Filosofia - Dal Big Bang al Big Freeze

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Democrito- Kant- Laplace- Hawking
- L’ATOMISMO DI DEMOCRITO
Con l’atomismo ci troviamo di fronte una delle più vaste sintesi del pensiero greco e a una
filosofia di grande peso storico. Filosofo atomista per eccellenza, Democrito viene presentato
come un post-socratico.
Secondo Democrito tutta la realtà è
costituita da atomi che si muovono
incessantemente nel vuoto. Gli atomi
sono particelle elementari, indivisibili,
differenti tra loro solo per
caratteristiche quantitative o oggettive
come la forma, la grandezza, l’ordine
e la posizione, dotate di movimento
eterno che è ad esse
connaturato.L’incessante movimento
porta gli atomi ad aggregarsi e a
separarsi, dando luogo alla nascita,
alla trasformazione e alla morte di
tutto ciò che esiste. Le cose sono
pertanto combinazioni di atomi. Anche
l’uomo è una realtà esclusivamente
materiale e l’anima non è differente
dal corpo se non per il fatto che è
composta da atomi sottilissimi, mobilissimi, tondi e lisci. La diversità delle cose è spiegata in
base alla varietà della forma, della grandezza e della disposizione degli atomi che si
aggregano: da ciò segue che la spiegazione del mondo sta negli aspetti quantitativi e misurabili
delle cose, gli unici dei quali deve occuparsi la scienza. Gli aspetti qualitativi, come il colore e il
sapore, sono soggettivi, frutto dei nostri sensi e non proprietà delle cose. Dice infatti
Democrito: "Opinione il dolce, opinione l'amaro, opinione il caldo, opinione il freddo, opinione il
colore: in realtà soltanto gli atomi e il vuoto".L’idea che la scienza deve occuparsi degli aspetti
misurabili e perciò matematizzabili della natura ritornerà esplicitamente in Galileo Galilei, il
padre della scienza moderna, che nel Saggiatore scrive: “[l’universo] è scritto in lingua
matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è
impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un
oscuro laberinto".Il movimento originario degli atomi nel vuoto è caotico, irregolare, del tutto
casuale. Per questo Dante scriverà nell’Inferno (IV, 136): “Democrito che il mondo a caso
pone”.L’atomismo di Democrito esclude, infatti, che vi siano un principio trascendente o un
principio immanente al mondo che dirigano il tutto verso uno scopo. Le cose nascono e
muoiono senza alcun finalismo, secondo processi puramente meccanici dovuti al movimento
degli atomi in tutte le direzioni.In realtà Democrito, escludendo qualsiasi causa finale nella
natura, non intende propriamente introdurre in essa la casualità. Se la natura non avesse un
ordine, sarebbe infatti come un libro senza senso che nessuno si metterebbe a leggere. Scrive
Democrito: “Per necessità vennero preordinate tutte le cose che furono, che sono e che
saranno”. Ancora più esplicito è Leucippo, il fondatore della scuola atomistica, che afferma
nell’unico frammento che è rimasto delle sue opere: “Niente accade per caso, ma tutto avviene
per una ragione e per necessità”.Queste citazioni esprimono due principi basilari del
meccanicismo moderno.Che ogni fenomeno ha la sua ragione significa che ha una causa
determinata, cioè una causa efficiente particolare e specifica di cui è l’effetto. Se la scienza
non ha ancora trovato la causa di un fenomeno, ciò non significa che essa non esista, cioè che
il fenomeno sia casuale, ma solo che la causa è ancora sconosciuta.Che tutto avviene per
necessità significa che la natura opera attraverso leggi regolari (le leggi della fisica, delle
chimica, ecc.), per cui data una causa segue necessariamente l’effetto. Lo scopo dello
scienziato è scoprire la successione causale tra gli eventi e tradurla in leggi che permettono
non solo di spiegare i fenomeni della natura, ma anche di prevederli.Quindi il meccanicismo di
Democrito, sopraffatto al suo tempo dall’organicismo, si affermerà in modo definitivo molti
secoli dopo.
