UNIVERSITA` DEGLI STUDI DI PADOVA

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE ED AZIENDALI
“M. FANNO”
DIPARTIMENTO DI AFFERENZA RELATORE:
DIRITTO PRIVATO E CRITICA DEL DIRITTO
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN
ECONOMIA E DIREZIONE AZIENDALE
TESI DI LAUREA
LA S.R.L. A CAPITALE “MARGINALE”
RELATORE:
CH.MO PROF. MAURIZIO DE ACUTIS
LAUREANDO: FABIO BORGATO
MATRICOLA N. 1056929
ANNO ACCADEMICO 2015 – 2016
Il candidato dichiara che il presente lavoro è originale e non è già stato sottoposto, in tutto o in
parte, per il conseguimento di un titolo accademico in altre Università italiane o straniere.
Il candidato dichiara altresì che tutti i materiali utilizzati durante la preparazione
dell’elaborato sono stati indicati nel testo e nella sezione “Riferimenti bibliografici” e che le
eventuali citazioni testuali sono individuabili attraverso l’esplicito richiamo alla pubblicazione
originale.
Firma dello studente
_________________
3
4
Indice
Introduzione .............................................................................................................................. 7
Capitolo I – La s.r.l. a capitale “marginale” ........................................................................ 11
1.1. La società a responsabilità limitata semplificata ........................................................... 11
1.1.1. La seconda versione di s.r.l.s.: la L. 27/12 .............................................................. 14
1.2. La società a responsabilità limitata a capitale ridotto .................................................... 15
1.3. Il D.L. 76/13 e le nuove s.r.l. a capitale marginale ........................................................ 20
1.3.1. La s.r.l. ordinaria a capitale marginale .................................................................... 23
1.4. Dubbi sulla qualità dell’iter legislativo.......................................................................... 26
1.4.1. L’inutilità di due varianti di s.r.l. a capitale marginale ........................................... 30
1.5. Esperienze europee in tema di costituzione “a basso costo” di s.r.l. (cenni) ................. 32
1.5.1. L’ordinamento francese, tedesco e spagnolo .......................................................... 34
1.6. I nuovi modelli di s.r.l.: tipi autonomi o sottotipi? ........................................................ 37
Capitolo II – La costituzione di una s.r.l.s. ........................................................................... 43
2.1. L’atto costitutivo della s.r.l.s.......................................................................................... 43
2.1.1. L’inderogabilità dell’atto costitutivo....................................................................... 48
2.2. Caratteristiche e funzionamento di una s.r.l.s ................................................................ 53
2.2.1. Requisiti soggettivi della compagine sociale .......................................................... 54
2.2.2. I conferimenti .......................................................................................................... 59
2.2.3. Le partecipazioni sociali ......................................................................................... 63
2.2.4. Amministrazione e controllo ................................................................................... 64
2.2.5. Decisioni dei soci, denominazione sociale e durata della s.r.l. semplificata .......... 70
2.3. Il ruolo del notaio ........................................................................................................... 72
5
2.4 Benefici e svantaggi di una s.r.l.s. .................................................................................. 75
2.2 Le s.r.l. start-up innovative ............................................................................................. 79
Capitolo III – La disciplina del capitale ............................................................................... 83
3.1. La funzione del capitale sociale ..................................................................................... 84
3.2. Le operazioni sul capitale sociale .................................................................................. 89
3.2.1. L’aumento di capitale “a pagamento” in una s.r.l. a capitale marginale ................. 90
3.2.2. L’evoluzione “progressiva” .................................................................................... 95
3.2.2.1. Le trasformazioni in una s.r.l. a capitale marginale e le fusioni ...................... 98
3.2.3. Le riduzioni del capitale sociale in una s.r.l. a capitale marginale........................ 101
3.2.3.1. La riduzione volontaria del capitale sociale ................................................... 101
3.2.3.2. La riduzione per perdite del capitale sociale .................................................. 104
3.2.4. La riduzione del capitale sociale in una s.r.l. “tradizionale” ................................. 107
3.2.5. Le trasformazioni “regressive” e le scissioni ........................................................ 113
3.3. La riserva legale ........................................................................................................... 114
3.3.1. L’applicabilità della disciplina della riserva legale alle s.r.l. semplificate ........... 117
3.3.2. La “disponibilità” della riserva legale ................................................................... 118
Conclusioni ............................................................................................................................ 123
Bibliografia ............................................................................................................................ 127
6
Introduzione
La società a responsabilità limitata nel nostro ordinamento risulta essere uno dei tipi societari
maggiormente diffusi nella prassi1. Questo grazie soprattutto alla sua adattabilità e
utilizzabilità in contesti molti diversi fra loro, il che rende tale tipo societario utilizzabile sia
in attività economiche di modeste dimensioni, come ad esempio società familiari o piccole
imprese, sia in ambiti più ampi, come nei gruppi di società.
Ciò è stato reso possibile grazie alla normativa stessa, la quale non prevede limitazioni
all’area di applicazione del modello.
L’intervento legislativo di maggior rilievo è rappresentato sicuramente dalla riforma del 2003.
Nel modello codicistico del 1942, infatti, la disciplina della s.r.l. era recuperata per rinvio,
salvo pochissime eccezioni, all’analoga disciplina prevista per la società per azioni. La
differenza sostanziale fra i due tipi era data dalle caratteristiche delle partecipazioni sociali,
poiché nella s.r.l. queste non potevano essere rappresentate da azioni, o comunque da titoli
destinati alla circolazione. Questa disciplina “per rinvio” aveva tuttavia suscitato perplessità e
problematicità, dati i diversi interessi ed esigenze che i due tipi potevano presentare.
L’intento del legislatore quindi, con la riforma del 2003, fu quello di affrancare la s.r.l. dalla
sua sudditanza storica nei confronti della s.p.a., rendendola un tipo a tutti gli effetti autonomo,
e permettendole di tornare ad avere quella che doveva essere la sua destinazione originaria,
ossia di essere la forma giuridica per l’esercizio collettivo di imprese medio-piccole. Inoltre,
la grande elasticità che la legge ha voluto concedere a tale modello ha fatto sì che la s.r.l.
possa avere utilizzazioni diverse rispetto a quella naturale, potendosi infatti adattare anche ad
imprese di grandi dimensioni.
L’attuale disciplina è volta infatti da un lato ad enfatizzare la figura dei singoli soci,
attribuendo loro ampi poteri (potendo inoltre partecipare attivamente alla gestione della
società), e dall’altro lato ad accentuare il ruolo dell’autonomia negoziale e dei rapporti
contrattuali tra i soci medesimi.
La s.r.l. è quindi caratterizzata da un’ampia flessibilità, dovuta alla presenza di una
molteplicità di norme dispositive che lasciano ampi margini discrezionali all’autonomia
negoziale.
1
M. CIAN (a cura di), Diritto commerciale – Vol .II ,Torino, Giappichelli Editore, 2014, pag. 563. Per maggiori
dettagli relativi ai dati, si veda O. CAGNASSO, La società a responsabilità limitata, in G. COTTIMO (a cura
di), Trattato di Diritto Commerciale, Vol. V, Tomo 1°, Cedam, 2014, pag. 2 e ss.; G. ZANARONE, Della
società a responsabilità limitata, in F. D. BUSNELLI (a cura di), Il codice civile – Commentario, Giuffrè
Editore, 2010, pag. 123 e ss.
7
Questo rende il modello in esame polifunzionale, ben potendosi infatti porre in concorrenza
con la s.p.a., ma anche con le società di persone, a seconda dell’orientamento seguito dai soci
nel modellare la società.
Proprio in virtù dell’ampia flessibilità della s.r.l. e della sua diffusione nella prassi, il
legislatore è recentemente intervenuto in materia, attraverso numerose disposizioni, tutte volte
a facilitare l’apertura di nuove imprese. Gli ultimi anni sono stati infatti testimoni di una
produzione legislativa particolarmente intensa in riferimento alla materia trattata, dopo anni di
assoluta staticità per quanto riguarda il quadro delle forme societarie disponibili
nell’ordinamento giuridico italiano.
L’iter legislativo qui analizzato ebbe inizio nel 2012, anno nel quale furono introdotte nel
nostro diritto societario la s.r.l. semplificata (s.r.l.s.) e la s.r.l. a capitale ridotto (s.r.l.c.r.,
successivamente abolita).
La s.r.l. semplificata ha visto la luce nel panorama giuridico grazie all’art. 3 del D.L. 24
gennaio 2012, n°1 (il cosiddetto “D.L. Sviluppo”, convertito poi in L. 24 marzo 2012, n°27),
il quale ha inserito un nuovo articolo all’interno del codice civile, ossia l’art. 2463-bis, norma
contenente la disciplina costitutiva della s.r.l. semplificata.
Successivamente, grazie all’art. 44 del D.L. 22 giugno 2012, n°83 (il cosiddetto “D.L.
Crescita”), è stata introdotta la s.r.l. a capitale ridotto, la quale tuttavia non fu collocata, a
differenza della s.r.l.s., nel codice civile, ma disciplinata, oltre che dalla sua norma costitutiva,
dalle disposizioni della s.r.l. ordinaria.
Caratteristica comune di questi due modelli risiede nella possibilità di potersi costituire con
un capitale sociale minimo pari ad un euro, in deroga al tradizionale limite di 10.000 euro
previsto all’art. 2463 c.c., da cui deriva l’appellativo, per queste nuove fattispecie, di s.r.l. a
capitale marginale.
La scelta operata dal legislatore nell’introduzione di queste due varianti di s.r.l. affonda le sue
radici nel tentativo di rispondere ad una crisi economico-finanziaria che ha portato ad una
contrazione della capacità produttiva e della competitività del nostro Paese, cercando di
stimolare l’avvio di nuove iniziative economiche2.
La normativa è stata, infine, nuovamente modificata con il D.L. 28 giugno 2013 n°76
(convertito poi in L. 9 agosto 2013, n°99), il quale ha portato alla fusione delle due “varianti”,
che vennero incorporate nella fattispecie “s.r.l. semplificata”.
In sede di conversione, inoltre, è stata modificata anche la disciplina delle s.r.l. ordinarie
(s.r.l.o.), attraverso l’inserimento, all’art. 2463 c.c., di due ulteriori commi. Il quarto comma
2
M. CIAN, S.r.l., s.r.l. semplificata, s.r.l. a capitale ridotto. Una nuova geometria o un sistema disarticolato?,
Riv. trSoc, 2012, 6, 1101.
8
di suddetto articolo permette anche a quest’ultime di potersi costituire con un capitale
inferiore rispetto al minimo legale previsto tradizionalmente. Perciò anche le s.r.l. ordinarie
possono ora essere “a capitale marginale”.
Risulta essere chiaro, fin da questa presentazione preliminare, una produzione legislativa
alquanto confusionaria ed incerta, e ciò ha generato numerosi dubbi interpretativi e problemi
di coordinamento rispetto alla normativa previgente.
Numerose sono state le criticità riscontrate in dottrina, in particolar modo con riferimento al
rapporto tra s.r.l.s., s.r.l. ordinarie a capitale marginale e s.r.l. tradizionali; criticità dovute a
norme opache, dettate più da un necessità emergenziale di rilanciare l’imprenditoria italiana,
anziché frutto di un attento esame del diritto societario e delle norme regolatrici della società a
responsabilità limitata. Si presenta, quindi, l’esigenza innanzitutto di ricostruire l’iter
legislativo che ha caratterizzato il breve periodo dal 2012 fino ad oggi, rappresentando questo
il punto di partenza fondamentale per poter far luce sull’ “intricata matassa delle nuove
s.r.l.3”.
Nel primo capitolo, quindi, dopo l’esposizione cronologica dei vari interventi, ove verranno
esposte anche le motivazioni che spinsero il legislatore a modificare la disciplina delle s.r.l.,
sulla base anche di quanto già previsto negli ordinamenti esteri, si esporrà il rapporto esistente
tra i modelli a capitale marginale e il tipo s.r.l., ossia si cercherà di comprendere se le s.r.l.s.
costituiscano tipi autonomi o “sub-modelli” del tipo più generale.
Nel proseguo dell’elaborato verrà analizzata dettagliatamente la disciplina della s.r.l.
semplificata, caratterizzata da norme speciali per ciò che riguarda la fase di costituzione.
Dopo aver presentato le principali caratteristiche della forma “semplificata”, ci si focalizzerà
in particolar modo sull’atto costitutivo previsto dal legislatore per le s.r.l.s., il quale deve
essere redatto “in conformità al modello standard” previsto dal D.M. 138/12 e le cui
“clausole […] sono inderogabili”.
Il dibattito dottrinale generatosi intorno all’interpretazione di queste previsioni costituirà il
focus del secondo capitolo, poiché sulle base delle conclusioni che verranno tratte, verrà
analizzato il rapporto fra le disposizioni dell’art. 2463-bis, le clausole dell’atto costitutivo e la
disciplina generale del tipo s.r.l.
Verranno inoltre brevemente esposte le caratteristiche delle cosiddette “start-up innovative” e
il rapporto tra queste e le s.r.l. semplificate.
3
Cit. A. BARTOLACELLI, L’insostenibile leggerezza delle s.r.l.s. Nell’intricata “matassa” delle “nuove” s.r.l:
ricercare un bandolo o tagliare un filo?(online), in Atti di: V convegno annuale dell'associazione italiana dei
professori universitari di diritto commerciale "Orizzonti del diritto commerciale", Roma, 21-22 febbraio 2014,
disponibile al sito http://associazione.orizzontideldirittocommerciale.it/media/24002/bartolacelli_a.pdf.
9
Infine, la possibilità per le s.r.l. ordinarie di potersi costituire con un capitale inferiore al
tradizionale limite legale di 10.000 euro ha portato ulteriori dubbi riguardanti la disciplina
generale del capitale prevista per le s.r.l., a causa di un mancato coordinamento tra le recenti
novità legislative e l’istituto delle operazioni sul capitale.
Nel terzo capitolo perciò, dopo aver brevemente esposto quale sia il ruolo del capitale
nominale e come l’introduzione delle s.r.l. a capitale marginale si inserisca all’interno del
dibattito venutosi a generare intorno alla funzione del capitale sociale, verranno analizzate le
norme riguardanti gli aumenti di capitale, sia gratuiti che a pagamento, e quelle concernenti le
riduzioni, sia facoltative che per perdite, in riferimento sia ai modelli recentemente introdotti,
sia alle s.r.l. tradizionali. La trattazione verterà in particolar modo su quale sia oggi il limite
minimo del capitale sociale per una s.r.l., argomento che ha acceso un dibattito ancora in
corso in dottrina e a cui si tenterà di dare una risoluzione, sulla base dell’attuale assetto
normativo. In tal senso verranno anche esposti i “passaggi” da una s.r.l. a capitale marginale
ad una ordinaria e viceversa e le operazioni straordinarie (ossia trasformazioni, fusioni e
scissioni) da e verso una s.r.l. “da un euro”.
Verranno inoltre esaminate le nuove regole relative alla riserva legale, previste al quinto
comma dell’art. 2463 c.c., di recente introduzione, e il ruolo attribuito a tale riserva in
presenza di un capitale “simbolico”.
Scopo del presente elaborato è perciò quello di esporre e di far chiarezza sulle numerose
questioni sovraesposte e ciò avverrà sulla base delle varie correnti dottrinali che si sono
generate intorno alle varie problematicità qui considerate.
10
Capitolo I
La s.r.l. a capitale marginale
SOMMARIO: 1.1. La società a responsabilità limitata semplificata – 1.1.1. La seconda versione di s.r.l.s.: la L. 27/12 – 1.2.
La società a responsabilità limitata a capitale ridotto – 1.3. Il D.L. 76/13 e le nuove s.r.l. a capitale marginale – 1.3.1. La s.r.l.
ordinaria a capitale marginale – 1.4. Dubbi sulla qualità dell’iter legislativo – 1.4.1. L’inutilità di due varianti di s.r.l. a
capitale marginale – 1.5. Esperienze europee in tema di costituzione “a basso costo” di s.r.l. (cenni) – 1.5.1. L’ordinamento
francese, tedesco e spagnolo – 1.6. I nuovi modelli di s.r.l.: tipi autonomi o sottotipi?
Premessa
L’introduzione, nel nostro ordinamento, di società a responsabilità limitata il cui capitale
potesse essere inferiore al minimo di 10.000 euro previsto tradizionalmente dall’art. 2463, 2°
comma, n. 4), c.c., è avvenuta gradualmente, con provvedimenti legislativi caratterizzati da un
elevato livello di urgenza, e da notevoli problemi di coordinamento tra i vari interventi, a
causa dell’eccessiva estemporaneità degli stessi.
Stante questa prolificazione e stratificazione di norme in un lasso di tempo particolarmente
limitato (basti pensare che nell’arco di un biennio vi sono stati ben sei interventi legislativi), si
rende necessario ricostruire le tappe percorse dal legislatore, nel comporre la disciplina delle
s.r.l. a capitale marginale, da un punto di vista prima di tutto cronologico.
1.1. La società a responsabilità limitata semplificata
La prima tappa del processo di riforma delle s.r.l. è data dall’introduzione della società a
responsabilità limitata semplificata. Questa nasce grazie al D.L. 24 gennaio 2012 n.1, recante
“Misure urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e della competitività”.
Tale previsione fu inserita con l’intento dichiarato di favore l’imprenditoria giovanile, tant’è
che l’art. 3 del suddetto decreto legge, indicante per l’appunto la possibilità di costituzione
della s.r.l.s., è nominato “Accesso dei giovani alla costituzione di società a responsabilità
limitata”.
Nella relazione che accompagnò il decreto legge4, si possono rinvenire, con un maggior
dettaglio, le motivazioni che spinsero il legislatore ad introdurre la s.r.l. semplificata.
Sancendo l’impossibilità di un intervento pubblico a favore della crescita economica, a causa
della necessaria tutela delle finanze pubbliche, il Governo intervenne nella direzione della
4
Disponibile al sito http://www.leggioggi.it/wp-content/uploads/2012/01/liberalizzazionirelaz.pdf .
11
liberalizzazione
dell’economia,
per
stimolare
l’iniziativa
imprenditoriale
privata
all’avviamento di nuove attività. Questo obiettivo venne perseguito soprattutto attraverso
l’eliminazione degli ostacoli amministrativi e burocratici che avrebbero potuto scoraggiare i
cittadini all’avvio di nuove imprese.
Dal momento che, secondo il legislatore, i principali danneggiati dalla crisi erano i giovani, il
decreto intese favorire quest’ultimi, attraverso la possibilità, fra le altre, di costituire una s.r.l.
semplificata.
La legge in esame introdusse un nuovo articolo nel Codice Civile, ossia l’art. 2463-bis
(recante il titolo “Società semplificata a responsabilità limitata”), dove sono presenti le
caratteristiche peculiari del modello analizzato.
Nella sua prima versione, la s.r.l. semplificata poteva essere costituita solo da persone fisiche
che non avessero compiuto i 35 anni d’età5 (al primo comma dell’art. 3 del D.L. 1/12 era
previsto infatti che “La società semplificata a responsabilità limitata può essere costituita con
contratto o atto unilaterale da persone fisiche che non abbiano compiuto i trentacinque anni
di età alla data di costituzione”), evidenziando l’intenzione del legislatore di introdurre nel
nostro ordinamento un modello societario destinato ai giovani.
La legge stabiliva inoltre che “quando il singolo socio perde il requisito d’età […], se
l’assemblea convocata senza indugio dagli amministratori non delibera la trasformazione
della società, è escluso di diritto e si applica in quanto compatibile l’articolo 2473-bis. Se
viene meno il requisito di età in capo a tutti i soci gli amministratori devono, senza indugio,
convocare l’assemblea per deliberare la trasformazione della società, in mancanza si applica
l’articolo 2484”. Quest’ultimo fu opportunamente modificato, con l’inserimento, ad opera del
medesimo decreto, della seguente disposizione: “la società a responsabilità limitata si
scioglie, oltre che i motivi indicati nel primo comma, per il venir meno del requisito di età di
cui all’articolo 2463-bis, in capo a tutti i soci”.
Perciò fu chiaro il destino dei soci che avessero superato il requisito richiesto dalla legge,
ossia la decadenza dalla qualifica di socio. Per quanto riguardava il riferimento alla
trasformazione, questa doveva ovviamente avvenire in uno dei tipi previsti dalla legge, quindi
sia in una società di persone che in un altro dei tipi di società di capitali (quindi non era
necessario procedere al passaggio dalla forma semplificata a quella ordinaria, sebbene questa
rappresentasse la soluzione auspicabile6).
5
Tale scelta fu oggetto di critiche, in quanto l’avere una determinata età non è necessariamente sinonimo di
scarse disponibilità finanziarie. Non necessariamente quindi i giovani rappresentano la categoria meno abbiente
della nostra società.
6
In caso di passaggio da una s.r.l. semplificata ad una ordinaria, l’utilizzo del termine trasformazione potrebbe
apparire improprio, poiché, come si vedrà più avanti nel testo, si tratta prima di tutto di capire se la s.r.l.s., così
12
Ciò che si poté ricavare dalla norma fu che il legislatore non volesse autorizzare la
prosecuzione della società, nella forma semplificata, da parte di coloro che non avessero
rispettato più i requisiti d’età7 (a maggior sostegno, probabilmente, della destinazione di tale
fattispecie ai giovani).
Per quanto concerne l’atto costitutivo, questo doveva essere redatto per scrittura privata e
doveva contenere, fra l’altro, l’indicazione dell’ammontare del capitale sociale, il quale
doveva essere “non inferiore ad un euro (n. 3, 2° comma, art. 2463-bis, così come stabilito
dal decreto), senza alcun riferimento ad un tetto massimo del capitale.
La completa attuazione della previsione normativa era comunque subordinata all’emanazione
di un decreto ministeriale che avrebbe tipizzato lo statuto standard della società8 (infatti, al
secondo comma dell’art.3 del D.L. 1/12, era previsto che “con decreto ministeriale emanato
dal Ministro della Giustizia di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze e con il
Ministro dello Sviluppo Economico, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto, viene tipizzato lo statuto standard della società e sono
individuati i criteri di accertamento delle qualità soggettive dei soci”). Di conseguenza, fino
all’emanazione del decreto, non fu possibile costituire una s.r.l. semplificata.
Ulteriore peculiarità del modello era la necessità di indicare “negli atti, nella corrispondenza
della società e nello spazio elettronico destinato alla comunicazione collegato con la rete
telematica ad accesso pubblico” “la denominazione di società semplificata a responsabilità
limitata, l’ammontare del capitale sottoscritto e versato, la sede della società e l’ufficio del
registro delle imprese presso cui questa è iscritta […]”.
Infine, all’ultimo comma del medesimo si precisò che, per quanto non espressamente previsto
dall’art. 2463-bis, “si applicano alla società semplificata a responsabilità limitata, le
disposizioni di questo capo (ossia il Capo V, intitolato per l’appunto “Della società a
responsabilità limitata”) in quanto compatibili”.
come la s.r.l.c.r., sia un sotto-tipo del più generale modello della s.r.l. (ed in caso di risposta affermativa, non si
parlerebbe di trasformazione), o se sia un tipo autonomo, ed in tal senso si potrebbe parlare opportunamente di
trasformazione. Lo stesso dicasi in caso di passaggio da una s.r.l.s. ad una s.r.l.c.r.
7
I. LUCATI, Una s.r.l. semplificata per giovani imprenditori, Obbligazioni e Contratti, 2012, 6.
8
Si noti tuttavia che nel testo dell’art. 3 del D.L. 1/12 non fu prevista la redazione dell’atto costitutivo in
conformità al modello standard, come invece stabilito successivamente. Tuttavia il rispetto del modello standard
era desumibile dal 2 comma dell’art. 3 del D.L. 1/12, e tale rispetto avrebbe in qualche modo giustificato la
redazione per scrittura privata.
13
1.1.1. La seconda versione di s.r.l.s.: la L. 27/12
In sede di conversione, il D.L. 1/12 fu profondamente modificato, e la disciplina della s.r.l.s.
venne pressoché integralmente riscritta9.
La legge di conversione 24 marzo 2012, n.27, stabilì alcuni punti cardine della disciplina che
permangono ancora oggi.
Il primo profilo di innovazione attenne alla previsione che “l’atto costitutivo deve essere
redatto per atto pubblico in conformità al modello standard tipizzato con decreto del Ministro
della Giustizia, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze e con il Ministro
dello Sviluppo economico”. Fu mantenuta la volontà di emanare il decreto entro sessanta
giorni dall’entrata in vigore della legge, anche se nella realtà questo fu emanato solo a giugno.
Fu espressamente previsto il divieto di trasferimento delle quote sociali a soggetti non
rispettanti i requisiti legali (persone fisiche ultra 35enni), e il relativo atto sarebbe stato
conseguentemente nullo. Non fu più possibile la redazione dell’atto di trasferimento delle
quote per scrittura privata, presente nel testo originale, dovendosi quindi applicare fin da ora
la disciplina della s.r.l. ordinaria sul trasferimento delle quote, prevista all’art. 2470, 2°
comma, c.c., in quanto compatibile.
Furono eliminati tutti i riferimenti alla trasformazione obbligatoria in caso di mancato rispetto
del requisito anagrafico e scomparve la disposizione che prevedeva all’art. 2484 c.c. lo
scioglimento della società nel momento in cui i soci avessero superato il limite anagrafico.
Per quanto concerne il capitale sociale, fu stabilito (e lo è tutt’ora) che esso debba essere “pari
almeno ad un euro” ma soprattutto “inferiore all’importo di 10.000 euro previsto all’articolo
2463, secondo comma, numero 4)” (intendendosi così che il limite massimo fosse di 9.999,99
euro).
È da sottolineare che questa fu la prima volta che venne introdotto, nel nostro ordinamento, il
concetto di “capitale massimo10” nel sistema delle società di capitali. Come conseguenza, non
può essere qualificata come s.r.l.s. una società il cui capitale, in sede di costituzione, abbia un
valore nominale superiore al predetto importo, e la stessa qualificazione si viene a perdere nel
caso in cui, nel corso della sua vigenza, si trovi a superare, sempre nel suo valore nominale
(quindi per effetto di apposite modifiche statutarie) il limite previsto.
9
BOGGIALI-RUOTOLO, Le nuove s.r.l., in http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2013-12-16/studionuove-srl-notariato-221538.shtml?uuid=ABFdcTk.
10
M. MAROCCHI, Le recenti novità in tema di s.r.l. ordinaria ed s.r.l. semplificata, in Studium Iuris, 2014, 3,
267. Inoltre, secondo BUSANI-BUSI, La s.r.l. semplificata (s.r.l.s.) e a capitale ridotto (s.r.l.c.r.), Soc., 2012,
12, 1305, tale previsione introdusse “la stranezza, senza precedenti, di questo “capitale massimo”, in violenta
contrapposizione alla ricorrente denuncia circa il nanismo delle società italiane in quanto alla loro
capitalizzazione”.
14
In assenza di questa precisazione, si sarebbe potuto ritenere ammissibile la possibilità di
ricorrere alla forma semplificata, e quindi alle agevolazioni conseguenti, anche con un
capitale non idoneo a giustificare i benefici della s.r.l.s.
La legge confermò quindi ulteriormente la finalità della semplificata, destinata ad essere
utilizzata solo nella fase di star-up, auspicando un’evoluzione fisiologica verso il modello
ordinario.
Risulta quindi evidente il processo di avvicinamento della s.r.l. alle società di persone11,
avviata con la riforma del diritto societario del 2003.
Infine, il capitale sociale deve essere sottoscritto ed interamente versato alla data di
costituzione, ed il conferimento deve farsi in denaro e deve essere versato all’organo
amministrativo.
Si confermò dal precedente testo legislativo la necessità di scelta degli amministratori fra i
soci ed infine fu stabilito che “l’atto costitutivo e l’iscrizione del registro delle imprese sono
esenti da diritto di bollo e di segreteria e non sono dovuti onorari notarili12”.
Tuttavia, anche per l’utilizzo di questa “nuova” s.r.l. semplificata, si dovette attendere
l’emanazione del decreto ministeriale che avrebbe definito il modello standard di atto
costitutivo.
1.2. La società a responsabilità limitata a capitale ridotto
Pochi mesi dopo il D.L. 1/2012, il mondo delle s.r.l. subì un’ulteriore scossa con
l’introduzione delle società a responsabilità limitata a capitale ridotto (s.r.l.c.r.), che si
affacciarono nel panorama giuridico grazie all’art. 44 del D.L. 22 giugno 2012, n°83 (recante
“Misure urgenti per la crescita del Paese, poi convertito in L. 7 agosto 2012, n°134).
Nella Relazione illustrativa del decreto emergono con chiarezza quali sono state le spinte che
hanno portato all’introduzione della s.r.l. a capitale ridotto. Si legge infatti che la proposta
emendativa avrebbe dovuto contribuire a “migliorare la posizione del nostro Paese nella
classifica del Doing Business13”, specificando che “la sola rimozione del vincolo anagrafico
consentirebbe di uniformarsi al benchmark dei nostri competitors Ue, garantendo un
11
G. MARASA’, La nuova società a responsabilità limitata a capitale ridotto e semplificata, Nuove leggi Civ.
Comm., 2013, 1. L’autore sostiene, inoltre, che tale processo sia qualificabile anche come “emarginazione” delle
società di persone.
12
Nel testo precedente, non fu necessario includere tale previsione, in quanto la redazione per scrittura privata
dell’atto costitutivo non richiedeva l’intervento del notaio, e quindi sarebbe stata inutile una previsione in tal
senso.
13
Consultabile on line all’indirizzo www.doingbusiness.org.
15
avanzamento di ben 6 posti nella classifica generale14”. Il legislatore quindi non si discostò
dall’iniziale “obiettivo primario di favorire la nascita, la crescita e la competitività delle
imprese”, soprattutto in riferimento all’ambito comunitario, dove la competizione rileva
significativamente in relazione ai tipi assimilabili alla nostra s.r.l.15.
Tuttavia, nonostante la seppur nobile volontà di facilitare l’avviamento di attività
imprenditoriali in forma di s.r.l., la velocità con cui fu introdotta questa ulteriore fattispecie
avrebbe probabilmente richiesto una maggiore riflessione sulla ratio di questi nuovi modelli
societari e sulla coerenza di questi con la disciplina generale.
La genesi del provvedimento è stata comunque controversa. Infatti, nel giugno del 2012, poco
prima dell’approvazione del D.M. 183/2012, il Consiglio dei Ministri sembrava intenzionato
ad ampliare il novero dei legittimati alla costituzione di una s.r.l. a capitale marginale (e
quindi, al momento, di una semplificata), eliminando il requisito anagrafico previsto
precedentemente16. Tuttavia la soluzione preferita dal governo fu invece quella della
creazione di un nuovo modello ad hoc, ossia la s.r.l. a capitale ridotto, piuttosto che optare per
l’apertura del modello della s.r.l.s.17
In ogni caso, le norme regolatrici la s.r.l.c.r. non furono inserite, a differenza della s.r.l.s.,
all’interno del codice civile, ma al di fuori di esso, dovendoci basare quindi esclusivamente su
quanto contenuto del D.L. sopracitato (e alla relativa legge di conversione).
La nascita del modello a capitale ridotto fu dovuta, oltre che alle motivazione prettamente
economiche sovraesposte, probabilmente anche alle critiche mosse al legislatore al momento
dell’introduzione della semplificata. Critiche dovute alla mancata comprensione della
destinazione esclusiva ai giovani di un modello a capitale marginale, poiché tale limite
avrebbe potuto sollevare problemi di legittimità costituzionale, per contrasto con il precetto
relativo alla libertà di iniziativa economica previsto dall’art. 41 Cost., oltre all’assurdità del
criterio discriminante utilizzato. Di conseguenza, si può notare come ci siano state numerose
14
Al momento del decreto, l’Italia occupava la posizione n. 77 nella specifica voce “Starting a business”,
principalmente a causa dei costi di avviamento dell’impresa. Nell’elaborazione di tale classifica, tuttavia, non
furono prese in considerazione le s.r.l.s., in quanto limitate agli infra 35enni, impendendo quindi di poter
osservare i benefici derivanti dall’introduzione di tale formula societaria.
15
R. GUIDOTTI, E. PEDERZINI, La società a responsabilità limitata a capitale ridotto, in IlCaso.it.
16
Tale indicazione fu riportata anche dalla stampa quotidiana specializza (si veda, a titolo di esempio, l’articolo
de Il Sole 24 Ore, dal titolo “Il CdM approva il decreto Sviluppo: fondo unico da 2 miliardi per le imprese. Srl
semplificate anche per over 35”, pubblicato il 15 giugno 2012, quindi una settimana prima del decreto che
introdusse le s.r.l.c.r. Tale conclusione fu dedotta grazie ad una bozza di decreto non più disponibile presso
nessun sito governativo ufficiale, dove era contenuta la previsione secondo la quale la parte del primo comma
del’art. 2463-bis relative all’età dei soci sarebbe stata soppressa, e che l’esenzione dai costi di costituzione
sarebbe spettata solo ai soggetti di età inferiore ai 35 anni).
17
A. BARTOLACELLI, L’insostenibile leggerezza delle s.r.l.s. Nell’intricata “matassa” delle “nuove” s.r.l:
ricercare un bandolo o tagliare un filo?, in Atti di: V convegno annuale dell'associazione italiana dei professori
universitari di diritto commerciale "Orizzonti del diritto commerciale", Roma, 21-22 febbraio 2014, disponibile
al sito http://associazione.orizzontideldirittocommerciale.it/media/24002/bartolacelli_a.pdf
16
spinte, sia da un punto di vista economico che prettamente giuridico, che portarono il
legislatore ad aprire a tutti la possibilità di costituire una società a capitale marginale.
Ritornando comunque all’analisi del dato legislativo, caratteristica peculiare della s.r.l. a
capitale ridotto era che essa dovesse avere un capitale compreso tra 1 e 9.999,99 euro (come
nella s.r.l.s., stante il richiamo all’art. 2463-bis), ma che tale facoltà era concessa a soggetti
persone fisiche che avessero compiuto i 35 anni d’età (si leggeva, infatti, all’art. 44 che “La
società a responsabilità limitata a capitale ridotto può essere costituita con contratto o atto
unilaterale da persone fisiche che abbiano compiuto i trentacinque anni di età alla data della
costituzione”).
Pur in assenza di un esplicito divieto di “cessione delle quote a soci non aventi i requisiti”, si
riteneva che quanto già previsto per le s.r.l. semplificate trovasse applicazione analogica,
mutatis mutandis, anche nelle s.r.l. a capitale ridotto18. Quindi, in primo luogo, si dedusse il
medesimo divieto di cessione delle quote a soggetti diversi dalle persone fisiche, e il relativo
atto sarebbe stato conseguentemente nullo.
In secondo luogo, si presentò il problema relativo al trasferimento delle partecipazioni sociali
a persone fisiche infra 35enni.
Nel caso in cui si fosse ritenuta possibile tale fattispecie, da ciò sarebbe derivata una
compresenza, all’interno della compagine sociale, di soci under 35 e over 34 (eventualità
questa a partire dalla quale si sarebbe sostenuta la tesi secondo cui la s.r.l.c.r. poteva essere
intesa come la “naturale” evoluzione della s.r.l.s., nel momento in cui uno dei soci di
quest’ultima avesse compiuto i 35 anni d’età19). Tuttavia, l’argomento secondo cui “nulla di
male ci sarebbe ad ammettere la presenza di soci under 35 nella s.r.l.c.r.20” si scontrava
contro il dettato letterale della norma, la quale imponeva, come già detto, la costituzione della
forma a capitale ridotto solo da parte di soci che abbiano compiuto i 35 anni d’età21. In realtà
l’art. 44 faceva riferimento solo alla fase di costituzione, quindi si poteva presumere che, dopo
18
Massima n°129 del 5 marzo 2013 della Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano.
Sebbene nulla sembrerebbe vietare la prosecuzione della società nella forma semplificata.
20
BUSANI-BUSI, op. cit., pag. 14.
21
Di diverso avviso è PETRELLI, Rassegna delle recenti novità normative di interesse notatile, Primo semestre
2012,
pag.
12,
in
http://www.gaetanopetrelli.it/catalog/documenti/00000520/Novita%20normative%20primo%20semestre%20201
2.pdf, dove l’Autore afferma che “non sembra sussistere alcuna apprezzabile ragione per escludere la
costituzione di società “miste” tra giovani e meno giovani”. Infatti, sostiene l’Autore, essendo la disciplina
essenzialmente identica, il limite d’età funge principalmente da elemento discriminante per accedere alle speciali
agevolazioni disposte per la s.r.l. semplificata, ma questo non precluderebbe l’accesso ai giovani alla forma a
capitale ridotto. Si sottolinea inoltre che “sembra che la partecipazione di una o più persone
infratrentacinquenni alla s.r.l. a capitale ridotto non leda alcun interesse”. Tuttavia, sebbene la legge tacesse sul
trasferimento delle quote agli under 35enni, facendo presumere una validità dell’atto di cessione, l’autore fa
esplicitamente riferimento, probabilmente erroneamente, anche alla fase di costituzione, dove invece la legge fu
molto chiara nell’indicare tale possibilità esclusivamente agli over 34.
19
17
l’avvio della società nel rispetto delle condizioni di legge, fosse possibile l’ingresso nella
stessa da parte di soggetti persone fisiche più giovani22.
La legge di conversione aggiunse tuttavia, dopo il 4° comma dell’art.44, il seguente: “4-bis.
Al fine di favorire l’accesso di giovani imprenditori al credito, il Ministro dell’economia e
delle finanze promuove, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, un
accordo con l’Associazione bancaria italiana per fornire credito a condizioni agevolate ai
giovani di età inferiore a trentacinque anni, che intraprendono attività imprenditoriale
attraverso la costituzione di una società a responsabilità limitata a capitale ridotto23”.
La norma, pur in netto contrasto con il primo comma del medesimo articolo, rimasto
immutato, sembrò portare a ritenere che la s.r.l.c.r. potesse essere costituita pressoché da
qualunque soggetto persona fisica, senza alcuna limitazione anagrafica24 (tesi questa che
rappresentava l’opinione prevalente). D’altro canto, le intenzioni dello stesso legislatore
sembrarono orientate in tal senso, dal momento che si volle, con la forma a capitale ridotto,
semplicemente mettere a disposizione un ulteriore strumento per potersi avvalere del modello
organizzativo della s.r.l., con un impegno, in termini di capitale, inferiore, senza aver
necessariamente compiuto una determinata età.
Quindi, accettando la tesi secondo cui la s.r.l.c.r. potesse essere fondata da qualunque soggetto
persona fisica, si ammetteva anche la possibilità di trasferimento delle quote a chiunque, a
prescindere dal requisito anagrafico, risolvendo perciò il problema sorto con la prima versione
della legge.
