrà integrare la forma differenziale corrispondente ∆V 2 dwel = ∆V dq = ∆V idt = dt R È da sottolineare che nel caso di una resistenza, il lavoro elettrico è puramente dissipativo e non può essere operato in maniera reversibile. Es. Calcolare il lavoro fatto su una resistenza R nel tempo ∆t da una differenza di potenziale dipendente dal tempo come i) ∆V (t) = at, ii) ∆V (t) = a sin(ωt). Sotto quali condizioni il lavoro elettrico è all’incirca proporzionale a ∆t nel caso ii)? La cella galvanica (pila) costituisce l’altro importante sistema. La generazione di una corrente per semplice cortocuitazione dei suoi capi evidenzia la differenza rispetto al caso della resistenza. Altrimenti si può misurare la corrente come funzione della differenza di potenziale applicato ∆V ai suoi capi, così determinando la differenza di potenziale a corrente nulla. • Definizione di forza elettromotrice E (f.e.m) di una pila: differenza di potenziale ai capi della pila in assenza di passaggio di corrente E ≡ (∆V )i=0 • Solo per ∆V = E (o a circuito esterno aperto) la cella galvanica può essere in uno stato di equilibrio. Altrimenti si ha passaggio di corrente che produce una trasformazione chimica dei suoi costituenti. La forza elettromotrice è una proprietà di stato: due pile identicamente costituite e nelle stesse condizioni termodinamiche hanno la stessa forza elettromotrice. Uno degli obiettivi della termodinamica è di stabilire l’equazione di stato per la forza elettromotrice, vale a dire la relazione con le grandezze termodinamiche dei costituenti della cella galvanica. A tale scopo è indispensabile attribuire il segno delle grandezze elettriche in modo non ambiguo. Si supponga di avere comunque scelto l’elettrodo di destra (e l’elettrodo di sinistra), allora per definizione ∆V ≡ Vdestra − Vsinistra ed il lavoro elettrico è dato da wel = q∆V se viene attribuito il segno positivo alla carica q che circola esternamente dall’elettrodo di sinistra a quella di 9 destra. Un lavoro elettrico positivo per ∆V > 0, corrisponde al trasferimento di carica positiva dall’elettrodo di sinistra a potenziale più basso, all’elettrodo a potenziale più elevato. Se la pila è cortocircuitata (resistenza esterna nulla e quindi ∆V = 0), il lavoro elettrico è nullo. Es. Il lavoro elettrico dipende dalla scelta dell’elettrodo di destra/sinistra? Con le pile il lavoro elettrico può essere effettuato in maniera reversibile, applicando una differenza di potenziale che differisce dalla f.e.m a meno di una quantità δV piccola a piacere ∆V = E + δV La direzione del flusso di carica, e quindi anche il lavoro elettrico esprimibile in forma differenziale come dwel = Edq viene a dipendere dal segno di dq (e quindi di δV ). L’integrazione della precedente forma differenziale non è banale poichè il flusso di carica (che produce modificazioni chimiche nei costituenti) in generale modifica la forza elettromotrice della pila. Es. Può una pila essere assimilata ad una pura resistenza se la sua forza elettromotrice è nulla? In molti contesti risulta importante predire gli effetti termici di un processo (termochimica). Quindi si pone la questione: si può determinare la quantità di calore assorbita in un processo sulla base della sola conoscenza delle grandezze di stato? Poichè q = ∆U − w una risposta affermativa è possibile se è assente ogni forma di lavoro, w = 0, ed il volume è costante (altrimenti ci sarebbe lavoro di volume), nel qual caso la quantità di calore è data dalla variazione della grandezza di stato energia interna indipendentemente dal carattere reversibile o irreversibile del processo (q)w=0,V =cost. = ∆U = U (T2 , V ) − U (T1 , V ) In questo caso è conveniente considerare l’energia interna come funzione di stato della temperatura e del volume. Per caratterizzarne la dipendenza dalla 10 temperatura a volume fissato, si introduce il corrispondente coefficiente differenziale chiamato calore specifico a volume costante ( ) ∂U CV ≡ ∂T V che è una grandezza estensiva. Per sostanze pure è sufficiente la conoscenza del calore specifico molare cV ≡ CV /n che normalmente si esprime in unità J/ mol K. In generale il calore specifico dipende