L’INFINITÀ SPAZIALE DELL’UNIVERSO
Poiché gli atomi erano infiniti, così, come le loro possibilità di combinazione, Democrito
riteneva che vi fossero infiniti mondi ( Supersimmetrie fisica moderna, teoria dei multi versi),
che perpetuamente nascevano e morivano. Anche l’universo preso nella sua totalità, era
spazialmente infinito, poiché non è pensabile un limite oltre il quale non si possa procedere.
Kant
La prima fase della produzione di Kant è caratterizzata dall'interesse verso le scienze e la
filosofia naturale, nell'intento di descrivere i fenomeni senza dover ricorrere a cause puramente
ipotetiche. Nella Storia universale della natura e teoria del cielo, sotto l'influsso di Newton,
questi applica le forze di attrazione e repulsione per elaborare una teoria meccanicistica
riguardante la formazione dell'universo, senza la necessità di dover ricorrere ad argomenti
teologici al fine di spiegare i fenomeni naturali. Alle opere di argomento scientifico, segue una
serie di scritti tesi a tentare una riorganizzazione della filosofia, nei quali vanno
progressivamente delineandosi i temi di quella che sarà poi la filosofia trascendendale
kantiana. Qui Kant si propone di cercare un metodo filosofico rigoroso per approdare ad una
certezza metafisica che sia paragonabile a quella raggiunta nell'ambito delle scienze
sperimentali. Egli critica la metafisica tradizionale, contrapponendole una metafisica intesa
come scienza dei limiti della ragione.
La Critica della ragion pura Nella Critica della ragion pura Kant si propone di sottoporre a
giudizio la ragione umana. Per critica della ragion pura qui si intende l'indagine rigorosa "della
facoltà della ragione riguardo a tutte le conoscenze a cui può aspirare indipendentemente da
ogni esperienza", al fine di poter stabilire la possibilità di una metafisica come scienza. La
conoscenza dovuta all'esperienza è detta a posteriori, mentre quella che è indipendente
dall'esperienza è detta a priori. Solo la conoscenza a priori è universale e necessaria. La
conoscenza si compone di una materia (le impressioni sensibili derivanti dall'esperienza) e da
una forma (l'ordine e l'unità che le nostre facoltà conferiscono alla materia). La conoscenza
scientifica, come opera nella matematica e nella fisica, è una sintesi a priori, vale a dire che
contiene giudizi sintetici a priori, dove sintetico significa che il predicato aggiunge qualcosa di
nuovo al soggetto, e a priori vuol dire universale e necessario e perciò non derivante
dall'esperienza. L'opera ha quindi lo scopo di rispondere alla domanda come siano possibili
giudizi sintetici a priori, ovvero come è possibile la scienza, visto che opera con simili giudizi.