Ulteriore differenza fondamentale, rispetto alla semplificata, fu che la società non doveva
necessariamente essere costituita con un atto costitutivo standard, tipizzato con decreto
(caratteristica invece peculiare nella s.r.l.s.). Da ciò derivava, almeno da un punto di vista
applicativo, la non esenzione dei diritti di bollo e di segreteria, ed in particolar modo
22
Dello stesso avviso sono GUIDOTTI & PEDERZINI, op. cit., pag. 16, sebbene indichino come giustificazione
all’assenza di alcun limite al trasferimento il mancato rinvio dell’art. 44 del D.L. 83/2012 all’art. 2463-bis,
comma 4, c.c. (“è fatto divieto di cessione delle quote a soci non aventi i requisiti d’età […] e l’eventuale atto è
conseguentemente nullo”). In realtà il primo comma della legge richiamava proprio l’articolo citato, senza
specificazione dei commi da ritenere applicabili nella s.r.l.c.r., portando quindi a dubitare della soluzione
proposta dagli autori.
23
È invero curioso che condizioni agevolate per l’accesso al credito sia state inizialmente previste solo per la
s.r.l.c.r. e non per la s.r.l.s., ritenuta, a questo punto, non meritevole di poter usufruire di tale opportunità.
L’esenzione da alcuni costi in sede di costituzione non sembrava giustificare tale esclusione, dal momento che
entrambi i modelli di società condividevano la medesima disciplina del capitale, e quindi, in linea teorica,
presentavano le stesse tutele nei confronti dei creditori.
24
In tal senso si è espresso anche il Ministero dello Sviluppo Economico, con il Prot. 0182223 del 30 agosto
2012, disponibile al sito http://www.sviluppoeconomico.gov.it/images/stories/impresa/mercato/Srlunder35.PDF.
A favore della tesi anche G. FERRI jr., Prime osservazioni in tema di società a responsabilità limitata
semplificata e di società a responsabilità limitata a capitale ridotto, Riv. Dir. Comm., 2013, II, 135 ss.,ed in tal
senso anche la Massima n. 129 della Commissione società del Consiglio Notarile di Milano.
18
l’obbligatorietà del pagamento degli oneri notarili, ed era solo richiesta la redazione dell’atto
costitutivo per atto pubblico.
In realtà, sia al primo comma (“Fermo quanto previsto dall’art. 2463-bis”) che al secondo
(“L’atto costitutivo … deve indicare gli elementi di cui al secondo comma dell’art. 2463bis”), l’art.44 indicava esplicitamente, nell’indicazione del contenuto dell’atto costitutivo,
l’art. 2463-bis, il quale prevedeva la necessaria conformità dell’atto costitutivo al modello
standard. Il legislatore avrebbe fatto meglio a specificare inequivocabilmente l’esclusione del
modello standard in caso di s.r.l.c.r., ma si poté ritenere, come sostenne l’opinione prevalente,
che tale rinvio dovesse essere letto solo in riferimento all’elencazione di una serie di elementi
specifici (denominazione sociale, sede, oggetto, ecc.) che dovevano essere contenuti nell’atto
costitutivo, essendo questi i requisiti minimi imprescindibili ai fini della costituzione, i quali
possono essere integrati dai soci fondatori nel pieno esercizio dell’autonomia statutaria (in
conseguenza a ciò, fu chiara la necessità del controllo notarile e la mancata esenzione dei
relativi oneri)25.
È chiaro perciò che si fu di fronte ad una variante molto più vicina alla s.r.l. ordinaria, rispetto
alla forma semplificata, da cui derivò una mancata comprensione sul perché non fosse la
s.r.l.c.r. ad essere contenuta nel codice civile, anziché la semplificata.
Occorre poi sottolineare come l’amministrazione potesse essere affidata, con indicazione
nell’atto costitutivo, a una o più persone fisiche, le quali potevano essere scelte al di fuori
della compagine sociale (“[…]per disposizione dello stesso atto costitutivo l’amministrazione
della società può essere affidata ad una o più persone fisiche anche diverse dai soci”, 2°
comma, art.44), come già previsto dalla disciplina generale26. Per quanto concerne i sistemi di
amministrazione, si applicavano le disposizioni della s.r.l. ordinaria, in quanto compatibili.
Infine, così come per le s.r.l.s., anche per le s.r.l.c.r., “La denominazione di società a
responsabilità limitata a capitale ridotto […]deve(devono) essere indicato(indicati) negli atti,
nella corrispondenza della società e nello spazio elettronico […]”, escludendo quindi che la
società dovesse riportare la denominazione “semplificata”, ma, più opportunamente, la
qualificazione “a capitale ridotto”.
Riassumendo quindi, la s.r.l.c.r. si caratterizzava per la presenza di un capitale compreso tra
uno e 9.999,99 euro, l’obbligo di effettuare il conferimento in denaro e versarlo all’organo
amministrativo (elementi questi che la accumunavano al modello semplificato e la
distinguevano dalla s.r.l. ordinaria) e la nomina di amministratori persone fisiche. Tuttavia,
25
GUIDOTTI & PERDERZINI, op. cit., pag. 16.
La specificazione fu d’obbligo, poiché, in caso contrario, stante il richiamo all’art. 2463-bis, avrebbe trovato
applicazione la disposizione che prevedeva la necessità di individuare fra i soci gli amministratori.
26
19
per il resto, la s.r.l. a capitale ridotto non presentava altra differenza rispetto al modello
“generale”, trovando infatti applicazione tutte le norme contenute del Capo V del codice
civile, ad eccezion fatta di quelle derogate dalla legge speciale.
1.3. Il D.L. 76/13 e le nuove s.r.l. a capitale marginale
Il 2013 è stato testimone del cambio di Governo, a seguito delle elezioni del febbraio dello
stesso anno. In una situazione di crescente disoccupazione e di forte crisi economica,
inevitabile è stato un nuovo intervento legislativo, per favorire la crescita e la ripresa. Tale
intervento ha nuovamente portato ad una modificazione della disciplina della s.r.l.,
probabilmente per dare una maggiore certezza del diritto, e stabilire regole chiare e omogenee
che facilitassero la costituzione di nuove società.
Di fondamentale importanza per l’istituto è stato il D.L. 28 giugno 2013 n°76 (il cosiddetto
“D.L. Lavoro”, recante “Primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in
particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto
e altre misure finanziarie urgenti”).
L’art. 9 del decreto citato, ai commi 13, 14 e 15, ritornò sull’art. 2463-bis c.c. (riguardante le
s.r.l.s.), perseguendo, fin dalle prime battute, una linea di condotta contrapposta rispetto al
precedente legislatore.
Si legge infatti che “All’art. 2463-bis del codice civile, sono apportate le seguenti
modificazioni:
a) al comma 1, le parole “che non abbiano compiuto i trentacinque anni d’età alla data
della costituzione” sono soppresse;
b) al comma 2, punto 6), le parole: “,i quali devono essere scelti fra i soci” sono
soppresse;
c) il comma 4 è soppresso”.
Quindi, la prima importante modifica introdotta riguarda le caratteristiche dei soci di una
s.r.l.s.: è infatti disposto che i soci (o l’unico socio) persone fisiche possono avere una
qualsiasi età, essendo stato infatti abolito il requisito anagrafico. Di conseguenza, i requisiti di
accesso ad una s.r.l.s. sono gli stessi della s.r.l. a capitale ridotto27.
Come conseguenza, è stato correttamente abolito anche il divieto di cedere le quote di
partecipazione al capitale sociale della s.r.l. semplificata a persone ultra 35enni28 (previsto
27
Previsione necessaria, visto che, come si vedrà fra poco, la s.r.l. a capitale ridotto è stata incorporata nella
figura della semplificata.
28
BUSANI, La nuova società a responsabilità semplificata e la nuova s.r.l. con capitale inferiore ai 10mila
euro”, Società, 2013,10. L’Autore fa notare l’obsolescenza del punto 4 del “modello standard” definito dal D.M.
20
appunto dal quarto comma dell’art. 2463-bis), ripristinando quindi il regime di diritto comune
del libero trasferimento.
È rimasto invece in vigore il divieto di partecipazione di soggetti diversi da persone fisiche,
sia durante la costituzione, sia nel corso della sua esistenza29.
La nomina degli amministratori non deve infine più avvenire fra i soci, ma possono essere
scelti anche soggetti esterni30.
Le novità apportate dalla nuova legge non riguardano solo le s.r.l. semplificate, ma hanno
coinvolto anche la “variante” a capitale ridotto.
Il comma 14, dell’art. 9 del decreto infatti stabilisce che “All’articolo 44 del decreto-legge 22
giugno 2012, n.83 […] sono apportate le seguenti modificazioni:
a) i commi 1,2,3 e 4 sono soppressi;
b) al comma 4-bis le parole: “società a responsabilità limitata a capitale ridotto” sono
sostituite dalle seguenti: “società a responsabilità limitata semplificata”.”
Si è quindi in presenza della soppressione della s.r.l. a capitale ridotto, con l’incorporazione di
questa forma nella s.r.l. semplificata. Si specifica sin da subito il destino delle s.r.l.c.r. già
costituite. Infatti la legge prosegue, al comma 15, prevedendo che “La società a
responsabilità limitata a capitale ridotto iscritte al registro delle imprese […], alla data di
entrata in vigore del presente decreto, sono qualificate società a responsabilità limitata
semplificata”.
Sebbene sia apprezzabile questo tentativo di una effettiva semplificazione del sistema, anche
in risposta agli orientamenti dottrinali emersi precedentemente, sorgono anche qui in maniera
preponderante dubbi interpretativi e problemi di coordinamento fra le discipline di non facile
risoluzione.
Nel tentativo di ricostruire l’istituto, agevole punto di partenza è presentare ciò che risulta di
più semplice interpretazione. La nuova “qualificazione”, cosi chiamata dalla legge, non
richiede alcuna deliberazione assembleare per la modificazione dell’atto costitutivo, poiché
138/12, il quale prevedeva di inserire nell’atto costitutivo della s.r.l.s. la clausola secondo la quale “E’ vietato il
trasferimento delle quote, per atto tra vivi, a persone che abbiano compiuto i trentacinque anni di età alla data
della cessione trasferimento e l’eventuale atto è conseguentemente nullo”.
29
Con tutte le conseguenze già esposte nella presentazione della s.r.l. semplificata in tema di circolazione delle
quote. Per quel che riguarda il trasferimento a soggetti diversi dalle persone fisiche, si avrà modo di ritornare sul
punto nel secondo capitolo del presente elaborato.
30
Da cui deriva l’obsolescenza anche del punto 5 del “modello standard” del D.M. 138/12, ove si prescriveva di
inserire nell’atto costitutivo una clausola secondo la quale “L’amministrazione della società è affidata a uno o
più soci scelti con decisione dei soci”. Di conseguenza il modello, inderogabile, non prevede la possibilità di
amministratori non soci. Probabilmente sarebbe stato più corretto rimodellare l’atto costitutivo tipizzato in
accordo con le nuove previsioni di legge.
21
tale conversione viene compiuta d’imperio dal Registro delle imprese, a prescindere da
qualsiasi richiesta dell’organo amministrativo della s.r.l.c.r.31
Stante quindi questa “conversione automatica” delle società già iscritte nel Registro delle
imprese, rimarrebbe in questo caso aperto l’eventualità (anche se prettamente teorica) di una
società a capitale ridotto costituita prima dell’entrata in vigore del D.L. 76/13, ma non ancora
iscritta al Registro delle Imprese. In questa ipotesi comunque non sembra ricavabile una
soluzione diversa rispetto alla conversione automatica sovra presentata, conseguendone che
l’ufficio del Registro dovrebbe iscrivere la società con la denominazione “semplificata”
(ritenendo eccessivo il caso di non accettazione della domanda di iscrizione), da cui
deriverebbe l’onere per i soci di modificare l’atto costitutivo della “vecchia” s.r.l.c.r. per poter
ottenere l’iscrizione32.
Resta infine in vita, anche se riferita alle s.r.l.s., la disposizione che prevede la promozione di
un accordo tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Associazione bancaria italiana,
senza maggiori o ulteriori oneri a carico della finanza pubblica, per fornire credito agevolato
ai giovani di età inferiore ai 35 anni, che adottino la forma semplificata per avviare la propria
attività33.
Fino a questo momento, infine, sembrò che per poter costituire una s.r.l. a capitale marginale,
l’unica soluzione fosse quella di adottare la forma semplificata, costringendo i soci ad
adeguarsi all’atto costitutivo tipizzato, non esistendo più alternative per “aggirare” tale
costrizione.
Ma il legislatore, particolarmente prolifico in questo periodo storico, intervenne nuovamente
con la legge di conversione del D.L. 76/13, andando ulteriormente ad appesantire l’intero
quadro normativo. La L. 99/13, la quale ha inoltre modificato ulteriormente la disciplina della
s.r.l. semplificata, attraverso la previsione di inderogabilità delle clausole dell’atto costitutivo,
è andata a introdurre importanti novità anche in materia di s.r.l. “ordinaria”.
La nuova legge aggiunse prima di tutto il comma 15-bis all’art. 9, ai sensi dei quale è
previsto: “All’art. 2464, quarto comma, del codice civile sono apportate le seguenti
modificazioni:
a) al primo periodo, le parole “presso una banca” sono sostituite dalle seguenti:
“all’organo amministrativo nominato nell’atto costitutivo”;
31
Gli amministratori dovrebbero, tutt’al più, provvedere a depositare una versione aggiornata dello statuto,
recante la sostituzione, in qualsiasi parte sia presente, dell’espressione “società a responsabilità limitata a
capitale ridotto” con l’espressione “società a responsabilità limitata semplificata”.
32
Ipotesi presentata da BUSANI, op. cit., pag. 20.
33
S.
CINIERI,
S.r.l.
sempificata:
scompare
il
limite
dei
35
anni
d’età,
in
http://www.ipsoa.it/documents/bilancio-e-contabilita/bilancio/quotidiano/2013/08/26/s-r-l-semplificatascompare-il-limite-dei-35-anni .
22
b) dopo il primo comma è inserito il seguente: “I mezzi di pagamento sono indicati
nell’atto”.
La nuova disciplina dei conferimenti nella s.r.l. ordinaria viene integrata da quanto in parte
già previsto per la s.r.l. semplificata. L’unica differenza fra le due permane nella possibilità,
per la s.r.l.o., di poter versare, al momento della sottoscrizione dell’atto costitutivo, il 25% del
totale dei conferimenti in denaro, oltre all’eventuale sovraprezzo (mentre nella s.r.l.s. è
obbligatorio il versamento integrale del capitale), e la possibilità di conferimenti di beni in
natura e crediti e di prestazioni d’opera o di servizi (preclusi nella semplificata). La
disposizione aveva già sollevato dubbi nel momento in cui era stata prevista per le s.r.l.s.,
perciò sorprende questa ostinazione del legislatore nel continuare a emanare regole di difficile
applicazione, dopo che erano inoltre già stati sollevati dubbi in merito alla materia, soprattutto
quando ciò avviene perseguendo lo scopo della semplificazione delle procedure
burocratiche34.
Viene poi specificato che tale pagamento deve essere effettuato nelle “mani” degli
amministratori, i quali quindi dovranno essere presenti al momento della sottoscrizione
dell’atto costitutivo35.
1.3.1. La s.r.l. ordinaria a capitale marginale
Il legislatore tuttavia non terminò qui il suo excursus normativo, introducendo, con il comma
15-ter, dell’art. 9 della L. 99/13 la novità probabilmente più importante per le s.r.l. in tema di
società a capitale marginale.
È stabilito infatti che “all’art. 2463 del codice civile, dopo il terzo comma, sono aggiunti i
seguenti:

L’ammontare del capitale sociale può essere determinato in misura inferiore ai
diecimila euro, pari almeno un euro. In tal caso i conferimenti devono farsi in danaro
e devono essere versati per intero alle persone cui è affidata l’amministrazione”.
Perciò, anche per le s.r.l. ordinarie è ora possibile costituirsi con un capitale minimo inferiore
al limite legale dei 10.000 euro36. Tale soluzione era già stata prospettata nel 2012, anche se
poi accantonata a favore della variante s.r.l. a capitale ridotto. Le ultime due norme presentate
34
Si avrà modo di ritornare sull’argomento nel secondo capitolo del presente elaborato.
Si rinvia ad A. BUSANI, op. cit., pag. 20, per l’analisi dell’eventualità in cui gli amministratori non siano
presenti al momento della costituzione, e le relative conseguenze, non ritenendosi opportuno approfondire tale
tematica in questa sede.
36
È stata inoltre introdotta una disciplina speciale della riserva legale al quinto comma dell’art. 2463 c.c., che
verrà analizzata dettagliatamente nel terzo capitolo del presente elaborato.
35
23
comunque rendono la s.r.l.o. molto vicina alla ormai abrogata s.r.l.c.r., viste anche le novità
introdotte in tema di conferimenti.
In ogni caso, la previsione di derogabilità del capitale minimo, cosi come fissato dall’art. 2463
c.c., anche da parte delle s.r.l.o., riduce significativamente la ragion d’essere delle s.r.l.
semplificate, poiché la scelta fra l’una e l’altra risiede esclusivamente nella possibilità di poter
godere o meno delle agevolazioni durante la fase costitutiva, anziché nella realizzazione di
uno dei presupposti necessari per poter accedere al regime di irresponsabilità delle
obbligazioni sociali ove i conferimenti non raggiungano la soglia dei diecimila euro37.
Inoltre, considerando anche che tali agevolazioni sono di modeste entità, e che il “prezzo” da
pagare è il rispetto del modello tipizzato dal ministero, con conseguente limitazione
dell’autonomia statutaria, la semplificata diviene molto meno appetibile rispetto al passato.
Appare opportuno evidenziare come di fatto la s.r.l. a capitale ridotto sia stata integrata nella
s.r.l. ordinaria (sebbene l’intenzione del legislatore fosse quella di incorporare le due
“varianti” a capitale marginale, è chiaro che la nuova s.r.l. sia pressoché identica alla
“vecchia” s.r.l.c.r., tant’è che alcuni commentatori la definiscono la “nuova s.r.l.c.r.38”).
Considerando quanto previsto dal precedente decreto, non è comprensibile la scelta di
prevedere la “conversione” d’imperio della qualificazione della forma a capitale ridotto nel
modello della semplificata, se si stava procedendo all’introduzione di questa nuova società a
capitale marginale, stante i numerosi punti di contatto fra le due.
La ragione probabilmente è da ricercarsi nella volontà di favorire l’ingresso dei giovani nel
mondo imprenditoriale, attraverso agevolazioni al credito, possibili solo a favore della
semplificata e non della s.r.l. ordinaria. Quindi la nuova denominazione di semplificata
permetterebbe ai soci di continuare a godere di questa facilitazione (tant’è che
originariamente era prevista per le s.r.l. a capitale ridotto); condizione invece esclusa per le
s.r.l. ordinarie, per quanto dotate di un capitale di consistenza ridotta.
La permanenza del comma 4-bis dell’art. 44 del D.L. 83/12, in aggiunta ai costi ridotti di
costituzione, potrebbe perciò attrarre maggiormente la compagine sociale ad utilizzare per la
loro impresa la forma semplificata39.
In ogni caso, con il sopravvenuto abbattimento del capitale sociale minimo per tutte le s.r.l.,
sembrerebbe venir meno la necessità di indicare, negli atti e nella corrispondenza della
società, la denominazione o meno di semplificata, essendo sufficiente a questo punto
37
G. MARASA’, op. cit., pag. 15.
Come, ad esempio, BUSANI, op. cit., pag. 20.
39
Tale ragionamento dovrebbe ritenersi valido solo nei confronti di soggetti infra 35enni, ossia gli unici
beneficiari della disposizione. Nel caso in cui i soci abbiano un’età maggiore, non si comprende perché la loro
società debba essere qualificata come semplificata, anziché come normale s.r.l.
38
24
l’indicazione del capitale. Ricordandosi che per tale modello non vi è, in deroga alla
disciplina generale dell’art. 2250, la necessità di indicare l’ammontare del capitale sociale
risultante dall’ultimo bilancio negli atti e nella corrispondenza della società, la denominazione
“semplificata” poteva risiedere nel segnalare ai terzi il fatto che si trattasse di una società il
cui capitale, almeno nell’immediato, non potrà mai essere pari o superiore ai 10.000 euro40.
Ma ora, visto che anche le s.r.l.o. possono costituirsi con capitale marginale, il nomen di per
sé non è più utile per tale scopo. La denominazione “semplificata” potrebbe comunque
derivare dal fatto che per le s.r.l. ordinarie è previsto un percorso di avvicinamento al tetto
legale dei 10.000 euro41, sancendo quindi una situazione di temporaneità di una dotazione
patrimoniale ridotta, mentre invece nelle semplificate questa fattispecie non è esplicitamente
presente (ed inoltre per quest’ultime non viene imposto alcun limite di durata in tale forma, da
cui consegue che esse possano mantenere un capitale marginale a tempo indeterminato).
Più spinosa è invece la questione, a questo punto, della “riqualificazione” della s.r.l.c.r. in
s.r.l.s.,, poiché tale riqualificazione dovrebbe indicare l’applicazione alle s.r.l. a capitale
ridotto delle norme imperative previste per la semplificata. In particolare l’introduzione del
principio di inderogabilità delle clausole dell’atto costitutivo tipizzato fa sorgere dubbi di
coerenza rispetto all’operazione in esame, stante la non necessità di utilizzo del modello
standard per la s.r.l.c.r.
A conti fatti, il vero comun denominatore dei due modelli era semplicemente il tetto di
capitale massimo, ma se questo è il caso, il legislatore avrebbe dovuto prevedere
l’assimilazione della s.r.l.c.r. alla s.r.l. ordinaria, soprattutto in virtù della libertà
dell’autonomia statutaria che accumuna i due modelli42. Il legislatore ha tuttavia optato per la
comunanza derivante dal tetto massimo di capitale, scelta che, seppur non senza perplessità,
ha comunque ragion d’essere.
Occorre infine sottolineare le differenze fondamentali fra una s.r.l. semplificata ed una
ordinaria a capitale marginale. Per le prime è previsto il rispetto di un modello standard di atto
costitutivo, con le dovute conseguenze, e il divieto di trasferimento delle quote a persone
giuridiche43. Tali disposizioni sono invece assenti nel secondo modello, potendo la compagine
sociale essere costituita da persone giuridiche, e vi è la garanzia di un’autonomia statutaria
40
BARTOLACELLI, op. cit., pag. 16. Inoltre, a questo proposito, era inutile la previsione di una norma ad hoc
per indicare la denominazione sociale, essendo stato sufficiente applicare l’art. 2250. Inoltre tale ragionamento
faceva venir meno anche la necessità di distinguere tra semplificata e capitale ridotto, avendo un capitale
soggetto ai medesimi limiti quantitativi.
41
La L. 99/13 ha infatti aggiunto un comma all’art. 2463 c.c., relativo ad una disciplina speciale della riserva
legale. Il tema verrà approfondito nel terzo capitolo.
42
In questo modo si sarebbe risolto l’assurdo di s.r.l.s. con modelli statutari differenziati.
43
Tuttavia alcuni sostengono che, in particolari condizioni, ciò sia possibile. Il tema verrà comunque
approfondito nel secondo capitolo del presente trattato.
25
piena. Per quanto riguarda invece il rapporto con la disciplina generale propria del tipo, non vi
sono dubbi che essa debba essere applicata integralmente alla s.r.l. ordinaria a capitale
marginale, mentre nella semplificata tale applicazione deve passare il vaglio della
“compatibilità”.
Volendo quindi riassumere l’attuale assetto delle società a responsabilità limitata a capitale
marginale, possiamo dire che, in seguito al D.L. 76/13 e la L. 99/13, gli imprenditori che
volessero dare vita ad una s.r.l. possono:
1. costituire una s.r.l. ordinaria con capitale superiore ai 10.000 euro, regolate secondo il
regime precedente la nuova legge;
2. costituire una s.r.l. ordinaria con un capitale il cui valore nominale sia inferiore ai
10.000 euro, secondo le previsioni del terzo comma dell’art. 2463 c.c. 44, la quale però
gode della medesima disciplina di una “normale” s.r.l., eccezion fatta la formazione
della riserva legale e l’obbligo di versamento
integrale dei conferimenti
(necessariamente in denaro);
3. una s.r.l. semplificata, disciplinata dall’art. 2463-bis, la cui peculiarità risiede nella
mancanza pressoché totale di autonomia statutaria, a causa dell’imposizione del
rispetto del “modello standard”, e nell’esenzione di alcuni costi in sede di costituzione.
1.4. Dubbi sulla qualità dell’iter legislativo
I vari interventi legislativi hanno tuttavia portato numerose difficoltà interpretative dovute a
leggi poco chiare e problemi di coordinamento fra le varie disposizioni e la disciplina
generale della s.r.l.
I commentatori delle riforme qui presentate hanno molto spesso criticato duramente l’operato
del legislatore nella definizione di regole che finiscono inevitabilmente per creare più
problemi di quelli che dovrebbero risolvere, considerato che di opportunità per sanare i dubbi
ve n’erano, visto i sei stadi di sviluppo45 (tre decreti leggi più tre leggi di conversione) della
disciplina.
44
È opportuna notare come la legge non richieda una denominazione sociale diversa per la s.r.l. con capitale
sotto la soglia dei diecimila euro, ma entrambe sono definite semplicemente società a responsabilità limitata
dalla legge (qualche commentatore, come ad esempio BUSANI, op. cit., pag. 20, definisce le s.r.l. con capitale
sotto la soglia ordinaria come le “nuove” s.r.l. a capitale ridotto, ma questo non ha alcuna incidenza sulla
denominazione ufficiale). Si avrà comunque occasione di tornare sul punto.
45
M. CIAN, La società di capitali (a r.l.) “quasi capitalizzate”: spunti per una ricostruzione sistematica e della
disciplina, Nuove leggi Civ. Comm., 2014, 4.
26
Al di là dell’analisi del dato testuale, è qui opportuno soffermarsi sulla qualità della
produzione normativa degli ultimi anni46, cercando di comprendere le intenzioni perseguite
dal legislatore, anche attraverso un inquadramento storico della situazione in cui siffatta
produzione è avvenuta.
Molto brevemente, come noto, nel 2011 in Italia la recessione finanziaria iniziata nel 2008
portò alla crisi del debito pubblico italiano e lo spread, ossia il differenziale tra i tassi di
rendimento dei Bund tedeschi e dei BTP italiani, schizzò alle stelle, portando il nostro Paese
vicino al rischio di default. Dopo la caduta del Governo in carica, subentrò quello c.d. “dei
tecnici”, chiamato a risolvere una situazione considerata disastrosa, e a rilanciare l’economia
italiana per stimolare la competitività sia interna che nei confronti dei competitors europei ed
internazionali.
Nell’ambito del diritto societario, per rispondere a questa contrazione “improvvisa” della
nostra capacità produttiva, il legislatore optò per l’inserimento, nel nostro ordinamento della
s.r.l. semplificata (prima) e a capitale ridotto (dopo), le cui caratteristiche principali, come già
detto, consisterono nella riduzione ad un euro della soglia minima di capitale, ritenendo che
una previsione del genere potesse, da sola, bastare a stimolare l’economia.
La scelta di andare a modificare la disciplina della s.r.l. e non, ad esempio, quella della s.p.a.,
nel perseguire gli obiettivi istituzionali, derivò probabilmente dal fatto che la
regolamentazione del modello a responsabilità limitata in generale permette una maggior
flessibilizzazione della disciplina ad opera del legislatore italiano, stante la non necessaria
applicazione delle previsioni della seconda direttiva comunitaria
in materia societaria
(77/91/CE e successive modifiche).
Inoltre la s.r.l., nel tessuto imprenditoriale del nostro Paese, rappresenta il modello societario
maggiormente diffuso, sia in ambiti ristretti, sia in relazione ad imprese di più grandi
dimensioni o caratterizzati da una composizione societaria maggiormente articolata (ossia i
gruppi di società). Per cui, intervenire sulla disciplina delle s.r.l., attraverso miglioramenti in
termini di flessibilità, semplificazioni ed agevolazioni, avrebbe dovuto portare con sé
significativi effetti positivi sul reddito nazionale e sulla produttività imprenditoriale47.
In ogni caso, la linea di condotta seguita fu sicuramente coerente con l’obiettivo, dichiarato
molte volte, di scalare il ranking “Doing Business” elaborato annualmente dalla Banca
Mondiale, riferendoci qui alla voce “Starting a business48”.
46
Soffermandoci ovviamente sulla sola disciplina delle s.r.l. a capitale marginale.
M. BIANCHINI, Le nuove società a responsabilità limitata, questioni interpretative della nuova disciplina,
intervento
alla
Giornata
di
Studi
Le
nuove
società
a
responsabilità
limitata,
in
http://www.assonime.it/AssonimeWeb2/dettaglio.jsp?id=245553&idTipologiaDettaglio=375 .
48
Sono presenti nel report infatti altre voci, ma nel nostro caso è utile soffermarci solo su quest’aspetto.
47
27
Nel report predisposto specificatamente per l’Italia nel 201349, è possibile leggere che
“facilitare il processo di avvio di un’impresa e renderlo poco costoso offre vantaggi al
sistema economico nel suo complesso50” e che “avviare un’impresa in Italia è rapido, ma
costoso51”. Il legislatore molto probabilmente si è ispirato a queste due principali linee guida
e, ricomprendendo nei costi di avvio di un’impresa il capitale sociale, ha ritenuto che tale
versamento iniziale costituisse più che altro un onere che scoraggiasse aspiranti imprenditori,
piuttosto che una misura posta, oltre che per sostenere l’avvio effettivo dell’attività, almeno in
parte, a tutela dei creditori. Questi, come è logico che sia, richiederanno una garanzia per i
loro finanziamenti, ed in caso di società da un euro, tale garanzia ovviamente non viene
offerta; a ciò si aggiunge anche il fatto che il legislatore non abbia posto alcuna regola 52 a
favore dei creditori, i quali quindi potranno continuare a far valere i loro diritti solo sul
capitale della società53, che in questo caso può essere anche irrisorio.
Va da sé che quindi i soci, i quali intendano avviare un’attività basata sul modello in esame,
avranno molte più difficoltà a reperire esternamente i necessari mezzi per il sostentamento
della loro impresa54, a meno che non procedano a conferimenti più corposi o non optino, in un
secondo momento, per finanziamenti da parte degli stessi soci ex art. 2467 c.c.55.
Si potrà certo contestare tale tesi, sostenendo che in altri Paesi europei siano già presenti
modelli di società a capitale marginale, ma sarebbe doveroso dimostrare che questi modelli
abbiano effettivamente portato benefici alle economie nazionali, a prescindere da altre
politiche introdotte per migliorare lo scenario economico56, ed in ogni caso non è detto che
49
Il riferimento al 2013 è necessario poiché non è stato elaborato un report simile per l’anno 2012 né tanto meno
per l’anno 2011, probabilmente più utile al fine qui perseguito. Tuttavia i caratteri salienti del documento
esaminato possono ritenersi validi anche negli anni precedenti. Il report è disponibile anche in italiano alla
pagina
http://italian.doingbusiness.org/~/media/GIAWB/Doing%20Business/Documents/SubnationalReports/DB13-Italia.pdf.
50
Ibidem, Pag. 28.
51
Ibidem, pag. 30. Non si intende qui presentare la procedura seguita per stilare la classifica, rilevando solo che
la posizione viene calcolata grazie ad un indicatore che tiene conto dei tempi, dei costi e della misura di capitale
minimo versato, necessario per avviare un’impresa. Per un esame più accurato, si rinvia al suddetto report.
52
Ad eccezion fatta di quella prevista per la riserva legale.
53
In M. SPOLIDORO, Una società a responsabilità limitata da tre soldi (o da un euro?), Rivista delle società,
fasc. 6, 2013, pag. 1085, l’autore fa notare che i creditori bisognevoli di tutela sono soprattutto coloro i quali non
hanno la possibilità di richiedere adeguate garanzie su base contrattuale.
54
Al proposito, una generalizzazione di tale ipotesi non sarebbe completamente corretta, in quanto bisognerebbe
comunque valutare, caso per caso, il tipo di attività e il rischio d’impresa soggiacente. Nella realtà economica
esistono anche settori in cui non è richiesta una dotazione patrimoniale iniziale particolarmente consistente,
anche se è possibile affermare che nella generalità dei casi difficilmente questa situazione si verifichi.
55
Entrambe le ipotesi avrebbero comunque poco senso in una s.r.l. a capitale marginale, poiché se il socio fosse
costretto ad apportare conferimenti di valore consistente, sarebbe a quel punto conveniente costituire
un’ordinaria s.r.l., da cui deriverebbe una maggior facilità nel reperire finanziamenti all’esterno.
56
L’operazione sarebbe certamente possibile, ma richiederebbe un’analisi econometrica per poter valutare
l’impatto delle società a capitale marginale sull’economia nazionale. Tuttavia non è questa la sede per tali
valutazioni.
28
soluzioni individuate negli altri Stati siano applicabili, o siano destinati ad avere successo,
nella realtà italiana.
Quello che è possibile affermare è che il legislatore, nell’introdurre la s.r.l. semplificata, a cui
seguì un ripetuto intervento sulla disciplina, abbia perseguito finalità e obiettivi piuttosto
vaghi, rispondendo più ad esigenze esterne che prendendo in considerazione i reali problemi
dell’Italia.
Alcuni evidenti indicatori di questa “confusione” risiedono indubbiamente nei vari slogan
propagandistici continuamente sbandierati al fine di giustificare scelte che sulla carta
potevano anche sembrare giuste, ma che nella loro fase attuativa hanno presentato più
problemi di quelli risolti. Frasi come “ce lo chiede l’Europa” o “largo ai giovani” hanno in
qualche modo accompagnato l’introduzione della s.r.l.s. Con la prima infatti si pose la scusa
dell’Europa per replicare nel nostro paese soluzioni adottate da altri, senza tenere conto delle
evidenze empiriche del nostro Paese. Con la seconda si introdusse il limite dei 35 anni d’età
nella forma semplificata (propaganda pura e semplice, visto che la possibilità di costituire una
s.r.l. “da un euro” è stata estesa a tutti, grazie alla s.r.l.c.r., introdotta pressoché
contemporaneamente al decreto che permetteva la costituzione di una semplificata).
In riferimento al confronto con il contesto europeo, non è questa la prima volta che il
legislatore si adegua a standard fissati da altri Paesi dell’Eurozona, come già successe
nell’innalzamento dei livelli minimi di capitale per le s.r.l. e le s.p.a. alla fine degli anni ‘7057.
Certamente il contesto attuale è profondamente cambiato rispetto a quarant’anni fa, poiché al
giorno d’oggi la competizione è ormai su scala globale, tale da rendere necessario che i nostri
modelli societari siano in concorrenza con quelli di altri ordinamenti58 (c.d. concorrenza
orizzontale). È ormai opinione condivisa che si stia assistendo ad una vera e propria
“competizione” fra i vari ordinamenti, con lo scopo di attrarre sempre più investitori,
cercando di predisporre regole efficaci ed efficienti che soddisfino le esigenze dei soggetti
coinvolti59. Quindi, seppur riconoscendo questa necessità, risultano ancora poco chiare certe
scelte del legislatore, il quale, prendendo spunto da altri ordinamenti 60, si è semplicemente
57
M. SPOLIDORO, op. cit., pag. 28, il quale sottolinea come tale scelta non portò alcun apprezzabile effetto sul
piano macroeconomico.
58
A. DACCO’, La s.r.l. Caratteristiche tipologiche e struttura formale, pag. 565, in AA.VV., Diritto
commerciale – Volume II, a cura di M. CIAN, Giappichelli Editore, 2014.
59
Questo si verifica in particolar modo per le società private, fra le quali rientra la s.r.l., dove i vari legislatori
nazionali hanno una maggiore discrezionalità nel stabilire le regole di accesso e di funzionamento di questi
modelli. Per le società public, ossia la s.p.a. in Italia, vi è stata una maggiore armonizzazione fra gli ordinamenti
grazie alla presenza di vincoli dati dalle direttive, facendo sì che il margine di variabilità fra le varie discipline
all’interno dell’Unione Europea non sia particolarmente marcato.
60
Si avrà modo di vedere che gli altri ordinamenti prevedono modelli in parte diversi rispetto a quello della s.r.l.
a capitale marginale italiana, pur avendo tutti come comun denominatore l’abbattimento del valore minimo del
capitale.
29
preoccupato della riduzione del capitale necessario, senza tenere conto di altri aspetti di pur
rilevante importanza.
Un altro indicatore della estemporaneità delle leggi e della scarsa attenzione data alla
definizione di queste è dato dallo strumento legislativo impiegato, ossia il decreto legge,
tipicamente utilizzato e abusato per la legislazione d’urgenza, che permette al legislatore di
“fare e disfare61” a proprio piacimento, permettendosi di non riflettere adeguatamente sui
passi da fare, senza che vi sia il tempo necessario per apporre le giuste correzioni, visto il
breve lasso di tempo di sessanta giorni richiesto per convertire il decreto. Questo processo è
anche indice di un’elevata permeabilità del Governo e del Parlamento alle sollecitazioni
esterne, emanando leggi più per soddisfare esigenze di gruppi particolari che per favorire il
benessere del Paese.
Inoltre la pretesa di fare riforme “a costo zero” per la finanza pubblica rappresenta una mera
dichiarazione fine a sé stessa, visto che in realtà gli oneri di queste leggi sono poste a carico di
privati cittadini. Ci si riferisce qui ai notai, i quali, per la costituzione delle s.r.l.s., non
percepiscono alcun compenso, ed in generale, ai creditori sociali che non possono proteggersi
richiedendo adeguate garanzie su base contrattuale.
1.4.1. L’inutilità di due varianti di s.r.l. a capitale marginale
Al di là delle motivazioni sottostanti le decisioni del legislatore, e tralasciando
momentaneamente altre questioni proprie della disciplina, occorre valutare la bontà del
percorso legislativo intrapreso per raggiungere gli obiettivi perseguiti.
È necessario focalizzarsi sulla circostanza della giustificazione della presenza, nel nostro
ordinamento, delle due “varianti” di s.r.l. a capitale marginale, intendendosi con ciò la
fattispecie sia ante che post L. 99/13.
La previsione iniziale della possibilità di costituire società “ad un euro” riservata ai soli infra
35enni aveva suscitato numerose perplessità in dottrina, sia per i toni, come già sottolineato,
propagandistici del fenomeno, sia perché tale scelta non era sostenuta dalla benché minima
teoria economica62, tenendo inoltre conto che in nessun altro paese europeo era stata
sperimentata prima una formula del genere. La motivazione fornita dal legislatore, e
contenuta nella Relazione alla legge di conversione introduttiva della s.r.l.s., è stata quella di
rimuovere “i rigorosi limiti previsti fino ad ora per le società di capitali, che di fatto
61
M. SPOLIDORO, ibidem.
Infatti non è detto che i più giovani abbiano necessariamente meno risorse rispetto a persone più mature, e di
per sé non appare in ogni caso giustificata la discriminazione.
