REGATT 20-2009.qxd 24/11/2009 14.54 Pagina 657 e ditoriale BENEDETTO XVI Anglicanorum coetibus Attraversare il Tevere La costituzione apostolica Anglicanorum coetibus di Benedetto XVI (datata 4 novembre ma pubblicata il 12), istituendo gli ordinariati personali per quei fedeli anglicani che desiderino entrare nella Chiesa cattolica romana singolarmente, ma soprattutto corporativamente, cioè in gruppi organizzati, avvia un processo diverso nel rapporto tra la Chiesa cattolica romana e la Comunione anglicana. La costituzione dispone anche alcune Norme complementari (un documento giuridico a firma della Congregazione per la dottrina della fede) che ne regolano l’applicazione. Il papa evidenzia lo spirito della costituzione su tre punti: la divisione fra i battezzati è una ferita che contraddice l’unità della Chiesa chiesta da Gesù; la comunione fra i battezzati per essere piena non può che manifestarsi «visibilmente nei vincoli della professione dell’integrità della fede, della celebrazione di tutti i sacramenti istituiti da Cristo e del governo del collegio dei vescovi uniti con il proprio capo, il romano pontefice»; infine, quegli anglicani che hanno chiesto di entrare in piena comunione con la Chiesa cattolica sono stati spinti verso la ricostituzione dell’unità dagli elementi propri della Chiesa di Cristo che sono stati sempre presenti nella loro vita cristiana. Qui il testo di Lumen gentium viene interpretato come se il riconoscimento degli «elementi di santificazione e di verità» (n. 8; EV 1/305) presenti nelle altre Chiese e comunità cristiane più che sviluppare un proprio, misterioso, percorso verso l’unità dell’unica Chiesa rappresentasse un processo di ritorno all’interno della Chiesa cattolica. Ed è la prima volta che accade dopo il Vaticano II. Lo strumento giuridico che il papa ha offerto è quello dell’erezione di ordinariati personali. Non si tratta di una figura nuova nell’ordinamento canonico, ma di un’estensione, seppur con diversa finalità, degli ordinariati militari. L’intento dichiarato della costituzio- ne e delle norme complementari è quello di «mantenere vive all’interno della Chiesa cattolica le tradizioni spirituali, liturgiche e pastorali della Comunione anglicana, quale dono prezioso per alimentare la fede dei suoi membri e ricchezza da condividere». La tutela e l’alimento della tradizione anglicana sono assicurate attraverso la concessione all’ordinariato della facoltà di celebrare l’eucaristia e gli altri sacramenti, la Liturgia delle ore e le altre azioni liturgiche secondo i libri liturgici propri della tradizione anglicana approvati dalla Santa Sede, senza tuttavia escludere che le celebrazioni liturgiche avvengano secondo il Rito romano; la formazione autonoma dei propri seminaristi; la concessione a quanti sono ministri coniugati nell’anglicanesimo, anche vescovi, di essere ordinati nel grado del presbiterato; la possibilità di ammettere caso per caso al presbiterato anche uomini coniugati; la possibilità di erigere nuove strutture pastorali e religiose per coloro che provengono dall’anglicanesimo. L’integrazione nella vita della Chiesa cattolica è assicurata dalla fedeltà al papa e dall’accettazione del Catechismo della Chiesa cattolica, quale espressione autentica della fede dei membri dell’ordinariato: una soluzione ecclesiologica, questa, non particolarmente brillante, vista la natura propria dei catechismi. Il papa è intervenuto con un documento impegnativo e indicando linee nuove rispetto ai suoi predecessori, di fronte a una crisi radicale della Comunione anglicana e per rispondere a numerose e pressanti richieste di gruppi anglicani organizzati che chiedevano di entrare in comunione piena con Roma: alcune centinaia di migliaia di persone oltre a un migliaio di preti e forse a una ventina di vescovi. Diverso era stato l’approccio adottato da Giovanni Paolo II con la Pastoral provision (20.6.1980). Infatti, mentre questa prevedeva che i fedeli provenienti dall’anglicanesimo appartenesse- ro alla diocesi in cui avevano il domicilio, l’Anglicanorum coetibus prevede che facciano parte dell’ordinariato personale, non della diocesi in cui stabiliscono il loro domicilio. In questo senso rimane aperto un certo ruolo delle singole Chiese locali e delle conferenze episcopali nazionali, ma il raccordo e la relazione tra i nuovi ordinariati e le strutture preesistenti è tutto da sperimentare. La costituzione non se la sente di ridiscutere l’Apostolicae curae di Leone XIII sulla validità delle ordinazioni anglicane, non prevede che siano ammessi all’ordine dell’episcopato uomini coniugati, ma in qualche modo apre la problematica del sacerdozio uxorato anche all’interno della tradizione latina, nel momento in cui una doppia disciplina viene manifestamente concessa per un numero rilevante di casi. Il papa ha cercato di dare al documento un carattere tutto interno alla Chiesa cattolica, senza che esso si proponesse formalmente come alternativo al dialogo ecumenico, che evidentemente prosegue: la competenza pressoché esclusiva della Congregazione per la dottrina della fede e l’assenza (sia nella fase preparatoria del documento, sia nella sua gestione) del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ne sono la giustificazione assunta. Tuttavia è difficile immaginare che al punto in cui sono giunti tutti i dialoghi ecumenici, una decisione rilevante interna a ciascuna Chiesa non influisca o non determini decisioni conseguenti all’interno delle altre. In questo senso il ritardo con cui è stata informata Canterbury e il recupero tardivo del Pontificio consiglio del card. Kasper dicono di una gestione curiale faticosa. Proprio una maggiore insistenza sull’irreversibilità della scelta ecumenica avrebbe significato una più evidente e indubitabile definizione del profilo interno alla Chiesa cattolica della costituzione apostolica. R IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2009 657