Tali "condizioni di possibilità" della scienza e della conoscenza risiedono negli elementi a priori
che ordinano le impressioni: l'oggetto dell'esperienza risulta da una sintesi tra un dato della
sensibilità e un elemento a priori e Kant chiama tale oggetto fenomeno. La Critica della ragion
pura vuole indagare gli elementi formali, o trascendentali, della conoscenza, dove con
trascendentale si intende una conoscenza "che si occupa non di oggetti, ma del nostro modo
di conoscenza degli oggetti". Tale inversione nel rapporto conoscitivo per cui è l'oggetto
ricevuto dalla sensibilità e pensato dall'intelletto che si adegua al soggetto conoscente e non
viceversa viene definita da Kant la rivoluzione copernicana del pensiero. La Critica della ragion
pura si divide nell'estetica trascendentale e nella logica trascendentale, la quale è a sua volta
suddivisa in analitica trascendentale (analitica dei concetti e analitica dei princìpi) e dialettica
trascendentale. L'estetica trascendentale determina le forme pure della sensibilità, entro cui le
sensazioni sono ordinate. Queste sono le intuizioni pure di spazio e di tempo, che possiedono
una realtà empirica ed una idealità trascendentale, condizionando il modo delle cose di
apparire a noi. Se la sensibilità è recettività, l'intelletto è spontaneità e la sua attività è il
giudizio. Ne deriva che pensare altro non è che giudicare. La logica trascendentale astrae dal
contenuto empirico e tratta dei concetti puri, o categorie dell'intelletto. L'attività dell'intelletto si
esplica nel giudicare secondo classi (quantità, qualità, relazione, modalità) che si articolano in
funzioni intellettuali, le dodici categorie: unità, realtà, sostanzialità e inerzia, possibilità e
impossibilità, molteplicità, negazione, causalità e dipendenza, esistenza e inesistenza, totalità,
limitazione, comunanza e reciprocità di azione, necessità e casualità. Per applicare le
categorie agli oggetti dell'esperienza occorre il passaggio della deduzione trascendentale. Se
infatti nella sensibilità il molteplice dell'esperienza viene ordinato secondo le intuizioni di spazio
e di tempo, nell'intelletto il molteplice dato dalla sensibilità deve sottomettersi "alle condizioni
dell'unità sintetica originaria dell'appercezione": l'Io penso. Il pensiero di un oggetto mediante i
concetti dell'intelletto può diventare conoscenza solo se relazionato agli oggetti dei sensi.
Questo significa che pensare e conoscere non sono la stessa cosa: un oggetto può essere
pensato tramite le categorie, ma tale oggetto pensato può essere conosciuto solo mediante le
intuizioni sensibili di spazio e tempo. L'analitica dei princìpi insegna ad applicare i concetti ai
fenomeni, e questo implica che sia trovata una mediazione tra sensibilità e intelletto, tra
intuizione e concetto. Occorre cioè un terzo termine, omogeneo con il concetto, che è
intellettuale, e con il fenomeno, che è sensibile: si tratta dello schema trascendentale, un
prodotto dell'immaginazione. L'immaginazione configura nel tempo (che è a priori come le
categorie dell'intelletto e intuibile come le forme pure della sensibilità), secondo le varie
categorie, il materiale fornito dalla sensibilità. La dialettica trascendentale intende dimostrare
che i giudizi sintetici a priori valgono solo per le cose come appaiono, per i fenomeni. I giudizi
sintetici a priori risultano pertanto illegittimi se applicati alle cose in sé, che Kant definisce
noumeni e ci dice essere inconoscibili. Ne deriva che se le categorie hanno una funzione
costitutiva nella conoscenza, le tre idee di anima, mondo e Dio, fondamento del sapere
metafisico, hanno solo una funzione regolatrice e sono pensate dalla ragione, che a differenza
dell'intelletto non opera sui dati sensibili, gli unici veramente conoscibili. La ragione tende ad
unificare i dati interni attraverso l'idea di anima, i dati esterni attraverso l'idea di mondo e a
fondare tutto l'esistente nell'idea di Dio. L'errore nasce se la ragione pretende di entificare, di
trasformare cioè in enti reali, queste idee di cui non abbiamo alcuna esperienza, traendone una
conoscenza, la metafisica tradizionale, che è illusoria poiché pretende di andare oltre i limiti
dell'esperienza sensibile. Risulta perciò negativa la risposta alla domanda iniziale, ossia se sia
possibile una metafisica come scienza. La Critica della ragion pratica Scopo della Critica della
ragion pratica è la ricerca delle condizioni della morale. Nell'uomo è presente una legge morale