62
30
impediscono l’accesso a tale tipo di struttura da parte degli imprenditori più giovani e meno
abbienti”. Ma ciò non chiarisce il motivo per cui gioverebbe di più all’economia nazionale
favorire l’attività imprenditoriale dei giovani e non le iniziative imprenditoriali tout court.
Si è trattata perciò di una misura ingiustificatamente limitativa63, dal momento che sarebbe
stato più logico liberalizzare fin da subito il modello della s.r.l. semplificata.
Il legislatore successivamente, resosi conto dell’inutilità del requisito d’età64, ha introdotto la
s.r.l. a capitale ridotto, rendendo quindi possibile a tutti di usufruire di questi modelli a
capitalizzazione ridotta.
Tuttavia la soluzione proposta risulta comunque essere tecnicamente sbagliata perché, al di là
dei problemi interpretativi e di coordinamento fra i due istituti e la disciplina generale, non era
certo necessario prevedere un modello distinto rispetto alla semplificata, visto inoltre che le
differenze fra le due società sono limitate solo all’adozione del modello standard di atto
costitutivo e alla necessità di nominare amministratori scelti fra i soci, ma per il resto la
disciplina era la stessa.
Era del resto sufficiente prevedere un unico modello, accessibile a chiunque, con la facoltà,
per i più giovani, di poter godere di determinate agevolazioni in cambio del rispetto dei
vincoli di legge65.
Inoltre la scelta del legislatore italiano si è caratterizzata per l’assenza di limitazioni o
contrappesi all’utilizzazione dei due modelli, in particolar modo in riferimento alla tutela dei
creditori sociali, non essendo stati previsti vincoli all’utilizzazione e destinazione degli utili66.
Inoltre, se lo scopo era quello di permettere la nascita di nuove società, al di là del fatto che
possano o meno effettivamente portare beneficio al benessere nazionale, un apparato
normativo così incerto non poteva permettere il perseguimento del suddetto obiettivo. Infatti
per poter ottenere effetti concreti è necessario che i nuovi istituti contengano regole chiare,
auspicabilmente efficienti e dotate di un accettabile tasso di stabilità67, cosa che nella pratica
non si è verificata.
Nel 2013 il legislatore, resosi conto delle difficoltà applicative e disciplinari dell’istituto, è
intervenuto nuovamente, eliminando la s.r.l.c.r., ma consentendo la costituzione di una s.r.l.
ordinaria a capitale marginale. Permane quindi il dualismo della fattispecie s.r.l. (intendendosi
63
C. IBBA, Liberalizzazioni, efficienza del sistema economico e qualità della produzione legislativa, Giur.
Comm., fasc. 2, 2013, pag. 142.
64
Oltre al fatto che, come già illustrato in tema di s.r.l.c.r., le s.r.l.s. non permettevano di scalare il ranking
proposto dalla Banca Mondiale. Di conseguenza c’è il serio rischio che il legislatore abbia perseguito finalità di
miglioramento delle statiche italiane, piuttosto che correggere un errore risultato fin da subito palese.
65
G. MARASA’, op. cit., pag. 15.
66
M. RESCIGNO, La società a responsabilità limitata a capitale ridotto e semplificata, Nuove Leggi Civ.
Comm., 2013, 1.
67
A. BARTOLACELLI, op. cit., pag. 16.
31
con ciò la contrapposizione tra s.r.l. ordinaria e semplificata), ma permane anche l’inutilità di
ciò.
La nuova legge è stata emanata proprio in riferimento alla preoccupazione per i creditori privi
di tutela, attraverso la previsione della riserva legale “a formazione accelerata”. Questa
disposizione però è stata emanata solo a favore delle s.r.l. ordinarie a capitale marginale, da
cui è però derivato il problema dell’applicabilità della norma alla s.r.l.s.
L’impressione che si ricava infatti dalla legge è che le s.r.l.s. siano state pensate per costituire
società poco serie e caratterizzate da maggiori rischi per i creditori sociali, mentre invece la
s.r.l. ordinaria sia “più seria” e meno pericolosa per i creditori e quindi meritevole di questa
diversa previsione68.
Ovviamente è da escludersi questa ipotesi, ma questo va a confermare ulteriormente l’inutilità
di due modelli distinti69, da cui derivano solo problemi interpretativi, quando le differenze fra
i due sono talmente residue da non giustificare questa differenziazione.
Il permanere della denominazione s.r.l. semplificata continua a presentare problemi di
coordinamento e di qualificazione nei confronti della fattispecie generale della s.r.l., quando,
molto più semplicemente, sarebbe bastata la previsione di un sub-modello ma interno al tipo
generale70, eliminando qualsiasi criticità della disciplina.
Tuttavia il legislatore sembra preferire il mantenimento di questa divisione, toccando perciò
all’interprete “riempire i buchi” della disciplina.
1.5. Esperienze europee in tema di costituzione “a basso costo” di s.r.l. (cenni)
L’intervento del legislatore, in tema di s.r.l. a capitale marginale non rappresenta di certo una
novità nel panorama societario europeo. Sono infatti numerosi gli esempi che si possono
rinvenire in altri ordinamenti in tema di società a “bassa capitalizzazione”, accumunate dalla
tendenza di un sostanziale indebolimento del ruolo del capitale sociale a fronte di disposizioni
che provvedano ad un’efficace tutela dei creditori della società, e con regole particolarmente
severe in materia di indisponibilità e mantenimento delle somme appostate a capitale 71. Per
questo motivo appare opportuno una breve presentazione dell’evoluzione del fenomeno in
ambito europeo, e le principali fonti di ispirazioni del legislatore italiano.
68
M.S. SPOLIDORO, op. cit., pag. 28.
Perlomeno nella denominazione. Verrà poi affrontato il rapporto esistente fra i vari modelli.
70
Quindi senza una denominazione differenziata.
71
A. BARTOLACELLI, Società chiusa e capitale sociale minimo: tendenze europee, Giur. Comm., fasc. 3,
2014, pag. 519. Si tenga presente che la possibilità di prevedere società a ridotta capitalizzazione è consentita
solo nell’ambito delle s.r.l. e modelli assimilabili previsti negli altri ordinamenti. Per le s.p.a. è imposto il
rispetto delle direttive comunitarie.
69
32
In dottrina, l’argomento, in tema di disciplina del capitale, è stato ed è ancora molto
dibattuto72. Inoltre, a seguito della crisi finanziaria del 2008, la discussione ha riguardato in
particolar modo la possibilità di poter costituire società di capitali senza conferimenti dei soci,
finanziate solo con altri strumenti ibridi di finanziamento73.
L’origine del fenomeno può comunque essere fatto coincidere con le sentenze della Corte di
Giustizia europea (“Centros”, “Überseering” e “Inspire Art”)74, le quali avevano ad oggetto
una “più effettiva attuazione del principio della libertà di stabilimento75 all’interno del
territorio dell’Unione da parte delle società costituite in uno Stato membro76”, da cui derivò
una più generale libertà di stabilimento nei vari Paesi nella forma giuridica ammessa nello
stato di appartenenza77. Quindi era legittimamente consentita la possibilità di ricomprendere,
nel novero delle opzioni dei modelli societari da adottare, oltre che le fattispecie
“domestiche”, anche le forme previste negli altri ordinamenti di ogni altro Stato membro.
A questo proposito, la spinta verso la progressiva riduzione delle risorse minime conferibili
deve essere rinvenuta nel classico modello della “Private limited company” di stampo inglese,
che, in seguito alle sentenze suindicate, ha portare alla reazione degli altri Paesi, che
adottarono come contromisure la previsione di costituzione di società a capitale marginale.
Il modello inglese era caratterizzato da una disciplina del capitale molto “lasca 78”, soprattutto
in seguito al “Companies Act” del 2006, che ha aumentato l’attrattività di questo figura79. I
punti salienti della fattispecie sono: divieto di assistenza finanziaria, semplificazione delle
regole dettate in materia di mantenimento e delle procedure di modificazione del capitale 80.
Le private company sono inoltre vere e proprie società “fermo-posta” (lett. “letterbox
72
Tale trattazione verrà esposta più analiticamente nel terzo capitolo del presente testo.
G. PORTALE, Società a responsabilità limitata senza capitale sociale e imprenditore individuale con
“capitale destinato” (capitale sociale quo vadis?), Riv. Soc., fasc. 6, 2010, pag. 1237.
74
Ibidem, emesse ben prima della crisi finanziaria del 2008, da cui si può dedurre che l’origine del fenomeno
non sia da ricercare nella necessità di uscita dalla recessione globale, ma sia da rinvenire in altre cause.
75
Tale principio viene espresso nell’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), ove è
stabilito che sono vietate, fra le altre, “le restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte
dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro.” Al secondo comma del
medesimo articolo è inoltre previsto che “la libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività autonome e al
loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società […] alle condizioni
definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni
del capo relativo ai capitali”. Le tre sentenze sopracitate hanno avuto per oggetto proprio l’applicazione dei
principi generali riguardanti la libertà di stabilimento previsto dal TFUE.
76
A. BARTOLACELLI, ibidem.
77
Da cui derivò la già citata “competizione fra ordinamenti”.
78
Così definita in G. PORTALE, Ibidem.
79
Il Companies Act è consultabile al sito http://www.legislation.gov.uk/ukpga/2006/46/contents. A causa della
complessità della legge, la stessa è entrata nella fase di pieno regime solo nel 2009. Per ciò che concerne gli
aspetti di maggior interesse, si può notare come, in tema di Private limited company, non è previsto il
versamento di un capitale minimo (infatti l’art. 9 della legge, al n. 4), stabilisce che “The application must
contain: […] in the case of a company that is to be limited by guarantee, a statement of guarantee”, a differenza
della Public Company che invece deve indicare : a statement of capital and initial shareholdings).
80
A. BARTOLACELLI, ibidem. Non si vuole procedere ad una trattazione rigorosa delle private company
inglesi, ma solo presentare sinteticamente la genesi del fenomeno delle società a capitale marginale.
73
33
company”), la cui peculiarità risiede nel fatto che tali società sono sì registrate presso il
Regno Unito, ma operano unicamente, tramite filiali, in altri paesi81.
Quindi, da un lato la deregulation della private company inglesi, e dall’altro la possibilità di
adottare tale modello in ogni Stato membro, hanno spinto gli altri legislatori europei a dare
risposte immediate. Ciò è avvenuto lungo due direttrici. Da una parte vi è stato chi ha optato
per una modificazione della disciplina generale della fattispecie corrispondente alla s.r.l.
italiana, maggiormente a favore dell’imprenditore (esempi in questo senso ci sono forniti da
Francia, Portogallo e Olanda). Nell’altra direzione vi è stato chi invece ha privilegiato la
creazione di nuovi sottotipi societari, che seppur riconducibili al modello generale della s.r.l.
et similia, sono dotati di caratteristiche specifiche82. In questo secondo gruppo rientra
sicuramente l’Italia, ma anche ad esempio la Germania, la Spagna ed il Belgio.
Il comun denominatore di tutte le discipline risiede nella considerazione che in ogni caso non
si può mai parlare di società “senza capitale”, poiché, per quanto questo possa essere esiguo, è
comunque presente, con tutte le conseguenze che ne derivano.
1.5.1. L’ordinamento francese, tedesco e spagnolo
Come esempio per comprendere meglio la prima delle due direttrici poc’anzi esposte, si può
considerare l’esperienza francese, ove l’equivalente della s.r.l. è dato dalla société à
responsabilità limitée (abbr. SARL). La disciplina di questo modello inizialmente prevedeva
un capitale minimo pari a 7.500 euro.
Tuttavia, la risposta francese alla penetrante concorrenza del modello inglese è avvenuta con
la Loi 2003-721 del 1° agosto, la quale, modificando l’art. L 223-2 Code de Commerce,
prevedeva che l’importo del capitale della società fosse determinato dallo statuto83, rendendo
possibile la costituzione di società con un valore del capitale pari ad un centesimo di euro84. In
questo caso, la sua funzione era legata indissolubilmente alla misurazione delle partecipazioni
dei soci85. Comunque è interessante notare come nel modello non vi è una
deregolamentazione della disciplina della tutela del capitale sociale, essendo pienamente
applicabili le norme dettate per l’aumento e la riduzione del capitale86.
81
G. PORTALE, Ibidem.
A. BARTOLACELLI, ibidem.
83
Letteralmente è previsto che “Le montant du capital de la société est fixé par les statuts”, art. L. 223-2 Cod.
comm.
84
G. PORTALE, ibidem.
85
Si dice infatti che “il est divisé en parts sociales égales”, art. L. 223-2 Cod. comm., ossia è diviso in parti
uguali.
86
A. BARTOLACELLI, ibidem.
82
34
L’ordinamento d’oltralpe quindi non presenta un nuovo modello, al pari della s.r.l.
semplificata, ma il modello a capitale marginale rimane interno alla fattispecie della SARL,
tant’è che la disciplina è la medesima.
Quanto alla seconda delle direttrici perseguite dai vari ordinamenti europei, si segnala prima
di tutto l’esperienza tedesca, ove l’equivalente della nostrana s.r.l. è rappresentato dal modello
Gesellschaft mit beschränkter Haftung (abbreviato GmbH), la cui disciplina prevedeva che
tali società dovessero avere un capitale pari ad almeno 25.000 euro.
Nel 2008, è stato introdotto, nell’ordinamento tedesco, la Unternehmergesellschaft
(haftungsbeschränkt) (abbr. UG87), grazie al Gesetz zur Modernisierung des GmbH-Rechts
und zur Bekämpfung von Missbräuchen88 (conosciuto come MiMog), la quale può essere
costituita con un capitale inferiore a quello stabilito per le GmbH89.
Caratteristiche salienti del modello, che lo avvicinano alla s.r.l. semplificata, sono: obbligo di
conferimento in denaro e versamento integrale del conferimento. La compagine sociale può
tuttavia essere composta sia da persone fisiche che da persone giuridiche.
Per quanto attiene l’atto costitutivo, è previsto un modello standard ma il rispetto dello stesso
è, per le UG, facoltativo, e tale rispetto rappresenta una delle tre condizioni necessarie per
ottenere alcuni sconti sui costi di costituzione90.
Altre peculiarità di queste società, che invece le avvicinano alla nostrana s.r.l. ordinaria a
capitale marginale, sono: accantonamento di una quota degli utili annuali, in una misura
corrispondente al 25% di questi a riserva legale, e mantenimento della denominazione sociale,
una volta superata la soglia dei 25.000 euro91.
L’ultimo esempio che si intende esporre è costituito dal modello spagnolo.
Qui il modello corrispondente alla s.r.l. è rappresentato dalla Sociedad de Responsabilidade
Limitada (ossia SRL). Nel 2003, è stata introdotta nell’ordinamento iberico la Sociedad
87
A differenza dell’ordinamento italiano, dove vi sono dubbi sulla corretta qualificazione della s.r.l.s., nessun
commentatore ha messo in dubbio che la UG sia una variante della GmbH, ossia che sia un modello interno al
più ampio tipo sociale “standard”.
88
Ibidem.
89
Ibidiem. Il legislatore non ha esplicitamente fatto riferimento ad un capitale minimo di un euro, anche se ciò è
desumibile dalla norma che prevede che il valore nominale di ciascuna quota sociale deve necessariamente
essere espresso in euro interi (come si deduce dal §5(2) del MiMoG, ove è stabilito che “der nennbetrag jedes
Geschäftsanteils muss auf volle euro lauten”). Il testo completo della legge è disponibile al sito
http://www.bgbl.de/xaver/bgbl/start.xav?startbk=Bundesanzeiger_BGBl&start=//*%255B@attr_id=%27bgbl108
s2026.pdf%27%255D#__bgbl__%2F%2F*%5B%40attr_id%3D%27bgbl108s2026.pdf%27%5D__1453386087
017.
90
Le altre due condizioni sono: compagine sociale composta da non più di tre membri e che vi sia un unico
amministratore. Tale facoltà però è concessa a tutte le GmbH, non solo quindi alle UG.
91
Qui si intende affermare che anche le s.r.l. ordinarie a capitale marginale mantengono la medesima
denominazione, una volta raggiunta la soglia dei 10.000 euro, a differenza delle s.r.l. semplificate, ove invece è
necessaria una modificazione statutaria una volta raggiunta la soglia sopra indicata.
35
Limitada Nueva Empresa (abbreviato SLNE92), la quale si presenta come una “variante” del
tipo di riferimento (cioè la SRL).
Non si tratta tuttavia di una società a capitale marginale, in quanto entrambi i modelli devono
avere un capitale sociale non inferiore ai 3.000 euro.
L’aspetto che più colpisce del modello è la previsione, ai sensi dell’art. 443 del Real Decreto
Legislativo 1/2010, di un ammontare massimo del capitale sociale, il quale non potrà eccedere
la soglia dei 120.000 euro93. Altra peculiarità è data dalla presenza di un modello standard di
atto costitutivo, predisposto per Orden del Ministero de Justicia, anche se questo è indicato
come puramente “orientativo”. In caso di superamento della soglia del tetto massimo legale,
l’assemblea dei soci dovrà deliberare o la trasformazione della società in uno degli altri tipi
previsti dalla legge spagnola o la prosecuzione dell’attività adottando il modello della SRL94.
Come si è potuto vedere quindi vi sono molti punti in comune tra l’ordinamento italiano e
quello spagnolo e tedesco, da cui si può desumere che le s.r.l. a capitale marginale nostrane
siano state elaborate sulla base di quanto già previsto in altri Paesi95.
È quindi interessante notare come il legislatore italiano, in particolare nel 2012, abbia
proceduto in maniera confusionaria nell’introdurre la s.r.l. semplificata e quella a capitale
ridotto, nonostante i numerosi esempi europei sul tema da cui attingere per la costruzione di
una disciplina solida e certa. Ed è inoltre curioso il ritardo di queste previsioni in materia di
capitale sociale, nonostante in Europa i primi interventi risalgano addirittura al 2003. Quel che
è certo è la differenza di motivazioni che hanno spinto i legislatori esteri a derogare le
disposizioni in materia di capitale. Se nel resto d’Europa questo è avvenuto per rispondere alla
dilagante diffusione delle Limited inglesi, permettendo la nascita di nuovi modelli
necessariamente più competitivi e certi nella loro disciplina, in Italia l’istituzione di s.r.l. a
capitale marginale è avvenuta per rispondere ad una crisi economico-finanziaria asfissiante, in
cui l’unico obiettivo perseguito era quello di favorire la nascita di nuove imprese, piuttosto
che rendere il nostro ordinamento sufficientemente competitivo, con tutte le conseguenze già
illustrate in tema di certezza del diritto.
92
Grazie alla Ley 7/2003, de 1 de abril, de la sociedad limitada Nueva Empresa por la que se modifica la Ley
2/1995, de 23 de marzo, de Sociedades de Responsabilidad Limitada (Vigente hasta el 01 de Septiembre de
2010), consultabile al sito http://noticias.juridicas.com/base_datos/Privado/l7-2003.html.
93
A. BARTOLACELLI, ibidem.
94
Il fatto che si distingui tra trasformazione della società in un altro tipo e il passaggio al modello SRL, permette
di concludere, senza alcun dubbio, che la SPNE è in tutto e per tutto un sotto-tipo della SRL. È curioso come
invece il legislatore italiano non abbia previsto una disposizione simile, la quale avrebbe risolto numerosi
problemi interpretativi, nonostante l’esistenza di un esempio da cui attingere.
95
Per un maggiore approfondimento dell’argomento, si rimanda ad A. BARTOLACELLI, Nuove esperienze
europee in tema di costituzione “semplificata” e “a basso costo” di società con responsabilità limitata, Giur.
Comm., fasc. 2, 2015, pag. 382, A BARTOLACELLI, op. cit., pag. 32 e G. PORTALE, op. cit., pag. 33.
36
1.6. I nuovi modelli di s.r.l.: tipi autonomi o sottotipi?
Si è già accennato alla questione generale attinente il coordinamento tra la disciplina della
s.r.l.s. e della s.r.l.c.r. rispetto a quella generale della s.r.l. ordinaria96. Si tratta cioè di
comprendere se i due modelli a capitale marginale si presentino come due sottotipi o
“varianti” della s.r.l., oppure se debbano essere considerati come due tipi autonomi ed
indipendenti fra di loro, andando ad aggiungersi al novero dei tipi societari previsti dal
legislatore per le società lucrative.
La questione non è solo di stampo teorico, ma ha anche importanti conseguenze sul piano
applicativo. In particolar modo, i dubbi maggiormente rilevanti riguardano il procedimento di
passaggio da una società a capitale marginale97 ad una s.r.l. ordinaria, una volta superato il
limite dei 9.999,99 euro del capitale sociale. Se infatti si accetta la tesi per cui la forma
semplificata e a capitale ridotto costituiscono due tipi autonomi rispetto alla s.r.l., per il
passaggio da modelli a ridotta capitalizzazione a quello ordinario sarebbe necessario ricorrere
ad un’operazione di trasformazione prevista dagli art. 2498 e ss. del Codice Civile. In caso
contrario, invece, per tale passaggio sarebbe sufficiente una semplice modificazione statutaria,
di certo più semplice ed agevole rispetto alla previsione della tesi contraria98.
Il problema in esame si presenta soprattutto in virtù della denominazione diversificata stabilita
per queste nuove forme societarie, che le distinguono dal tipo di riferimento. A ciò si
accompagna anche la considerazione che la loro regolamentazione, per quanto scarna ed in
gran parte completata per rinvio alle disposizioni in tema di s.r.l., presenta una distinta
“disciplina organizzativa99” (soprattutto per le s.r.l.s.), destinata a regolare l’attività sociale,
imponendo limitazioni all’autonomia statutaria, anche oltre la fase di costituzione.
A tal proposito, si può affermare che nelle intenzioni del legislatore italiano non sembra
ravvisabile la volontà di introdurre nel nostro ordinamento due nuovi tipi sociali. Ciò lo si può
ricavare prima di tutto dalla propensione di volersi uniformare alle tendenze europee,
nell’introduzione di modelli a capitale marginale. Infatti, da un punto di vista dell’analisi
comparatistica, è riscontrabile un’univocità di posizioni manifestata dagli ordinamenti esteri,
dove le figure societarie a capitale ridotto rappresentano dichiaratamente dei sub modelli del
96
Il problema al giorno d’oggi riguarda ovviamente solo la s.r.l.s., ma per completezza si include nella
trattazione anche la s.r.l.c.r., poiché la questione riguardava anche questo modello.
97
Si tenga presente che in questa sede verranno presi in esame solo i modelli di s.r.l.s. e di s.r.l.c.r.. Si esclude di
considerare quindi la s.r.l. ordinaria a capitale marginale, poiché in questo caso è fuor di dubbio che il modello
appartenga al tipo s.r.l.
98
BUSANI-BUSI, op. cit., pag. 14.
99
G. FERRI jr., op. cit., pag. 18.
37
tipo generale100. Tuttavia questa risulta essere semplicemente una presunzione che necessita
tuttavia di una conferma nel dato normativo, non essendo in ogni caso sufficiente l’adozione
di un nomen che richiami il tipo generale. A sostegno di ciò, si può rilevare la collocazione
topografica della disciplina della s.r.l.s., inserita nel Capo VII del titolo V del libro V del
Codice Civile, ossia quello dedicato alle società a responsabilità limitata. Secondo quanto
previsto dall’art. 2249 c.c., il quale al primo comma prevede che “le società che hanno per
oggetto l’esercizio di una attività commerciale devono costituirsi secondo uno dei tipi
regolati nei capi III e seguenti di questo titolo”101, si comprende che la distinzione fra i vari
tipi sociali, e l’individuazione della relativa disciplina, deve avvenire nell’individuazione del
Capo relativo. È possibile quindi, in prima battuta, escludere la configurazione di modello
autonomo per la forma semplificata, in quanto il legislatore non ha previsto per questa un
Capo distinto, all’interno del codice civile, rispetto a quello delle s.r.l.
Tale circostanza era rinvenibile, seppur indirettamente, anche con riferimento alla s.r.l. a
capitale ridotto, la quale, seppur collocata al di fuori del codice civile, era strettamente
collegata con la forma semplificata, stante i ripetuti richiami all’art. 2463-bis contenuti
nell’art. 44 del D.L. 83/2012.
Sempre nel medesimo senso, si può notare la scomparsa, in sede di conversione, della
disposizione che prevedeva, in tema di s.r.l.s., la trasformazione della società in caso di
superamento del limite anagrafico da parte dei soci. Non essendo escluso esplicitamente il
“passaggio” ad una s.r.l. ordinaria, si poteva presumere che la trasformazione in esame
riguardasse anche l’adozione del tipo di riferimento102. L’eliminazione di questa previsione
tuttavia permise di supporre, in via interpretativa, l’esclusione della qualificazione
dell’operazione di assunzione della forma di s.r.l. ordinaria come “trasformazione”.
Spostando poi l’analisi sui criteri di qualificazione dei tipi, anche in questo caso la risposta al
quesito se s.r.l. semplificata e s.r.l. a capitale ridotto siano tipi autonomi non può che essere
negativa.
100
M. CIAN, S.r.l., s.r.l. semplificata, s.r.l. a capitale ridotto. Una nuova geometria del sistema o un sistema
disarticolato?, Riv. Soc., 2012, 6, 1101. Questo vale per i Paesi come la Germania o la Spagna, dove
l’introduzione rispettivamente della UG e della SLNE non ha presentato problemi di coordinamento con la
disciplina del tipo generale. Inoltre, in linea generale, procedure ordinarie e semplificate di costituzione
rimangono a disposizione di qualsiasi tipo societario assimilabile alla nostrana s.r.l. Nei sistemi che si sono
limitati a cancellare la soglia del capitale minimo, come la Francia, il problema non si pone in quanto non sono
state nemmeno introdotte varianti al modello di riferimento, dimostrando così una grande compattezza.
101
L’articolo espone il principio della “tipicità”, il quale richiede, nell’adozione di un tipo sociale, l’osservanza
dei caratteri essenziali del tipo che l’autonomia negoziale non potrà mai snaturare.
102
G. FERRI jr., op. cit., pag. 18.
38
A tal fine è necessario individuare i tratti salienti della s.r.l.103, e verificare se anche la s.r.l.s. e
la s.r.l.c.r. presentino le medesime peculiarità.
Da un punto di vista prettamente organizzativo e finanziario, le due “varianti” non presentano
differenze rispetto al modello generale104, stante i richiami alla disciplina generale presenti
nell’art. 2463-bis, in quanto compatibili.
Per quanto concerne invece i tratti caratteristici delle nuove società, di per sé non sono
sufficienti a sostenere la tesi di un’autonomia di un modello rispetto ad un altro. Ci si riferisce
essenzialmente alla presenza di un capitale al di sotto del limite tradizionale (a cui è collegata
la disciplina dei conferimenti) e, nel caso della s.r.l.s., alla ridotta autonomia statutaria,
connessa al rispetto del modello standard di atto costitutivo.
Questi due tratti non sono di per sé sufficienti a giustificare una differenza tipologica fra i vari
modelli, in quanto le peculiarità della s.r.l., che permettono di distinguerla ad es. dalla s.p.a.,
non sono rinvenibili nell’ampia flessibilità e nell’ammontare minimo del capitale105, ma bensì
sono da individuarsi nella centralità data alla figura del socio, e nella sua partecipazione nella
gestione della stessa società.
La disciplina risultante in seguito alla riforma del 2003 infatti ha enfatizzato la figura dei
singoli soci, attribuendo loro ampi poteri, soprattutto di voice106, partendo dal presupposto
che, oltre ad essere in un numero limitato, siano interessati a partecipare attivamente alla vita
della società, segnando la compatibilità del tipo s.r.l. con assetti amministrativi
personalistici107. Queste disposizioni non solo trovano spazio nella s.r.l.s. e nella s.r.l.c.r., ma
vengono addirittura enfatizzate, con la previsione che i soci possono essere solo persone
fisiche e che gli amministratori debbano essere scelti necessariamente fra i soci (anche se ciò
vale solo per le semplificate).
L’altro tratto essenziale associato al tipo s.r.l. riguarda l’autonomia negoziale dei soci, i quali
possono “modellare” la società, conferendo ad essa un assetto più personalistico o
capitalistico, a seconda delle esigenze dei fondatori. Se si sostiene che una contrazione
dell’autonomia statutaria sia di per sé sufficiente a giustificare la differenza fra due tipi
sociali, in questo senso allora la s.r.l.s. rappresenterebbe un tipo autonomo rispetto alla s.r.l., a
causa di una più ridotta autonomia in sede di costituzione. Occorre, a tal proposito,
sottolineare come la questione ovviamente non si presentava nel caso delle s.r.l. a capitale
103
Per un’analisi più approfondita sui tratti delle s.r.l., si rimanda a G. LAURINI, La società a responsabilità
limitata post-riforme, Cedam, 2014, pagg. 1 e ss., e a O. CAGNASSO, La società a responsabilità limitata,
Trattato di Diritto Commerciale, Vol. V, Tomo 1°, Cedam, 2007, pagg. 4 e ss.
104
M. CIAN, ibidem.
105
Tant’è che la disciplina comunitaria autorizza, con la presenza di adeguati contrappesi, la deroga alla soglia
minima di capitale per le s.r.l., non rappresentando questa una deviazione tipologica dal modello s.r.l.
106
A. DACCO’, op. cit., pag.29, a pag. 564.
107
M. RESCIGNO, op. cit., pag. 31.
39
ridotto, la cui più rilevante differenza rispetto alla s.r.l. ordinaria risiedeva semplicemente
nella ridotta capitalizzazione. Tuttavia il problema rimane aperto per le s.r.l. semplificate.
Qui la necessità di conformità all’atto costitutivo tipizzato potrebbe portare a giustificare
l’autonomia del modello rispetto alla più generale società a responsabilità limitata.
Tuttavia, questa regolamentazione maggiormente rigida della semplificata è volta
semplicemente ad accedere a determinati benefici in sede di costituzione, rappresentando
quindi un modello ad avviamento facilitato, perfettamente superabile nelle fasi successive di
vita della società108.
L’aggiunta della denominazione “semplificata” quindi ha soltanto lo scopo di segnalare
l’applicabilità di regole integrative del modello legale109. Di conseguenza, tale qualificazione
svolge una funzione analoga a quella ricoperta, ad esempio, dall’inserimento nella
denominazione sociale dei termini “società in liquidazione” previsto dal comma 2 dell’art.
2487 c.c., di sicuro non idoneo ad indicare un tipo sociale diverso.
Le argomentazioni trattate appaiono convincenti, e oramai è opinione prevalente la
qualificazione di sub-modelli delle due figure in esame. La tesi contraria, non del tutto
convincente, invoca, a sostegno dell’autonomia tipologica dei due modelli, la diversa
denominazione di questi. Si sostiene infatti che la coniazione di un nomen ad hoc, e quindi di
una specifica denominazione sociale e il conseguente obbligo di farne menzione “negli atti,
nella corrispondenza[…]e nello spazio elettronico” deriverebbe dalla necessità
di
assecondare esigenze, almeno apparentemente, simili a quelle poste alla base della
tipizzazione (ossia la riconoscibilità nel mercato, soprattutto a favore di terzi, i quali vengono
quindi messi a conoscenza di elementi strutturali, inamovibili e immodificabili della
società110). L’argomento non sembra però particolarmente convincente, poiché in questo caso,
la funzione assolta dall’obbligo di comunicazione della denominazione sociale è la medesima
prevista per gli altri generali obblighi informativi riguardanti l’ammontare del capitale sociale,
il quale non è certo idoneo a determinare il tipo sociale adottato.
In questo contesto il legislatore, inizialmente, attraverso tale disposizione, voleva
semplicemente permettere la conoscibilità del basso apporto di risorse in queste “nuove” s.r.l.
da parte dei terzi111.
108
L’analisi richiederebbe la presentazione della funzione della s.r.l. semplificata. Non è tuttavia questa la sede
per tale esposizione, in quanto maggiormente attinente alle operazioni sul capitale, che saranno oggetto di
trattazione nel terzo capitolo del presente testo.
109
BOGGIALI-RUOTOLO, op. cit., pag. 14.
110
M. CIAN, op. cit., pag. 38.
111
Anche se, come già visto, lo scopo fosse effettivamente quello di far conoscere ai terzi l’ammontare modesto
del capitale sociale, la previsione dell’obbligo di comunicare la denominazione sociale risulterebbe essere
superflua, in quanto sarebbe bastato applicare l’art. 2250 c.c., il quale prevede l’indicazione del capitale sociale
negli atti e nella corrispondenza.
40
L’altro assunto posto alla base della tesi contraria è rinvenibile nella nozione di
“compatibilità112”, in relazione all’applicazione della disciplina della s.r.l. alla forma
semplificata e a capitale ridotto, prevista dall’art. 2463-bis c.c. e dall’art. 44 del D.L. 83/2012.
Si sostiene infatti che in questo caso si verifichi ciò che prevede l’art. 2454 c.c. in tema di
società in accomandita per azioni. Qui la legge prevede infatti che “alla società in
accomandita per azioni sono applicabili le norme relative alla società per azioni, in quanto
compatibili con le disposizioni seguenti”. Dal momento che s.a.p.a. e s.p.a. sono due tipi
differenti, si ritiene che la compatibilità, di per sé, non sia sufficiente a giustificare
l’appartenenza ad un medesimo tipo sociale113.
Tuttavia anche tale posizione non sembra convincere appieno, dal momento che la disciplina
derogatoria della s.r.l.s. e della s.r.l.c.r., nei cui confronti deve essere valutata la
“compatibilità”, non va ad intaccare i tratti essenziali della s.r.l., presenti quindi anche nelle
sue due “varianti”.
In conclusione, è possibile quindi ricondurre le due figure al tipo già presente nel sistema114,
anche se tuttavia permangono problemi relativi alla ricostruzione dei rapporti sussistenti fra le
diverse forme di s.r.l.
Come conseguenza, per il passaggio tra l’una e l’altra di queste fattispecie non sarà necessaria
un’operazione di trasformazione della società115, richiesta invece quando il modello di
destinazione sia diverso dalla società a responsabilità limitata116, con conseguente diritto del
socio dissenziente o assente al recesso, ma sarà sufficiente una semplice modifica statutaria,
secondo le normali regole dell’assemblea dei soci previste dall’art. 2479 c.c. e ss.
112
G. FERRI jr., op. cit., pag. 18.
G. FERRI jr., ibidem.
114
Di diverso avviso è però G. PORTALE, La parabola del capitale sociale nella s.r.l. (dall’”import ancia
cuasi-sacramental” al ruolo di “ferro vecchio”?), Rivista delle Società, fasc.5, 2015, pag. 815. L’Autore, in
netto contrasto con la dottrina prevalente, ritiene che la s.r.l. semplificata sia un tipo autonomo per la particolare
disciplina che la caratterizza.
115
Come confermato dalla Massima R.A.4 del Comitato triveneto dei notai, la quale afferma che “è inoltre da
ritenere che qualora il mutamento del modello di s.r.l. semplificata avvenga con l’adozione di quello di s.r.l. a
capitale ridotto o di s.r.l. ordinaria non si ponga in essere una “trasformazione” in senso tecnico, in quanto la
s.r.l. semplificata e la s.r.l. a capitale ridotto costituiscono dei sotto tipi della s.r.l. ordinaria, e non dei tipi
autonomi, essendo le stesse soggette, per quanto non espressamente derogato, alla disciplina legale di
quest’ultima”.
116
Come conferma la stessa Massima R.A.4 appena citata, che stabilisce in questo caso l’applicazione di quanto
previsto dagli artt. 2498 e ss. del codice civile.
113
41
42
Capitolo II
La costituzione di una s.r.l.s.
SOMMARIO: 2.1. L’atto costitutivo della s.r.l.s. – 2.1.1. L’inderogabilità dell’atto costitutivo
– 2.2. Caratteristiche e
funzionamento di una s.r.l.s. – 2.2.1. Requisiti soggettivi della compagine sociale – 2.2.2. I conferimenti – 2.2.3. Le
partecipazioni sociali – 2.2.4. Amministrazione e controllo – 2.2.5. Decisioni dei soci, denominazione sociale e durata della
s.r.l. semplificata – 2.3. Il ruolo del notaio – 2.4. Benefici e svantaggi di una s.r.l.s. – 2.5. Le s.r.l. start-up innovative
Premessa
Come visto precedentemente, l’attuale assetto delle s.r.l. a capitale marginale, all’interno del
nostro ordinamento, vede contrapporsi il modello semplificato con quello ordinario.
È quindi opportuno presentare ed analizzare le differenze pregnanti delle due figure,
ravvisabili principalmente nella fase di costituzione della società, stante soprattutto la
funzione di start up attribuita alla s.r.l.s.
In particolar modo, l’analisi deve necessariamente focalizzarsi sull’atto costitutivo
standardizzato previsto per il modello a capitale marginale di prima introduzione, il cui
rispetto vincola l’autonomia statutaria, non soltanto nel momento dell’avvio dell’attività, ma
anche durante tutta la vita della società, fino a quando verrà mantenuta la denominazione di
semplificata.
Tuttavia la velocità di emanazione delle leggi regolatrici ha portato incertezze interpretative
anche per quanto riguarda la disciplina dell’atto costitutivo. Dubbi parzialmente risolti con i
successivi interventi, ma che comunque necessitano di un attento esame da parte
dell’interprete.
Si vuole perciò in questa sede esporre analiticamente la fase di costituzione di una s.r.l.
semplificata, sia in quanto caratteristica preminente del modello, sia per portare alla luce le
problematiche ancora esistenti.
2.1. L’atto costitutivo della s.r.l.s.
La legge, all’art. 2463-bis c.c., prevede quelle che sono le peculiarità della s.r.l. semplificata,
e stabilisce le caratteristiche distintive dell’atto costitutivo e gli elementi essenziali di questo.
È previsto, al secondo comma dell’articolo poc’anzi citato, che “l’atto costitutivo deve essere
redatto per atto pubblico117 in conformità al modello standard tipizzato con decreto del
117
Nel testo originale dell’art. 2463-bis, così come contenuto nel D.L. 1/12, l’atto costitutivo doveva essere
redatto per scrittura privata. In sede di conversione, tale inciso è stato modificato così come sopra indicato.
43
Ministro della Giustizia, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle finanze e con il
Ministro dello Sviluppo economico […]”.
Tale modello è stato emanato attraverso il D.M. 23 giugno 2012, n. 138, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 189 del 14 agosto 2012, ed entrato in vigore il 29 agosto dello stesso
anno. Ne consegue che soltanto dal mese di agosto è stato possibile usufruire del modello
semplificato di s.r.l. , molti mesi dopo quindi rispetto al decreto introduttivo di tale fattispecie.
