Corpus Domini Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare» (Lc 9,11-17) Cinquemila uomini, una sera di Palestina, dalle parti di Betsaida. Sono il motivo di tutto. Io sono uno di loro, mi riconosco nelle parole con cui Luca li rievoca: «Gesù prese a parlare di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure». C'è tutto l'uomo in queste parole; il suo nome: creatura-che-ha-bisogno. Di Dio e di cure, di pane e di assoluto. Vi è riassunta tutta la missione di Gesù: lui è Parola di Dio e guarigione della vita. La prima riga di questo vangelo la sento come la prima riga della mia vita: sono uno di quegli uomini, ho bisogno di cure, di qualcuno che si accorga di me, si prenda cura, guarisca la mia vita. Ho un desiderio inappagato e non so neppure di che cosa, ma so che niente fra le cose create lo potrà saziare. Ma il giorno declina, bisogna pensare alle cose pratiche, gli apostoli intervengono: «Mandali via perché possano andare a cercarsi da mangiare». Ma Gesù non manda via, non ha mai mandato via nessuno. Replica invece con un ordine che inverte la direzione del racconto: «Date loro voi stessi da mangiare. Date». Quando ho fame, Signore, manda sulla mia strada qualcuno da sfamare; quando ho bisogno, mandami qualcuno che abbia ancora più bisogno di me. La fine della fame non consisterà mai nel mangiare a sazietà, da solo, il tuo pane, ma nel condividerlo, spartendo il poco che hai, i due pesci, il bicchiere d'acqua fresca, olio e vino sulle ferite, un po' di tempo e un po' di cuore. Noi siamo ricchi solo di ciò che abbiamo donato. Il Signore non manda via la folla perché Lui per primo vive di comunione. Ad ogni eucarestia è Dio che mi cerca e mi chiama (beati gli "invitati" alla cena del Signore...), Dio in cammino verso di me per guarire la vita, Dio che è arrivato, che vive donandosi. Dio che non può dare nulla di meno di se stesso. E che dando se stesso ci dà tutto. Alla fame dell'uomo non è bastata la Parola di Dio. Dio ha dovuto dare la sua carne e il suo sangue. La liturgia di questa domenica ripropone, con la narrazione dell'ultima cena fatta da Paolo ai Corinzi, quelle parole così concrete: "Questo è il mio corpo", "Questo è il mio sangue". Davvero è il mistero della fede, come diciamo nella liturgia eucaristica subito dopo la consacrazione. Ed è un mistero grande, un impensabile segno di amore del Signore per noi. E' il mistero di una continua e particolarissima presenza. Gesù, infatti, nell'eucarestia, non è solo presente realmente (ed è già cosa grande), è presente come corpo "spezzato" e come sangue "versato". In tale senso, la festa del Corpus Domini è la festa di un corpo che può mostrare le ferite; la festa di un corpo dal cui costato esce "sangue ed acqua", come nota Giovanni nel quarto Vangelo. Nella tradizione di questa festa, l'Eucarestia traversa le strade della città e dei paesi spesso addobbate con fiori per il passaggio del Signore. E' giusto far festa. Abbiamo infatti bisogno che nelle nostre strade, continui a passare uno che non è venuto per essere servito ma per servire, sino a dare la sua vita per noi. Ma, si badi bene, il Signore può venire solo sotto le sembianze di uno straniero, (come fu per quei discepoli di Emmaus), ossia di uno che non è dei nostri, che non fa parte del nostro giro. Viene da fuori. Il suo stesso corpo è presente in mezzo a noi in modo diverso dal nostro: noi siamo attenti e preoccupati per il nostro corpo, egli invece è presente con un corpo "spezzato". Noi siamo tesi a difenderci con cure e ogni genere di espedienti, egli passa tra noi versando tutto il suo sangue. L'Eucarestia è una contestazione continua (in questo senso è "straniera") al nostro modo di vivere, alle attenzioni così premurose per star bene, al nostro risparmiarci dalla fatica, al nostro rifuggire da ogni responsabilità gravosa. Insomma, ognuno di noi tira al risparmio quando si tratta di spendersi per gli altri. Il Signore, nell'Eucarestia, mostra esattamente una concezione opposta: egli si è fatto nutrimento per gli uomini, perché noi tutti fossimo trasformati in un solo corpo, quello di Cristo e avessimo gli stessi sentimenti di Cristo. C'è allora un'ulteriore considerazione da fare. E riguarda i poveri. Anche costoro sono il "corpo di Cristo". Mi pare decisivo l'ammonimento di Giovanni Crisostomo: "Se volete onorare il corpo di Cristo, non disdegnatelo quando è ignudo. Non onorate il Cristo eucaristico con paramenti di seta, mentre fuori del tempio trascurate quest'altro Cristo che è afflitto dal freddo e dalla nudità". Ambedue sono il corpo di Cristo. E Cristo non è diviso, a meno che non lo dividiamo noi. Gesù nostra gioia, tu vuoi per noi un cuore semplice, come una primavera del cuore. Allora le cose complicate dell’esistenza ci paralizzano meno. Tu ci dici: non inquietarti, e anche se la tua fede è piccolissima, io, il Cristo, resto sempre con te.