(un fatto della ragione) che comanda quale imperativo categorico, vale a dire
incondizionatamente. Questa legge del dovere comanda per la sua forma di legge, come
norma che prescrive di obbedire alla ragione, e perciò a differenza della massima (che regola
la condotta individuale) deve essere universale, principio oggettivo valido per tutti: indica come
fine il rispetto della persona umana e afferma l'indipendenza della volontà come pure
l'autonomia della ragione. Il dovere per il dovere indirizza quindi a quell'ordine morale, il regno
dei fini, in cui il valore di un'azione dipende dalla conformità della volontà alla prescrizione della
legge morale. I postulati della legge sono innanzitutto e fondamentalmente la libertà (se l'uomo
non fosse libero non ci sarebbe moralità), l'immortalità dell'anima (poiché nel nostro mondo
non si realizza mai la piena concordanza della volontà alla legge che rende degni del sommo
bene) e l'esistenza di Dio (che fa corrispondere la felicità al merito acquisito). Così le idee della
ragione (anima e Dio), solo pensabili nella Critica della ragion pura, ora si presentano come
postulati della moralità. La Critica del giudizio Tra il mondo dei fenomeni, di cui si dà scienza, e
il regno dei fini, sottratto al determinismo e del tutto libero, c'è eterogeneità, eppure il mondo
noumenico (cioè "pensato quale deve essere secondo i dettami della legge morale") deve
avere qualche riflesso su quello sensibile perché la libertà possa attuarvisi. L'attività del
giudizio, argomento della Critica del giudizio, deve proprio scorgere questo riflesso del regno
dei fini sul mondo fenomenico e lo può fare in due modi: quale giudizio determinante o quale
giudizio riflettente. Il caso del giudizio determinante è quello del giudizio gnoseologico e
morale, in cui è già data una norma universale che permette all'intelletto e alla volontà di
determinare il particolare, ossia il dato della scienza o l'azione della morale, sussumendolo
sotto le categorie dell'intelletto o sotto la legge morale (per esempio: la combustione del legno
è dovuta al fuoco; questa azione è giusta). L'esigenza del giudizio riflettente consiste nel fatto
che, dato il molteplice empirico, è necessario trovare il suo principio unitario, la finalità della
natura, formulato dalla facoltà di giudizio riflettendo su se medesima e sulla propria esigenza di
unità. Il giudizio riflettente può essere di tipo estetico, riguardante cioè la bellezza, e di tipo
teleologico, o finalistico, riguardante cioè gli scopi della natura: entrambi si fondano sulla
finalità, vale a dire su un rapporto di armonia e di accordo reciproco fra parti, e non hanno
valore conoscitivo.
STORIA UNIVERSALE DELLA NATURA E TEORIE DEL CIELO
Immanuel Kant ha dato un importante contributo alla cosmologia scientifica con
l’ipotesi sulle origini e la formazione del Sistema Solare, nello scritto del 1755, Storia
generale della natura e teoria del cielo. Secondo tale teoria il Sistema Solare ha avuto
origine da una “nube primordiale” di particelle che, sotto l’azione delle leggi della
meccanica newtoniana, partendo da una bassa velocità di rotazione, si sono
progressivamente condensate, mentre l’intera nebulosa si appiattiva, formando infine il
Sole e i pianeti.“Due cose riempiono l’animo mio di sempre nuova e crescente
ammirazione e reverenza, quanto più spesso e più durevolmente la riflessione vi si
esercita: il cielo stellato sopra di
me e la legge morale in me”.
Queste parole di Kant, tratte dalla
Critica della Ragion Pratica
(1788), rendono bene l’idea di
quanta importanza ebbero nel
filosofo prussiano gli studi di
astronomia. In origine, secondo
Kant, la materia che da oggi
forma a tutti i corpi del nostro
sistema planetario era sparsa
nello spazio in maniera caotica e
dava vita ad una grande
nebulosa diffusa e uniforme. Kant
pensava questa nebulosa
primitiva formata sia da gas che
da polveri. La materia avrebbe avuto la tendenza ad aggregarsi a causa della forza di
gravitazione combinata agli scontri fra le diverse particelle, fonti a loro volta, di ulteriori
aggregazioni. Kant riteneva che nella zona centrale della nebulosa vi fosse una densità
maggiore e quindi maggiore fosse anche l’attrazione. La conseguenza di ciò era che in
quel punto sarebbe affluita la maggior parte della materia. Questo materiale, in caduta,
risentiva delle deviazioni subite dalle particelle, per la resistenza da esse incontrata.
