Economia
Sabato, 7 gennaio 2012
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Prospettive. La conferenza stampa di fine 2011 del Presidente del Consiglio Mario Monti
Una «nuova stagione» per l’Italia e l’Europa?
«O
ccorre modificare pregiudizi sbagliati che l’Europa e il mondo hanno sull’Italia. Sappiamo che sono
sbagliati, ma dobbiamo convincere anche
loro». Forse in questo passaggio sta il senso
profondo del ragionamento che il presidente
del Consiglio Mario Monti ha svolto nei giorni
scorsi nella tradizionale conferenza stampa di
fine anno. Il governo è investito di un compito preciso e intende svolgerlo con scrupolo,
puntiglio e competenza. Monti lo ha onestamente ribadito con serena consapevolezza,
citando le parole del “Washington Post”, che
qualche giorno fa ha sottolineato come la stabilità dell’Italia rappresenti un elemento cruciale per la salute dell’euro, che a sua volta è
un elemento cruciale per la tenuta del quadro dell’economia globale. Di qui un preciso senso di responsabilità e gli impegni che
ne conseguono. L’impressione, comunque,
è che la situazione abbia raggiunto una certa stabilità nel decisivo capitolo della messa
in sicurezza dei fondamentali e della conseguente rassicurazione dei mercati. Certo è un
impegno che non si può considerare concluso
e reclama un intervento costante: è dunque
necessario continuare con vigilanza attiva e
non è un caso che il presidente del Consiglio
non abbia escluso interventi sullo stock del
debito, da attuare in modo meditato, così da
agire in senso strutturale. Da qui si dipartono
due altri temi. Il primo è l’altra parte essenziale del programma di governo, il secondo ne
esula, ma non è meno rilevante.
Monti ha confermato che il governo aprirà la
cosiddetta “fase due”, cioè i provvedimenti per
la crescita. Si tratta ovviamente di un passaggio necessario, tanto più alla luce dei salassi già richiesti alla generalità dei cittadini e a
quelli in prospettiva immediata che conseguiranno, con altri generalizzati rincari. Non
è certo facile mettere in cantiere una manovra
equa e propulsiva per smantellare privilegi e
liberare energie positive, assicurando la ne-
cessaria tutela, ma non è meno necessaria che
la messa in sicurezza dei conti. L’altro grande
capitolo di azione politica è quello delle riforme. Argutamente il professor Monti ha augurato ai partiti di «lavorare bene nel prossimo
anno e soprattutto di trovare delle vie d’uscita
positive per il Paese per quanto riguarda le riforme istituzionali che darebbero grande respiro all’Italia», aggiungendo che esse «sono
complementari al lavoro più modesto che noi
cerchiamo di fare». Un po’ smarriti e un po’
salassati, ma anche disponibili ad avere rinnovata fiducia nel futuro, gli italiani stanno
reagendo in questi giorni di festa riscoprendo una certa sobrietà e il senso profondo delle cose. E cominciano a percepire i contorni
di una nuova stagione d’impegno. Compito
delle istituzioni e della politica a tutti i livelli
è creare le condizioni per sviluppare e consolidare le prospettive nuove che dalla crisi
cominciano a intravedersi, sia pure tra mille
difficoltà e contraddizioni.
Soluzioni da pensare. Occorrono idee che abbiano il coraggio di guardare al futuro
con orizzonti a medio-lungo raggio, per risolvere problemi che hanno radici lontane...
Il ruolo dei cattolici in politica
I
giudizi, le critiche e le
proposte, che riservo a
politici, sindacalisti, uomini
di cultura e imprenditori,
sono sempre attraversate dal
dubbio di essere in errore. Non
rinuncio tuttavia a pormi e a
porre domande, a effettuare
analisi, a esprimere opinioni
e giudizi. Mi sono sempre
chiesto se una parte, piuttosto
consistente, di cristiani
che operano negli ambiti
della politica, del sociale,
dell’economia e della finanza,
non incorrano nell’errore
di Origene, il quale era “un
cristiano pienamente convinto
e un platonico altrettanto
convinto”. Dimenticava, che i
due “mondi spirituali erano
rivali fra loro”. Insomma “per lui
le parole sarebbero cristiane,
ma i pensieri resterebbero
greci”. I parlamentari, gli
imprenditori e i sindacalisti
colti nelle loro funzioni formali,
paiono identici, quindi non
è facile capire chi è cristiano
e chi no. Non svelo misteri se
dico che il messaggio cristiano,
oggi in Italia, rischia di non
essere né rilevante, né decisivo.
Vorremmo che non rinunciasse
a produrre cultura e a leggere
e decifrare gli scenari di crisi
economica, politica e culturale,
sui quali si gioca il futuro
delle nuove generazioni. Il
pensiero cattolico vorremmo
che giocasse un ruolo da
protagonista nell’esprimere
linee e idee in merito a
progetti di ridefinizione
della struttura economica,
finanziaria e politico/partitico/
parlamentare.
