Omelia del Vescovo Gerardo
per la solennità del Corpus
Domini
ABITARE IL CENACOLO PER SERVIRE LA CITTÀ
Omelia per la solennità del Corpus Domini
Cassino, Chiesa madre, 07 giugno 2015
E’ gioia straordinaria quella che permea la liturgia del
Corpus Domini. Gratitudine, stupore, e silenzio adorante
accompagnano la fede della Chiesa nel mistero eucaristico.
Invito tutti ad abitare in prima persona il Cenacolo nel quale
Gesù compie “la più grande di tutte le meraviglie, il mirabile
documento del suo amore immenso per gli uomini” (S. Tommaso,
Opusc. 57, nella festa del Corpo del Signore), per partecipare
intensamente al significato spirituale, ecclesiale e sociale
della Santissima Eucarestia, cuore pulsante della vita della
Chiesa e di ogni singolo battezzato.
E’ doveroso obbedire al Vangelo che abbiamo proclamato, per
concentrare la nostra meditazione su alcune considerazione che
oggi la liturgia della Parola ci consegna nei riguardi della
santa Eucarestia.
1. La domanda dei discepoli
“Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare
la Pasqua?”. Preparare è innanzitutto prepararsi. Infatti il
seguito della narrazione ci autorizza a trasformare il “dove”
in “come”. Chiediamo al Signore di farci capire il modo
migliore di vivere con Lui il banchetto pasquale
dell’Eucarestia, non tanto cosa preparare ma piuttosto come
prepararci a questo banchetto, come comprendere il significato
di questo mistero per la vita della Chiesa, come dare seguito
e frutto a questo dono, una volta ricevuto, nella ferialità
dei ritmi di vita cristiana ordinaria.
Dobbiamo definire le disposizioni migliori per partecipare al
banchetto eucaristico ed accogliere da questo dono le istanze
per la nostra vita ecclesiale. Dunque la questione seria è
chiederci come partecipare degnamente alla celebrazione
eucaristica.
L’apostolo S. Paolo ci ricorda in 1Cor 11: “Chiunque in modo
indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo
del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto,
esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo
calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo
del Signore, mangia e beve la propria condanna”. Ci mette in
guardia da due tentazioni che rendono indegna la nostra
partecipazione all’Eucarestia. La prima tentazione:
partecipare
all’Eucarestia e non riconoscere il corpo del
Signore nel segno del pane e del vino consacrati dallo Spirito
Santo; la seconda tentazione: partecipare all’Eucarestia in
modo indegno. Quale condizione di vita
ci rende indegni
dell’Eucarestia? Soprattutto il peccato di divisione che
contraddice il segno eucaristico dell’unità: “Per la comunione
al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in
un solo corpo” (Preghiera eucaristica II). “Poiché c’è un solo
pane – scrive san Paolo -, noi, pur essendo molti, siamo un
corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane” (1
Cor 10, 17).
Benedetto XVI al Convegno pastorale della Diocesi di Roma,
giugno 2009 affermava: “La Chiesa dunque non è il risultato di
una somma di individui, ma un’unità fra coloro che sono
nutriti dall’unica Parola di Dio e dall’unico Pane di vita. La
comunione e l’unità della Chiesa, che nascono dall’Eucaristia,
sono una realtà di cui dobbiamo avere sempre maggiore
consapevolezza, anche nel nostro ricevere la santa comunione,
sempre più essere consapevoli che entriamo in unità con Cristo
e così diventiamo noi, tra di noi, una cosa sola. Dobbiamo
sempre nuovamente imparare a custodire e difendere questa
unità da rivalità, da contese e gelosie che possono nascere
nelle e tra le comunità ecclesiali”.
2. “Andate in Città”
Gesù ha già fatto il suo ingresso messianico in Gerusalemme,
accolto da folle festanti. Ora invita anche i discepoli ad
entrare nella Città santa, in Gerusalemme, perché imparino,
sulle orme del Maestro, ad “abitare” la Città del mondo. “I
discepoli andarono ed entrati in Città trovarono come aveva
detto…”.
Il Cenacolo, la stanza che Gesù indica ai discepoli, si trova
nel cuore della Città di Gerusalemme. Colgo nell’invito di
entrare in Città un’urgenza sempre attuale, quella di
coniugare il Cenacolo con la Città, l’Eucarestia con la Vita.
Per celebrare la sua Pasqua, cioè la nostra Eucarestia, Gesù
non ci manda “fuori”, non ci chiede di isolarci: invita a
penetrare la Città, anzi ci obbliga a salire il “piano
superiore” della casa, cioè a condividere i punti alti di
osservazione, da cui meglio si può conoscere la vita della
Città e condividerla sino in fondo. L’eucarestia non ci deve
estraniare dal mondo: è questo il significato della
processione eucaristica che seguirà alla celebrazione.
Attraversare le strade della nostra Città con la Santa
Eucarestia significa immolarsi, come Gesù nel sacrificio
eucaristico, per il bene della Città, sacrificare la vita al
servizio degli altri, rompere ogni forma di indifferenza e di
esclusione, di scarto e di rimozione dei bisogni altrui.
L’eucarestia onestamente celebrata e vissuta ci impedisce di
fare finta di non sapere, di non vedere, di non intervenire.
Entrare nella Città significa contaminare la vita familiare,
sociale, politica, relazionale, economica, con la logica
dell’Eucarestia, logica della fraternità, del dono di sé,
della solidarietà, dell’unità, della condivisione con i più
poveri. La presenza eucaristica deve trasformarsi in presenza
caritativa. L’eucarestia porta dentro di sé un’ipoteca
sociale: “Il cristiano laico in particolare, formato alla
scuola dell’Eucaristia, è chiamato ad assumere direttamente la
propria responsabilità politica e sociale. Perché egli possa
svolgere adeguatamente i suoi compiti occorre prepararlo
attraverso una concreta educazione alla carità e alla
giustizia” (Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, 91).
3. Un uomo con una brocca d’acqua, seguitelo!
E’ la Città che ti viene incontro e ti grida dietro i suoi
bisogni. L’uomo che Gesù indica con in mano una brocca d’acqua
a mio parere può rappresentare il mondo che guarda alla
Chiesa. Lo stiamo vedendo soprattutto durante il ministero
petrino di Papa Francesco: l’umanità sembrava girovagare
altrove nell’invocare una risposta alle sue speranze e
angosce. Ma in definitiva torna sempre a rivolgere il suo
sguardo alla Chiesa, Le viene incontro, anzi spesso le corro
incontro in attesa di trovare almeno in essa ciò di cui ha
bisogno. La brocca d’acqua che l’uomo porta con sé la immagino
vuota, come vuota era la brocca della donna samaritana accorsa
al pozzo di Giacobbe per attingere acqua (Gv 4): è l’arsura
dell’umanità, inaridita a motivo del suo egoismo, delle sue
lotte e persecuzioni, violenti conflitti e stragi
terroristiche che lasciano sul terreno non solo il dolore
della morte, ma accresciute ragioni di odio e di risentimenti.
Gesù comanda: Seguitelo! Ci obbliga a ricevere la brocca vuota
dell’uomo di oggi, per ascoltare, conoscere, comprendere e
rispondere alla sua sete: “Le gioie e speranze, le tristezze e
le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di
tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze,
le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo” (Gaudium et
spes, 1).
+ Gerardo Antonazzo