Ciò sfociò in un movimento nel medesimo senso. In questo modo il Sole fu animato da
un moto di rotazione continuo nello stesso senso e le particelle che si mettevano in
moto, sotto l’azione della forza di gravità del Sole, cominciarono ad avere il medesimo
movimento intorno al Sole.Nel 1796 il matematico, fisico e astronomo francese PierreSimon de Laplace (1749-1827) formulò nell’Esposizione del sistema del mondo una
teoria analoga (probabilmente senza conoscere l’ipotesi kantiana) ma con basi fisiche
più solide, che poi espresse più ampiamente nella sua opera maggiore, Meccanica
celeste, in cinque volumi (1799-1825).Nel XIX secolo, dopo la riscoperta del contributo
kantiano a questa teoria, l’ipotesi prende il nome di entrambi, ma nuovi calcoli
astronomici sembrano confutarla. Abbandonata per alcuni decenni viene poi
riaccreditata nel XX secolo dagli studi sull’evoluzione e sulla struttura delle stelle.
Laplace
Laplace fu il continuatore dell’opera di Newton e si deve a lui la trasformazione in
scienza della cosmogonia, quel settore dell’astronomia che si occupa di fornire la
spiegazione riguardo alla genesi dell’universo e dei corpi celesti. Laplace si occupò in
particolare della nascita del Sistema Solare, nell’Esposizione del sistema del mondo
(1796). La sua teoria fu continuamente rielaborata anche alla luce delle nuove
scoperte avvenute in quegli anni, quale per esempio quella dell’asteroide Cerere nel
1801. Laplace partiva dal presupposto che tutti i pianeti ed i satelliti ruotassero intorno
al Sole che sembrava così governare tutto il sistema.Seguendo il lavoro di Herschel
sulle nebulose gassose egli dedusse che all’interno di questi oggetti celesti si
formassero le stelle. Era quindi evidente che l’universo si stava evolvendo.Secondo
Laplace a mano a mano che l’atmosfera si raffreddava il Sole tendeva a contrarsi verso
il centro del sistema e lasciava nelle zone più periferiche, dove non arrivava più la sua
forza di gravitazione, vapori che si sarebbero successivamente condensati per dar vita
ai pianeti.Queste zone si sarebbero poi trasformate in anelli concentrici in rotazione
attorno al Sole. Un esempio di questi anelli sarebbe rimasto in orbita intorno al pianeta
Saturno.Nacque così la ricerca sulla genesi del Sistema Solare anche se oggi
sappiamo che alcune delle affermazioni di Laplace non erano esatte. I pianeti infatti
non si formano per la condensazione di vapori ma per le aggregazioni di materiali
presenti all’interno delle nubi stellari. Gli anelli di Saturno, invece, sono formati da
ghiaccio e roccia.
Stephen Hawking
“Potrei essere rinchuiso dentro un guscio di noce e tuttavia sentirmi re dell’infinito spazio”.