È necessario comunque ribadire che tale previsione rappresenta una delle caratteristiche
preminenti della s.r.l.s., e l’assenza di qualsivoglia riferimento allo statuto della società ha
portato alla connotazione di società senza statuto118. In realtà, a tal proposito, occorre notare
che neppure nella s.r.l. ordinaria vi è un qualche riferimento allo statuto della società, il quale
dovrebbe contenere “le norme relative al funzionamento della società” e che “anche se forma
oggetto di atto separato, si considera parte integrante dell’atto costitutivo e deve essere a
questo allegato” (definizione contenuta nell’art. 2328, ultimo comma, c.c., in tema di s.p.a.,
richiamato, prima della Riforma del 2003, nella disciplina della s.r.l.). Addirittura all’art. 2463
c.c. viene stabilito che tali regole di funzionamento debbano necessariamente essere contenute
nell’atto costitutivo, secondo il comma 2, n. 7) del suddetto articolo.
Nella prassi, tuttavia, per la s.r.l. “madre”, non sembrano esserci ostacoli alla previsione di
due documenti separati, ossia l’atto costitutivo, contenente le informazioni richieste dall’art.
2463 c.c., fra cui le generalità dei soci, l’ammontare del capitale sociale, ecc., e lo statuto, ove
sono inserite le regole organizzative, relative al funzionamento e scioglimento della società,
ed altri dati essenziali119.
La dottrina prevalente ritiene che in tale circostanza sia applicabile il già citato art. 2328 c.c.,
anche per le società a responsabilità limitata. Ovviamente, in questo caso, dovrà essere
rispettata la redazione nella forma di atto pubblico dello statuto, con il conseguente rispetto di
tutte le norme dettate per questo.
Stante questa possibilità per le s.r.l. ordinarie, è possibile ritenere applicabile anche nella
semplificata codesta previsione, dal momento che nell’art. 2463-bis si fa riferimento solo
all’atto costitutivo e non allo statuto?
La risposta viene fornita direttamente dal D.M. 138/12, il quale intitola l’art. 1 “Modello
standard dell’atto costitutivo e dello statuto della società a responsabilità limitata
118
BUSANI-BUSI, La s.r.l. semplificata (s.r.l.s.) e a capitale ridotto (s.r.l.c.r.), Società, 2012, 12, 1305 e
BUSANI, La nuova società a responsabilità semplificata e la nuova s.r.l. con capitale inferiore a 10mila euro,
Società, 2013, 10, 1068.
Inoltre in NARDONE – RUOTOLO, Società a responsabilità limitata semplificata. Questioni applicative, in
CNN Notizie, 5 novembre 2012, si sostiene che il modello standard è “un documento unico, e quindi non v’è, né
vi potrebbe essere, uno statuto allegato così come anche previsto in via generale dal codice per la società a
responsabilità limitata ordinaria”.
119
G. LAURINI, La società a responsabilità limitata post-riforme, CEDAM, 2012, pag. 9.
44
semplificata”, e nel suddetto articolo viene per l’appunto specificato che “l’atto costitutivo,
recante anche le norme statutarie, della società a responsabilità limitata semplificata di cui
all’art. 2463-bis del codice civile è redatto per atto pubblico in conformità al modello
standard riportato nella Tabella A allegata al presente decreto” (si veda la Figura 1, ove
viene mostrato il testo integrale dell’atto costitutivo).
Di conseguenza, nella s.r.l.s., in virtù di quanto stabilito dal legislatore, non è possibile la
stipulazione di un documento separato recante le regole di funzionamento della società,
poiché queste devono essere obbligatoriamente incluse nell’atto costitutivo120.
Riassumendo, quindi si può affermare che la differenza sostanziale fra una semplificata ed
una s.r.l. ordinaria, in tema di statuto, risieda nel fatto che mentre per la prima è previsto
obbligatoriamente un unico documento indicante tutte le informazioni essenziali della società,
nella seconda è riconosciuta la facoltà di poter scindere fra atto costitutivo e statuto, pur nulla
vietando che essi facciano parte del medesimo testo. A tal proposito è utile far notare che il
modello standard può essere utilizzato anche da società a responsabilità limitata diverse dalla
semplificata, con l’esclusione però del vincolo di inderogabilità dell’atto previsto per
quest’ultima, e quindi non si potrà accedere alle esenzioni previste per le società semplificate.
Infatti l’adozione dell’atto costitutivo tipizzato rappresenta il “prezzo” da pagare per poter
ottenere una riduzione dei costi di costituzione121.
Quanto al contenuto dell’atto costitutivo tipizzato, si può notare che questo risulta essere
particolarmente scarno122. Il legislatore si è infatti limitato ad indicare gli elementi essenziali
che devono essere contenuti nell’atto, a norma dell’art. 2463-bis c.c., fra cui le generalità dei
soci, l’ammontare del capitale sociale e i nomi degli amministratori. Sono presenti clausole
che riproducono testualmente norme specifiche della s.r.l.s, fra cui alcune ormai abrogate,
quali ad esempio il divieto di trasferimento delle quote a persone non in possesso dei requisiti
anagrafici, e compaiono clausole specificative degli elementi essenziali dell’atto costitutivo,
come la rappresentanza della società da parte dell’organo amministrativo123.
120
In dottrina comunque il tema era pacifico, in quanto fino al momento dell’emanazione del modello standard,
le s.r.l. semplificate erano inutilizzabili e di conseguenza non era possibile affrontare l’argomento nel caso
concreto. Tuttavia la Massima n. 127 del 5 marzo 2013 del Consiglio Notarile di Milano ammette, entro certo
limiti, la presenza di uno statuto, ma la questione attiene alla possibilità o meno di derogare al contenuto del
modello standard, affrontata successivamente.
121
BUSANI-BUSI, op. cit., pag. 44.
122
Ciò è comunque coerente con la funzione assolta dal modello semplificato, ossia di archetipo da adottare nella
fase di start up di un’impresa, auspicando l’evoluzione verso fattispecie caratterizzate da una più alta
capitalizzazione. Le clausole dello statuto sono molto grezze, ma ciò al fine di semplificare il più possibile il
procedimento di costituzione.
123
M. RESCIGNO, La società a responsabilità limitata a capitale ridotto e semplificata, Nuove leggi Civ.
Comm., 2013, 1.
45
Figura 1: Modello standard di atto costitutivo
Va fin da subito fatto notare come alcune di queste clausole, alla luce degli ultimi interventi
legislativi in tema di s.r.l. a capitale marginale, siano diventate “obsolete”, in quanto la norma
legale di riferimento è stata abrogata. È infatti evidente che il contenuto del modello sia stato
ritagliato sulla base delle disposizioni legali previste dalla L. 27/2012, la quale conteneva la
versione, allora “definitiva”, dell’art. 2463-bis c.c.
46
Tuttavia il D.L. 76/2013 ha modificato, come visto precedentemente, la disciplina,
prevedendo, fra le altre, l’eliminazione del divieto di trasferimento delle quote a soggetti che
abbiano compiuto i trentacinque anni d’età124, e l’abrogazione della previsione richiedente la
nomina degli amministratori fra i soci.
È perciò auspicabile un intervento di modifica da parte del legislatore del testo del decreto, in
una logica di armonizzazione di questo col dettato legislativo125. Al momento, tuttavia,
permangono numerose criticità, particolarmente complesse da superare in sede interpretativa,
riguardanti il rapporto tra la legge e il contenuto dell’atto costitutivo. Stante la dichiarazione
di inderogabilità delle clausole del modello, si possono ritenere applicabili le nuove
disposizioni dell’art. 2463-bis c.c., contrarie al modello stesso?
Al proposito, si può considerare il rapporto tra le fonti, ritenendo prevalente la legge (ossia la
fonte gerarchicamente superiore) rispetto all’atto costitutivo, modellato da un regolamento
ministeriale (fonte gerarchicamente inferiore),
da cui conseguirebbe che una modifica
testuale del modello, conforme al disposto legislativo, sarebbe necessitata. Perciò si
dovrebbero considerare soppresse ex lege, e non più da osservarsi in sede di costituzione della
società, le clausole oggetto di “obsolescenza”126.
Tuttavia sembra difficilmente superabile l’esposto di inderogabilità delle clausole dell’atto
costitutivo previsto dalla legge. Infatti è la legge stessa, ossia la fonte primaria, a prevedere
l’inderogabilità, e non il decreto ministeriale. Inoltre le clausole oggetto di contrasto non sono
contrarie a norme imperative, perciò non possono essere considerate nulle.
Si deve perciò arrivare alla conclusione che soltanto un intervento da parte del legislatore
medesimo possa essere idoneo a modificare il contenuto del modello standard127. Nel caso in
cui ciò non avvenisse si deve quindi continuare ad adottare quanto previsto nel D.M. del
2012, rimanendo quindi inapplicabili le recenti novità legislative128.
124
Da notare, comunque, che la clausola 4 dell’atto costitutivo tipizzato sancisce il divieto di trasferimento delle
quote per atto tra vivi, risolvendo il contrasto fra le varie correnti, che inizialmente si era venuto a creare, a
favore di coloro che ritenevano ammissibile il suddetto trasferimento mortis causa.
125
Come confermato dalla nota del Ministero della Giustizia, n. 118972.U dell’11 settembre 2013, la quale
sancisce che il modello standard “non appare più completamente armonico con il disposto della norma
primaria”, ritenendo che le clausole 4 e 5 debbano essere soppresse.
126
Della stessa opinione G. LAURINI, La società a responsabilità limitata post-riforme, CEDAM, 2014, pag.
230.
127
Di parere contrario G. LAURINI, ibidem, e la stessa Nota n. 118972 del Ministero della Giustizia si è
espresso in questo senso. Tuttavia la prudenza suggerirebbe comunque di rispettare il modello standard ed
eventualmente procedere ad una modificazione statutaria successiva, quando le necessità sociali richiederanno
un adeguamento dell’atto costitutivo alle esigenze del caso concreto.
128
In A. BARTOLACELLI, "L’insostenibile leggerezza dell’s.r.l.s. Nell’intricata “matassa” delle “nuove”
s.r.l.: ricercare un bandolo o tagliare il filo?” in Atti di: V convegno annuale dell'associazione italiana dei
professori universitari di diritto commerciale "Orizzonti del diritto commerciale", Roma, 21-22 febbraio 2014. URL:http://associazione.orizzontideldirittocommerciale.it/media/24002/bartolacelli_a.pdf, l’autore sostiene, in
contrasto con la dottrina prevalente e la note del Ministero della Giustizia sopracitata, che in realtà la clausola 4
non dovrebbe essere soppressa completamente, ma solo nella parte in cui si prevede la nullità dell’atto quale
47
2.1.2. L’inderogabilità dell’atto costitutivo
Uno dei temi maggiormente dibattuti fin dall’origine dell’introduzione del modello standard
ha riguardato infatti proprio l’inderogabilità dell’atto costitutivo e delle sue clausole da parte
dell’autonomia privata.
Il dubbio nato dal dettato legislativo deriva dal significato da attribuire al fatto che l’atto
costitutivo debba essere redatto “in conformità al modello standard tipizzato”. Si tratta cioè di
comprendere se con ciò l’atto costitutivo debba obbligatoriamente essere identico nella sua
forma al modello standard, ed in questo caso chi redige l’atto si limiterebbe alla compilazione
delle parti mancanti, oppure se vi sia comunque spazio per l’autonomia privata per definire
eventuali integrazioni e/o modifiche allo schema stesso, per meglio disciplinare specifiche
esigenze129.
La questione non è solo teorica, ma ha anche dei risvolti pratici. Come già detto, il modello
standard è piuttosto scarno, ed il legislatore ha specificato solo gli elementi essenziali di
questo, pur non indicandoli come gli unici per l’atto costitutivo. Proprio questa “pochezza” di
clausole fa si che tale modello sia di difficile applicazione nella prassi, a causa della sua
scarsa adattabilità alle esigenze del caso concreto.
È quindi ragionevole considerare il modello tipizzato come “punto di partenza” dal quale poi
sarebbe possibile modellare la società a seconda delle occorrenze della compagine sociale.
Analizzando il dibattito venutosi così a creare, un primo orientamento dottrinale ritiene l’atto
costitutivo standardizzato immodificabile, da cui deriverebbe l’impossibilità di potersi
discostare dallo schema ivi riportato, se non da un punto di vista prettamente formale130.
Le motivazioni addotte riguardano da un lato il dettato letterale della norma, poiché se il
legislatore avesse veramente voluto rendere modificabile lo schema, avrebbe utilizzato
locuzioni differenti, dall’altro si fa riferimento alle caratteristiche fondamentali della s.r.l.s.131
conseguenza della violazione, poiché solo quest’ultima previsione è contraria alla norma di legge, rimanendo
invece il resto del testo perfettamente valido.
129
PASETTO-SORRENTINO, Srls: la derogabilità del modello standard forse si, ma anche no, Riv. Dottori
comm., fasc. 4, 2013, pag. 851.
130
A tal proposito, il Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie nella Massima R.A.1
osserva che “le clausole negoziali del modello standard tipizzato dell’atto costitutivo – statuto della s.r.l.s. sono
inderogabili, mentre le formule dell’atto pubblico con esso proposte hanno valore meramente indicativo. Tali
formule appaiono infatti inserite nel modello standardizzato al solo scopo di semplificarne la lettura, tant’è che
risultano incomplete […], oltre che riferite ad un’unica ipotesi tipo […]. Nel caso concreto il notaio rogante
portà dunque utilizzare le formule dell’atto pubblico che riterrà più opportune, anche discostandosi da quelle
contenute nel modello tipizzato, […]. Il medesimo notaio rogante e/o le parti non potranno, invece, apportare
alcuna modifica alle clausole negoziali tipizzate del negozio costitutivo della s.r.l. semplificata, a meno che non
sia necessario adeguarle a disposizione di legge sopravvenute non ancora recepite dal modello ministeriale”.
131
Anche se, come già osservato, il legislatore non sembra essere stato particolarmente attento al dettato testuale
delle norme. Perciò sarebbe più opportuno guardare alle motivazioni effettivamente perseguite, piuttosto che alla
lettera della norma.
48
La totale conformità dell’atto infatti rappresenterebbe il presupposto sostanziale per poter
accedere all’esenzione degli onorari notarili, in quanto il ruolo del notaio sarebbe, in questo
caso, fortemente limitato, dovendo egli semplicemente compilare l’atto e procedere
all’identificazione dei soci fondatori, per la verifica del possesso dei requisiti di cui al primo
comma dell’art. 2463-bis132. Pertanto, qualsiasi clausola difforme o aggiuntiva rispetto a
quelle previste si dovrebbe ritenere di fatto nulla perché contraria a norma imperativa 133, ossia
all’articolo poc’anzi menzionato. Si verificherebbe inoltre, in caso di modifica dell’atto,
un’inammissibile derogabilità della legge da parte dell’autonomia privata 134. Per cui,
nell’eventualità di difformità dell’atto rispetto al modello standard, la clausola dovrebbe
essere considerata inefficace, mentre invece nella circostanza in cui fosse l’intero atto
inefficace, la società non potrebbe essere iscritta con la denominazione di semplificata, ma
con una diversa qualificazione (oltre a non poter beneficiare dell’esenzione dei costi di
avviamento).
Quindi, vista la rigidità dell’atto costitutivo, tale corrente dottrinale sostiene che per quanto
concerne gli istituti non disciplinati dall’atto medesimo, troverebbe applicazione, in quanto
compatibili, le disposizioni codicistiche sulla società a responsabilità limitata135. È questa
l’interpretazione che infatti viene data all’art.1, comma 2, D.M. 138/12, in seguito illustrato.
Infine, in una logica di armonizzazione dell’ordinamento interno, poiché le differenze fra una
semplificata e altri modelli di s.r.l. a capitale marginale (ossia ordinaria e l’ormai abrogata
s.r.l. a capitale ridotto) risiedono principalmente nella procedura costitutiva136, la rigidità del
modello sarebbe stata coerente con la “variante” in esame, poiché invece gli altri sotto-tipi
sono liberi da tale vincolo. Perciò, in caso di integrazione/modificabilità dell’atto, la società
dovrebbe necessariamente essere iscritta con diversa denominazione, a seconda della
fattispecie del caso concreto.
L’altro orientamento, ossia quello favorevole alla derogabilità del modello standard, invece
motiva la propria tesi facendo sempre riferimento all’art. 1, comma 2, del D.M. 183/2012.
Qui infatti viene specificato che “si applicano, per quanto, non regolato dal modello standard
[…], le disposizioni contenute nel libro V, titolo V, capo VII del codice civile, ove non
132
Il notaio dovrà accertare che i soci fondatori siano persone fisiche. Originariamente gli stessi dovevano avere
anche un età inferiore ai 35 anni.
133
PASETTO-SORRENTINO, ibidem.
134
BUSANI-BUSI, op. cit. pag. 44 e del medesimo parere BUSANI, op. cit., pag. 44.
135
BOGGIALI-RUOTOLO, Le nuove s.r.l., Studio d’impresa n. 892-2013/I, approvato dal CNN il 12 dicembre
2013, e disponibile al sito http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2013-12-16/studio-nuove-srlnotariato-221538.shtml?uuid=ABFdcTk&refresh_ce=1. Del medesimo parere anche M. CIAN, S.r.l., s.r.l.
semplificata, s.r.l. a capitale ridotto. Una nuova geometria del sistema o un sistema disarticolato?, Riv. Soc.,
fasc. 6, 2012, pag. 1101 e G. PAPPALARDO, Le società a responsabilità limitata con capitale ridotto, Vita
Notarile, 1, 2013, 488.
136
M. CIAN, ibidem.
49
derogate dalla volontà delle parti”. Questa previsione è per molti versi simile all’ultimo
comma dell’art. 2463-bis, ove si prevede che “si applicano alla società a responsabilità
limitata semplificata le disposizioni del presente capo in quanto compatibili”. Il capo a cui ci
si riferisce è ovviamente quello disciplinante la s.r.l. ordinaria.
Secondo queste due norme, sembrerebbe possibile “plasmare” in una certa misura l’atto
costitutivo, potendo ben inserire clausole facenti riferimento alla disciplina generale della
s.r.l., ovviamente nel pieno rispetto delle disposizioni previste per la forma semplificata137.
Così facendo, si rispetterebbe una delle caratteristiche principali del tipo s.r.l., e cioè l’ampia
autonomia statutaria concessa ai soci, soprattutto in ambito organizzativo. E poiché la
semplificata appartiene sicuramente al tipo s.r.l., questa peculiarità dovrebbe riguardare anche
le società a ridotta capitalizzazione138.
Sempre a favore della modificabilità dell’atto, è utile rilevare che il testo di questo omette
alcuni elementi essenziali richiamati dall’art. 2463-bis, come ad esempio l’indicazione del
soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti139. Di conseguenza, se si ritenesse
immodificabile l’atto costitutivo, le parti, ad esempio, non potrebbero prevedere la presenza di
un organo di controllo, contraddicendo quando previsto all’art. 2463-bis.
Inoltre secondo questo filone dottrinale, l’interpretazione restrittiva dell’obbligo di conformità
al modello eliminerebbe qualsiasi intervento dell’autonomia privata, andando a snaturare
completamente le caratteristiche del tipo sociale a responsabilità limitata, al quale appartiene
la forma semplificata140.
137
Del medesimo parere, la Massima n. 127 della Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano,
secondo la quale “l’atto notarile col quale viene costituita una s.r.l. semplificata ai sensi dell’art. 2463-bis c.c.
può contenere, oltre a quanto espressamente previsto nel modello standard tipizzato […]:
a) le dichiarazioni, le menzioni e le attestazioni di carattere formale, con particolare riguardo a quelle
richieste dalla legge notarile in ordine all’intervento delle parti, alla loro capacità e ad altri aspetti
della formazione dell’atto pubblico;
b) le dichiarazioni che le parti rivolgono al notaio al fine della redazione della domanda di iscrizione
della società nel registro delle imprese […];
c) le clausole meramente riproduttive di norme di legge, quand’anche redatte in documento separato,
eventualmente contenente anche gli elementi non contingenti e transitori dell’atto costitutivo.
La presenza di clausole convenzionali aggiuntive […] non incide sulla legittimità dell’atto costitutivo né sulla
validità delle clausole stesse […]”.
A favore di questa tesi anche G. MARASA’, Considerazioni sulle nuove s.r.l.: s.r.l. semplificate, s.r.l. ordinarie
e start-up innovative e dopo la L. n. 99/2013 di conversione del D.L. n. 76/2013, Società, 10, 2013, 1088.
138
RESCIGNO, op. cit., pag. 45.
139
Al comma 2, numero 4) dell’art. 2463-bis, vi è il richiamo al requisito previsto al numero 8), comma 2
dell’art. 2463, che indica per l’appunto il soggetto incaricato dell’attività di controllo. Ma vi sono ulteriori
elementi che fanno propendere per una modifica dell’atto costitutivo, come la clausola 8 dello stesso. Questo
infatti lascia intendere che il metodo assembleare possa non essere richiesto, ma ciò è possibile solo con
un’apposita previsione statutaria, ai sensi dell’art. 2479, comma 3, portando perciò a ritenere positiva la
possibilità di inserire nell’atto codesta disposizione.
140
Del medesimo orientamento, G. PERCOCO, Nota sulla natura del modello standard di atto costitutivo della
società a responsabilità limitata semplificata, Società, 2016, 3, 261. Va detto che, come esposto nel primo
capitolo, le caratteristiche essenziali del tipo s.r.l. non devono essere ricercate nell’autonomia statutaria, ma nella
centralità della figura del socio. Ergo per cui tale tesi non appare completamente convincente, sebbene sostenuta,
50
A fianco dei due orientamenti dottrinali, si sono inseriti i pareri del Ministero dello Sviluppo
Economico e del Ministero della Giustizia, i quali però non hanno di certo favorito la
risoluzione del problema.
Il primo, con nota prot. 182451 del 30/08/2012141, segnalava di “ritenere maggiormente
coerente con il quadro normativo in essere l’interpretazione secondo cui l’atto costitutivo
redatto secondo il modello standard, non potesse essere oggetto di integrazioni, risultando
altrimenti necessario utilizzare altre forme societarie […]”. Tale presa di posizione fu
tuttavia preliminare, in quanto si sarebbe dovuto aspettare il parere del Ministero della
Giustizia che avrebbe dovuto definitivamente chiarire la questione.
Questo, con il parere prot. 43644 del 10/12/2012142, ha però espresso una posizione differente
rispetto a quella precedentemente esposta, in quanto per il Ministero della Giustizia, la
previsione di conformità al modello standard “non sembra possa essere letta come norma
limitativa dell’autonomia negoziale delle parti che intendono adottare il nuovo modello
societario in questione143” in quanto “appare del tutto incongruo ritenere che la norma
primaria abbia voluto […] limitare l’autonomia negoziale rimettendo ad una normativa
regolamentare
l’individuazione
delle
innumerevoli
possibili
opzioni
concernenti
l’organizzazione ed il funzionamento della società”. Inoltre, sempre secondo questo parere, le
parti possono “derogare allo schema tipico mediante pattuizione di un diverso contenuto di
atto costitutivo e statuto per tutte le ipotesi in cui la normativa codicistica consente, appunto,
una deroga negoziale”, come appunto stabilito all’art. 1, comma 2, del D.M 138/2012.
fra gli altri, dalla Massima n.127 sopracitata. Infatti se questo fosse vero, la successiva dichiarazione di
inderogabilità del modello standard, sebbene lasci ancora spazio alla tesi di eventuali integrazioni dell’atto,
potrebbe portare alla conclusione che la s.r.l.s. non sia una “variante” della s.r.l., ma un tipo autonomo. Dal
momento che così non è, e la dottrina prevalente è allineata su questa linea di pensiero, si deve escludere che
elemento preminente del tipo s.r.l. sia l’ampia discrezionalità rilasciata all’autonomia statutaria. Inoltre si può
comunque affermare che, a prescindere dall’inderogabilità o meno del modello standard, l’autonomia statutaria
dei soci viene in ogni caso garantita a monte, nel senso che, nel momento in cui decidono di fondare una società
a responsabilità limitata a capitale marginale, sono liberi di scegliere fra la forma semplificata, vincolandosi nella
formazione dell’atto costitutivo per poter beneficiare di minori costi di avviamento, oppure possono optare per
una s.r.l. ordinaria, potendo quindi esercitare liberamente la propria autonomia privata, senza beneficiare di
nessun sconto.
141
Al sito http://www.sviluppoeconomico.gov.it/images/stories/impresa/mercato/Srlsemplificata.pdf, ove è
presentata la Circolare n. 3657/C del Ministero dello Sviluppo Economico, è presente il riferimento alla suddetta
nota.
142
Consultabile al medesimo indirizzo on-line indicato nella nota precedente.
143
Si rileva come in codesto parere, il Ministero, pur ammettendo la derogabilità del modello standard, ritiene
che eventuali integrazioni del modello da parte del notaio non possano avvenire a “costo zero”, ossia non vi
sarebbe l’esenzione degli oneri notarili. Se questo fosse il caso, tuttavia, verrebbe meno il senso della s.r.l.s.,
stante che la sua peculiarità risiede esattamente in una riduzione dei costi di avviamento. Visto inoltre la
presenza, nel nostro ordinamento, di altre forme di s.r.l. a capitale marginale, qualsiasi modificazione dell’atto
costitutivo che comporti un costo dovrebbe portare a qualificare la società non più come semplificata, ma come
s.r.l. ordinaria (o come s.r.l.c.r. nel caso di società sorte prima del D.L. 76/13), essendo venuto meno il carattere
essenziale del modello in esame.
51
Il Ministero dello Sviluppo Economico ha invitato, in data 2 gennaio 2013, le Camere di
Commercio ad uniformarsi a questo parere. Di conseguenza si doveva considerare l’atto
costitutivo integrabile/modificabile dalle parti.
Sennonché il legislatore è intervenuto nuovamente sul tema, prevedendo, con la L. 99/13, che
“le clausole del modello standard tipizzato sono inderogabili”, in netto contrasto con il parere
ministeriale, e accogliendo invece l’orientamento contrario a quest’ultimo.
È opportuno tuttavia sottolineare che la nuova norma non fa riferimento all’atto costitutivo
nella sua interezza, bensì solamente alle clausole di questo. Sembra perciò che si sia aperta la
facoltà per i soci di richiedere al notaio l’integrazione del modello con ulteriori disposizioni,
lasciando comunque spazio all’autonomia privata.
La norma quindi non elimina completamente l’incertezza riguardo l’ambito applicativo del
disposto. Infatti, oltre alla presenza del solo riferimento alle clausole, l’inderogabilità di
queste non è sinonimo di immodificabilità dell’atto nella sua interezza. E nel caso in cui
venisse accolta quest’ultima proposizione, il principio non deve confondersi con la non
integrabilità dell’atto medesimo144. Vi sono perciò ampi margini interpretativi per poter
sostenere perlomeno l’inserimento di ulteriori clausole, oltre a quelle contenute nel modello
standard. Questa posizione è coerente anche con il disposto della “compatibilità” dell’art.
2463-bis e con la previsione contenuta nell’art. 1, comma 2, del D.M. 138/12, relativo
all’applicabilità della disciplina della s.r.l., “ove non derogate dalla volontà delle parti”.
Ad ulteriore conferma della tesi dell’integrabilità dell’atto costitutivo, si può valutare anche
l’incompletezza del modello, riconosciuto da entrambi gli orientamenti dottrinali, che richiede
necessariamente l’aggiunta di ulteriori clausole.
Infine, si può anche considerare la riqualificazione delle ormai abrogate s.r.l. a capitale ridotto
in s.r.l. semplificate, ad opera del D.L. 76/13, che ha portato ad avere all’interno della
medesima fattispecie, società con atto costitutivo standard e società con atto costitutivo libero.
In questo caso il legislatore non ha previsto per queste società alcuna modifica statutaria, con
il risultato che esistono s.r.l.s. con un atto costitutivo non conforme al D.M. 138/12. Perciò, se
possono sussistere s.r.l. semplificare con un atto libero dai vincoli legali tipici del modello
semplificato, si può concludere che lo stesso sia integrabile già in sede di costituzione145.
Tuttavia, nonostante le argomentazioni particolarmente convincenti appena esposte, la
conclusione più prudente è quella di accettare la tesi che l’atto costitutivo standard sia
144
A. BARTOLACELLI, op. cit., pag. 47.
Si è già visto comunque che questa assimilazione delle due figure risulta essere stata però tecnicamente
sbagliata, in quanto, vista l’introduzione della s.r.l. ordinaria a capitale marginale, la s.r.l.c.r. sarebbe dovuto
confluire in quest’ultima, anziché nella semplificata, viste le maggiori similitudini fra l’ordinaria e la capitale
ridotto. Inoltre si sarebbe in questo modo eliminato ab origine il paradosso dell’esistenza di s.r.l.s. “rigide” e
“libere” nella formulazione dell’atto costitutivo.
145
52
assolutamente immodificabile. È fuori di dubbio che la legge non si sia espressa in modo
adeguato, ma le intenzioni del legislatore appaiono coerenti con l’idea di inammissibilità di
qualsiasi variazione o integrazione146. Ciò è inoltre coerente con la gratuità dell’intervento
notarile, il quale si basa proprio sull’utilizzo di un modello che minimizza il ruolo del notaio.
È ovvio che i soci possono, in qualsiasi momento, procedere, tramite deliberazione
assembleare, a modificare l’atto costitutivo, secondo quanto previsto dall’art. 2480 c.c. (il
quale rimanda agli artt. 2479-bis e 2436 c.c., concernenti il procedimento di deliberazione,
sicuramente applicabile anche nelle s.r.l.s.).
Infatti il legislatore non impone ai soci di mantenere tale formula societaria a tempo
indeterminato; al contrario il passaggio verso un tipo sociale più evoluto rappresenterebbe
l’obiettivo più auspicabile da raggiungere.
Si potrebbe comunque verificare l’eventualità in cui i soci, dopo aver costituito la s.r.l.
semplificata per beneficiare dell’esenzioni relative, procedano immediatamente al passaggio
ad una s.r.l. ordinaria a capitale marginale. Qui non è configurabile una violazione della
norma di inderogabilità dell’atto costitutivo, poiché l’operazione è di per sé lecita, a meno che
non emergano indizi di una frode alla legge147. Tale procedimento, seppur di per sé lecito,
economicamente però non è conveniente, dal momento che si renderebbe necessaria la
corresponsione degli onorari notarili. A maggior ragione quindi non è possibile configurare
un interesse dei soci nel costituire fraudolentemente una s.r.l.s., convertendola poi in una s.r.l.
tradizionale, stante il fatto che il beneficio ottenuto da ciò verrebbe (almeno in parte)
annullato da costi sostenuti successivamente.
In questa sede si partirà dal presupposto che l’atto costitutivo sia immodificabile da parte dei
soci costituenti, poiché si ritiene tale interpretazione maggiormente coerente con le intenzioni
del legislatore.
2.2. Caratteristiche e funzionamento di una s.r.l.s.
Si intende procedere ora all’analisi delle clausole dell’atto costitutivo, in modo tale da
ricostruire i tratti essenziali della fattispecie, anche con riferimento a quanto previsto dall’art.
2463-bis c.c.
In questa sede, come già esposto precedentemente, si parte dal presupposto che l’atto
costitutivo sia inderogabile e, conseguentemente, immodificabile ed integrabile. Perciò, la
146
M. S. SPOLIDORO, Una società a responsabilità limitata da tre soldi (o da un euro?), Rivista delle società,
fasc. 6, 2013, pag. 1085.
147
M.S. SPOLIDORO, ibidem.
53
società dovrà necessariamente essere regolata da norme di funzionamento particolarmente
rigide rispetto a quanto avviene in una s.r.l. tradizionale.
2.2.1. Requisiti soggettivi della compagine sociale
Al primo comma dell’art. 2463-bis c.c. è stabilito che “la società a responsabilità limitata
semplificata può essere costituita con contratto o atto unilaterale da persone fisiche148”.
Il notaio, al momento della redazione dell’atto costitutivo, dovrà verificare il rispetto dei
requisiti soggettivi previsti dalla legge, come confermato dall’incipit del modello standard di
atto costitutivo (“L’anno …, il giorno … del mese di … in …, innanzi a me … notaio in … con
sede in … è/sono presente/i il/i signore/i (cognome, nome, data, luogo di nascita, domicilio,
cittadinanza), della cui identità personale ed età anagrafica io notaio sono certo).
L’inserimento dei dati anagrafici è inoltre previsto dallo stesso art. 2463-bis, ove al secondo
comma, n.1 dello stesso, è previsto che l’atto costitutivo debba indicare “il cognome, il nome,
la data, il luogo di nascita, il domicilio, la cittadinanza di ciascun socio”.
Il notaio non potrà rogare l’atto nell’ipotesi in cui compaiano soci diversi dalle persone fisiche
e anche l’ufficio del registro delle imprese dovrà rifiutare l’iscrizione ai sensi dell’art. 2189
c.c.149, poiché mancherebbe “il concorso delle condizioni richieste dalla legge per
l’iscrizione”.
Nell’eventualità in cui l’iscrizione dovesse comunque avvenire, non si può ravvisare la nullità
della società, poiché tra i casi tassativi di questa ex art. 2332 c.c., non è presente l’ipotesi in
esame. Si apre dunque l’analisi delle conseguenze di suddetta situazione.
Non potendosi invocare l’invalidità della società, la conclusione potrebbe essere nel senso
che, a prescindere dalla denominazione utilizzata, mancherebbe un elemento essenziale della
fattispecie, e di conseguenza non sarebbe ammissibile l’iscrizione della società con la
qualificazione di semplificata. Ora, in questo caso tuttavia è possibile richiedere l’iscrizione
della società con la denominazione di semplice s.r.l., senza la necessità di ulteriori
conferimenti, stante la possibilità di utilizzare il tipo generale anche con un capitale
marginale. Infatti per questo modello non è richiesta la presenza esclusiva di soci persone
148
Il D.L. 76/13, all’art. 9, comma 13, ha eliminato l’inciso “che non abbiano compiuto i trentacinque anni d’età
alla data di costituzione”. Questa previsione aveva generato il dubbio se fosse possibile o meno proseguire
l’attività nella forma di s.r.l. semplificata, nel caso in cui uno dei soci avesse compiuto i 35 anni durante la vita
della società. Al proposito, seppur con qualche dubbio, si poté affermare che il superamento del requisito
anagrafico non avrebbe comportato alcuna conseguenza giuridicamente rilevante sul modello utilizzato. Si arrivò
a concludere che, in linea di massima, fosse solo precluso l’ingresso in società di un soggetto più “anziano”. Per
un maggior approfondimento, si rinvia a BUSANI-BUSI, op. cit., pag. 44; la Massima R.A.3 del Comitato
Notarile Triveneto, intitolata “Conseguenze del compimento del trentacinquesimo anno di età da parte di uno,
più o tutti i soci di s.r.l.s.”, M. RESCIGNO, op. cit., pag. 45; M. CIAN, op. cit., pag. 49.
149
M. RESCIGNO, ibidem.
54
fisiche. Inoltre non sarà necessaria alcuna modificazione statutaria, non essendoci motivi
ostativi all’utilizzo del modello standard da parte delle s.r.l. ordinarie, posta comunque la
rimozione dell’obbligo di inderogabilità delle clausole dell’atto costitutivo, e la mancata
esenzione dagli onorari notarili e dai diritti di bollo e segreteria.
Il notaio rogante dovrà in ogni caso verificare la sussistenza delle condizioni richieste dalla
legge, avendo cura di osservare non solo la disciplina delle s.r.l.s., ma anche quella propria
delle s.r.l. ordinarie.
La questione successiva da affrontare riguarda invece la cessione delle quote a soggetti diversi
da quelli indicati dall’art. 2463-bis. La domanda da porsi infatti è la seguente: è possibile la
cessione delle quote a soggetti diversi dalle persone fisiche?
La legge infatti, al primo comma del medesimo articolo, fa riferimento esclusivamente alla
fase di costituzione, tacendo però sul fatto che il requisito richiesto sia da ritenersi applicabile
per tutta la durata della società.
In passato il quarto comma dell’art. 2463-bis stabiliva che “è fatto divieto di cessione delle
quote150 a soci non aventi i requisiti d’età e l’eventuale atto è conseguentemente nullo151”.
Il medesimo divieto si riteneva applicabile anche al caso di cessione delle quote a soggetti
diversi dalle persone fisiche, attraverso un’applicazione estensiva della norma appena citata.
Si riteneva infatti che il divieto riguardasse, in un’accezione più ampia, la cessione delle quote
a soggetti privi dei requisiti soggettivi previsti per i soci fondatori in sede di costituzione152.
150
Nella cessione delle quote si deve ricomprendere sia la cessione della piena proprietà della partecipazione, sia
la cessione di diritti parziari rispetto alla piena proprietà, quali l’usufrutto o la nuda proprietà, a prescindere che
al socio cedente permanga o meno il diritto di voto, come sostenuto da BUSANI-BUSI, op. cit., pag. 44. In tal
senso è anche la Massima R.A.5 del Comitato Notarile Triveneto, intitolata “Portata del divieto di cessione di
quote di s.r.l.s. a soggetti che hanno compiuto i trentacinque anni di età”, dove si sostiene che “poiché il divieto
di cessione delle quote di s.r.l.s. a soggetti non aventi i requisiti di età di cui a primo comma dell’art. 2463-bis
c.c., […], è formulato in maniera generica, senza prevedere alcuna limitazione, si ritiene che lo stesso
comprenda anche gli atti di cessione o costituzione dei diritti di usufrutto o di nuda proprietà sulle
partecipazioni sociali, ciò anche nell’ipotesi in cui l’atto di cessione o di costituzione preveda che il diritto di
voto sia mantenuto in capo al socio infratrentacinquenne cedente o costituente”.
Lo stesso divieto doveva ritenersi applicabile anche in caso di altre operazioni, come ad esempio aumenti di
capitale o fusioni e scissioni, di per sé lecite, che portassero alle medesime conseguenze, ossia l’ingresso in
società di un socio ultra 35enne. La medesima ipotesi si doveva ritenere applicabile anche in caso il
trasferimento vietato avvenisse mortis causa (di avviso contrario tuttavia era la Massima R.A.2 del Comitato
Notarile Triveneto, secondo la quale la portata del divieto doveva essere riferita solo ad atti negoziali tra vivi,
poiché lo scopo della norma era di natura antielusiva, prevenendo situazioni in cui i soci fondatori avessero
trasferito le quote a soggetti di età superiore. Del medesimo parere era anche la Massima elaborata dalla
Commissione società del Consiglio notarile di Milano intitolata “Requisiti soggettivi e partecipazioni in s.r.l.
semplificate” del 5 marzo 2013). Ciò venne inoltre confermato dalla clausola 4 del modello standard di atto
costitutivo.
151
Tale comma è stato abrogato dall’art. 9, comma 13, del D.L. 76/13, coerentemente con la soppressione, ad
opera nel medesimo decreto, del requisito anagrafico previsto al primo comma dell’art. 2463-bis.