Il Popolo di Dio, in cammino
nella storia, mi sembra,
talvolta, che non si ponga
la domanda: “Perché sono
cristiano?”. La risposta, non
dimentichiamolo, metterebbe
in evidenza un avvenimento
“rivoluzionario”, ovvero che
“nel fatto cristiano a essere in
gioco è un incontro misterioso
fra la grazia divina e la libertà
dell’uomo”. Fatto che ha due
dimensioni: una verticale
e una orizzontale. Ed è su
quest’ultima che mi soffermo.
Inizio con il ricordare che
raramente i cattolici italiani
riflettono in modo chiaro
sulla loro identità e sulle
radici della crisi che attraversa
l’Italia. Guardando agli attuali
scenari internazionali e di
crisi, mi sembra che i cattolici
siano chiamati a decifrare
e cercare soluzioni rispetto
alla situazione contingente,
sebbene ci siano alcune
difficoltà causate dalla
mancanza di robuste dottrine
economiche e ideali condivisi.
Il capitalismo è stato colpito da
un virus devastante, innescato
dalla crisi dei mercati finanziari
statunitensi, con conseguente
crollo dell’economia reale
e la distruzione di milioni
di posti di lavoro. Sulla
questione sono nati due
fronti, entrambi convinti
di possedere la formula
della ripresa economica e
del rilancio delle Istituzioni
democratiche. Un gruppo è
rappresentato dai profeti della
“programmazione economica”
e della presenza dello Stato nei
gangli dell’economia. A costoro
può risultare utile un ripasso
di storia. Se lo facessero,
scoprirebbero il fallimento,
costato miseria e sofferenze,
del centralismo economico,
attuato nei Paesi del blocco
sovietico e i disastri provocati
dalle Partecipazioni statali
italiane. Sull’altra sponda sono
schierati i liberisti, convinti che
il sistema economico debba
essere lasciato libero di operare
nel rispetto delle proprie leggi.
Così operando si supererebbe
la crisi e si conseguirebbe la
piena occupazione. La realtà
ha smentito queste teorie e
suggerito, fatta salva la libertà
di impresa, di fissare norme
e delimitare i confini entro
i quali sviluppare le attività
produttive, finanziarie e
commerciali. In poche parole:
mercato, concorrenza, libera
intrapresa. Lo Stato non deve
assumere la proprietà dei
mezzi di produzione, né in toto
né in parte, bensì deve creare le
condizioni richieste a garantire
un ordinato sviluppo. Da ciò
discende il consumismo, tanto
avversato dai cattolici.
Personalmente combatto
lo spreco, le mode che
portano a confondere la
dignità della persona con la
futilità, ma non il consumo,
in quanto i minori consumi
impoveriscono le nazioni e
moltiplicano i disoccupati. Mi
si conceda inoltre di affermare
che il risparmio è una virtù,
in quanto segno di vita
morigerata e di disponibilità
al sacrificio e all’abnegazione.
Ma è altrettanto vero che
se il danaro messo da parte
non viene investito, ovvero
mirato al profitto e all’attività
imprenditoriale, la società
civile diverrà più povera e il
debito pubblico lieviterà. I
governi che si sono succeduti
dal 1950 ad oggi, hanno tentato
di contenere il debito pubblico:
forzando le Banche e i privati
a sostenerlo; alienando parti
del patrimonio pubblico;
aumentando la pressione
fiscale; tagliando in modo
insensato la spesa. Interventi
di natura contingente
quindi non risolutivi e di
conseguenza sprovvisti di
ampiezza futuristica. Piaccia
o non piaccia ammetterlo, la
riduzione del debito pubblico,
giunto a 1.909 miliardi di euro
(il 122% del Pil), è perseguibile
solo attraverso il risanamento
politico/istituzionale e lo
stimolo alla crescita da attuarsi
con misure strutturali. Sia
chiaro, non condivido la tesi di
chi denuncia che la democrazia
è stata sospesa e che la crisi
economica, della democrazia e
dei valori sia imputabile in toto
a Berlusconi… Insinuo solo
che è in atto una crisi grave
della democrazia parlamentare
ed economico/finanziaria
causata da vari fattori, che
va dai governi che si sono
susseguiti agli atteggiamenti
spesso insipienti e predatori
dei partiti...
Della crisi parlamentare
parlerò in un prossimo
articolo, ora mi soffermo sulle
misure del governo Monti per
riconfermare che sono di corto
raggio, ossia tese a contenere
la spesa e a fare cassa. Manca
il lungo raggio, ovvero come
riattivare la crescita. Caro
lettore fermiamo lo sviluppo e
salviamo gli equilibri ecologici
del pianeta o riaccendiamo
i motori dello sviluppo, allo
scopo di salvaguardare il
nostro benessere posto in
discussione da debiti e crescita
bloccata? Credo sia utile
ricordare che per assicurare
le equità sociali necessitano
risorse economiche, le quali
sono prodotte dalla crescita. La
crescita va sostenuta, ma con
intelligenza; quindi la presenza
dei cristiani in maniera
autonoma è indispensabile.
GIANNI MUNARINI