Questa frase, tratta dall’Amleto di William Shakespeare (atto II, scena II), ben si addice
alla difficile esistenza di
Stephen Hawking. Nato a
Oxford l’ 8 gennaio 1942 (come
egli ama sottolineare, nel
trecentesimo anniversario della
morte di Galileo) dopo che la
madre fu costretta a fuggire da
Londra durante la gravidanza, a
causa dei bombardamenti
tedeschi, solo nel 1950 la
famiglia Hawking trova dimora
presso St. Albans dove
Stephen frequenta la scuola
locale, prima di andare a Oxford
per studiare fisica. In questa
autorevole sede universitaria si diploma nel 1962 per poi trasferirsi a Cambridge dove
consegue il dottorato in fisica teorica; proprio in questa sede, dopo parecchi anni,
diventerà il titolare della cattedra lucasiana di matematica. Il 1962 è anche l’anno in cui gli
viene diagnosticata un’atrofia muscolare spinale progressiva (nota anche come ALS,
sclerosi laterale amiotrofica), una patologia che comporta un deterioramento progressivo
dei nervi che controllano l’azione muscolare volontaria e che lo porterà alla permanenza
forzata su di una sedia a rotelle. Malgrado questo pesantissimo deficit motorio lo abbia
reso non autosufficiente sul piano corporeo, bisognoso di continua assistenza medica,
tutto questo non ha potuto fermare la smania di conoscenza tipica del grande filosofo. La
sua passione sfrenata per il cosmo lo ha portato, sulla scia di Einstein, al tentativo di
elaborare una teoria quantistica della gravità che fosse in grado di unificare le quattro
forze della natura (interazioni nucleari forte e debole, l’elettromagnetismo e la gravità),
sistema scientifico comunemente noto come “teoria del tutto”. Bisogna tuttavia precisare
che il contributo più importante di Stephen Hawking alla ricerca scientifica è quello
derivante dallo studio delle modificazioni dello spazio-tempo, in particolare il fenomeno dei
cosiddetti “buchi neri”, ricerca dalla quale è nato il libro “Dal big bang ai buchi neri”, bestseller della divulgazione scientifica. Sappiamo, dalla Teoria della relatività generale di
Einstein, che lo spazio-tempo è da considerarsi come un tappeto elastico il quale, in
presenza di grandi masse come stelle o pianeti, si incurva, provocando delle distorsioni
anche alla luce che viaggia nei pressi dei corpi celesti. Il nostro sistema solare, ad
esempio, funziona proprio in questo modo: il sole incurva lo spazio-tempo e i pianeti non
possono viaggiare seguendo una traiettoria in linea retta ma convergono verso il centro, in
un delicato equlibrio tra forza centrifuga e centripeta. Questa scoperta fu la rivoluzione del
paradigma scientifico newtoniano, secondo il quale l’attrazione fra due oggetti è
proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della
loro distanza, principio conosciuto come “legge di gravitazione dell’inverso del quadrato”.
Ora, sappiamo anche che le stelle hanno una nascita, un lungo periodo di vita e una
morte. La fine di una stella può avvenire in modi spaventosamente potenti attraverso
esplosioni (come nel caso della Supernova 1987/A, osservata dai telescopi di tutto il
mondo il 23 aprile 1987, la quale determinò una pioggia di particelle subatomiche ad
interazione debole dette “Neutrini”, che investirono anche il nostro pianeta) o
collassamenti, eventi, questi ultimi, che possono addirittura bucare lo spazio-tempo dando
vita ai buchi neri. Nel 1916 l’astronomo tedesco Karl Schwarzschild dimostrò
matematicamente che se la massa di una stella si concentrava in una regione abbastanza
piccola, il campo gravitazionale sulla superficie della stella diventava così intenso da non
lasciare uscire nemmeno la luce, irrimediabilmente risucchiata nell’enigmatico interno
dell’oggetto cosmico; per questo motivo fu conferito a tali fenomeni stellari il titolo di
“mostri cosmici” e assegnato loro il macabro colore nero, in quanto inarrestabili divoratori
di materia e incapaci di irradiare luce. Prima di Hawking si credeva che qualsiasi cosa
fosse disgraziatamente caduta in un buco nero non ne sarebbe più uscita per l’eternità. Il
fisico inglese dimostrò che le cose andavano un po’ diversamente. Sulla scia della
scoperta di Roger Penrose della morte di una stella che, collassando su se stessa si
ridurrebbe ad una singolarità e a dimensioni nulle, Hawking giunse alla conclusione che i
buchi neri potrebbero essere in numero assai superiore rispetto alle stelle visibili, che
vengono stimate da 100 a 400 miliardi solo nella nostra galassia. Il contorno di un buco
nero si chiama “orizzonte degli eventi”, limite oltre il quale sarebbe meglio non spingersi.