152
Di questa idea, BUSANI-BUSI, op. cit., pag. 44, BUSANI, op. cit., pag. 44. La Massima R.A.2 del Comitato
dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, e la Massima n. 128 della Commissione società del Consiglio Notarile di
Milano ammettevano tuttavia l’ammissibilità del trasferimento mortis causa, sia a favore di soggetti di età
superiore ai 35 anni, sia a soggetti non persone fisiche, in quanto la finalità della norma era di natura antielusiva.
55
Ergo, la condizione posta dal primo comma dell’art. 2463-bis doveva essere mantenuta per
tutta la durata della società, o perlomeno fino a quando questa avesse mantenuto la
denominazione di semplificata153, ben potendo invece evolvere verso una s.r.l. ordinaria o
procedere alla trasformazione in un altro tipo sociale, in caso di ingresso nella società di un
soggetto non persona fisica (il quale quindi non deve essere necessariamente un soggetto
dotato di personalità giuridica, ergo non deve essere obbligatoriamente, fra gli altri, un’altra
società di capitali).
Attraverso questa interpretazione si poteva quindi arrivare ad affermare che i requisiti
soggettivi previsti per la s.r.l.s. non riguardassero soltanto la fase di costituzione, ma anche
quali caratteristiche il socio dovesse avere per ottenere la titolarità di una partecipazione
sociale.
La tesi era sostenuta dalla dottrina prevalente, pur lasciando comunque qualche dubbio
sull’effettiva portata di tale divieto. Infatti, stante la formulazione letterale della norma, essa
non individuava gli estremi della fattispecie nell’assenza dei requisiti tout court previsti al
primo comma dell’art. 2463-bis, ma indicava esplicitamente i soli requisiti d’età154. Di
conseguenza c’era spazio per ritenere ammissibile la cessione delle quote a soggetti diversi
dalle persone fisiche, in assenza di un esplicito divieto155, e il rispetto del requisito soggettivo
sarebbe stato necessario solo in sede di costituzione.
A maggior sostegno di questa tesi, occorre rilevare che nemmeno il modello standard di atto
costitutivo prevede un divieto in tal senso.
Alla clausola 4 del modello infatti è stabilito che “è vietato il trasferimento delle quote, per
atto tra vivi, a persone che abbiano compiuto i trentacinque anni d’età alla data della
cessione trasferimento e l’eventuale atto è conseguentemente nullo”.
Si può quindi ragionevolmente sostenere che la cessione a soggetti diversi dalle persone
fisiche sia ammessa, dal momento che nulla è stato previsto al riguardo. Se infatti le
intenzioni del legislatore fossero state in tal senso, avrebbe esplicitamente previsto il divieto
considerato, così come aveva fatto per la cessione delle quote a soggetti non aventi i requisiti
d’età156.
Aveva infatti solo lo scopo di evitare la costituzione di s.r.l.s. da parte di soggetti idonei, i quali, successivamente
avrebbero ceduto le quote a soggetti non idonei, costituendo questa una modalità per aggirare il divieto in esame.
153
Non sarebbe stato consentito neppure il passaggio ad una s.r.l. a capitale ridotto, in quanto i requisiti
soggettivi di questa erano i medesimi della s.r.l. semplificata.
154
A. BARTOLACELLI, op. cit., pag. 47.
155
In questo caso verrebbe però frustrato lo scopo della s.r.l.s., ossia quello di favorire l’accesso
all’imprenditoria a soggetti dotati di disponibilità finanziarie ridotte. Inoltre sarebbe in contrasto con l’assetto
fortemente personalistico attribuito alle s.r.l. semplificate.
156
Del medesimo parere M. S. SPOLIDORO, op. cit., pag. 53. Di diversa opinione è invece A.
BARTOLACELLI, ibidem, il quale ritiene invece che “il trasferimento a favore di soggetti diversi dalle persone
fisiche sia sempre stato illegittimo”, poiché in contrasto con lo scopo proprio delle s.r.l.s.
56
In ogni caso, anche accettando un’interpretazione estensiva del divieto riguardante la cessione
delle partecipazioni, l’abrogazione di questo, per coerenza, dovrebbe indicare anche
l’eliminazione di un eventuale divieto di trasferimento a persone non fisiche, semmai ve ne
fosse stato uno.
Sempre rimanendo nell’ambito dei requisiti soggettivi, il legislatore, con il D.L. 76/13, ha
modificato il testo dell’art. 2463-bis, come già precedentemente esposto. Con tale intervento è
stato abrogato, fra gli altri, il quarto comma del medesimo articolo, relativo al divieto di
cessione delle quote a soggetti non rispettanti i requisiti anagrafici. Tuttavia al tempo stesso è
rimasta integra la clausola 4 del modello standard di atto costitutivo, la quale contiene il
divieto ormai abrogato157.
È discusso se tale clausola debba ritenersi ancora oggi applicabile, il che porterebbe ad avere
dei vincoli relativi al trasferimento delle quote, oppure se la stessa possa essere lecitamente
eliminata dall’autonomia statutaria, in virtù delle recenti modifiche legislative, rendendo
liberamente trasferibili le partecipazioni sociali. Innanzitutto si vuole sottolineare come la
clausola in esame di per sé non è contraria ad alcuna norma imperativa, potendo infatti la
stessa essere inclusa anche nell’atto costitutivo di una s.r.l. ordinaria, nel rispetto del pieno
esercizio della propria autonomia statutaria158. Di conseguenza, l’unica parte della clausola da
ritenersi non più applicabile sarebbe rappresentata solo dalle conseguenze della violazione al
divieto di trasferimento, ossia la nullità dell’atto. L’art. 1418 c.c. infatti stabilisce che “il
contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga
diversamente”, ma non essendo la clausola contraria a norme imperative, non potrà essere
invocata la nullità del trasferimento159.
Inoltre la legge stessa prevede, all’art. 2469 c.c. che “le partecipazioni sono liberamente
trasferibili per atto tra vivi e per successione a causa di morte, salva contraria disposizione
dell’atto costitutivo”. La norma, prevista per le s.r.l. ordinarie, può ritenersi compatibile con la
disciplina delle s.r.l. semplificate, soprattutto in seguito alla rimozione di qualsiasi vincolo
legale alla circolazione delle partecipazioni. Tutto ciò è utile per confermare ulteriormente il
mancato contrasto dell’atto costitutivo con la norma imperativa, e di conseguenza si può
sostenere la piena legittimità della clausola 4160. Si sottolinea quindi che soltanto la sanzione
Secondo l’Autore, tuttavia, nel silenzio della legge, il trasferimento non sarebbe nullo, ma semplicemente valido
ma inefficace.
157
È ovvio quindi che le clausole del modello standard siano state elaborato sulla base delle disposizioni previste
dalla L. 27/12. Si ritiene perciò che il modello debba essere aggiornato sulla base delle recenti novità legislative.
158
A. BARTOLACELLI, ibidem.
159
Nemmeno in una s.r.l. ordinaria i soci potrebbero prevedere la nullità dell’atto di trasferimento, in caso di
limitazioni dello stesso.
160
In MARASA’, La nuova società a responsabilità semplificata e la nuova s.r.l. con capitale inferiore a 10mila
euro, Società, 2013, 10, 1068, l’Autore tuttavia giustamente sottolinea come “per rispettare la regola
57
della nullità si deve ritenere inapplicabile. Infatti, la clausola limitatrice ancora il
trasferimento a condizioni obiettive e conseguentemente lo stesso non solo è efficace ma al
socio non può venir concesso il diritto di recesso161, a differenza di quanto previsto all’art.
2470 c.c., nei casi di clausole che prevedano l’assoluta intrasferibilità delle quote o vengano
introdotte clausole di gradimento o prelazione.
A sostegno tuttavia della soppressione della clausola in esame si può fare riferimento alla
volontà del legislatore di rimuovere qualsiasi vincolo anagrafico per ciò che concerne la
partecipazione ad una s.r.l. semplificata, sia in sede di costituzione, sia durante la vita della
società. Da ciò deriverebbe che il notaio rogante potrebbe lecitamente procedere alla
soppressione della clausola 4, rendendo le partecipazioni liberamente trasferibili a tutti i
soggetti persone fisiche162.
Si può quindi affermare che i vincoli al trasferimento non siano di per sé vietati nella
disciplina della s.r.l. semplificata. La rimozione degli stessi da parte del legislatore ha fatto sì
che si applichino anche al modello in esame le disposizioni generali previste per il tipo s.r.l. in
materia di trasferimento delle quote, previste all’art. 2469 c.c. (oltre ovviamente all’art. 2470,
il quale è perfettamente compatibile con la disciplina della s.r.l.s.). Tale norma, come già
ribadito precedentemente, permette di limitare, attraverso disposizioni dell’atto costitutivo, il
trasferimento delle partecipazioni. Perciò il divieto di cessione delle quote a soggetti ultra
35enni è perfettamente lecito, sia in riferimento alla disciplina della s.r.l.s, sia in relazione alle
norme relative alla s.r.l. ordinaria. Si riconosce tuttavia la possibilità per il notaio rogante di
poter eliminare il suddetto divieto, ma in questa sede si ritiene che la soppressione dello stesso
non sia automatica, richiedendo questa un’esplicita richiesta da parte dei fondatori della
società. Nel caso in cui ciò non avvenga, la clausola 4 dovrà essere rispettata, escludendo
come effetto del trasferimento contrario all’atto costitutivo la nullità dell’atto163.
La presenza della clausola 4 non preclude comunque la costituzione di una s.r.l. semplificata
da parte di soggetti ultra 35enni, in quanto la clausola fa riferimento solo al trasferimento e
non alla costituzione della società. Quindi un socio “più anziano” può essere titolare di una
dell’inderogabilità delle clausole dello statuto ministeriale le s.r.l. semplificate sarebbero paradossalmente
costrette a costituirsi secondo la vecchia disciplina legale, cioè a rispettarne quei vincoli che oggi il legislatore
a fatto cadere”.
161
G. LAURINI, La società a responsabilità limitata post-riforme, CEDAM, 2014, pag. 91.
162
Di questo parere BUSANI, op. cit., pag. 44, RESCIGNO, op. cit., pag. 45 e SPOLIDORO, op. cit., pag. 53.
Nello stesso senso anche la nota del Ministero della Giustizia n. 118972.U dell’11 settembre 2013, la quale
ritiene che la clausola 4 e 5 debbano ritenersi soppresse. Tale nota ha tuttavia, per quanto qualificata, una
semplice funzione di interpretazione.
163
Di questa opinione A. BARTOLACELLI, op. cit., pag. 47.
58
quota di partecipazione, ma lo stesso non potrà trasferirla a soggetti sprovvisti del requisito
anagrafico164.
Lo stesso si potrebbe ritenere applicabile anche in sede di aumento di capitale mediante nuovi
conferimenti, ove un soggetto terzo potrebbe diventare titolare di una quota attraverso la
partecipazione all’operazione. Infatti qui la legge prevede, per le s.r.l., all’art. 2481-ter,al
primo comma, che “l’atto costitutivo può prevedere […] che l’aumento di capitale possa
essere attuato anche mediante offerta di quote di nuova emissione a terzi”. Ne consegue che
un soggetto esterno può entrare a far parte della compagine sociale, soltanto nel caso in cui sia
stata inserita una clausola nell’atto costitutivo che preveda tale eventualità.
Dal momento che però l’atto costitutivo è immodificabile, questa clausola non potrà essere
inserita, e perciò in sede di aumento del capitale i conferimenti possibili saranno soltanto
quelli dei soci già presenti165. Quindi si può concludere sostenendo che la presenza di un socio
ultra 35enne sia ammissibile soltanto se lo stesso abbia partecipato alla costituzione della
società, non potendo successivamente entrare nella compagine sociale, nel caso di presenza
della clausola in esame nell’atto costitutivo. Questa tesi rafforza l’idea che il modello standard
debba essere rivisto dal legislatore, in accordo con le ultime modifiche della disciplina, poiché
la rimozione del vincolo anagrafico al primo comma dell’art. 2463-bis, il quale aveva lo
scopo di rendere fruibile a tutti il modello semplificato, trova un importante ostacolo nella
quarta clausola dell’atto costitutivo, limitando l’ingresso in momenti successivi alla
costituzione, in piena controtendenza con le intenzioni del legislatore perseguite con il D.L.
76/13.
Sostenendo inoltre la tesi di immodificabilità dell’atto costitutivo, ben si comprende come
questa clausola non possa in alcun modo essere modificata, e quindi si deve ritenerla valida ed
efficace.
2.2.2. I conferimenti
L’atto costitutivo deve inoltre contenere, ai sensi dell’art. 2463-bis, secondo comma, n.3,
“l’ammontare del capitale sociale, pari almeno ad 1 euro e inferiore all’importo di 10.000
euro previsto dall’art. 2463, secondo comma, numero 4), sottoscritto e interamente versato
alla data della costituzione. Il conferimento deve farsi in denaro ed essere versato all’organo
amministrativo”.
164
Ma solo in caso di trasferimento per atto tra vivi.
È da notare che in tale circostanza non sarà possibile far entrare in società nemmeno un soggetto terzo di età
inferiore ai 35 anni. In questo caso la persona però potrà entrare nella compagine sociale attraverso il
trasferimento della quota di partecipazione.
165
59
In riferimento all’ammontare del capitale sociale, esso deve essere compreso tra i due estremi
indicati dalla legge. Nel caso in cui la società venisse costituita con meno di un euro di
capitale, si può rinviare alla disciplina delle s.r.l. tradizionali costituite con un capitale
inferiore ai 10.000 euro166. Il caso presentato non comporterà tuttavia la nullità della società,
ma la situazione dovrà essere necessariamente sanata.
Qualora invece venisse violato il limite massimo e la società venisse iscritta come s.r.l.s., si
può ritenere ammissibile una “riqualificazione” della società come s.r.l. tradizionale. Infatti
sarebbe assurdo richiedere alla società una riduzione del capitale per poter rientrare nei
parametri167.
In tutti questi casi il notaio dovrà ovviamente essere sanzionato, non avendo adempiuto
adeguatamente al controllo del rispetto delle condizioni richieste dalla legge.
I conferimenti possono farsi solo in denaro (non sono quindi ammessi conferimenti in
natura168 e prestazioni d’opera), e devono essere sottoscritti e interamente versati alla data di
costituzione. Non sembra possibile ricorrere alla stipula di una polizza di assicurazione o di
una fideiussione bancaria, in sostituzione del versamento dei conferimenti, previsto dall’art.
2464, comma 4, c.c. (sebbene in realtà tale possibilità è preclusa anche nelle s.r.l. ordinarie,
non essendo stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, che dovrebbe
determinare le caratteristiche della suddetta polizza o fideiussione).
Inoltre il conferimento deve essere effettuato “nelle mani” degli amministratori (che devono
rilasciarne “ampia e liberatoria quietanza”, secondo quanto previsto dal modello standard del
D.M. 183/12, alla clausola 9).
Sarà quindi cura degli amministratori, in virtù della loro responsabilità, accettare il
versamento tramite mezzi di pagamento che assicurino l’effettività dello stesso169(tant’è che
“l’organo amministrativo dichiara di aver ricevuto la predetta somma ed attesta che il
capitale sociale è interamente versato”, come stabilito dalla clausola 9).
Al riguardo, è necessario rilevare che se si tratta di versamenti pari o superiori ai tremila
euro170, dal momento che cifre superiori non possono essere versate in contanti, non resta che
166
M.S. SPOLIDORO, op. cit., pag. 53. L’Autore giunge a questa conclusione sia in riferimento al caso di una
società con un capitale sottoscritto inferiore all’unità di euro, sia all’eventualità di una società costituitasi con un
capitale sottoscritto pari ad un euro, ma non interamente versato. Per s.r.l. tradizionali qui si intendono le s.r.l.
ordinarie antecedenti alla L. 99/13, ossia ci si riferisce alle s.r.l. il cui capitale minimo legale è pari a 10.000 euro
(da non confondersi quindi con le s.r.l. ordinarie a capitale marginale).
167
M.S. SPOLIDORO, ibidem.
168
In accordo con BUSANI-BUSI, op. cit., pag. 44, tramite questa previsione il legislatore avrebbe voluto
snellire la fase di costituzione, evitando il procedimento di stima che è imposto per i conferimenti in natura;
procedimento che usualmente non è né semplice né breve.
169
M. RESCIGNO, op. cit., pag. 45.
170
Tetto imposto dalla Legge 28 ottobre 2015, n.208 (ossia la legge di Stabilità 2016).
60
prevedere un versamento tramite assegno circolare171. È stata quindi derogata la regola
generale del versamento in banca, coerente con la logica di semplificare il più possibile il
procedimento di costituzione172, anche se nella realtà vi è un rischio di complicare
ulteriormente l’operato degli addetti ai lavori.
Per ciò che concerne i mezzi di pagamento, essi devono essere indicati nell’atto costitutivo
(come si evince dalla clausola 9, il quale prevede che “i soci dichiarano che i conferimenti
sono stati eseguiti nel seguente modo: Il signor/la signora … ha versato all’organo
amministrativo […], la somma di € … a mezzo di …”).
L’esclusione del versamento presso una banca, e la conseguente previsione di versare
l’importo dovuto “nelle mani” degli amministratori ha sicuramente lo scopo di garantire
l’effettività del capitale sociale, ma rende più incerti i possibili mezzi di pagamento da
utilizzare (si ritiene infatti che l’assegno bancario, pur rientrando nel novero dei mezzi di
pagamento, sia da escludersi come tale, in quanto non garantisce la piena copertura) 173.
È vietato espressamente il versamento parziale dei conferimenti, dal momento che l’esborso
iniziale deve essere integrale.
Nulla sembra invece vietare che i soci possano stabilire il versamento di un sovraprezzo in
denaro, il quale potrà confluire nell’apposita riserva, ai sensi dell’art. 2431 del codice civile.
Ergo, la somma di questa col valore del capitale sociale può eccedere l’importo di 10.000
euro, stante l’assenza di un obbligo di imputazione al capitale della riserva da sovrapprezzo. I
soci sono quindi liberi di effettuare dei conferimenti dal valore nominale superiore ai 10.000
euro, purché l’eccedenza rispetto al tetto massimo previsto venga apposta in un’altra voce del
patrimonio netto174.
171
BUSANI-BUSI, ibidem.
In realtà di tale agevolazione beneficiano ormai anche tutte le s.r.l. ordinarie, a prescindere dalla
capitalizzazione, dopo le modifiche apportate dalla L. 99/13.
173
Non è questa la sede per approfondire il discorso dei conferimenti. Si rimanda alla lettura dell’articolo di E.
ROSSI, I chiarimenti del Consiglio nazionale del notariato sui mezzi di pagamento da indicare nell’atto per il
versamento dei centesimi, Fisco, 2013, 35 – parte 1, 5409, dove vengono riporti alcuni chiarimenti forniti da una
nota del Consiglio nazionale del Notariato del 4 settembre 2013. I notai, confermando l’impossibilità
dell’utilizzo dell’assegno bancario per il versamento dei centesimi (ma per qualsiasi versamento eccedente il
tetto legale all’utilizzo del contante), indicano quale via legittima da seguire l’utilizzo:
 del bonifico bancario, a favore di uno dei nominandi amministratori;
 dell’assegno circolare, intestato a nome della costituenda società, ovvero a nome di uno dei nominandi
amministratori.
I medesimi principi devono ritenersi applicabili, con riferimento alla totalità dei conferimenti, anche alla s.r.l.s.
In riferimento alla possibilità di utilizzare assegni bancari come mezzo di pagamento in M. RESCIGNO, op. cit.
pag. 45, l’Autore ritiene tuttavia che “si può però immaginare l’uso di mezzi meno sicuri, in linea di principio, se
assistiti da forme di certezza del pagamento (bonifici su conti bancari confermati), non sembrando corretto
trarre l’inferenza che il versamento nelle mani degli amministratori impedisca un versamento in banca”.
174
BUSANI, op. cit., pag. 44.
172
61
Quindi anche una semplificata può essere dotata di ingenti mezzi patrimoniali, pur
mantenendo un capitale compreso tra 1 e 9.999, 99 euro175.
All’art. 2463-bis, comma 2, n. 5) non si fa menzione dell’obbligo di indicazione dei
conferimenti di ciascun socio, non essendo stato richiamato il corrispondente onere previsto
dall’art. 2463 c.c., secondo comma, n. 5), applicabile alla s.r.l. ordinaria.
La dimenticanza di questa disposizione, utile per la determinazione della quota di
partecipazione, poteva già essere ritenuta tollerabile, stante la necessaria segnalazione della
quota assegnata a ciascun socio. In ogni caso il problema è stato superato immediatamente,
grazie alla clausola n. 2 del modello standard (“il signor/la signora … sottoscrive una quota
del valore nominale di € … pari al … percento del capitale”).
Il legislatore, probabilmente per distrazione, non ha previsto che in caso di violazione della
norma sui conferimenti, relativa all’obbligo di integrale esecuzione dell’apporto, si applichi la
perdita (o sospensione) del beneficio della responsabilità limitata prevista dall’art. 2462 c.c., il
quale richiama solo gli artt. 2464 e 2470 c.c., ma non il 2463-bis del codice civile. Si può
propendere per considerarla una svista, e si può e si deve ritenere applicabile la sanzione,
poiché altrimenti si verificherebbe un’inspiegabile differenza di trattamento176.
Rimanendo infine nell’ambito della disciplina dei conferimenti, anche nelle s.r.l. semplificate
trova applicazione la norma riguardante i c.d. “acquisti pericolosi”, riferendosi, con questa
espressione, agli acquisti posti in essere da parte della società “per un corrispettivo pari o
superiore al decimo del capitale sociale, di beni o di crediti dei soci fondatori, dei soci e degli
amministratori, nei due anni dalla iscrizione della società nel registro delle imprese”, così
come indicato all’art. 2465, comma 2 del codice civile.
L’articolo poc’anzi citato prevede, per questi particolari acquisti una relazione di stima di cui
all’art. 2343 c.c. e, salvo diversa disposizione statutaria, l’autorizzazione da concedersi con
decisione dei soci ex art. 2479 c.c.177 (in una s.r.l.s., stante l’immodificabilità dell’atto
costitutivo, la modalità prevista all’art. 2465 è l’unica ammissibile).
Ovviamente, nel caso di una s.r.l.s. costituita con un euro di capitale (ma lo stesso vale anche
per le s.r.l. ordinarie con un capitale del medesimo importo), per rientrare nella fattispecie in
esame, sarà sufficiente che il valore dell’entità acquistata sia pari o superiore ai dieci
centesimi. Nonostante l’assurdità di tale situazione, la quale porterebbe ad avere un costo per
la stima del bene acquistato superiore al bene stesso, la norma risulta essere perfettamente
compatibile con la disciplina della s.r.l. semplificata, e perciò applicabile.
175
Si tralascia momentaneamente l’utilizzo e la disciplina della riserva legale, che verrà trattato nel terzo
capitolo del presente elaborato.
176
M.S. SPOLIDORO, op. cit., pag. 53.
177
G. LAURINI, La società a responsabilità limitata post-riforme, CEDAM, 2014, pag. 47.
62
Volendo infine riassumere ed evidenziare le peculiarità della disciplina dei conferimenti della
s.r.l. rispetto alla s.r.l. ordinaria, si può affermare che:

non vi è alcuna differenza tra la s.r.l.s. e la s.r.l. ordinaria a capitale marginale, in tema
di conferimenti. L’unica discrepanza rilevante risiede nella possibilità per la seconda
di derogare nell’atto costitutivo il principio di proporzionalità fra i conferimenti e le
partecipazioni sociali, astrattamente possibile anche nel modello semplificato, ma,
stante l’inderogabilità dell’atto costitutivo, di impossibile applicazione;

le differenze tra la s.r.l.s. e la s.r.l. ordinaria con capitale sociale superiore ai 10.000
euro sono individuabili nelle entità conferibili. Mentre nella prima sono ammessi solo
i conferimenti in denaro, nella seconda, se previsto dall’atto costitutivo, sono ammessi
anche conferimenti in natura e prestazioni d’opera e servizi, ed è possibile il
versamento del 25% del capitale sottoscritto. I mezzi di pagamento e le modalità di
versamento sono invece uguali in entrambi i modelli.
2.2.3. Le partecipazioni sociali
Infine la legge, nella disciplina della s.r.l. semplificata, richiama espressamente il requisito
previsto al 2° comma dell’art. 2463 c.c. al numero 6 (“la quota di partecipazione di ciascun
socio”). Questa disposizione è stata recepita nel modello standard con l’obbligo di indicare la
percentuale del capitale rappresentante la quota di partecipazione. Quindi quest’ultime devono
essere determinate in misura proporzionale al conferimento, come previsto dall’art. 2468 c.c.,
secondo comma. Tale norma risulta quindi essere compatibile con la disciplina della s.r.l.
semplificata. Tuttavia è opportuno far notare che tale disposizione consente la facoltà di
prevedere nell’atto costitutivo una previsione che deroghi al principio della proporzionalità (in
questo modo, ad es., due soci conferiscono la medesima somma, ma ad uno di essi viene
attribuita una partecipazione maggiore178). Si deve ritenere che tale possibilità tuttavia non sia
configurabile nella s.r.l. semplificata poiché nel modello standard non vi è alcuna previsione
in tal senso, ed essendo questo atto inderogabile, come sembra, dall’autonomia statutaria, è
necessario il rispetto del principio di proporzionalità. Ciò non toglie la compatibilità dell’art.
2468 c.c. con la disciplina della s.r.l. semplificata, il quale quindi si dovrà ritenere applicabile.
L’ultimo istituto da analizzare in riferimento alle partecipazioni sociali riguarda l’uscita del
socio dalla società. Nelle s.r.l. ordinarie le cause tipiche di estinzione del rapporto sono il
178
A. DACCO’, La s.r.l.: la struttura finanziaria, pag. 585, in AA.VV., Diritto commerciale – Volume II, a cura
di M. CIAN, Giappichelli Editore, 2014.
63
recesso, disciplinato all’art. 2473 c.c., e l’esclusione, che trova la sua regolamentazione
all’art. 2473-bis.
Prendendo in esame la prima di queste due fattispecie, la legge indica all’art. 2473, primo
comma, secondo periodo, le cause inderogabili in cui un socio ha la facoltà di esercitare il
diritto di recesso. Tale previsione trova sicuramente applicazione anche nelle s.r.l.
semplificate, e conseguentemente anche l’iter individuato nel medesimo articolo in caso di
recesso dovrà trovare realizzazione.
L’art. 2473 c.c. tuttavia concede la facoltà ai soci di poter liberamente indicare nell’atto
costitutivo ulteriori cause di recesso, rispetto a quelle inderogabili, e le modalità con cui
esercitare il diritto. Tale possibilità non potrà tuttavia essere concessa ai soci di una s.r.l.
semplificata, poiché gli stessi non potranno inserire una clausola nell’atto costitutivo
contenente queste “cause convenzionali di recesso”.
Infine, per ciò che concerne l’esclusione del socio, l’art. 2473-bis si limita semplicemente a
stabilire che “l’atto costitutivo può prevedere specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa
del socio”. Stante l’impossibilità di inserire siffatta disposizione nell’atto costitutivo, si deve
concludere che in una s.r.l. semplificata il socio non potrà mai essere escluso dalla società,
neppure in presenza di gravi motivi.
2.2.4. Amministrazione e controllo
Per ciò che concerne l’amministrazione, l’art. 2463-bis c.c., secondo comma, prevede che
l’atto costitutivo debba indicare “i requisiti previsti dai numeri 3), 6), 7) e 8) del secondo
comma dell’articolo 2463”. Il richiamo di interesse in questa sede è quello relativo ai numeri
7) e 8), i quali indicano, rispettivamente “le norme relative al funzionamento della società,
indicando quelle concernenti l’amministrazione e la rappresentanza” e “le persone cui è
affidata l’amministrazione e gli eventuali soggetti incaricati del controllo contabile”. Sempre
la norma sulla s.r.l. semplificata ribadisce la necessità di indicazione nell’atto dei nominativi
dei primi amministratori179 (art. 2463-bis, secondo comma, n. 6).
179
Tale disposizione risulta, dopo il D.L. 76/13, ridondante se letto congiuntamente con i richiami all’art. 2463.
Originariamente la specificazione presente all’art. 2463-bis era funzionale per esprimere la necessità di scelta
degli amministratori fra i soci, ma con l’eliminazione di questa previsione, il testo normativo risulta essere
ripetitivo.
64
La legge originariamente prevedeva che gli stessi dovessero essere scelti fra i soci, ma dopo il
D.L. 76/13 tale inciso è stato soppresso, rendendo astrattamente possibile la nomina di
amministratori terzi180.
Si utilizza l’espressione “astrattamente” in quanto nel modello standard la clausola 5 impone
che “l’amministrazione della società è affidata ad uno o più soci scelti con decisione dei
soci”, rendendo quindi inapplicabile la facoltà concessa dal dettato legislativo, stante
l’inderogabilità delle clausole dell’atto costitutivo181.
Infatti il problema, di non agevole risoluzione, deriva dal fatto che, stante la rimozione del
vincolo alla nomina degli amministratori, si dovrà ritenere applicabile la disciplina generale
della s.r.l. ordinaria. All’art. 2475, primo comma, c.c., in tema di amministrazione della s.r.l.,
è sancito il principio secondo il quale “Salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo,
l’amministrazione della società è affidata a uno o più soci nominati con decisione dei soci”.
La disposizione deve ritenersi applicabile anche nella s.r.l.s., stante il richiamo ex art. 2463bis, in quanto compatibile. Si deduce quindi che è necessario indicare nell’atto costitutivo la
possibilità di nominare amministratori non soci. Tuttavia, come più volte ribadito, l’atto
costitutivo non può essere modificato, e di conseguenza non sarebbe possibile inserire la
clausola che permetterebbe di indicare come amministratori soggetti terzi.
Quindi, dal momento che non è possibile, per la s.r.l. semplificata l’applicazione del
procedimento indicato nell’art. 2475 c.c., si deve escludere la possibilità di scegliere gli
amministratori fra soggetti diversi dai soci.
Questo perché la clausola 5 del modello standard, la quale limita l’accesso alla funzione
amministrativa ai soli membri della compagine sociale, risulta essere pienamente legittima in
quanto non è in contrasto con alcuna norma imperativa (la legge infatti non pone alcun
obbligo di nominare come amministratori soggetti esterni alla società). Inoltre la clausola in
esame è espressione della regola di default contenuta nell’art. 2475, 1° comma, c.c., la quale
stabilisce che, nelle s.r.l. tradizionali, in assenza di diversa previsione statutaria, gli
amministratori devono essere scelti fra i soci. Perciò, nonostante la modifica della norma
primaria, ossia dell’art. 2463-bis, la regola relativa all’amministrazione della società rimane
180
Secondo BUSANI, op. cit., pag. 44, da ciò deriverebbe l’obsolescenza della clausola n.5 del “modello
standard” del D.M. 138/12. Di conseguenza il modello, inderogabile, non prevede la possibilità di amministratori
non soci.
181
È curioso notare che all’interno dello stesso decreto siano state soppresse alcune disposizioni caratterizzanti la
s.r.l.s. e al tempo stesso sia stato dichiarato immodificabile il modello standard, il quale si basava espressamente
proprie sulle regole soppresse.
65
valida. L’inderogabilità delle clausole dell’atto costitutivo, stabilita dalla legge stessa, porta
quindi a escludere la possibilità di nominare amministratori non soci182.
Perciò fino a che il modello standard non verrà modificato, quanto previsto dal D.L. 76/13
rimarrà “lettera morta”, e gli amministratori dovranno necessariamente essere scelti fra i
soci183.
Se l’assemblea dei soci tuttavia optasse, successivamente, per una modificazione statutaria,
inserendo quella diversa disposizione indicata nell’art. 2475 c.c., nella stessa assemblea dovrà
anche essere deliberata la “riqualificazione” della società in s.r.l. ordinaria, poiché verrebbe
meno il requisito di inderogabilità dell’atto costitutivo. È perciò possibile concludere che nella
s.r.l. semplificata l’amministrazione deve necessariamente essere affidata ai soci184.
La clausola n. 5 risulta inoltre coerente con l’attuale assetto legislativo, poiché essa non è
contraria ad alcuna norma imperativa. Perciò la tesi dell’ “obsolescenza” di suddetta clausola,
che spalancherebbe le porte dell’amministrazione ai non soci, non è condivisibile, e pertanto
rimarrà valida fino al sopraggiungere di una modifica da parte del legislatore.
In riferimento invece al funzionamento dell’organo amministrativo, si deve continuare ad
avere come punto di riferimento l’art. 2475 c.c., ed analizzare l’applicazione dello stesso nel
modello semplificato.
Il secondo comma del suddetto recita che “quando l’amministrazione è affidata a più persone,
queste costituiscono il consiglio di amministrazione”. Non è ammissibile invece l’adozione di
sistemi di amministrazione disgiuntiva o congiuntiva (regolati secondo le norme previste per
la s.n.c.), in quanto tali configurazioni sono realizzabili solo attraverso un’esplicita previsione
dell’atto costitutivo, la quale però è preclusa nelle s.r.l. semplificate.
Non è possibile nemmeno la facoltà di prevedere che “le decisioni siano adottate mediante
consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto” (art. 2475 c.c., terzo
comma), necessitando anche questa di un’apposita clausola dell’atto costitutivo185.
In conclusione, in caso di pluralità di amministratori, l’organo amministrativo dovrà
necessariamente adottare il metodo collegiale, attraverso la costituzione di un consiglio di
amministrazione.
182
Si potrebbe obiettare sostenendo che il legislatore, attraverso l’abrogazione del n. 5 del secondo comma
dell’art. 2463-bis, abbia voluto concedere ai soci la facoltà di nominare come amministratori soggetti terzi.
Tuttavia l’interpretazione rigorosa del dettato legislativo porta ad escludere questa possibilità.
183
Di questa opinione A. BARTOLACELLI, op. cit., pag.47, contra BUSANI, op. cit. pag. 44, il quale sostiene
che la clausola n.5 non sia più applicabile.
184
Se si ritenesse tuttavia possibile nominare amministratori non soci, si dovrebbe considerare l’ipotesi di
amministratori diversi dalle persone fisiche. Sebbene ciò possa risultare in contrasto con l’assetto fortemente
personalistico delle s.r.l.s., il legislatore nulla ha previsto in tal senso, e di conseguenza si dovrebbe ritenere
ammissibile la nomina, fra gli altri, di persone giuridiche.
185
Di avviso contrario A. BARTOLACELLI, op. cit., pag. 47. L’Autore infatti parte dal presupposto che l’atto
costitutivo sia integrabile da ulteriori clausole.
66
I soci sono tuttavia liberi di optare per l’affidamento della gestione della società ad un
amministratore unico. Infine, in presenza di una società unipersonale, l’unico socio sarà anche
l’unico amministratore.
Nel caso di amministrazione pluripersonale, in sede di costituzione è necessaria “la
specificazione del ruolo svolto nell’ambito del consiglio di amministrazione” (clausola 6 del
modello standard). Si fa quindi riferimento alla nomina del presidente del consiglio di
amministrazione, seguendo il procedimento già previsto nella s.r.l. ordinaria; quindi tale
disposizione non trova particolari difficoltà di applicazione.
Per quanto riguarda invece la possibilità di dar vita ad organi delegati, nelle s.r.l.s. tale facoltà
non appare esercitabile. Generalmente, infatti, nelle s.r.l. ordinarie, pur in mancanza di
un’espressa previsione normativa, è consentita l’istituzione di organi delegati (comitato
esecutivo e amministratore delegato). Tuttavia l’autorizzazione alla delega deve
necessariamente essere contenuta nell’atto costitutivo186. Perciò nel modello semplificato,
stante l’impossibilità di inserire una clausola in tal senso, non si potrà creare suddetti organi.
Restano sicuramente applicabili le norme generali in materia di decadenza ed ineleggibilità
degli amministratori. Ovviamente la perdita della qualità di socio determina anche la
decadenza dalla carica di amministratore187.
Nella s.r.l. tradizionale, gli amministratori hanno, normalmente, una competenza gestoria
generale188 nell’ambito dell’oggetto sociale. Tuttavia tale competenza non è esclusiva, in
quanto l’atto costitutivo può sottrarre alcune prerogative all’organo amministrativo per
attribuirle ai soci, come previsto dall’art. 2479 c.c., primo comma (“i soci decidono sulle
materie riservate alla loro competenza dall’atto costitutivo”). Questa disposizione non è
riproducibile nelle s.r.l.s., poiché tale previsione non è contenuta nel modello standard.
Procedendo con l’analisi relativa all’amministrazione di s.r.l.s., la clausola 7 dell’atto
costitutivo prevede che “all’organo di amministrazione spetta la rappresentanza generale
della società”. Il modello standard qui riprende quanto previsto dalla stessa legge all’art.
186
In questo senso G. LAURINI, La società a responsabilità limitata post-riforme, CEDAM, 2014, pag. 190 e
N. ABRIANI, La società a responsabilità limitata, pag. 314 in AA.VV., Diritto delle società – Manuale breve,
Giuffrè Editore, 2008.
187
M. RESCIGNO, op. cit., pag. 45. È bene sottolineare che astrattamente sarebbe possibile nominare come
amministratori soggetti diversi dai soci, e quindi non vi sarebbe, in questo caso, fra le cause di decadenza la
perdita della qualità di socio. Poiché tuttavia il modello standard è molto chiaro sul punto, si può dedurre come
caratteristica preminente delle s.r.l.s. la nomina di amministratori scelti fra i soci. Inoltre, anche ammettendo
l’integrabilità del modello standard, la clausola 5 rimane inderogabile e quindi non sarebbe possibile inserire
un’ulteriore clausola che contraddica quella relativa all’amministrazione. Si ritiene quindi che, a prescindere
dalla corrente dottrinale in materia di modificabilità dell’atto, gli amministratori devono sempre essere soci,
nonostante la legge non richieda più l’applicazione obbligatoria di questo principio.
188
M. CIAN, La s.r.l.: struttura organizzativa, pag. 619, in AA.VV., op. cit., pag. 63.
67
2463-bis, il quale, attraverso il rimando all’art. 2463 c.c., stabilisce l’indicazione nell’atto
costitutivo delle norme relative alla rappresentanza.
Questa disposizione ricalca quanto stabilito in tema di s.r.l. ordinaria all’art. 2475-bis, ove si
dice che “gli amministratori hanno la rappresentanza generale della società”.
Confrontando il testo dell’ultima norma con quello della clausola 7 emerge una differenza
terminologica, in quanto nel codice civile si parla genericamente di attribuzione di tale potere
in capo agli amministratori, mentre nel D.M. 138/12 si parla di organo amministrativo
considerato nel suo plenum189. Ciò porta due importanti conseguenze.