dalle variabili di stato indipendenti, e la sua integrazione è richiesta nel calcolo delle variazioni di energia interna ∫ T U (T, V ) − U (T0 , V ) = dT ′ CV (T ′ , V ) ≃ (T − T0 )CV T0 dove l’approssimazione è applicabile per intervalli di temperatura ristretti. Es. Una pallina di piombo del peso di 0.1 kg è lasciata cadere da una altezza di 10 m dal suolo. Assumendo che durante l’urto tutta l’energia cinetica sia dissipata sotto forma di energia interna della sola pallina, determinare l’incremento della sua temperatura, noto il calore specifico del piombo 0.128 J/g K. Come dipende l’incremento della temperatura dalla massa della pallina? Normalmente però le trasformazioni termodinamiche vengono eseguite a pressione costante (spesso quella atmosferica) invece che a volume costante. È quindi necessario introdurre la grandezza di stato estensiva entalpia H ≡ U + PV per descrivere gli effetti termici a pressione costante. Si dimostra infatti che (q)w=wvol ,pext =cost. = ∆H in una trasformazione con solo lavoro di volume e con pressione esterna pext rigorosamente costante. In tal caso la pressione iniziale p1 e finale p2 del sistema uguagliano la pressione esterna pext = p1 = p2 ≡ p 11 e conviene considerare l’entalpia come funzione di stato della pressione e della temperatura: H = H(T, p). Per applicazione del primo principio si dimostra il precedente teorema q = ∆U − wvol = U2 − U1 + pext (V2 − V1 ) = H2 − H1 indipendentemente dalla natura reversibile o irreversibile della trasformazione tra i due stati di equilibrio del sistema chiuso. Per caratterizzare la dipendenza dell’entalpia dalla temperatura a pressione costante, si definisce il calore specifico a pressione costante ( ) ∂H Cp ≡ ∂T p con la quantità molare cp ≡ Cp /n per sostanze pure. La variazione di entalpia è deducibile via integrazione del calore specifico ∫ T H(T, p) − H(T0 , p) = dT ′ Cp (T ′ , p) ≃ (T − T0 )Cp T0 con l’ultima approssimazione valida per intervalli di temperatura ristretti. Come applicazione si consideri la miscelazione di n1 moli di un liquido puro alla temperatura T1 con n2 moli dello stesso sostanza alla temperatura T2 . Nell’ipotesi che il processo avvenga a pressione costante, si può esplicitare la variazione entalpica considerando (T, p, n) come variabili indipendenti: ∆H =[H(T, p, n1 ) − H(T1 , p, n1 )] + [H(T, p, n2 ) − H(T2 , p, n2 )] = =n1 cp (T − T1 ) + n2 cp (T − T2 ) dove si è utilizzata l’approssimazione a cp costante e la proprietà addittività H(T, p, n1 +n2 ) = H(T, p, n1 )+H(T, p, n2 )] della grandezza estensiva entalpia. Se il processo avviene adiabaticamente, ∆H = 0, la precedente relazione permette di calcolare la temperatura finale T T = n1 T1 + n2 T2 n1 + n2 Es. Quant’è la variazione di entalpia dell’acqua nell’esperimento di Joule utilizzando un peso di 1 kg che scende di un’altezza di 3 m? Es. Stimare il tempo richiesto per portare all’ebollizione l’acqua per la pasta se si utilizza un fornello elettrico con una potenza di 1 kw (calore specifico 12 dell’acqua: cp = 89.1 J/mol K). Quanto viene a costare se l’Enel fa pagare 100 lire per 1 kwh? Ad una data pressione le trasformazioni di fase avvengono a temperatura costante ed il calore assorbito in presenza di solo lavoro di volume definisce la variazione entalpica del processo o calore latente. Ad esempio per la fusione del ghiaccio H2 O (s, p = 1bar, T = 273.15K) → H2 O (l, p = 1bar, T = 273.15K) si denota con ∆Hf il calore di fusione per mole di acqua. Analogamente si definiscono i calori latenti di ebollizione ∆Hv , di sublimazione ∆Hs , o per la trasformazione tra due fasi solide (ad esempio Srombico → Smonoclinico ), che in generale dipendono dalla pressione a cui il processo avviene. Es. È definito il calore specifico Cp in corrispondenza di una transizione di fase? Considerando in una miscela la grandezza estensiva entalpia come funzione di T , p e del numero di moli dei costituenti, si possono definire le entropie parziali molari ( ) ∂H Hi ≡ ∂ni T,p,nj Esse determinano l’entalpia di mescolamento tra due liquidi puri ∆Hmix = ∑ ni (Hi − Hi∗ ) i e quindi il calore assorbito nel mescolamento se si opera a (p, T ) costanti. 13