Ma, ipotizzando che un astronauta abbia la sventura di oltrepassare tale soglia, che cosa
gli accadrebbe? Egli non noterebbe niente di particolare, fin quando non subirebbe la
cosiddetta “spaghettificazione”, ovvero un progressivo ed inarrestabile allungamento del
proprio corpo, a causa dell’enorme forza di gravità, che lo condurrebbe verso una morte
certa. Per gli osservatori esterni lo spettacolo consisterebbe nel vedere l’astronauta
immobilizzato, pietrificato
per l’eternità, col suo
orologio che si fermerebbe
in un istante eterno, poco
prima dell’ingresso; questo
fenomeno è causato dalla
compressione che subisce
il tempo nei pressi
dell’orizzonte degli eventi.
Hawking sostiene che
l’energia o la massa ceduta
dall’astronauta al buco
nero, viene restituita a
causa dell’entropia
(grandezza che misura il
grado di disordine in un
sistema) rappresentata
dall’orizzonte degli eventi.
In altri termini, più il buco nero divora materia, più il suo contorno aumenta e, se esiste
un’entropia, allora deve esserci anche una temperatura, riscaldamento che genera
evaporazioni sotto forma di radiazioni. Ma non si era detto che nulla può sfuggire ad un
buco nero? A questo punto il prof. Hawking fa intervenire la meccanica quantistica per
spiegare tale fenomeno e giustificare la sua teoria. Mentre la teoria della relatività di
Einstein è considerata una teoria “classica”, a causa del fatto che riconosce la possibilità
di determinare la posizione e la velocità di particelle infinitesimali, escludendo
aprioristicamente l’elemento della casualità (famosa la frase di Einstein riferita alla nascita
dell’universo “Dio non gioca a dadi”), la meccanica quantistica di Eisenberg, Dirac e
Schrödinger, si basa sul “principio di indeterminazione” elaborato dallo stesso Werner
Eisenberg negli anni 1920. Secondo tale assunto le particelle infinitesimali non hanno una
posizione e una velocità definite; perdipiù, maggiore è la precisione con cui si determina la
loro posizione, minore è la precisione con cui si stabilisce la loro velocità. La meccanica
quantistica prevede che lo spazio sia riempito di particelle virtuali e antiparticelle che si
materializzano a coppie, che si separano, che si uniscono e infine che si annichilano a
vicenda. In presenza di un buco nero una di queste particelle può cadervi dentro,
lasciando il partner privo del compagno con cui annullarsi: questa particella appare come
radiazione emessa dal buco nero. Per questo motivo Hawking sostiene che i buchi neri
non sono eterni, ma evaporano e svaniscono in gigantesche eplosioni. Einstein, come si
diceva, non accettò mai l’elemento della casualità previsto dalla meccanica quantistica
all’interno dell’universo. A questo scetticismo Hawking ha risposto con l’affermazione:
“Non solo Dio gioca a dadi, ma li getta dove non possono essere visti”. Un’altra domanda
alla quale il cosmologo inglese ha tentato di dare una risposta è inerente al problema del
tempo. Se l’universo è eterno, questo è un problema senza senso, visto che esso esiste
da sempre e continuerà ad esistere per l’eternità. Ma se l’universo ha avuto un inizio,
pricipio che la scienza fa coincidere col “big bang”, il tempo scorrerà sempre nella stessa
direzione o invertirà il suo corso? La domanda è pertinente se si considerà il fatto che il
nostro cosmo, essendo in espansione (dimostrato dalla teoria della deriva delle galassie di
Edwin Hubble alla fine degli anni venti), potrebbe arrivare ad un punto in cui, a causa della
forza esercitata dalla gravità della materia in esso contenuta, inizierebbe a regredire per