Prima di tutto, si deve tener presente che tradizionalmente, nelle s.r.l. ordinarie, la
rappresentanza legale viene attribuita agli amministratori secondo criteri fissati nell’atto
costitutivo. Solitamente essa è collegata a determinate cariche (presidente del consiglio,
amministratore delegato) nel sistema consiliare, mentre negli altri sistemi segue le regole di
esercizio del potere gestorio190. Le s.r.l. semplificate, posta l’impossibilità di adottare sistemi
diversi da quello consiliare, si differenziano dalle s.r.l. ordinarie prima di tutto per
l’impossibilità di attribuire la rappresentanza a specifiche cariche all’interno del consiglio di
amministrazione. Di conseguenza, non è consentito prevedere nell’atto costitutivo che il
potere di rappresentanza spetti, ad esempio, esclusivamente al presidente del consiglio di
amministrazione, poiché siffatta clausola costituirebbe una modifica dell’atto costitutivo.
Sempre nel medesimo senso, non appare possibile indicare nell’atto costitutivo a quali
amministratori sia conferito il potere di rappresentanza, così come previsto per le s.p.a. e per
le s.r.l.191, facendo sì che tutti gli amministratori siano anche investiti della rappresentanza
legale della società.
In secondo luogo, emerge il problema relativo alle modalità di esercizio del potere di
rappresentanza, ossia se lo stesso possa essere esercitato disgiuntamente da tutti gli
amministratori, oppure se la rappresentanza spetti a tutti con firma congiunta. Il riferimento
all’organo nel suo complesso fa propendere per la seconda soluzione, ossia si può concludere
che la rappresentanza spetti agli amministratori in via congiunta fra loro192.
189
A. BARTOLACELLI, op. cit., pag. 47.
M. CIAN, La s.r.l.: struttura organizzativa, pag. 624, in AA.VV., op. cit., pag. 63.
191
L’art. 2475-bis c.c., in tema di s.r.l., stabilisce, al primo comma, che “gli amministratori hanno la
rappresentanza generale della società”. Tale formulazione potrebbe far ritenere che il potere di rappresentanza
debba essere necessariamente attribuito a tutti gli amministratori, ma è opinione prevalente (O. CAGNASSO, La
società a responsabilità limitata, Trattato di Diritto Commerciale, Vol. V, Tomo 1°, Cedam, 2014, pag. 234 e G.
LAURINI, op. cit. pag.44, pag. 184) che anche nelle s.r.l., così come nelle s.p.a., sia possibile attribuire la
rappresentanza a soltanto alcuni degli amministratori.
192
In questo senso A. BARTOLACELLI, ibidem e NARDONE – RUOTOLO, Società a responsabilità limitata
semplificata. Questioni applicative, in CNN NOTIZIE, 5 novembre 2012. Contra BUSANI – BUSI, op. cit., pag.
44, i quali ritengono invece che la rappresentanza spetti a ciascun amministratore in via disgiuntiva dagli altri.
190
68
Infine, per ciò che concerne l’organo di controllo, il modello standard nulla dice in proposito,
nonostante la legge richieda l’indicazione de “gli eventuali soggetti del controllo contabile”.
A tal fine è necessario considerare l’art. 2477 c.c. in tema di s.r.l. ordinaria, senz’altro
compatibile con la disciplina della s.r.l. semplificata. Questa norma è stata recentemente
modificata, con l’art. 20, comma 8, del D.L. 24 giugno 2014 n. 91, convertito con
modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, dopo aver subito numerosi cambiamenti a
causa di precedenti interventi193.
L’art. 2477 c.c. prevede al primo comma che “l’atto costitutivo può prevedere,
determinandone le competenze e poteri, la nomina di un collegio sindacale o di un revisore”.
Ergo, solo attraverso una previsione statutaria è possibile costituire un organo adibito al
controllo. Di conseguenza, non essendoci una clausola apposita in questo senso nel modello
standard, in una s.r.l. semplificata non sarà possibile nominare sindaci e/o revisori.
D’altronde, l’art. 2477 c.c., prima delle recenti modifiche, prevedeva al secondo comma, che
“la nomina dell’organo di controllo o del revisore è obbligatoria se il capitale sociale non è
inferiore a quello minimo stabilito per le società per azioni194”, escludendo in nuce l’obbligo
di nominare suddetto organo in una semplificata, stante l’esigua consistenza del capitale
sociale.
Tuttavia tale condizione, ormai non più richiesta, non è l’unica che fa sorgere l’obbligo di
nomina dell’organo di controllo. Infatti l’art. 2477 prevede questo vincolo anche nei casi in
cui la società “è tenuta alla redazione del bilancio consolidato; controlla una società
obbligata alla revisione legale dei conti; per due esercizi consecutivi ha superato due dei
limiti indicati dal primo comma dell’art. 2435-bis”.
Pur dubitando che nel caso concreto una s.r.l.s. possa effettivamente rientrare in uno dei casi
sovraesposti, vista la “scarsa” dotazione di risorse finanziarie, astrattamente rimane comunque
possibile rientrare nella fattispecie indicata dalla legge anche per una società semplificata.
In tal caso, si deve applicare l’art. 2477 c.c., ove si prevede che “l’assemblea […] deve
provvedere […] alla nomina del collegio sindacale. Se l’assemblea non provvede, alla
nomina provvede il tribunale su richiesta di qualsiasi soggetto interessato”. Perciò
l’assemblea dei soci dovrà procedere alla nomina dell’organo di controllo, il quale dovrà
necessariamente essere monocratico, quindi costituito da un solo sindaco effettivo (in quanto,
stante il primo comma dell’art. 2477 c.c., la possibilità di eleggere un organo pluripersonale
deve essere esplicitamente prevista nell’atto costitutivo, ma, stante l’inderogabilità di questo
193
Non si approfondirà il tema dei controlli in una s.r.l. ordinaria. Per un maggior approfondimento, si rinvia a
O. CAGNASSO, I controlli nelle s.r.l., Giur. It., 2013, 11.
194
Il comma è stato tuttavia abrogato con il D.L. 24/2014.
69
nelle s.r.l. semplificate, tale facoltà non è esercitabile). L’assemblea dovrà quindi procedere
alla nomina dell’organo di controllo entro trenta giorni dalla seduta in cui sia stato approvato
il bilancio relativo all’esercizio in cui siano stati superati i limiti previsti dalla legge all’art.
2477 c.c. ed, in mancanza, provvede il tribunale su istanza di qualunque interessato195.
La norma risulta essere compatibile con la disciplina della s.r.l. semplificata poiché il
controllo obbligatorio non presuppone alcuna specifica previsione in tal senso dell’atto
costitutivo. Si può dunque applicare, anche nelle s.r.l.s., l’art. 2477 c.c. nella sua interezza.
Riassumendo, in materia di controllo, in assenza di alcun obbligo, non sarà possibile
procedere alla costituzione di un organo adibito al controllo. Qualora invece la società
rientrasse in uno dei casi previsti dall’art. 2477 c.c., sarà invece necessaria la nomina del
collegio sindacale.
2.2.5. Decisioni dei soci, denominazione sociale e durata della s.r.l. semplificata
In riferimento alle decisioni dei soci la legge tace, mentre il modello standard prevede, alla
clausola 8, che “l’assemblea dei soci, ove sia richiesta deliberazione assembleare per la
decisione dei soci, è presieduta dall’amministratore unico o dal presidente del consiglio di
amministrazione”. Dalla lettura di questa clausola sembra desumersi la possibilità di
prevedere decisioni senza il rispetto della forma assembleare. È opportuno quindi confrontare
la disciplina generale delle s.r.l., in materia di decisioni dei soci, con la disciplina propria
della s.r.l. semplificata, per comprendere la compatibilità delle due.
All’art. 2479 c.c. al terzo comma è previsto che “l’atto costitutivo può prevedere che le
decisioni dei soci siano adottate mediante consultazione scritta o sulla base del consenso per
iscritto”. Queste due modalità, che si presentano come alternative al metodo assembleare,
devono essere esplicitamente previste nell’atto costitutivo. In riferimento a ciò, come più
volte ribadito, l’atto costitutivo non è integrabile con clausole di questo genere, e quindi si
deve ritenere che il metodo assembleare sia l’unico possibile in una s.r.l. semplificata (ed in
questo caso si applicherà l’art. 2479-bis, per ciò che concerne la regolamentazione
dell’assemblea dei soci).
In riferimento alle materie di competenza dei soci, queste sono indicate all’art. 2479, secondo
comma del codice civile, il quale prevede che “in ogni caso sono riservate alla competenza
dei soci:
1) l’approvazione del bilancio e la distribuzione degli utili;
2) la nomina, se prevista nell’atto costitutivo, degli amministratori;
195
A. BARTOLACELLI, op. cit., pag. 47.
70
3) la nomina nei casi previsti dall’art. 2477 dei sindaci e del presidente del collegio
sindacale o del revisore;
4) le modificazioni dell’atto costitutivo;
5) la decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione
dell’oggetto sociale determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei
diritti dei soci.
Si devono ritenere applicabili, in quanto compatibili, le disposizioni degli artt. 2479-bis (in
tema di assemblea dei soci) e 2479-ter (relativo all’invalidità delle decisioni dei soci).
Proseguendo con l’analisi del dato normativo, l’art. 2463-bis prevede che l’atto costitutivo
debba indicare “la denominazione sociale contenente l’indicazione di società a responsabilità
limitata semplificata e il comune ove sono poste la sede della società e le eventuali sedi
secondarie”. La norma trova applicazione grazie alla clausola 1 del modello standard (“il/i
comparente/i costituisce/costituiscono, ai sensi dell’art. 2463-bis del codice civile, una
società a responsabilità limitata sotto la denominazione « … società a responsabilità limitata
semplificata», con sede in …”).
L’art. 2463-bis prevede inoltre che “la denominazione di società a responsabilità limitata,
l’ammontare del capitale sottoscritto e versato, la sede della società e l’ufficio del registro
delle imprese presso cui questa è iscritta devono essere indicati negli atti, nella
corrispondenza della società e nello spazio elettronico destinato alla comunicazione
collegato con la rete telematica ad accesso pubblico”. Il riferimento al sito web aziendale
fece sorgere il dubbio se la norma si riferisse solo al caso in cui la società avesse già
predisposto un sito internet o se la disposizione prevedesse un obbligo a crearlo196. Tale
obbligo attualmente è previsto, dopo l’entrata in vigore del D. LGS. 27 gennaio 2010, n. 27,
per le s.p.a. quotate. Questa disposizione per le società per azioni tuttavia fa riferimento alle
modalità di convocazione dell’assemblea dei soci (la quale “è convocata mediante avviso
pubblicato sul sito internet della società […]”, previsto dall’art. 125-bis del TUF, in seguito
alla modifica apportata dall’art. 3 del suddetto decreto, da cui si deduce l’obbligo di essere
dotati di un sito web). Non ravvisandosi una simile necessità nella s.r.l. semplificata, la
società può anche essere sprovvista di un sito, ed in caso ne abbia già uno, dovrà osservare le
disposizioni previste sia dall’art. 2463-bis, sia dall’art. 2250 c.c., il quale indica, all’ultimo
comma, le informazioni che devono essere contenute nel sito aziendale.
Infine il legislatore nulla ha previsto in riferimento alla durata della società. Perciò si dovrà
seguire quanto già previsto per le s.r.l. ordinarie. In generale la legge prevede che la società
possa essere costituita a tempo indeterminato (tant’è che per la s.r.l. ordinaria, all’art. 2463
196
R. GUIDOTTI, E. PEDERZINI, La società a responsabilità limitata a capitale ridotto, in IlCaso.it.
71
c.c. non è neppure richiesta l’indicazione della durata della società nell’atto costitutivo, a
differenza della s.p.a., che la richiede esplicitamente all’art. 2328 c.c.).
Quindi la s.r.l. semplificata può essere costituita a tempo indeterminato, in quanto non è
neppure richiesto un “passaggio” obbligatorio al modello più generale197.
2.3. Il ruolo del notaio
Un altro aspetto controverso, e probabilmente fra i più trascurati, della s.r.l. semplificata,
riguarda il ruolo del notaio nella redazione dell’atto costitutivo. Come infatti più volte
ribadito, la L. 27/2012 prevede che “ l’atto costitutivo e l’iscrizione nel registro delle imprese
sono esenti da diritto di bollo e di segreteria e non sono dovuti onorari notarili”, disposizione
ripresa anche nel modello standard alla clausola 10 (“il presente atto, per espressa previsione
di legge, è esente da diritto di bollo e di segreteria e non sono dovuti onorari notarili”). La
pretesa di produrre riforme a “costo zero” per le finanze pubbliche, sottostante a disposizioni
del tipo appena citato, si è tuttavia brutalmente scontrata con la realtà dei fatti.
Sorvolando infatti sui costi per lo Stato relativi all’esenzione dei diritti di bollo e di
segreteria198, la gratuità dell’intervento notarile costituisce un intollerabile costo per una
particolare categoria di cittadini, a causa del trasferimento, ai notai, di un onere di competenza
dello Stato.
A tal fine, occorre innanzitutto sottolineare che i notai, nella tradizione italiana, sono “ufficiali
pubblici istituiti per ricevere gli atti tra vivi e di ultima volontà, attribuire loro pubblica fede,
conservarne il deposito, rilasciarne le copie, i certificati e gli estratti”, ai sensi dell’art. 1
della Legge 16 febbraio 1913 n.89 (ossia la legge notarile). Il notaio quindi svolge una
funzione pubblica, per investitura da parte dello Stato, per garantire la realizzazione
dell’obiettivo di sicurezza giuridica degli atti199.
Inoltre, grazie all’art. 32 della L. 24 novembre 2000 n.340 (la cosiddetta “Legge Bassanini”),
in una logica di semplificazione dei procedimenti di costituzione delle società di capitali, è
stato soppresso l’istituto dell’omologazione giudiziaria200, conseguendone che il notaio venne
197
Sebbene questo passaggio sia auspicabile. Inoltre è difficile immaginare una s.r.l.s. a tempo indeterminato, in
quanto l’atto costitutivo richiederà comunque delle modifiche a seconda delle esigenze, e se tali modifiche sono
in contrasto con le clausole del modello standard, si dovrà procedere obbligatoriamente alla “riqualificazione”
della società.
198
Seppur l’ammontare di questa esenzione è di importo assai modesto per le finanze statali (se infatti i diritti di
segreteria e le imposte di bollo possono essere stimate ad un valore pari a circa 100 euro, ed ipotizzando che in
Italia siano state aperte circa 20.000 s.r.l. semplificate, lo Stato vedrebbe ridurre le proprie entrare per un totale
pari a circa 2.000.000 euro; di sicuro però non si può dire che la riforma sia a “costo zero”).
199
COGLIANDRO - DELLO RUSSO, Il notaio tra passato, presente e futuro, Notariato, 2015, 3, 268.
200
Tale istituto prevedeva che il tribunale effettuasse un controllo di legalità, non meramente formale, per
accertare la conformità dell’atto costitutivo della costituenda società alla legge.
72
incaricato, in via esclusiva, di verificare la legittimità dell’atto costitutivo, oltre che alla sua
redazione, e di richiedere l’iscrizione della società al registro delle imprese.
È evidente quindi l’importanza assunta da questa figura professionale nella fase costitutiva di
una s.r.l., essendo inoltre prevista una sanzione amministrativa pecuniaria in caso di richiesta
di iscrizione nel registro di un atto costitutivo rogato senza il rispetto delle prescritte
condizioni di legge201.
Il contenuto del controllo notarile si ricava in particolar modo dalla previsione dell’art. 28
della legge notarile, ai sensi del quale è fatto divieto al notaio di ricevere atti “espressamente
proibiti dalla legge o manifestamente contrari al buon costume o all’ordine pubblico”.
Il notaio però, pur svolgendo una funzione fondamentale, ai fini della certezza del diritto,
rimane comunque un libero professionista, perciò imporre la gratuità della prestazione di un
privato appare intollerabile in uno Stato di diritto come quello italiano.
La critica mossa in questa sede deve essere indirizzata non tanto alla prima forma della s.r.l.
semplificata, ossia quella prevista nella L. 27/2012, con il limite d’età di 35 anni per i soci
fondatori, ma bensì all’attuale assetto di tale modello societario.
Infatti occorre precisare che dopo il primo decreto del 2012, il quale non prevedeva la
redazione nella forma di atto pubblico della s.r.l.s.202, il Consiglio Nazionale del Notariato,
con la delibera del 23 febbraio 2012, si era reso disponibile a prestare gratuitamente la
funzione pubblica di controllo e certificazione degli atti costitutivi della s.r.l. semplificata, per
evitare che questi venissero redatti per semplice scrittura privata. Questa apertura derivava
dalla considerazione dell’elevato valore sociale attribuito all’obiettivo di favorire l’ingresso
dei giovani nel mondo di lavoro203. Perciò, attraverso questa apertura, il Notariato si è reso
capace di interpretare con lungimiranza i bisogni della società204. Quest’impegno è stato
subito recepito dal legislatore, attraverso la legge di conversione, specificando inoltre al
quarto comma dell’art. 3 della L. 27/12 che “il Consiglio nazionale del notariato vigila sulla
201
Per un maggior approfondimento sul ruolo del notaio nella fase di costituzione di una società, si rinvia a V.
SALAFIA, Le funzioni notarili nella costituzione di società di capitali e nella verbalizzazione delle delibere di
assemblea straordinaria, Società, 2002, 9, 1061.
202
Nel momento in cui si scrive (giugno 2016) è in corso di approvazione al Senato il D.D.L. Concorrenza ove,
all’art. 44, è prevista la possibilità di redazione dell’atto costitutivo per scrittura privata (al primo comma infatti
si dice che “al comma 2 dell’art. 2463-bis dopo le parole «deve essere redatto per atto pubblico» sono aggiunte
le parole «o per scrittura privata»”). Si comprende come il ruolo del notaio sarebbe notevolmente
ridimensionato nel caso in cui tale legge venisse approvata. Tuttavia, essendo ancora in corso l’esame in
Commissione del testo di legge, non si approfondirà l’argomento in questa sede, rinviando a C. LICINI, Ragioni
comunitarie e di ordine pubblico economico che impongono il mantenimento della costituzione di s.r.l. nella
forma dell’atto pubblico, Notariato, 2015, 4, 390 per una maggiore riflessione sul D.D.L. citato.
203
Anche se, come già fatto notare, il fatto di avere meno di 35 anni non è necessariamente sinonimo di scarse
disponibilità finanziarie.
204
G. LAURINI, S.r.l. semplificata: storia di una prestazione gratuita, Notariato, 2013, 5, 485.
73
corretta e tempestiva applicazione delle disposizioni del presente articolo da parte dei singoli
notai e pubblica ogni anno i relativi dati sul proprio sito istituzionale”.
L’intervento dei notai quindi avrebbe assicurato il rispetto di tutte le norme di legge e
l’esecuzione di tutti gli adempimenti previsti, a titolo gratuito per i soggetti persone fisiche
che rispettano i requisiti d’età (era infatti cura del notaio rogante accertare l’ottemperanza dei
requisiti soggettivi richiesti, così come specificato nell’art. 2, comma 1, del D.M. 138/2012, ai
sensi del quale “il notaio, nel ricevere l’atto […], accerta, […], che l’età delle persone fisiche
che intendono costituire una società a responsabilità limitata semplificata è quella prevista
dall’art. 2463-bis del codice civile”).
Tuttavia la controversia sorse nel momento in cui, attraverso il D.L. 76/13, il legislatore aprì a
tutte le persone fisiche la facoltà di costituire una s.r.l. semplificata, attraverso l’abolizione
della s.r.l. a capitale ridotto, pur mantenendo invariati il comma 3 (relativo all’esenzione di
parte dei costi di costituzione) ed il comma 4 poc’anzi citato, dell’art. 3 della L. 27/2012.
In tale contesto, perciò, il mancato pagamento di un corrispettivo per la prestazione resa a
favore del notaio viene concessa anche a soggetti over 35enni, facendo quindi venire meno la
giustificazione di tale esenzione, consistente nell’obiettivo, di valenza sociale, di far accedere
più agilmente i giovani nel mondo imprenditoriale.
A tal proposito è emerso un dubbio avanzato da una corrente, a dir la verità minoritaria205,
della dottrina riguardante l’applicazione del regime agevolato per tutti coloro che richiedano
la costituzione di una semplificata. Questa corrente sostiene infatti che le agevolazioni alla
costituzione di una s.r.l. semplificata debbano essere concesse solamente ai soggetti
originariamente indicati dal legislatore, ossia persone fisiche con un’età inferiore ai 35 anni.
A tal fine, si è affermato che una norma agevolativa che va a pesare sul bilancio pubblico
dovrebbe essere interpretata in senso restrittivo, e quindi applicabile solamente nei casi
previsti espressamente dal legislatore. Perciò, pur avendo fatto cadere la barriera dei 35 anni
per la costituzione, tutti gli altri aspetti legati ai limiti anagrafici dovrebbero continuare a
trovare applicazione.
Sempre a favore di questa tesi, si sostiene che la disposizione del comma 3 dell’art. 3 della L.
27/2012 non è presente in realtà nel codice civile all’art. 2463-bis. Di conseguenza, le
modifiche apportate successivamente, che hanno coinvolto solo il testo di questo articolo, non
andrebbero a modificare la fattispecie originaria, la quale continuerebbe ad essere regolata
dalla normativa precedente.
205
Tale tesi è sostenuta infatti in G. LAURINI, ibidem. Tuttavia la dottrina prevalente sostiene la tesi contraria,
ossia che l’esenzione dagli oneri notarili e dai diritti di bollo e segreteria sia da ritenersi applicabile in ogni caso
di costituzione di una semplificata.
74
Tale interpretazione non è tuttavia condivisibile. Innanzitutto, se ciò fosse vero, la
costituzione della semplificata continuerebbe a rimanere una prerogativa di persone fisiche
meno mature, dal momento che per gli altri soggetti non vi sarebbe la benché minima
convenienza nell’utilizzo di tale modello, stante la presenza della forma ordinaria a capitale
marginale.
In secondo luogo, l’intenzione del legislatore, attraverso la rimozione del vincolo anagrafico,
fu proprio quella di permettere il godimento dei vantaggi della s.r.l.s. a tutti i soggetti persone
fisiche, e non solamente agli under 35enni, soprattutto considerando le numerose critiche
mosse al criterio discriminatorio prescelto. In caso contrario il legislatore avrebbe sicuramente
utilizzato proposizioni differenti, se avesse voluto effettivamente permette l’esenzione solo ai
più giovani.
Inoltre lo stesso modello standard, alla clausola 10, ribadisce la disposizione che prevede
l’esenzione degli onorari notarili. Sebbene il testo di questo modello sia retaggio di leggi in
gran parte modificate, quanto previsto in esso è applicabile nei confronti di tutti coloro che
adottino come modello per la propria impresa una s.r.l. semplificata, a prescindere dall’età.
Il dubbio sorto è legittimo, soprattutto considerando le ripercussioni negative della norma a
sfavore della categoria professionale dei notai, tuttavia si deve considerare corretta la tesi
contraria, ossia si deve comprendere nel novero dei beneficiari delle esenzioni tutti coloro i
quali richiedano la costituzione di una s.r.l. semplificata. Questo è desumibile dalle intenzioni
stesse del legislatore il quale, attraverso la rimozione del vincolo anagrafico, ha voluto
estendere a tutti la possibilità di ottenere una riduzione dei costi nella fase genetica della
società.
2.4. Benefici e svantaggi di una s.r.l.s.
Si vogliono ora presentare, sinteticamente, i reali benefici ottenibili dalla costituzione di una
s.r.l. semplificata, in relazione ai principali svantaggi della stessa.
Originariamente il principale beneficio offerto da questo modello risiedeva nella possibilità di
fondare una società con un solo euro di capitale e di poter accedere, nonostante questa ridotta
capitalizzazione, al regime di irresponsabilità per le obbligazioni sociali. Tuttavia, in seguito
all’introduzione della s.r.l. ordinaria a capitale marginale, tale prerogativa non rappresenta più
un beneficio esclusivo per le s.r.l. semplificate206.
206
Si pensi inoltre che la possibilità di costituire una s.r.l. con un euro di capitale fu estesa quasi subito anche alle
s.r.l. a capitale ridotto, in seguito abrogate. Quest’ultimo modello fu reso utilizzabile ben prima delle s.r.l.
semplificate, visto il ritardo nell’emanazione del modello standard di atto costitutivo. Di conseguenza, la
75
Pertanto, da questo punto di vista, la s.r.l. semplificata non è più attraente rispetto ad altri
modelli a capitale marginale207. Se poi si considera la rigidità che caratterizza l’atto
costitutivo, la preferenza per la figura in esame si riduce sensibilmente.
Sono ben pochi, in realtà, i reali benefici ottenibili dal modello semplificato, e tutti risiedono
nell’esenzione di alcuni costi di costituzione (oltre al già citato capitale ridotto).
Infatti il D.L. 1/2012, all’art. 3, prevede che “l’atto costitutivo e l’iscrizione nel registro delle
imprese sono esenti da diritti di bollo e di segreteria e non sono dovuti onorari notarili208”.
È da rilevare comunque che tali esenzioni sono di modesta entità ed i costi sostenuti per
fondare una s.r.l. semplificata non risultano essere significativamente inferiori rispetto a quelli
sopportati per l’apertura di una s.r.l. ordinaria a capitale marginale.
Infatti, sebbene sia prevista l’eliminazione dei suddetti costi, i soci, al momento
dell’iscrizione, dovranno comunque corrispondere le spese relative al diritto annuale alla
Camera di Commercio (diritto annuale CCIAA, dell’ammontare di 200 euro, da corrispondere
annualmente). È necessario il versamento dell’imposta di registro (pari a 168 euro), e la
corresponsione della tassa di concessione governativa per la vidimazione dei libri sociali (pari
a 309,87 euro). La spesa è quindi di circa 600 euro, con un risparmio rispetto alle s.r.l.
ordinarie di un valore che oscilla dagli 800 ai 1500 euro209.
Si rende inoltre necessaria un’ulteriore considerazione, ossia qual è il perimetro
dell’esenzione degli onorari notarili. Si presume infatti che i soci costituendi, prima di
richiedere la redazione dell’atto costitutivo, richiedano una consulenza professionale per poter
raccogliere ulteriori informazioni circa il tipo sociale più adatto alle loro esigenze.
Nel caso in cui questa fosse fornita dal notaio210, tale servizio sarà oggetto di remunerazione o
sarà esente da qualsiasi forma di compenso?211
La norma sembrerebbe riferirsi solo alla redazione dell’atto costitutivo, facendo quindi
presumere il diritto del notaio a richiedere il pagamento di eventuali servizi accessori.
possibilità di avere un capitale sociale di un solo euro non può essere considerato come un beneficio esclusivo
della s.r.l. semplificata.
207
Ad ulteriore conferma dell’inutilità della presenza di due “varianti” di s.r.l. a capitale marginale.
208
La disposizione non è stata abrogata nei successivi interventi. Tale previsione è presente solo nel decreto e
non nell’art. 2463-bis.
209
Variabili a seconda dei risparmi degli onorari notarili, i quali non sono fissi. Ovviamente si esclude dalla
stima il conferimento iniziale. Le stime sono prese da vari siti internet, come ad esempio I COSTI PER LA SRL
SEMPLIFICATA A 1 EURO: NOTAIO, DIRITTI CAMERALI, COMMERCIALISTA in
http://www.partitaivaonline.com/i-costi-per-la-srl-semplificata-a-1-euro-notaio-diritti-camerali-commercialista/,
oppure Come scegliere tra srl semplificate e regime dei minimi 2012? in http://www.royalkc.it/2013/03/guidapratica/. Si rende necessario sottolineare che in questa sede non si vuole dare una stima precisa dei costi di
costituzione, stante la difficoltà di individuazione di fonti affidabili. Preme qui soltanto mostrare l’esigua entità
dei risparmi di costo per una semplificata, che la rendono un modello poco appetibile per chi si affaccia nel
mondo imprenditoriale.
210
In questo caso si dubita che il notaio possa effettivamente consigliare l’utilizzo di una s.r.l. semplificata, visto
che vedrebbe ridursi le proprie entrate.
211
L’interrogativo è stato posto in M. S. SPOLIDORO, op. cit., pag. 53.
76
Tuttavia la ratio della norma, ossia la riduzione dei costi di costituzione, farebbe propendere
per la soluzione contraria. Inoltre non è sempre agevole distinguere tra le attività di redazione
e iscrizione dell’atto costitutivo e prestazioni di consulenza.
È fuori di dubbio comunque che qualsiasi modificazione dell’atto costitutivo (che tuttavia farà
perdere la denominazione “semplificata”) e/o gli atti di trasferimento delle quote di
partecipazione non sono interessati dall’esonero dai diritti di bollo e di segreteria e dagli
onorari notarili.
Inoltre, i vantaggi legati ai costi si riducono progressivamente all’aumento dell’ammontare
del capitale sociale, per importi superiori ai 2.500 euro. In questo caso infatti, stante la
necessità di versamento integrale dei conferimenti, una s.r.l. ordinaria non unipersonale con
un capitale superiore ai 10.000 euro risulta essere più conveniente rispetto ad una semplificata
in termini di esborso iniziale, poiché la disciplina generale prevede la corresponsione del 25%
in sede di costituzione212.
Proseguendo, nonostante il modello semplificato sia stato ideato per incentivare l’attività
imprenditoriale, oltre ai risparmi in sede di costituzione, non sono state previste ulteriori
agevolazioni in questo senso. In particolare, si deve rilevare che qualsiasi atto o modificazione
statutaria successiva alla fase genetica della società è soggetta a tutte le disposizioni di
carattere fiscale e professionale.
Infatti i costi di gestione di una s.r.l. semplificata sono pressoché gli stessi di una ordinaria,
poiché sia la tenuta della contabilità213, sia le spese relative all’apertura della Partita IVA sono
soggette alle medesime norme in entrambi i modelli.
Non è previsto neppur qualsivoglia tipo di agevolazione fiscale, la quale probabilmente
avrebbe maggiormente stimolato l’iniziativa privata rispetto ad una esigua riduzione dei costi
di costituzione. Di conseguenza si applicheranno l’IRES sul reddito della società e l’IRAP,
con le medesime aliquote previste per la s.r.l. ordinaria.
La vera criticità del modello, comune, a dir la verità, a tutte le s.r.l. a capitale marginale, da un
punto di vista prettamente economico, risulta comunque essere la possibile difficoltà di
accesso al credito per reperire le fonti di finanziamento necessarie per sostenere la propria
attività.
L’esigua consistenza del capitale sociale e la mancata previsione di tutele aggiuntive per i
creditori sociali214 possono rendere difficoltoso ottenere la fiducia necessaria nei confronti
212
Ovviamente in questo caso la società vanterà un credito nei confronti dei soci per un valore corrispondente al
rimanente 75% del conferimento. In questa sede ci si vuole tuttavia soffermare in particolar modo sulla fase di
costituzione.
213
La quale deve essere ordinaria (ossia con l’obbligo di detenere i seguenti registri: libro giornale, libro
inventari e registri IVA). Vi è quindi l’obbligo di deposito del bilancio presso il registro delle imprese, con le
conseguenti spese di bollo e segreteria.
77
degli istituti creditizi, per l’erogazione del credito. Ergo, per procurarsi fonti di finanziamento
provenienti da soggetti terzi, i soci dovranno conseguentemente fornire garanzie personali ai
creditori medesimi215. Quest’ultima eventualità tuttavia rende ancora meno appetibile il
modello semplificato da parte degli aspiranti imprenditori. I benefici derivanti dall’accesso al
regime di responsabilità illimitata sarebbero infatti annullati nel caso in cui il socio sia
costretto a fornire una garanzia personale per le obbligazioni sociali. In questa situazione
allora potrebbe rendersi più conveniente la fondazione di una s.n.c., rispetto ad una s.r.l.s.,
godendo inoltre di costi gestionali inferiori.
Il comma 4-bis dell’art. 44 del D.L.83/2012, l’unico sopravissuto alle successive
modificazioni, prevede un accordo fra il Ministero dell’Economia e l’Associazione Bancaria
Italiana “per fornire credito a condizioni agevolate ai giovani di età inferiore a 35 anni che
intraprendono attività imprenditoriale attraverso la costituzione di una società a
responsabilità limitata semplificata”.
Tuttavia nulla in tal senso è stato previsto, ed anzi tutti gli interventi relativi a qualsivoglia
forma di agevolazione al credito non hanno mai riguardato solamente la s.r.l.s., ma sono
sempre stati indirizzati a particolari categorie di imprenditori216.
Infine, nella s.r.l. semplificata sembra non sia neppure ammessa la facoltà di emettere titoli di
debito. Infatti, l’art. 2483 c.c., il quale disciplina la fattispecie, prevede che “se l’atto
costitutivo lo prevede, la società può emettere titoli di debito”. L’atto costitutivo però è
inderogabile, e al suo interno non vi sono clausole concernenti i titoli di debito, perciò non è
possibile inserire questa possibilità tra le “regole” della società. Questo riduce quindi le
possibilità di reperire finanziamenti sul mercato, e di conseguenza le risorse per garantire il
corretto funzionamento della società.
In conclusione, anche da un punto di vista più empirico, oltre che giuridico, il modello
semplificato non presenta pressoché alcuna attrattiva rispetto ad altri modelli del medesimo
tipo, andando ulteriormente a confermare l’inutilità di suddetta “variante”.
214
Sebbene la nuova disposizione prevista per la riserva legale, con la L.99/13, debba essere considerata come
una garanzia aggiuntiva per i creditori. Infatti la norma è stata elaborata proprio in seguito alle critiche su questo
punto.
215
V. SALAFIA, La società a responsabilità limitata semplificata e il tribunale delle imprese, Società, 2012, 2,
151.
216
Come ad esempio quanto previsto nella Circ. 9 ottobre 2015, n. 75445 del Ministero dello Sviluppo
economico, in http://www.sviluppoeconomico.gov.it/images/stories/normativa/Circ_09_10_2015_n75445.pdf,
ove si prevedono le modalità di accesso agevolato al credito, ma i destinatari di questa sono particolari categorie
di soggetti, a prescindere dal tipo sociale adottato.
78
2.5. Le s.r.l. start-up innovative
La denominazione “start-up innovativa” non indica un nuovo tipo sociale rispetto a quelli
tipici previsti dalla legge, ma rappresenta una qualificazione funzionale all’accesso di un
regime agevolato, attraverso la previsione di deroghe non soltanto rispetto alla disciplina del
diritto societario, ma anche rispetto alla disciplina del diritto del lavoro e del diritto
tributario217.
Le norme regolatrici della fattispecie in esame sono contenute nel D.L. 18 ottobre 2012 n.
179, convertito in L. 17 dicembre 2012, n. 221, dall’art. 25 all’art. 32 (e successive
modificazioni).
È opportuno precisare che la qualifica “start-up innovativa” non riguarda solo le s.r.l., ma
tutte le società di capitali, come si evince dall’art. 25, secondo comma, del D.L. 179/12 (ove è
stabilito che “l’impresa start-up innovativa […] è la società di capitali, costituita anche in
forma di cooperativa, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono
quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione […]”).
Questa denominazione può quindi essere acquisita anche da una s.r.l. semplificata, essendo
una società di capitali, qualora presenti i requisiti previsti dall’art. 25, secondo comma, del
D.L. 179/12, i quali sono compatibili con la disciplina della s.r.l. semplificata.
L’intervento del legislatore, con tale decreto, era volto a “favorire la crescita sostenibile, lo
sviluppo tecnologico, la nuova imprenditorialità e l’occupazione, in particolare giovanile218”,
prevedendo, a tal fine, incentivi all’assunzione della forza lavoro, agevolazioni fiscali relative
alle retribuzioni dei lavoratori e facilitazione per gli investimenti effettuati 219. Le motivazioni
espresse dal legislatore erano in linea con quanto già previsto in tema di s.r.l. semplificate,
all’epoca riservata solo agli infra 35enni, costituendo infatti quest’ultima legge un ulteriore
incentivo all’imprenditoria giovanile.
L’applicazione della disciplina in esame è comunque temporanea220, in quanto l’art. 31 del
D.L. 179/12 al quarto comma prevede che “[…] una volta decorsi quattro anni dalla data di
costituzione, cessa l’applicazione della disciplina prevista nella presente sezione […]221”.
È però possibile accedere a questo regime agevolato solo successivamente alla costituzione
della società. A questa è quindi necessario far seguire un’ulteriore fase procedimentale,
217
G. MARASA’, op. cit., pag. 57.
Art. 25, comma 1, D.L. 179/2012.
219
P. PIANTAVIGNA, Start - up innovative e nuove fonti di finanziamento, Rivista di diritto finanziario e
scienza delle finanze, fasc. 2, 2014, pag. 264.
220
M. COSSU, Nuovi modelli di s.r.l. nella legislazione italiana recente, Banca, Borsa, Titoli di Credito, fasc. 4,
2015, pag. 448.
221
In realtà sono previsti termini di decadenza differenti, a seconda dell’anno in cui è stata costituita la società.
Ma in ogni caso, la qualificazione “start – up innovativa” può avere una durata massima di appunto quattro anni.
218
79
stabilita al terzo comma dell’art. 25 del D.L. 179/12. È infatti richiesto il deposito, presso
l’ufficio del registro delle imprese di “una dichiarazione sottoscritta dal rappresentante
legale che attesti il possesso dei requisiti previsti dal comma 2”, dovendo inoltre indicare una
serie di informazioni che in qualche modo attestino la veridicità di quanto autocertificato222. A
questo punto la società verrà iscritta in un’apposita sezione speciale del registro delle imprese,
come disposto dall’ottavo comma del medesimo articolo poc’anzi citato. Tale iscrizione si
aggiunge a quella già effettuata in sede di costituzione nella sezione ordinaria del registro
delle imprese223. Inoltre, come per le s.r.l.s., l’iscrizione nella sezione speciale è esente da
diritti camerali e da imposte di bollo. Questo, è bene sottolineare, è però valido solo per
quest’ulteriore passaggio, e non per la fase di costituzione della società, a meno che la stessa
non sia stata costituita come una s.r.l. semplificata, la quale è caratterizzata dalle medesime
esenzioni.
Non si vuole in questa sede procedere ad un’analisi accurata della disciplina delle start-up
innovative224, ma ci si vuole soffermare sulle particolari disposizioni previste nel caso in cui
tale qualifica sia assunta da una società a responsabilità limitata. Infatti vi sono, nella legge,
numerosi riferimenti alla s.r.l., segno questo della spinta che il legislatore ha voluto dare
all’utilizzo di questo tipo societario225 (si ritiene, in particolar modo, all’utilizzo del modello
semplificato) da parte dei neo-imprenditori.
La norma di maggior interesse ai fini della presente trattazione è costituita dall’art. 26 del
D.L. 179/12. Al comma due è infatti previsto che “l’atto costitutivo della start-up innovativa
costituita in forma di società a responsabilità limitata può creare categorie di quote fornite di
diritti diversi e, nei limiti imposti dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle
varie categorie anche in deroga a quanto previsto dall’articolo 2468, commi secondo e terzo,
del codice civile”.
Si possono quindi creare particolari categorie di quote che, ad esempio, non attribuiscano il
diritto di voto o lo attribuiscano in misura non proporzionale alla partecipazione oppure infine
con diritto di voto limitato a particolari argomenti o subordinati al verificarsi di particolari
eventi.
Nel caso in cui una s.r.l. semplificata acquisti la qualifica di “start-up innovativa”, la norma
appena esposta può essere considerata applicabile, nonostante la stessa si presenti in contrasto
222
G. MARASA’, ibidem.
La start – up innovativa, guida redatta dalle Camere di Commercio con il coordinamento del Ministero dello
Sviluppo Economico, disponibile al sito
http://startup.registroimprese.it/startup/document/Guida_Startup_Innovativa_08_06_2015.pdf.
224
Per maggiori approfondimenti si rimanda a P. PIANTAVIGNA, ibidem, ed a L. SERRA, Start - up
innovativa, in http://www.altalex.com/documents/altalexpedia/2014/09/10/start-up-innovativa.
225
Sicuramente la scelta di focalizzarsi maggiormente sul tipo s.r.l. risiede nel fatto che esso è uno dei tipi
societari maggiormente diffusi nella realtà economica italiana.
223
80
con le disposizioni proprie del modello semplificato226. Infatti, poiché quella della “start-up
innovativa” è una disciplina derogatoria del diritto comune in tema di s.r.l., le norme
introdotte con il D.L. 179/12 sono applicabili ai vari modelli di s.r.l., anche in assenza di
compatibilità con quest’ultimi.
Un’altra deroga alla disciplina della s.r.l., è prevista al sesto comma dell’art. 26, ove è
previsto che “nelle start-up innovative costituite in forma di società a responsabilità limitata,
il divieto di operazioni sulle proprie partecipazioni stabilito dall’art. 2474 del codice civile
non trova applicazione qualora l’operazione sia compiuta in attuazione di piani di
incentivazione
che prevedano l’assegnazione di quote di partecipazione a dipendenti,
collaboratori o componenti dell’organo amministrativo, prestatori di opera e servizi anche
professionali”. La norma è sicuramente applicabile alla s.r.l. semplificata, poiché lo stesso art.
2474 c.c. era compatibile, e quindi attuabile, con la disciplina propria del modello, sicché
questa disposizione non trova particolari problemi applicativi.
Infine, la più rilevante peculiarità delle s.r.l. start-up innovative è rappresentata da quanto
stabilito al 5° comma dell’art. 26, ossia "in deroga a quanto previsto dall’art. 2468, comma
primo, del codice civile, le quote di partecipazione in start-up innovative costituite in forma di
società a responsabilità limitata possono costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti
finanziari, anche attraverso i portali per la raccolta di capitali di cui all’art. 30 del presente
decreto, nei limiti previsti dalle leggi speciali”.
Ne consegue che la s.r.l. start-up innovativa si presenta, in questo contesto, come una piccola
società aperta227, in netto contrasto con la disciplina generale della s.r.l. (infatti all’art. 2468
c.c. è appunto previsto il divieto alle partecipazioni di costituire oggetto di offerta al
pubblico).
Le partecipazioni possono inoltre essere oggetto di collocamento presso il pubblico anche
attraverso portali on-line, come indicato all’art. 30, comma 1 del D.L. 179/12. Attraverso
questa disposizione si è introdotto, per la prima volta nel nostro ordinamento228, l’equity
crowdfunding, la cui regolamentazione, secondo quanto previsto al quinto comma dell’art. 30
226
Infatti in una s.r.l.s., essendo l’atto costitutivo inderogabile, non è possibile prevedere la creazione di
particolari categorie di quote.
227
M. COSSU, op. cit., pag. 79.
228
Ma l’Italia è in realtà il primo paese al mondo ad aver regolamentato il fenomeno, come fa notare la Guida
delle Camere di Commercio per le start – up, citata a pag. 80. In realtà, il crowdfunding era già ammesso negli
Stati Uniti, grazie al c.d. “JOBS ACT” del 2012, il quale legittimava tale modalità di raccolta del capitale e ha
previsto la creazione di una particolare categoria di emittenti, ossia le c.d. emerging growth companies. La
differenza fra la regolamentazione statunitense e quella italiana risiede nelle dimensioni del fenomeno
disciplinato. Mentre negli USA vi è una maggior spinta alla quotazione da parte di imprese con alti tassi di
crescita, in Italia la disciplina riguarda comunque realtà imprenditoriali di piccole/medie dimensioni. Per un
maggior approfondimento, si rinvia ad A. GUACCERO, La start-up innovativa in forma di società a
responsabilità limitata: raccolta del capitale di rischio ed equità crowdfunding, Banca Borsa Titoli di Credito,
fasc.6, 2014, pag. 699, ove vengono rimarcate le differenze fra USA e Italia.
81
del medesimo decreto, è stata predisposta dalla Consob229. Con tale espressione si indica la
raccolta, attraverso internet, di fondi (ossia “funding”) presso una “folla” (ossia “crowd”)
indeterminata e indefinita di investitori230.
Non è tuttavia ammessa la raccolta di capitale di debito presso il pubblico, in quanto la
disciplina fa esplicitamente riferimento solo al capitale di rischio. Di conseguenza, la
differenza fra s.r.l. ordinaria e s.r.l. start-up innovativa è, sotto questo profilo, l’impossibilità
per la prima di raccogliere capitale di rischio presso il pubblico ma, seppur indirettamente,
raccogliere capitale di debito, mentre la seconda non può emettere titoli di debito, ma può
raccogliere capitale di rischio tramite offerte al pubblico di quote sociali.
Questa disciplina è sicuramente compatibile con quella della s.r.l. semplificata, non esistendo
motivi ostativi o norme imperative che impediscano l’applicazione della disposizione
analizzata. Inoltre, attraverso la qualifica di start-up innovativa, una s.r.l. semplificata
riuscirebbe più facilmente a reperire nuove fonti di finanziamenti, sia attraverso il
crowdfunding, sia grazie all’accesso gratuito al Fondo di Garanzia per le Piccole e Medie
Imprese (fondo governativo che facilita l’accesso al credito).
Quindi, in conclusione, è preferibile la costituzione di una s.r.l. semplificata start-up
innovativa, visti i numerosi vantaggi caratterizzanti questo modello societario.
229
Tale regolamento è disponibile all’URL: http://www.consob.it/main/documenti/bollettino2013/d18592.htm.
M. L. VITALI, Equity crowdfunding: la nuova frontiera della raccolta del capitale di rischio, Rivista delle
Società, fasc. 02-03, 2014, pag. 371. Per un maggiore approfondimento dell’argomento, si rinvia al testo appena
indicato.
230
82
Capitolo III
La disciplina del capitale
SOMMARIO: 3.1. La funzione del capitale sociale – 3.2. Le operazioni sul capitale sociale – 3.2.1. L’aumento di capitale “a
pagamento” in una s.r.l. a capitale marginale – 3.2.2. L’evoluzione “progressiva” – 3.2.2.1. Le trasformazioni in s.r.l. a
capitale marginale e le fusioni – 3.2.3. Le riduzioni del capitale sociale in una s.r.l. a capitale marginale – 3.2.3.1. La
riduzione volontaria del capitale sociale – 3.2.3.2. La riduzione per perdite del capitale sociale – 3.2.4. La riduzione del
capitale sociale in una s.r.l. “tradizionale” – 3.2.5. Le trasformazioni “regressive” e le scissioni – 3.3. La riserva legale –
3.3.1. L’applicabilità della disciplina della riserva legale alle s.r.l. semplificate – 3.3.2. La “disponibilità” della riserva legale
Premessa
Come visto nei precedenti capitoli, elemento caratterizzante le nuove figure societarie è la
trascurabile dimensione del capitale sociale. Al di là dell’intento del legislatore perseguito con
tali modelli, le due tipiche funzioni, ossia quella produttiva e di garanzia, svolte
tradizionalmente dal capitale sociale, vengono meno quando questo abbia un valore nominale
“irrisorio”.
Negli ultimi anni tuttavia sono state avanzate numerose critiche ai sistemi di capital rule in
ambito europeo, a causa di un crescente convincimento del fatto che i vincoli di capitale
possano scoraggiare l’apertura di start-up, danneggiando quindi lo sviluppo ed il progresso
economico231.
Si rende quindi necessario analizzare la disciplina del capitale e le criticità emerse negli ultimi
anni, considerando anche quali sono gli strumenti che devono essere posti a tutela dei
creditori sociali.
Nel caso delle s.r.l. a capitale marginale, è stata prevista solo una norma in questo senso, ossia
quella relativa alla riserva legale a “formazione accelerata”, ma nulla è stato detto o fatto in
merito a forme alternative di tutela dei creditori dinnanzi ad operazioni di riduzione del
capitale.
È perciò d’obbligo ricostruire l’istituto delle operazioni sul capitale nelle s.r.l. “ad un euro”,
stante un capitale minimo ormai ben al di sotto di quello tradizionalmente previsto per le
società a responsabilità limitata.
231
F. ATTANASIO, S.r.l. semplificata: verso il superamento della nozione di capitale sociale?, Società, 2012,
8; 9, 894.
83
3.1. La funzione del capitale sociale
Prima di procedere con l’analisi della disciplina delle operazioni sul capitale in una s.r.l. “da
un euro”, è opportuno soffermarsi brevemente sull’istituto del capitale sociale, il quale negli
ultimi anni ha ricevuto un particolare livello di attenzione in relazione alla sua funzione e
quindi alla sua stessa utilità. Attraverso una maggiore comprensione del dibattito venutosi a
creare, è possibile giungere ad una maggiore chiarezza del fenomeno delle società “ad un
euro”, introdotte negli ultimi anni in numerosi ordinamenti europei.
Innanzitutto bisogna far chiarezza su che cosa si intenda per capitale sociale.
Per “capitale sociale” si può genericamente intendere, in prima battuta, l’insieme dei mezzi
originariamente prestati dai soci e stabilmente destinati dalla società allo svolgimento
dell’attività produttiva che costituisce l’oggetto sociale232. In altri termini, è l’insieme dei beni
conferiti dai soci in via definitiva alla società.
Per meglio comprendere la nozione di capitale sociale, è necessario distinguere tra capitale
reale e capitale nominale.
Per capitale reale si intende il capitale iscritto nell’attivo dello stato patrimoniale. In caso di
conferimenti in denaro, ad esempio, si fa riferimento alla cassa, ossia alle disponibilità liquide
della società.
Il capitale nominale invece “è una posta contabile che rappresenta il valore dei conferimenti
e che viene indicata nell’atto costitutivo233”. Esso è iscritto nelle passività all’interno della
voce “Patrimonio netto”. Il capitale nominale non identifica specifici beni ma soltanto
l’importo delle risorse iniziali della società. È un’entità rigida, la quale può essere variata solo
attraverso una modificazione dell’atto costitutivo234.
Inizialmente capitale reale e capitale nominale tendono a coincidere, ma il valore del capitale
reale può oscillare a seconda dell’andamento dell’attività sociale.
232
E. GINEVRA, La società per azioni - il capitale sociale e i conferimenti, pag. 229, in AA. VV., Diritto
commerciale – Volume II, a cura di M. CIAN, Giappichelli editore, 2014. Si badi bene che in questa sede per
“capitale sociale” si intende il capitale nominale, ossia il valore iscritto nel passivo del bilancio all’interno della
voce “Patrimonio netto”.
233
M. CIAN, La nozione di società e i principi generali – La società come struttura organizzativa, pagg. 44 e
ss., in AA. VV., ibidem.
234
Da questo principio discende poi il concetto di vincolo di indisponibilità del capitale sociale, ossia
l’impossibilità, per i soci, di prelevare somme dal patrimonio della società, se non quelle che eccedono il valore
del patrimonio. Secondo infatti L. SALAMONE, Funzione del capitale e funzionamento del netto nella società a
responsabilità limitata, oggi, Banca, Borsa, Titoli di Credito, fasc.1, 2016, pag. 14, il capitale sociale “esprime
contabilmente […] un vincolo di indisponibilità prima dello scioglimento della società di una parte dell’attivo
sociale (c.d. capitale reale), cioè il divieto di riappropriazione per i soci di un ammontare quantitativamente
dato di diritti di cui la società è titolare, misurati in valori pecuniari, lo stesso finisce per assumere una funzione
di misurazione dell’utile riappropriabile”.
84
I vari ordinamenti europei hanno tradizionalmente previsto regole particolarmente rigide in
relazione al mantenimento del capitale sociale, in maniera tale che lo stesso rimanga costante
o non scenda al di sotto di un determinato ammontare235.
Il dibattito generatosi attorno alla funzione da attribuire al capitale sociale derivò
essenzialmente dal modo in cui doveva essere letto il sistema di norme dettate in materia di
mantenimento del capitale sociale.
In dottrina infatti si sono generati due orientamenti differenti. Una prima tesi sostiene che i
vincoli posti per garantire una determinata consistenza patrimoniale trovano il loro
fondamento nella volontà di individuare nel capitale una forma di garanzia nei confronti dei
creditori sociali.
Infatti, le società di capitali sono caratterizzate da una contrapposizione di interessi fra i soci
ed i creditori della società. Tipicamente i soci sono maggiormente incentivati ad agire
opportunisticamente nei propri progetti di investimento, anche a scapito dei creditori sociali.
Infatti la compagine sociale potrebbe, ad esempio, deliberare distribuzioni di dividendi
straordinari, corrispondere compensi particolarmente elevati ai propri amministratori, oppure
potrebbe raccogliere ulteriore capitale di debito per ripagare passività precedenti 236. Inoltre, in
caso di elevato indebitamento, i soci potrebbero essere incentivati a perseguire politiche di
sotto-investimento, le quali andrebbero a ridurre i possibili utili utilizzabili per poter ripagare i
creditori sociali237.
Secondo questo orientamento, perciò, il capitale sociale dovrebbe svolgere un ruolo di
contrappeso tra i creditori ed i soci, in modo tale da evitare che quest’ultimi agiscano
esclusivamente in maniera opportunistica e da favorire una gestione più prudente della propria
società. Questo contrappeso sarebbe necessario a causa dell’irresponsabilità dei soci per le
obbligazioni sociali, e quindi, in assenza di garanzie dirette da parte della compagine sociale,
la formazione del capitale servirebbe a creare “artificialmente” quel patrimonio che i creditori
235
In questo senso, basti pensare ad esempio alle disposizioni contenute all’art. 2433 c.c., il quale prevede un
divieto di ripartizione degli utili in caso di perdite, oppure alle previsioni dell’art. 2445 c.c., che pone dei limiti
alla restituzione dei conferimenti ai soci.
236
L. ENRIQUES, J. R. MACEY , Raccolta di capitale di rischio e tutela dei creditori: una critica radicale alle
regole europee sul capitale sociale , Riv. soc., fasc.1, 2002, pag. 78.
237
La questione del conflitto di interessi tra azionisti e creditori sociali è un tipico problema di corporate
governance. Non si approfondirà l’argomento in questa sede. Per un maggiore approfondimento sul tema, si
rinvia alla lettura di T. KOLLER, M. GOEDHART, D. WESSELS, Valuation, Wiley, 2010 (5th Edition), ove
viene illustrato come il conflitto di interessi tra azionisti e creditori contribuisca a perdite di valore del
patrimonio societario, a causa principalmente di sottoinvestimenti in presenza di un elevato indebitamento, e
conseguentemente un aumento delle pretese dei creditori sugli utili generati, a tutela dei propri investimenti.
Quest’ultimi infatti richiederanno ulteriori garanzie rispetto a quelle normalmente offerte, che si tradurranno in
maggiori costi per la società.
85
non troverebbero presso gli azionisti238, nel momento in cui, in caso di inadempimento della
società, agissero per l'esecuzione forzata239.
In questo senso, quindi, il capitale sociale, e le conseguenti regole in tema di mantenimento
dello stesso, svolge una funzione volta a “tranquillizzare” i creditori sociali, i quali, a
prescindere dalla gestione della società, saranno sempre in grado di essere rimborsati.
Tale corrente appare però non particolarmente convincente al giorno d’oggi, principalmente
perché nessuna società raccoglie capitale in sede di costituzione con il solo scopo di fornire
adeguate garanzie ai propri creditori, ma lo scopo ultimo della raccolta del capitale di rischio,
così come in caso di aumenti del capitale, è quello di permettere il reperimento delle risorse
necessarie per il perseguimento dell’oggetto sociale.
Infatti la dottrina prevalente sostiene la tesi contraria, ossia ritiene che la ragione
dell’esistenza del sistema di regole volte a garantire il mantenimento del capitale sociale
debba essere individuata nell’obiettivo di fare in modo che la società operi in una situazione
di equilibrio economico-finanziario, in modo tale che la stessa possa ottenere dei vantaggi in
termini di migliore produttività240.
Questa funzione del capitale, definita “produttivistica”, garantirebbe all’impresa una maggiore
solidità finanziaria ed economica, impendendo che gli investimenti portino ad un inutile
spreco di risorse o che il livello di indebitamento sia eccessivo rispetto ai mezzi propri della
società. In questa prospettiva, i creditori verrebbero garantiti in via indiretta dalla presenza di
norme che impongono una certa consistenza del capitale sociale, ma lo scopo delle stesse
prescinderebbe dalle garanzie offerte ai creditori medesimi.
All’interno di questo dibattito, risoltosi a favore della tesi “produttivistica”241, ha preso piede
l’idea che le regole sul capitale legale siano in realtà costose ed addirittura inutili, spingendo
molti commentatori a proporre un abbattimento del complesso di norme vigenti242 .
238
Si utilizza il termine azionisti poiché i vari orientamenti dottrinali si basano principalmente sulla disciplina
della società per azioni. Tuttavia il ragionamento è valido per qualsiasi società di capitali.
239
E. GINEVRA, Il senso del mantenimento delle regole sul capitale sociale (con cenni alla s.r.l. senza
capitale), Banca, borsa, tit. cred., fasc.2, 2013, pag. 169.
240
E. GINEVRA, op. cit., pag. 84.
241
G. FERRI Jr., Struttura finanziaria dell’impresa e funzioni del capitale sociale, Rivista del Notariato, fasc. 4,
2008, pag. 741. L’Autore inoltre individua altre tre funzioni del capitale, ossia la funzione informativa, la
funzione preventiva e la funzione organizzativa, che non verranno approfondite in questa sede, rinviando a tal
proposito all’opera sopracitata.
242
Uno dei testi sicuramente più importanti in questo senso è quello di L. ENRIQUES – J. R. MACEY, op. cit.,
pag. 85, ove gli Autori sono particolarmente critici nei confronti della legislazione europea in tema di capitale
sociale. Partendo infatti da un confronto con il sistema statunitense, ove l’istituto sul capitale è stato pressoché
abbandonato, vengono esposti i numerosi costi e i pochi benefici derivanti dalla presenza di norme volte a
garantire il mantenimento del capitale sociale. Una critica a questo testo è presente in F. DENOZZA, A che serve
il capitale? (piccole glosse a L. Enriques – J. R. Macey, Creditors versus capital formation: the case against the
european legal capital rules), Giurisprudenza commerciale, fasc.5, 2002, pag. 585.
86
Costose perché tali regole richiedono numerosi adempimenti dai quali possono derivare anche
costi ingenti, ed inutili perché molto spesso la presenza di un determinato capitale sociale non
è sufficiente per scongiurare il rischio di insolvenza della società e di conseguenza non risulta
essere idoneo a garantire nemmeno i creditori sociali.
All’interno di questo contesto si può inserire la nascita delle s.r.l. a capitale marginale, non
solo in Italia, ma anche negli altri Paesi Europei243. Coerentemente con l’orientamento appena
esposto, è maturata l’idea che l’immobilizzazione del capitale potesse addirittura danneggiare
la società, impendendo di fatto un utilizzo delle risorse più proficuo a causa dei vincoli
imposti al capitale sociale, e che l’ammontare dello stesso potesse scoraggiare l’apertura di
nuove imprese244.
Tale orientamento era già stato parzialmente recepito dal legislatore italiano attraverso varie
disposizioni, come quelle ad esempio contenute all’art. 2464 c.c., ove è ammesso, al sesto
comma, la possibilità di conferimenti d’opera o di servizi, a patto che il soggetto conferente
fornisca alla società una polizza di assicurazione o una fideiussione bancaria con cui
garantire, per l’intero valore assegnato al conferimento, gli obblighi assunti dal socio245.
La previsione di tali apporti della compagine sociale può sostenere l’idea di una società di
fatto senza capitale sociale, ove i soci decidono di conferire la propria attività lavorativa a
favore della società246.
Inoltre, coerentemente con l’idea di società “senza capitale”, nel medesimo senso può essere
interpretata la possibilità, contenuta all’art. 2464 c.c., di sostituzione dei conferimenti
mediante “la stipula, per un importo almeno corrispondente, di una polizza di assicurazione o
di una fideiussione bancaria con le caratteristiche determinate con decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri”.
Al di là del fatto che tale previsione sia, attualmente, “lettera morta”, in quanto non è ancora
stato emanato il D.C.P.M. relativo, è chiaro che il legislatore già ammetteva l’idea di s.r.l.
senza un capitale “reale” iniziale247, favorendo il finanziamento successivo da parte dei soci.
243
Si è già presentato l’excursus storico che ha portato i vari ordinamenti europei ad introdurre modelli di s.r.l. a
capitale marginale.
244
L’introduzione delle s.r.l. a capitale marginale non costituisce tuttavia l’unico intervento in tal senso. Come fa
notare F. BRIOLINI, Capitale sociale e metamorfosi della tutela dei creditori nel diritto societario più recente,
Banca, Borsa, Titoli di credito, fasc. 2, 2016, pag. 144, anche la diminuzione da 120.000 a 50.000 euro della
cifra del capitale minimo prescritto per la s.p.a. e la s.a.p.a., così come le deroghe agli artt. 2447 e 2482-ter c.c.
previste per le start-up innovative possono essere lette nel senso di una sempre più attenuata importanza del
capitale sociale.
245
A. DACCO’, La s.r.l.: struttura finanziaria, pag. 576, in AA.VV., op. cit., pag. 84.
246
Per un maggiore approfondimenti si rinvia a P. MENTI, Socio d’opera e conferimento del valore nella s.r.l.,
Giuffrè editore, 2006.
247
Si noti tuttavia che questa disposizione sembrerebbe andare a confermare la tesi secondo cui il capitale
sociale è prima di tutto fonte di garanzia per i creditori sociali. Infatti se venisse stipulata la polizza o la
fideiussione, di fatto la società non avrebbe disponibilità liquide nelle proprie casse per poter intraprendere
87
Questa stessa logica sarebbe alla base dell’introduzione delle s.r.l. a capitale marginale,
modelli che di fatto rinunciano a dotarsi di un capitale iniziale, senza tuttavia abbandonare il
modello di società di capitali. In linea teorica, infatti, stante l’assenza di una dotazione
patrimoniale iniziale di un certo rilievo, i soci dovranno, per garantire il successo della
società, effettuare necessariamente finanziamenti a favore della stessa248, oppure prestare
garanzie personali a favore dei creditori. Tutto ciò garantirebbe comunque una maggiore
responsabilità dei soci (e possibilmente anche dell’organo amministrativo, nel caso in cui
questo sia composto da soggetti appartenenti alla compagine sociale) nella conduzione
dell’impresa, di cui beneficerebbero anche i creditori sociali.
In contrasto con questo orientamento si potrebbe tuttavia affermare che in realtà la mano del
legislatore sia stata principalmente guidata dall’obiettivo di facilitare l’apertura di nuove
imprese attraverso i modelli di s.r.l. semplificata e (inizialmente) di s.r.l. a capitale ridotto.
Entrambe queste “varianti” furono dichiaratamente presentate come formule societarie di
“start-up”, facendo presumere che un capitale pari ad un euro fosse soltanto una condizione
temporanea e non permanente249. Ergo, in realtà il capitale sociale verrebbe ancora
considerato come una componente fondamentale nella vita di una società, in contrasto con la
tesi esposta poc’anzi. Inoltre vi è anche da rilevare il fatto che, originariamente, le s.r.l.
semplificate erano destinate ad un sottogruppo della popolazione considerato meno abbiente
(ossia i minori di 35 anni). Al di là del criterio discriminatorio utilizzato, non si può di certo in
questo caso sostenere che i soci possano finanziare autonomamente la società, se questa stessa
è destinata a soggetti dotati di scarse risorse finanziarie (a detta del legislatore). Le deroghe
alla disciplina del capitale furono quindi di fatto introdotte semplicemente per rendere meno
costoso l’avvio di un attività.
Perciò, sebbene in prima istanza la previsione di un capitale minimo “simbolico” (ossia 1
euro) possa apparire come la risposta ad un disegno di politica legislativa volta al
superamento del concetto e delle funzioni del capitale sociale, nella realtà tale obiettivo non
può ancora dirsi raggiunto250.
l’attività sociale. Ergo, il capitale non sarebbe utile per garantire una migliore produttività, ma servirebbe
soltanto a garantire la consistenza patrimoniale della società in caso di insolvenza della stessa.
248
Secondo M. RESCIGNO, La società a responsabilità limitata a capitale ridotto e semplificata, Nuove Leggi
Civ. Comm., 2013, 1, le s.r.l. a capitale marginale “si candidano ad essere il «regno» dell’applicazione dell’art.
2467 c.c.”, ossia quello contenente la disciplina dei finanziamenti dei soci. Per un maggiore approfondimento sul
tema si rinvia a M. MAUGERI, Sottocapitalizzazione della s.r.l. e “ragionevolezza” del finanziamento soci,
Banca, Borsa, Titoli di credito, fasc. 2, 2016, pag. 169.
249
Sebbene queste sembrano essere state le intenzioni originarie del legislatore, lo stesso in realtà non ha
introdotto alcun limite all’utilizzo di questi modelli.
250
M. NASTRI, Lineamenti comuni alle fattispecie trattate, pag.30, in AA.VV., Il capitale sociale e le
operazioni straordinarie, IPSOA, 2012.
88
Le modifiche apportate alla disciplina della s.r.l. in tema di capitale infatti sono prettamente di
tipo quantitativo, poiché è stato mantenuto invariato il sistema di manutenzione e tutele al
capitale stesso, come nel caso di aumento e di riduzione251.
Come conseguenza, tra le varie funzioni che sono state riconosciute al capitale, solo una
(ossia la funzione c.d. “organizzativa”, con la quale si considera il capitale come un
misuratore di diritti o poteri dei soci) non sembra essere stata toccata dalle ultime
modifiche252.
Invero, l’assenza di nessun tipo di contrappeso normativo volto a compensare il
ridimensionamento del capitale sociale (ad eccezione della previsione di una riserva legale “a
formazione accelerata”) porta ad un offuscamento delle altre funzioni del capitale253.
Si ritiene perciò che, alla luce delle considerazioni appena esposte, nel nostro ordinamento
non sia ancora stata del tutto superata la disciplina del capitale sociale. Il semplice fatto di
fissare ad un euro l’ammontare minimo del capitale sociale non è di per sé motivo sufficiente
per ritenere sorpassata l’importanza assegnata al capitale sociale nel nostro ordinamento.
Di conseguenza è opportuno sottolineare che la società a responsabilità limitata a capitale
marginale in generale non può essere definita come una società di capitali senza capitale
sociale, per quanto questo possa essere irrisorio, nel caso in cui venga conferito solo un euro.
Quindi il capitale continua a mantenere la sua funzione di strumento di composizione dei
contrapposti interessi dei soci e dei creditori sociali.
Certo è che, quanto più il capitale viene fissato ad un livello vicino al minimo legale, tanto
maggiore è il rischio che debbano attivarsi immediatamente le regole a tutela del credito, che
il legislatore non si è preoccupato di sospendere, a differenza di quanto previsto in altri istituti
(come ad esempio nell’art. 182 sexies, l. fall., in riferimento alle società di capitali che
intendano accedere al concordato preventivo o ad accordi di ristrutturazione dei debiti).
Da ciò si deduce il fatto che nelle s.r.l. a capitale marginale operino le tradizionali
disposizioni generali previste in tema di operazioni sul capitale, rendendo però necessario
adattare l’istituto ai nuovi modelli di società a responsabilità limitata.
3.2. Le operazioni sul capitale sociale
La previsione di poter costituire s.r.l. con un euro di capitale ha, di fatto, abbassato il tetto
minimo legale all’unità della moneta comune europea. Queste nuove regole in tema di
251
Ibidem.
F. BRIOLINI, op. cit., pag. 87.
253
Ibidem. Ci si riferisce ovviamente alla funzione produttivistica e alla funzione di garanzia svolta dal capitale
sociale.
252
89
ammontare del capitale sociale, previste agli art. 2463 e 2463-bis c.c., si ripercuotono anche
sulla disciplina di aumento e riduzione del capitale.
In questa sede si cercherà quindi di risolvere le maggiori criticità relative al coordinamento tra
le nuove regole recentemente introdotte e la disciplina generale del capitale sociale.
In particolar modo, i nodi essenziali da sciogliere riguardano:
1.
il regime dei conferimenti in caso di aumento di capitale a pagamento, previsto all’art.
2481-bis;
2.
l’evoluzione di una s.r.l. semplificata in una s.r.l. ordinaria a ridotta capitalizzazione, il
“passaggio” da questi due modelli ad una s.r.l. con più di 10.000 euro di capitale
sociale e più in generale l’evoluzione “progressiva” da e verso una s.r.l. a capitale
marginale;
3.
la disciplina della riduzione del capitale per perdite;
4.
l’evoluzione “regressiva” di una s.r.l. con “ordinaria” capitalizzazione (ma anche di
una s.p.a. e una s.a.p.a.) in una s.r.l. a capitale marginale (sia ordinaria che anche
semplificata).
3.2.1. L’aumento di capitale “a pagamento” in una s.r.l. a capitale marginale
Per la s.r.l. semplificata, il legislatore non ha previsto una disciplina speciale in tema di
aumento del capitale, sia gratuito che a pagamento, e perciò la regolamentazione dell’istituto
deve essere ricostruita in via interpretativa, considerando la compatibilità delle norme dettate
per le s.r.l. ordinarie con la disciplina propria del modello semplificato. Per le s.r.l. ordinarie a
capitale marginale, invece, la disciplina è la stessa già prevista all’interno del codice civile,
seppur con i necessari aggiustamenti, non essendovi il filtro della “compatibilità”.
Le norme a cui fare riferimento sono rappresentate dagli artt. 2481, 2481-bis e 2481-ter.
Il primo di questi articoli stabilisce, al primo comma, che “l’atto costitutivo può attribuire
agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale sociale […]”. Tale facoltà non è
esercitabile in una s.r.l. semplificata, stante l’inderogabilità dell’atto costitutivo. Di
conseguenza soltanto i soci potranno deliberare un aumento del capitale sociale, trattandosi di
una modificazione statutaria, e quindi rientrante nelle competenze riservate ai soci.
Il secondo comma dell’art. 2481 c.c. invece prevede che “la decisione di aumentare il
capitale sociale non può essere attuata fin quando i conferimenti precedentemente dovuti non
sono stati integralmente liberati”. Ovviamente in una s.r.l.s. (ma anche in una s.r.l. ordinaria a
90
capitale marginale) tale vincolo è sempre rispettato, grazie alla presenza dell’obbligo di
integrale versamento dei conferimenti in sede di costituzione.
Si può affermare quindi che l’art. 2481 c.c., per quanto compatibile, sia di per sé superfluo in
una s.r.l. semplificata, poiché il primo comma è inattuabile, mentre il secondo è sempre
rispettato. Invece nel caso di una s.r.l. ordinaria con ridotta capitalizzazione, caratterizzata
anch’essa dal rispetto del secondo comma, l’atto costitutivo di questo modello può
effettivamente prevedere la facoltà degli amministratori di aumentare il capitale sociale.
Proseguendo con l’analisi della disciplina delle operazioni sul capitale, l’art. 2481-bis
(riguardante l’aumento di capitale mediante nuovi conferimenti, ossia a pagamento254)
stabilisce, al primo comma, innanzitutto il diritto dei soci di sottoscrivere il capitale “in
proporzione delle partecipazioni da essi possedute”, e che l’atto costitutivo può prevedere
che l’aumento possa avvenire anche attraverso “offerta di quote di nuova emissione a terzi”.
La norma non trova particolari difficoltà applicative, sennonché la possibilità di offrire quote
di partecipazione a terzi, come già detto precedentemente, non è attuabile in una s.r.l.
semplificata. Perciò soltanto i soci potranno partecipare all’aumento del capitale sociale, non
essendo possibile l’ingresso da parte di soggetti terzi in società attraverso questa
operazione255.
Neppur il secondo ed il terzo comma, riferiti, rispettivamente, alla previsione di un eventuale
sovrapprezzo e all’aumento c.d. scindibile256, presentano criticità in fase attuativa.
La disposizione che presenta le maggiori criticità è quella contenuta nel quarto comma, il
quale prevede che “[…] i sottoscrittori dell’aumento del capitale devono, all’atto della
sottoscrizione, versare alla società almeno il venticinque per cento della parte di capitale
sottoscritta e, se previsto, l’intero sovrapprezzo. Per i conferimenti di beni in natura o di
crediti si applica quanto disposto dal quinto comma dell’art. 2464”.
Il problema che si presenta, per ciò che concerne le s.r.l. con capitale inferiore ai 10.000 euro,
riguarda quale sia il regime dei conferimenti in sede di aumento di capitale a pagamento. Si
tratta infatti di valutare se sia possibile versare soltanto il venticinque percento del capitale
sottoscritto e se sia altresì possibile eseguire conferimenti in natura o di crediti.
Infatti sia l’art. 2463-bis che l’art. 2463 c.c. dispongono che, in caso di s.r.l. a capitale
marginale257, i conferimenti debbano essere effettuati in denaro e debbano essere
254
Questo tipo di aumento è anche detto “reale”, poiché in questo caso vi è un effettivo incremento dell’attivo
patrimoniale (A. DACCO’, La s.r.l.: la struttura finanziaria, pag. 579, in AA.VV., Diritto commerciale –
Volume II, a cura di M. CIAN, Giappichelli Editore, 2014).
255
Nelle s.r.l. ordinarie a ridotta capitalizzazione invece tale possibilità è ovviamente ammessa.
256
Ossia un aumento del capitale di un importo pari alle sottoscrizioni raccolte, se la deliberazione di aumento lo
abbia espressamente previsto.
91
integralmente versati al momento della sottoscrizione. Il problema da affrontare è relativo al
fatto se questa disposizione debba essere rispettata solo in sede di costituzione oppure se sia
operante anche in sede di aumento del capitale.
A tal proposito occorre rilevare che la disciplina dei conferimenti eseguiti in caso di un
aumento del capitale è modellata su quella prevista per i conferimenti in sede di costituzione,
stante il richiamo all’art. 2464 c.c.
Di conseguenza, se la normativa di riferimento da applicare è quella già prevista per la
costituzione di una società, si dovrebbe dedurre che, in caso di s.r.l. a ridotta capitalizzazione,
le disposizioni da applicare siano quelle contenute negli art. 2463 e 2463-bis c.c., in quanto
rappresentanti una disciplina speciale in tema di conferimenti.
In queste società l’esclusività del versamento in denaro deriverebbe da una maggior idoneità
di tale bene a garantire l’effettiva capitalizzazione della società. Il denaro infatti, essendo un
bene fungibile, oltre a garantire lo svolgimento dell’attività imprenditoriale, non presenta il
rischio derivante da una perdita di valore per circostanze successivamente sopravvenute (quali
ad es. il deperimento del bene in natura o l’inadempimento del credito). La norma in
questione sarebbe quindi stata prevista non tanto per tutelare interessi endosocietari, quanto
invece a tutela dei creditori258 per avere una maggior garanzia dell’effettività del capitale, per
quanto questo possa essere esiguo. Queste esigenze quindi devono essere rispettate non solo
in sede di costituzione, ma anche in caso di aumento del capitale.
Inoltre dalla lettura dell’art. 2463 c.c., non emerge alcuna distinzione, in tema di conferimenti,
fra la fase genetica ed operazioni successive, ma si stabilisce soltanto che, qualora la società
abbia un capitale al di sotto dei 10.000 euro, i conferimenti debbano farsi in denaro ed essere
integralmente versati. Le medesime regole quindi dovranno essere rispettate anche in sede di
aumento di capitale259.
257
Il problema è comune ad entrambi i modelli di società a capitale marginale, in quanto la disciplina dei
conferimenti è sostanzialmente la stessa.
258
BOGGIALI-RUOTOLO, Le nuove s.r.l., in http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2013-1216/studio-nuove-srl-notariato-221538.shtml?uuid=ABFdcTk.
259
A sostegno di questa tesi BOGGIALI-RUOTOLO, ibidem. Di diverso avviso è invece M.S. SPOLIDORO,
Una società a responsabilità limitata da tre soldi (o da un euro?), Rivista delle società, fasc. 6, 2013, pag. 1085.
Infatti secondo l’ Autore “è peraltro da escludere che per le s.r.l. tradizionali costituite con meno di diecimila
euro di capitale si possa presentare il dubbio circa la possibilità di aumentare il capitale tramite versamenti
parziali ovvero mediante conferimenti in natura […]. Infatti alle s.r.l. tradizionali costituite con capitale sociale
compreso tra un euro e 9.999,99 euro si applicano tutte le disposizione dettate per le s.r.l. tradizionali […]”. La
tesi tuttavia non appare condivisibile, per i motivi esposti sopra. A sostegno di quest’ultimo orientamento è
anche L. SALAMONE, Funzione del capitale e funzionamento del netto nella società a responsabilità limitata,
oggi, Banca, Borsa, Titoli di credito, Fasc. 1, 2016, pag. 14, il quale ritiene che l’art. 2463 e l’art. 2463-bis
riguardano la costituzione e non le modifiche dell’atto costitutivo, fra cui rientrano le operazioni di aumento.
92
Inoltre, se non valessero in sede di sottoscrizione dell’aumento di capitale le medesime regole
previste in sede di costituzione, queste ultime potrebbero essere facilmente aggirate e perciò
le stesse si dovranno ritenere applicabili anche in sede di aumento260.
Per le s.r.l.s., tuttavia, l’art. 2463-bis c.c., al secondo comma, n. 3), fa esplicitamente
riferimento alla fase costitutiva della società, il che potrebbe portare a concludere che in sede
di aumento sarebbe possibile osservare le disposizioni contenute all’art. 2464 c.c., ossia si
apra la possibilità di conferimenti di beni in natura o crediti e versamenti del 25% in caso di
apporti in denaro.
A favore di questa tesi, si potrebbe sostenere che la ratio dell’art. 2463-bis deve essere
individuata nella volontà di semplificare il più possibile il processo di costituzione. Infatti,
escludendo i beni in natura od i crediti dal novero delle entità conferibili, si elimina anche il
procedimento di stima dei medesimi (secondo l’iter previsto all’art. 2465 c.c.), il quale può
richiedere molto tempo e rallentare l’avviamento della società261. Ergo, se questo fosse il reale
obiettivo perseguito dal legislatore, si potrebbe affermare che, poiché tali esigenze vengono
meno in sede di aumento, sia possibile applicare le disposizioni generali della s.r.l. anche per
la forma semplificata262.