ritornare all’istante iniziale e, in concomitanza di tale fenomeno, anche la freccia del tempo
invertirebbe il suo corso. Inizieremmo allora a vivere una vita piuttosto bizzarra in cui i
piatti rotti tornerebbero a ricomporsi, i divorziati si ricongiungerebbero e moriremmo prima
di nascere, tornando nel ventre delle nostre madri? A salvarci da questo scenario ci pensa
il “Secondo principio della termodinamica” che, in termini molto banali, afferma che le cose
si consumano nel tempo. Una casa lasciata alle intemperie dopo un certo periodo crollerà
inevitabilmente: per salvaguardarla dovrò investire molta energia sotto forma di lavoro e
una certa somma di denaro per pagare i muratori addetti alla manutenzione. Arthur
Eddington un volta scrisse che tra tutti i principi di natura quello della termodinamica
deteneva la posizione suprema. Hawking non aveva fatto i conti con questo principio e
ammise di aver commesso un errore. Anche in caso di contrazione dell’universo, il tempo
continuerà a scorrere nella medesima direzione; l’entropia dà una direzione agli eventi che
va dal passato al futuro e non sarà concesso neppure al tempo di invalidare questa ferrea
costante di natura. Una importante intuizione di Hawking, sempre riferita al tempo,
riguarda il limite imposto alla fisica dall’istante zero, comunemente detto Big bang. Per
aggirare tale ostacolo egli propone di utilizzare il “Tempo immaginario”, grandezza che
viene misurata mediante numeri immaginari. La proposta di Hawking consente di
concettualizzare un universo non più di forma conica col vertice a punta rappresentante il
big bang, ma permette di immaginare un cono con il vertice arrotondato che non coincide
più con alcun inizio. Grazie al tempo immaginario il Big bang non sarebbe altro che un
punto di un universo curvo, analogamente al polo nord terrestre, ma con due dimensioni
aggiuntive. Combinando la relatività generale e il principio di indeterminazione, lo spazio e
il tempo possono essere considerati finiti ma illimitati. L’analogia con la superficie della
terra è illuminante in quanto, avendo a che fare con il tempo immaginario, ovvero uno
spazio-tempo euclideo in cui la direzione del tempo è posta sullo stesso piano di quella
dello spazio, si può ipotizzare che lo spazio-tempo sia finito e che non abbia alcuna
singolarità che ne determini un confine o un bordo. Tra le tante teorie sull’universo
(stazionario, in espansione, in recessione, eterno ecc.) questa è senz’altro una tra le più
stimolanti. Postulare che il cosmo non abbia un inizio, significa affermare che non
esisterebbe alcun momento zero o, in termini religiosi, di creazione: l’universo non
sarebbe mai stato creato e non verrebbe mai distrutto da alcuna mente superiore, entità
capace di sottrarsi alle leggi della fisica. Hawking tuttavia coltiva un sogno che è quello di
riuscire a dare una spiegazione dell’intero nostro universo tramite una teoria completa,
comprensibile a tutti gli uomini nei suoi principi generali. Perché l’universo si dà tanta pena
di esistere? Qual è la sua natura? Perché l’universo è così come lo vediamo? Qual è il
nostro posto in esso? Esiste un creatore? Questa serie di domande, che da sole bastano
a togliere il sonno a parecchie generazioni di filosofi e scienzati, ha anch’essa una
funzione determinante all’interno del cosmo: se riusciremo a dare loro delle risposte
soddisfacenti, in quel momento saremo entrati in stretto contatto con il pensiero di Dio. 
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