A sostegno di questa tesi, si può affermare che la disciplina dei conferimenti, in una s.r.l.
semplificata, non possa essere applicata al di là della fattispecie per la quale è stata
espressamente dettata263.
Infine, un’altra motivazione rilevante per ritenere che in sede di aumento debba applicarsi
l’art. 2464 c.c., anziché l’art. 2463-bis riguarda quanto previsto al quarto comma dell’ultimo
articolo citato, ove è previsto che negli atti e nella corrispondenza della s.r.l.s. debba essere
indicato l’ammontare del capitale sottoscritto e versato. Tale norma, infatti, non avrebbe senso
se valesse l’obbligo di effettuare e liberare immediatamente tutti i conferimenti in denaro in
sede di aumento264.
Tuttavia questa tesi non è condivisibile. Infatti la s.r.l. semplificata presenta le medesime
esigenze in tema di effettività del capitale sociale caratterizzanti la s.r.l. ordinaria a capitale
260
F. MAGLIULO, Le operazioni straordinarie nelle nuove fattispecie codicistiche di srl, Il nuovo diritto della
società, 2013, fasc. 9, pag. 69-114.
261
Di questa opinione BUSANI-BUSI, La s.r.l. semplificata (s.r.l.s.) e a capitale ridotto (s.r.l.c.r.), Soc., 2012,
12, 1305.
262
Infatti, secondo Assonime, Circolare n° 29/2012 del 30 ottobre 2012 “il divieto di conferimenti in natura è
una regola immanente alle nuove figure societarie e ne dovrebbe derivare che tale divieto valga anche in sede di
aumento di capitale. Se però, la ratio dell’obbligo di conferimenti in natura va rinvenuta nelle esigenze di
semplificazione della fattispecie costitutiva[…], in un momento successivo alla costituzione queste esigenze
potrebbero essere venute meno e conseguentemente anche il divieto di conferimento in natura”.
263
C.A. BUSI, La nuova s.r.l. semplificata, Società e contratti, 12, 2013, 6 e BUSANI, La nuova società a
responsabilità semplificata e la nuova s.r.l. con capitale inferiore a 10mila euro, Società, 2013, 10, 1068.
264
C.A. BUSI, ibidem.
93
marginale. Ergo, la disciplina dei conferimenti prevista dall’art. 2463-bis c.c. sicuramente può
derivare anche da una logica di ulteriore semplificazione del procedimento costitutivo, ma se
questa fosse l’unica ragione, allora il medesimo obbligo non sarebbe stato previsto per le s.r.l.
ordinarie a capitale marginale, per le quali non sono previste agevolazioni in sede di
costituzione.
Si deduce perciò che la regola dei conferimenti sia stata introdotta prima di tutto per garantire
l’apporto di entità fungibili e certe nel loro valore ed ammontare. Queste stesse esigenze
devono perciò essere rispettate anche in sede di aumento del capitale a pagamento265.
Quindi, sia per le s.r.l.s., che per le s.r.l. ordinarie, si ritiene necessario il rispetto tanto della
regola di esclusività del conferimento in denaro, tanto quella dell’integrale versamento dello
stesso266.
Tuttavia è necessario sottolineare che gli obblighi in materia di conferimenti appena esposti
devono essere rispettati solo se, all’esito dell’operazione di aumento di capitale, la società
risultasse ancora a capitalizzazione ridotta, ossia se in seguito a nuovi conferimenti il capitale
rimanesse al di sotto della soglia dei 10.000 euro267.
Qualora infatti l’operazione di aumento si concludesse con un capitale dal valore nominale
pari o superiore a 10.000 euro, gli obblighi da rispettare risultano invero diversi.
Per ciò che concerne la s.r.l. ordinaria, si può ritenere applicabile integralmente l’art. 2464
c.c., in quanto le cautele imposte dall’art. 2463, al quarto comma, in tema di conferimenti,
non sarebbero più necessarie nel momento in cui la società risultasse essere “a piena
capitalizzazione”, ben potendosi, in questo caso applicare il regime vigente per le s.r.l.
ordinarie.
I soci potranno quindi, in sede di costituzione o di successive modificazioni statutarie, inserire
una clausola nell’atto costitutivo che preveda la facoltà di conferimenti diversi dal denaro,
265
BOGGIALI-RUOTOLO, op. cit., pag. 92 e F. MAGLIULO, op. cit., pag. 93. Di diverso parere M. S.
SPOLIDORO, op. cit. pag. 92, il quale ritiene che dopo la costituzione, la disciplina delle s.r.l.s. sia la medesima
delle s.r.l. tradizionali. Perciò ammettendo conferimenti diversi dal denaro delle s.r.l. ordinarie a capitale
marginale, lo stesso dovrebbe valere anche per il modello semplificato.
266
A sostegno di questa tesi BOGGIALI-RUOTOLO, op. cit., pag. 92, e F. MAGLIULO, op. cit., pag. 93. Di
diverso avviso, oltre agli Autori già citati, è anche la Massima n. 130 del Consiglio Notarile di Milano, intitolata
“Ambito di applicazione dell’obbligo di integrale versamento dei conferimenti in denaro e del divieto di
conferimenti diversi dal denaro, nella s.r.l. semplificata e nella s.r.l. a capitale ridotto”. Si sostiene infatti che
“L'obbligo di integrale versamento dei conferimenti in denaro e il divieto di conferimenti diversi dal denaro si
applicano in tutti i casi di costituzione sia di s.r.l. semplificate che di s.r.l. a capitale ridotto. Tale obbligo e tale
divieto, tuttavia, non si applicano ai conferimenti da eseguire in sede di aumento di capitale di s.r.l. semplificate
o s.r.l. a capitale ridotto, nemmeno nelle ipotesi in cui il capitale non venga aumentato a un importo pari o
superiore a euro 10.000 e la società mantenga la forma di s.r.l. semplificata o s.r.l. a capitale ridotto.
Le operazioni di aumento di capitale in tali sotto-tipi di s.r.l., pertanto, sono interamente disciplinate dalle
norme dettate per la s.r.l. "ordinaria"”. Le motivazioni sottostanti questa conclusione sono le medesime esposte
nel testo, ma tuttavia non appaiono pienamente convincenti.
267
BOGGIALI-RUOTOLO, op. cit., pag. 92.
94
qualora il capitale raggiunga la soglia “tradizionale” in seguito al versamento dei nuovi
conferimenti, e potranno versare il 25% degli apporti in denaro.
Nelle s.r.l. semplificate, invece, le possibilità offerte ai soci risultano essere parzialmente
diverse. In tale contesto infatti, i soci non potranno inserire una clausola nell’atto costitutivo
che preveda la facoltà di ricomprendere nelle entità conferibili beni in natura o crediti, stante
l’inderogabilità dell’atto268. Perciò anche in sede di aumento i conferimenti dovranno essere
eseguiti in denaro. Si apre tuttavia la possibilità di conferire il 25% degli stessi, in quanto la
società non sarà più soggetta al rispetto dei vincoli dell’art. 2463-bis.
Nelle s.r.l. semplificate sarà inoltre necessario un ulteriore adempimento. In sede di aumento
di capitale, in seguito al quale lo stesso risulti pari o superiore ai 10.000 euro, i soci dovranno
anche deliberare la modifica della denominazione sociale. Infatti, qualora il capitale avesse un
valore nominale pari o superiore all’importo sovra indicato, la società non potrà più essere
qualificata come “semplificata”, poiché verrebbe meno uno dei requisiti imposti dalla legge
all’art. 2463-bis (ossia verrebbe violato il “tetto massimo” previsto per il capitale di questo
modello).
Nel caso in cui non si procedesse alla modificazione della denominazione sociale in sede di
aumento di capitale, si dovrà applicare l’art. 2436 c.c., terzo comma, ai sensi del quale “se il
notaio (che ha redatto il verbale assembleare) ritiene non adempiute le condizioni stabilite
dalla legge, ne dà comunicazione tempestivamente […] agli amministratori”. Quest’ultimi
possono, nei trenta giorni successivi, “convocare l’assemblea per gli opportuni provvedimenti
oppure ricorrere al tribunale per il provvedimento di cui ai successivi commi; in mancanza la
deliberazione è definitivamente inefficace”. Di conseguenza, non si potrà procedere
all’aumento di capitale in questione fino a quando non sarà deliberata anche la modifica della
denominazione della società.
3.2.2. L’evoluzione “progressiva”
Come già sottolineato nei precedenti capitoli, dopo aver superato i dubbi circa la questione se
la s.r.l.s. (ed in passato la s.r.l.c.r.) sia un tipo autonomo o sub-modello del tipo generale s.r.l.,
permane comunque il dubbio circa i rapporti fra i diversi modelli di s.r.l., in particolar modo
se e quando sia consentito il passaggio dall’una all’altra forma durante tutto l’arco di vita
della società.
268
Viene però fatta salva la possibilità di modificare la denominazione sociale della s.r.l. prima dell’aumento di
capitale. In questo modo la società perderà la qualifica di “semplificata” e potrà perciò inserire nell’atto
costitutivo le clausole riguardanti conferimenti diversi dal denaro.
95
In questa sede, ci si vuole in particolar modo soffermare sulla relazione esistente fra s.r.l.s. e
la s.r.l. ordinaria a capitale marginale.
La questione da risolvere infatti è se sia possibile il passaggio, stante un capitale sociale
inferiore ai 9.999,99 euro, tra una s.r.l. semplificata ed una ordinaria a capitale marginale, e
viceversa269.
Riprendendo quanto già detto precedentemente, le differenze sostanziali fra le due risiedono
nella standardizzazione dell’atto costitutivo, da cui deriva una struttura organizzativa più
elementare per la s.r.l. semplificata e l’esenzione di alcuni costi di costituzione.
Sulla base delle intenzioni del legislatore, il quale ha introdotto siffatti modelli come sottotipi
di “entrata” e non di “destinazione”270, si può ritenere che gli stessi possano evolvere solo in
senso “progressivo”, ossia, nel nostro caso, sia possibile solo un passaggio da una
semplificata ad una ordinaria, mentre rimarrebbe preclusa la possibilità inversa. Questo
orientamento appare condivisibile, soprattutto in considerazione delle caratteristiche
marcatamente di start up associate alla semplificata, modello perciò che può essere
considerato inutilizzabile per attività imprenditoriali iniziate in altre forme societarie271.
Oltretutto, al di là del tenore letterale della norma, appare anche priva di logica un’operazione
di questo genere, in quanto i benefici ottenibili attraverso il rispetto del modello standard di
atto costitutivo sono rinvenibili soltanto in sede di costituzione, e non durante le fasi
successive. Di conseguenza avrebbe poco senso che i soci decidessero di autolimitare la
propria autonomia negoziale durante l’esercizio dell’attività sociale, avendo comunque avuto
269
Originariamente la questione fu posta in relazione al “passaggio” da una s.r.l.s. ad una s.r.l. a capitale ridotto.
Con la soppressione della seconda e l’introduzione della s.r.l. ordinaria a capitale ridotto (la quale rappresenta, di
fatto, il medesimo modello), il focus ovviamente riguarda il rapporto tra società semplificata e la s.r.l. ordinaria.
270
BUSANI-BUSI, op. cit., pag. 93.
271
In questo senso NARDONE-RUOTOLO, Società a responsabilità limitata semplificata. Questioni
applicative, in CNN Notizie, 5 novembre 2012, secondo i quali la s.r.l.s. “sarebbe una variante della s.r.l.
ordinaria destinata ad operare solo nella fase di start up dell’impresa e che non sembra, quindi, poter
rappresentare modello di approdo all’esito della trasformazione di una società già esistente”. Della medesima
opinione è la dottrina prevalente (fra cui ad esempio M.S. SPOLIDORO, op. cit., pag. 92 e M. CIAN, S.r.l.,
s.r.l. semplificata, s.r.l. a capitale ridotto. Una nuova geometria del sistema o un sistema disarticolato?, Riv.
Soc., 2012, 6, 1101 ). Si vuole sottolineare tuttavia che, sebbene la disciplina della s.r.l.s. riguardi effettivamente
solo la fase genetica della società, poiché nulla è stato esplicitamente previsto per le fasi successive, il rispetto
del modello standard di atto costitutivo va ad influenzare il funzionamento della società stessa fino al permanere
della denominazione “semplificata”, la quale, come si è visto, può essere a tempo indeterminato. Perciò, in linea
generale, si può affermare che la disciplina della s.r.l. semplificata non caratterizza solo la costituzione della
stessa, ma anche il concreto svolgimento dell’attività sociale, stante l’inderogabilità dell’atto costitutivo,
requisito assente invece in una s.r.l. ordinaria. Di avviso contrario è invece la Massima n.132 del Consiglio
Notarile di Milano, la quale sostiene che “Si reputa altresì ammissibile l'adozione di modificazioni statutarie che
comportino il passaggio da un sotto-tipo all'altro (da s.r.l. semplificata a s.r.l. a capitale ridotto e vice versa) o
il passaggio da uno di tali sotto-tipi alla forma giuridica della s.r.l. "ordinaria" ovvero ancora il passaggio
inverso, da s.r.l. "ordinaria" a uno di tali sotto-tipi. A tal fine è necessario che: (i) l'atto costitutivo (o lo statuto,
ove sussistente) risultante da siffatte modificazioni sia conforme alla disciplina del modello di destinazione ; (ii)
siano rispettati i requisiti soggettivi dei soci, richiesti dalla legge in sede di costituzione del modello di
destinazione”. La Massima fa riferimento alla s.r.l.c.r., in quanto è stata elaborata prima del D.L. 76/13, ma ciò
non va ad inficiare il concetto espresso.
96
accesso alla possibilità di dotarsi di un capitale sociale marginale, e non potendo più ottenere i
risparmi di costo tipici della semplificata. Ovviamente i soci sono liberi, in qualunque
momento, di modificare l’atto costitutivo adottando il modello standard previsto dal D.M.
138/12, ma questa adozione non implica l’acquisizione della denominazione “semplificata” e
non vi sarà l’obbligo del rispetto della disciplina propria delle s.r.l.s.
È da rilevarsi, tuttavia, che, sebbene la ratio della disciplina delle s.r.l. semplificate e le
intenzioni dichiarate dal legislatore portino ad escludere un possibile utilizzo di tale modello,
nella realtà non esistono limiti legali che vietino il “passaggio” da una s.r.l. ordinaria ad una
semplificata. Si ribadisce la mancanza di logicità di siffatta operazione, ma per i motivi
sovraesposti, si comprende come sia possibile sostenere l’ammissibilità della stessa.
Nessun limite invece viene posto all’adozione della s.r.l. ordinaria a capitale marginale, la
quale può essere utilizzata anche successivamente alla costituzione della società. Quindi,
riferendosi momentaneamente al solo caso delle s.r.l. a capitale marginale, la transitabilità
verso questa forma è lecita e richiede semplicemente una modificazione della denominazione
sociale, attraverso delibera assembleare, ed il maggior effetto derivante da tale mutamento
risiede nella rimozione del vincolo di inderogabilità dell’atto costitutivo standardizzato.
L’operazione in esame si deve ritenere necessaria quando l’assemblea proceda ad introdurre
nell’atto costitutivo clausole difformi rispetto a quelle previste dal modello standard272.
A tal proposito occorre tuttavia rilevare che dal dettato normativo non emerge, né
esplicitamente, né implicitamente, alcun limite temporale all’utilizzo di queste due figure a
capitale marginale, non essendo infatti obbligata un’evoluzione verso modelli più progrediti.
Quindi, più generalmente, l’evoluzione “progressiva” non incontra particolari ostacoli, né per
la società ordinaria né per la società semplificata273. Per evoluzione “progressiva” si vuole
indicare sia il passaggio da una s.r.l.s. ad una ordinaria a capitale marginale, sia il passaggio
da una di queste due “varianti” ad una s.r.l. tradizionale. A tal proposito, neppure la
trasformazione verso tipi societari più evoluti (come la s.p.a.) trova difficoltà né per la s.r.l.
ordinaria né tantomeno per la s.r.l. semplificata.
272
M. CIAN, op. cit., pag. 96. Si noti che tale modificazione dell’atto costitutivo deve essere necessariamente
accompagnata da una modifica della denominazione sociale, altrimenti la delibera dovrebbe reputarsi nulla per
illiceità dell’oggetto. Del medesimo parere è anche la Massima R.A.4 del Comitato triveneto dei notai, la quale
afferma che “stante la tipicità di tale modello societario, avente una specifica disciplina normativa
incompatibile con altri tipi o modelli societari, è infatti da ritenere che non possano sussistere atti o fatti idonei
a produrre implicitamente il suo mutamento (si pensi all’adozione di delibere incompatibili con la disciplina
legale della s.r.l.s., quali la nomina di un amministratore non socio o l’approvazione di uno statuto diverso da
quello tipizzato; al compimento del trentacinquesimo anno di età da parte dei soci; al trasferimento mortis
causa delle quote a soggetti non aventi i requisiti previsti dal comma 1 dell’art. 2463-bis c.c., ecc.)”.
273
M. CIAN, Le società di capitali (a r.l.) “quasi a-capitalizzate”: spunti per una ricostruzione sistematica e
della disciplina, Nuove Leggi Civ. Comm., 2014, 4.
97
3.2.2.1. Le trasformazioni in s.r.l. a capitale marginale e le fusioni
Rimane infine da verificare se sia possibile, per una società di persone, evolvere in una s.r.l. a
capitale marginale. Per poter esaminare tale fattispecie, si deve necessariamente fare
riferimento alla disciplina generale della “trasformazione omogenea” (con tale espressione si
indica generalmente il cambiamento del tipo di società; in questa sede ci si concentrerà sul
passaggio da una società di persone ad una s.r.l. a capitale marginale, ossia sulle
trasformazioni c.d. “progressive”).
Tale disciplina è contenuta negli artt. 2500-ter e seguenti del codice civile. Si tratta in questa
sede di comprendere se tale regolamentazione permetta un’evoluzione verso un modello a
capitale marginale, o se la forma di destinazione debba necessariamente essere una s.r.l.
tradizionale.
Ammettendo la possibilità di utilizzare il modello della s.r.l. ordinaria “ad un euro” anche
nelle fasi successive alla costituzione, in assenza di un esplicito divieto in tal senso 274, è
necessario verificare la compatibilità delle norme regolatrici del procedimento di
trasformazione con la disciplina del modello in esame.
La disposizione di maggior rilievo in tal senso è quella contenuta al secondo comma dell’art.
2500-ter, ai sensi del quale “il capitale della società risultante dalla trasformazione deve
essere determinato sulla base dei valori attuali degli elementi dell’attivo e del passivo e deve
risultare da relazione di stima redatta a norma dell’art. 2343 o, nel caso di società a
responsabilità limitata, dell’articolo 2465”.
Come si evince dalla lettura della norma, il patrimonio della società di persone che si
trasforma è considerato come un unico conferimento in natura, tanto da dover essere
sottoposto alla valutazione di un esperto275. Tale procedimento deve essere eseguito anche nel
caso in cui il patrimonio della società sia costituito unicamente da denaro.
274
Si esclude che la s.r.l. semplificata possa costituire un modello di “destinazione” nel processo di
trasformazione. Questo non a causa della connotazione di start-up attribuita alla figura qui considerata (come
sostenuto da M. CIAN, op. cit., pag. 96 e BOGGIALI-RUOTOLO, op. cit., pag. 92), vista l’assenza di restrizioni
all’utilizzo di siffatto modello (come sostenuto da C.A. BUSI, op. cit., pag. 93), ma piuttosto perché si ritiene la
trasformazione in una s.r.l.s. un’operazione priva di logica. Infatti, nel caso in cui tale operazione abbia luogo, i
soci non potranno beneficare di alcun tipo di esenzione fiscale e notarile, concesse solo in sede di costituzione e
non all’esito di altre operazioni. Come fa tuttavia notare F. MAGLIULO, op. cit., pag. 93, il ricorso alla s.r.l.s.
potrebbe avere senso laddove i soci intendano evitare il futuro ingresso in società di persone giuridiche (l’Autore
sostiene anche che in tal modo i soci possano evitare l’applicazione della disciplina della riserva legale prevista
al quinto comma dell’art. 2463 c.c., poiché ritiene che tale norma non sussista nella s.r.l.s.; tuttavia, come verrà
esposto in seguito, tale tesi non viene qui sostenuta). È però opportuno sottolineare che i soci, qualora volessero
rispettare autonomamente le norme organizzative previste per la s.r.l.s. dal modello standard di atto costitutivo,
essi sarebbero comunque liberi di farlo, anche attraverso l’utilizzo di una s.r.l. ordinaria. Per questi motivi si
esclude dal novero dei modelli di destinazione la s.r.l. semplificata.
275
R. SANTAGATA, Le operazioni straordinarie, pag. 738, in AA.VV., op. cit., pag. 84.
98
Questo meccanismo previsto per il procedimento di trasformazione potrebbe però risultare
incompatibile con il divieto di conferimenti in natura, previsto per le s.r.l. a capitale
marginale276.
Tuttavia la disciplina dei conferimenti, agli artt. 2463 e 2463-bis, non prevede un divieto al
procedimento di stima (previsto in caso di apporti diversi dal denaro), ma la ratio della norma
risiede principalmente nella necessità di dotare la società di un patrimonio formato da un bene
che per definizione è liquido, ossia appunto il denaro.
Ergo, si può concludere che l’operazione in esame può ritenersi lecita, atteso che dalla stima
debba emergere la presenza, nel patrimonio della società, di denaro liquido, ed il capitale
sociale della società trasformata deve essere fissato in una somma non eccedente questa
liquidità277.
Qualora dalla relazione di stima emergesse che il patrimonio della trasformanda è costituito
esclusivamente da tipologie di beni diversi dal denaro, queste stesse entità non potranno
essere imputate a capitale278. In tal caso i soci dovranno effettuare nuovi conferimenti, ai quali
deve applicarsi la disciplina dettata per i conferimenti in sede di costituzione del tipo
societario prescelto (in questo caso la s.r.l. a capitale marginale). Soltanto quest’ultimi apporti
verranno imputati a capitale, mentre il valore del patrimonio netto risultante dalla relazione di
stima potrà essere imputato a riserva279.
Ergo, una società di persone che voglia evolvere verso una società a responsabilità limitata
potrà farlo, ma l’operazione richiederà necessariamente la relazione di stima280.
Medesimi principi e criteri si devono applicare in caso di trasformazioni c.d. “eterogenee”,
previste all’art. 2500-octies, concernente l’evoluzione di consorzi, società consortili,
comunioni d’azienda, associazioni riconosciute e fondazioni in società di capitali.
Per ciò che invece concerne le operazioni di fusione, l’istituto in questo caso risulta di più
difficile ricostruzione, ma è comunque possibile fare alcune considerazioni.
276
M. CIAN, op. cit., pag. 97.
M. CIAN, op. cit., pag. 96.
278
BOGGIALI-RUOTOLO, op. cit., pag. 92. Di diversa opinione è invece F. MAGLIULO, op. cit., pag. 93, il
quale ritiene invece che in caso di trasformazione, non potendosi parlare di conferimento in senso stretto, non sia
necessario il rispetto della analoga disciplina. Di tale opinione è anche M. CIAN, ibidem, il quale sostiene che i
conferimenti in denaro siano stati previsti non tanto per garantire l’effettività del capitale sociale, assicurata
anche nel caso di apporti diversi, grazie alla relazione di stima, quanto invece per semplificare il procedimento di
costituzione. Tuttavia, poiché il medesimo obbligo è previsto anche per le s.r.l. ordinarie, si ritiene che il denaro
sia richiesto per garantire l’immediata acquisizione e liquidità del conferimento, piuttosto che agevolare la
costituzione della società (poiché, se così fosse, la norma sarebbe stata prevista solo per le semplificate).
279
R. SANTAGATA, op. cit., pag. 98.
280
M. NASTRI, op. cit., pag. 88. Di questa opinione anche G. MARASA’, Considerazioni sulle nuove s.r.l.: s.r.l.
semplificate, s.r.l. ordinarie e start-up innovative prima e dopo la L. N. 99/2013 di conversione del D.L. n.
76/2013, Società, 2013, 1086, G. FERRI JR., Prime osservazioni in tema di società a responsabilità limitata a
capitale ridotto, Rivista del Diritto Commerciale, 2013, II, 135 ss e BUSI, La controriforma delle s.r.l. e le
operazioni straordinarie, Società e contratti, 2013, 9/2013, 25 ss e M. CIAN, op. cit., pag. 96.
277
99
Mentre si può affermare l’ammissibilità di incorporazione di una s.r.l. “da un euro” in un altro
tipo sociale, le maggior criticità caratterizzano le operazioni di fusioni che abbiano come
modello di destinazione una s.r.l. a capitale marginale.
In generale si può escludere l’ammissibilità di una fusione per incorporazione tra s.r.l.
tradizionali (ma anche s.p.a. o s.a.p.a.)
dalla quale risulti una s.r.l. semplificata, stante
l’impossibilità di avere, all’esito della fusione, un capitale sociale inferiore a 10.000 euro281.
Nel caso in cui l’operazione avesse per oggetto una fusione tra società di persone eseguita
mediante la costituzione di una nuova società (ossia la c.d. fusione in senso stretto, prevista al
primo comma dell’art. 2501 c.c.), ci si domanda se la nuova società possa essere una s.r.l.
semplificata o, più in generale, una s.r.l. a capitale marginale.
Non sembra escludibile la facoltà di adottare come modello per la nuova società la forma
ordinaria a capitale marginale, purché il capitale sociale sia inferiore ai 10.000 euro.
Per ciò che concerne la s.r.l. semplificata, occorre nuovamente sottolineare come il legislatore
non abbia esplicitamente introdotto limiti all’utilizzo di tale modello. Ergo, si può includere la
s.r.l.s. tra i modelli utilizzabili all’esito dell’operazione di fusione282. Tuttavia, nonostante la
legge indichi la facoltà di eseguire la fusione mediante “costituzione di una nuova società”
(disposizione che può portare a credere ad una costituzione ex novo di una società), è opinione
prevalente283 che la fusione costituisce una vicenda di natura meramente modificativa relativa
a società preesistenti. Per tale motivo, non potranno essere concesse le agevolazioni fiscali e
tributarie tipiche del modello semplificato.
L’art. 2501-sexies prevede infine, al settimo comma, la necessità di una relazione di stima “in
ipotesi di fusione di società di persone con società di capitali”. Nonostante il dato letterale
della norma suggerisca che tale relazione sia necessaria nel caso in cui una società di persone
si fondi con una società di capitali, è corretto ritenere che tale disposizione trovi applicazione
anche nel caso di fusioni in senso stretto alle quali partecipino esclusivamente società di
281
In M. CIAN, ibidem. Del medesimo parere anche BOGGIALI-RUOTOLO, op. cit., pag. 92.
Sebbene si ritenga difficile immaginare che i soci di una società di persone scelgano il modello semplificato
come “tipo” di destinazione, ma astrattamente non sembrano esserci ragioni contrarie a questo tipo di
operazione. Di questa opinione F. MAGLIULO, op. cit., pag. 93 e C.A. BUSI, op. cit., pag. 93; contra
BOGGIALI-RUOTOLO, op. cit., pag. 92, ove gli Autori, pur condividendo la tesi dell’impossibilità di avere,
all’esito della fusione, una s.r.l. semplificata, ritengono che “sembra ammissibile che la società a responsabilità
limitata con capitale inferiore ai 10.000 euro possa essere l’esito di operazioni di fusione e di scissione
(trasformative o meno)”. e M. CIAN, op. cit., pag. 96, ove l’Autore individua tuttavia l’impossibilità di compiere
operazioni di fusioni come sopra riportare a causa della natura di start-up delle s.r.l. semplificate, ritenendo però
che “una fusione tra più s.r.l. semplificate, che le integri in una nuova società ex art. 2463-bis c.c., è
probabilmente possibile”.
283
F. MAGLIULO, op. cit., pag. 93. Del medesimo pare anche C. SANTAGATA, Le fusioni, in AA.VV.,
Trattato delle società per azioni, Vol. 7, Utet, 2004, pag. 295. Per ampi riferimenti bibliografici e
giurisprudenziali sulla natura giuridica della fusione e della scissione si rinvia a F. MAGLIULO, La fusione
della società, IPSOA, 2005.
282
100
persone ove la società risultante sia una società di capitali284. Quindi, ammettendo la
trasformazione di una società di persone in una s.r.l. a capitale marginale, nonostante la
relazione di stima del patrimonio, per il medesimo motivo si può concludere che la società
risultante dalla fusione potrà essere una s.r.l. con capitale inferiore ai 10.000 euro.
3.2.3. Le riduzioni del capitale sociale in una s.r.l. a capitale marginale
Con l’introduzione delle disposizioni contenute nel quarto comma dell’art. 2463 c.c., il limite
minimo legale per il capitale sociale delle s.r.l. di fatto coincide con l’unità di euro. Infatti il
tradizionale importo minimo, fissato nella misura di 10.000 euro, opera semplicemente come
termine di riferimento per l’adozione di regole diverse relative alla disciplina dei conferimenti
e della riserva legale.
Inoltre, essendo i modelli a ridotta capitalizzazione utilizzabili a tempo indeterminato, in
assenza di regole che prevedano un passaggio obbligatorio della riserva legale (o di altre
riserve disponibili) a capitale o di norme che impongano un tempo massimo per raggiungere
la soglia dei 10.000 euro, si pone il problema dell’applicabilità della disciplina della riduzione
del capitale prevista dagli artt. 2482 e ss. alle s.r.l. a capitale marginale.
Infatti suddette regole sono state elaborate prendendo come punto di riferimento un valore del
capitale sociale nominale pari a quello tradizionalmente previsto all’art. 2463, secondo
comma, n. 4), del codice civile, ma ciò rende necessario adattare tali regole ai modelli qui
analizzati.
3.2.3.1. La riduzione volontaria del capitale sociale
La riduzione volontaria del capitale è un’operazione attraverso la quale il capitale sociale
viene ridotto con conseguente diminuzione anche del patrimonio netto della società285.
La disciplina della riduzione volontaria del capitale è contenuta nell’art. 2482 c.c. ai sensi del
quale è stabilito che “la riduzione del capitale sociale può avere luogo, nei limiti previsti dal
numero 4) dell’art. 2463, mediante rimborso ai soci delle quote pagate o mediante
liberazione di essi dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti”.
284
L. OLIVIERI, Le fattispecie di fusione e scissione richiedenti la relazione di stima, pag.317 in AA.VV., Il
capitale sociale e le operazioni straordinarie, IPSOA, 2012.
285
D. FICO, Le operazioni sul capitale sociale nella s.p.a. e nella s.r.l., GIUFFRE’ EDITORE, 2010, pag. 127.
La riduzione volontaria del capitale sociale è anche definita riduzione “reale” del capitale sociale, poiché tale
operazione comporta un effettivo impoverimento della società.
101
La legge non richiede la necessità di indicare nella delibera di modificazione le ragioni di tale
riduzione, le quali solitamente corrispondono ad un interesse dei soci a non mantenere
sottoposte alla rigida disciplina del capitale sociale risorse non necessarie per il
perseguimento dell’oggetto sociale286. In seguito a tale operazione il valore del capitale
sociale deve rimanere comunque pari o superiore al limite legale previsto per le s.r.l.
L’applicabilità di questa disposizione alle s.r.l. a capitale marginale risulta essere
problematica, a causa del mancato coordinamento dell’intera disciplina riguardante la
riduzione del capitale sociale con il nuovo regime del capitale minimo delle società a
responsabilità limitata.
Dalla lettura testuale della norma riguardante la riduzione volontaria del capitale sociale, il
limite indicato è infatti quello dei 10.000 euro, e non il minimo di 1 euro, stante l’assenza del
richiamo al quarto comma dell’art. 2463. Di conseguenza, l’applicazione pedissequa della
norma porterebbe ad escludere che le s.r.l. a capitale marginale possano ridurre
volontariamente il loro capitale, in quanto questo è, per definizione, inferiore ai 10.000 euro.
Appare tuttavia possibile una diversa interpretazione. Il riferimento all’importo indicato al n.
4) dell’art. 2463 c.c. può essere considerato come un generico richiamo all’importo minimo
legale previsto per le s.r.l. tradizionali. Tale importo corrisponde, in seguito al D.L. 76/13, a
un euro per tutte le società a responsabilità limitata, e ciò permette di concludere che l’art.
2482 c.c. consente la riduzione volontaria fino ad una soglia pari a un euro del capitale287.
Si potrebbe tuttavia obiettare a questa interpretazione sostenendo che la presenza di una
regola volta a favorire la patrimonializzazione delle s.r.l. “ad un euro” (ossia la nuova
disciplina della riserva legale) sia in contrasto con la previsione di una possibile riduzione
volontaria del capitale sociale288. Infatti se si considerassero le s.r.l. semplificate e ordinarie a
capitale ridotto come modello di avviamento, ed in quanto tali utilizzabili solo nella fase di
start-up, da cui deriverebbe una condizione di temporaneità nella esigua dotazione
patrimoniale, in questo senso non dovrebbero considerarsi lecite operazioni di riduzione
286
DACCO’, La s.r.l.: struttura finanziaria, pag. 580 in AA.VV., Diritto commerciale – Volume II, a cura di M.
CIAN, GIAPPICHELLI EDITORE, 2014.
287
BOGGIALI-RUOTOLO, op. cit., pag. 92. In questo senso è anche BUSANI, La nuova società a
responsabilità semplificata e la nuova s.r.l. con capitale inferiore ai 10mila euro, Società, 2013, 10, 1068 e F.
MAGLIULO, op. cit., pag. 93. È possibile giungere a questa conclusione se si considera come limite minimo del
capitale sociale l’importo di un euro anziché di 10.000 euro. Tale assunzione però può presentare alcune
perplessità, che verranno affrontate più avanti nel corso del presente capitolo.
288
In questo senso BUSI, La controriforma delle s.r.l. e le operazioni straordinarie, Società e contratti, 2013,
9/2013, 25 ss., secondo il quale non sarebbe infatti ammissibile un’operazione di questo tipo poiché andrebbe “a
contraddire lo spirito del legislatore che a fronte di una agevolazione di start up, consistente nel consentire la
nascita della società senza esborso iniziale significativo di denaro impone poi una marcia forzata per
raggiungere comunque una patrimonializzazione pari a 10.000 euro”. Del medesimo parere G. PORTALE, La
parabola del capitale sociale nella s.r.l. (dall’”import ancia cuasi-sacramental” al ruolo di “ferro vecchio”?),
Rivista delle società, fasc. 5, 2015, pag. 815, il quale esclude categoricamente la possibilità di riduzioni
volontarie del capitale sociale nelle s.r.l. a capitale marginale e M.S. SPOLIDORO, op. cit., pag. 92.
102
volontaria del capitale sociale, in quanto rallenterebbero la patrimonializzazione della società,
in netto contrasto con la disciplina contenuta al quinto comma dell’art. 2463 c.c.
Pur essendo questa interpretazione coerente con le intenzioni del legislatore, il quale è
intervenuto principalmente per agevolare l’apertura di nuove imprese, non è ravvisabile alcun
divieto esplicito di diminuzione reale del capitale sociale. Questa operazione infatti non si
pone in contrasto con la disciplina della riserva legale a “formazione accelerata” ed inoltre,
come più volte ribadito, non essendoci alcuna “data di scadenza” relativa all’utilizzo dei
modelli a capitale marginale, non è possibile desumere un divieto di applicazione delle
disposizioni dell’art. 2482 c.c., né nelle s.r.l. semplificate né nelle s.r.l. ordinarie.
Quanto alle modalità di riduzione volontaria, l’art. 2482 c.c. indica che l’operazione è
realizzabile o mediante “rimborso ai soci delle quote pagate” oppure mediante “liberazione di
essi dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti”.
Tali modalità sono state previste per soddisfare un interesse dei soci a poter riottenere quanto
precedentemente conferito in società289. I soci sono quindi perfettamente liberi di disinvestire
i loro conferimenti, ed apparentemente non emerge nessun obbligo di indicare nella delibera
di riduzione le motivazioni sottostanti l’operazione, ma è obbligatoria solo l’indicazione
dell’ammontare della riduzione290.
La norma appena descritta troverà applicazione anche nelle s.r.l. a capitale marginale, se si
accetta la tesi secondo la quale anche in questi modelli sia possibile procedere ad operazioni
di riduzione volontaria del capitale291. Tuttavia, in queste società la possibilità di liberare i
soci dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti non troverà applicazione, in quanto la legge
prevede il versamento integrale dei conferimenti. Ergo non vi potranno essere versamenti
ancora dovuti e di conseguenza la riduzione volontaria potrà avvenire solo ricorrendo al
rimborso a favore dei soci.
289
V. SANGIOVANNI, Delibera assembleare di riduzione facoltativa del capitale nella s.r.l. e opposizione dei
creditori - Il commento, Società, 2014, 7, 848. L’Autore fa notare inoltre che non è necessario che i soci
ritengano il capitale “esuberante” rispetto alle esigenze della società, stante l’assenza di obbligo di correlazione
tra l’ammontare del capitale sociale e la tipologia e l’ampiezza dell’attività svolta.
290
Di opinione contraria BUSI, op. cit., pag. 102, il quale ritiene che “nella deliberazione con la quale si dispone
la riduzione del capitale sociale occorrerebbe esplicitare che tale riduzione di capitale viene effettuata in
funzione della continuità aziendale e che, quindi non si tratterebbe di una riduzione “liquidatoria””.
291
Secondo BUSI, op. cit., pag. 93, le s.r.l.s. possono liberamente procedere ad operazioni di riduzione
volontaria di capitale, poiché “la s.r.l.s. deve costituirsi necessariamente e non eccezionalmente con capitale
inferiore a 10.000 euro”, e di conseguenza non sarebbe richiesto il rispetto del limite dei 10.000 euro di capitale
richiesto dall’art. 2482. L’Autore ritiene inoltre che nelle s.r.l.s. non sia richiesto il rispetto della norma
riguardante la riserva legale a “formazione accelerata”, eliminando perciò la contraddizione che potrebbe sorgere
tra una regola che impone la patrimonializzazione forzata e un’anticipata distribuzione ai soci del capitale. Il
dubbio circa la possibilità di ridurre volontariamente il capitale permane tuttavia per ciò che concerne le s.r.l.
ordinarie a capitale ridotto. Di diverso avviso è invece la Massima n. 143 del Consiglio Notarile di Milano,
secondo la quale “si ritiene invece che non possa essere deliberata una riduzione del capitale sociale mediante
rimborso ai soci delle quote pagate o mediante liberazione dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti o mediante
passaggio di capitale a riserve disponibili, qualora, all'esito dell'operazione, la somma del capitale sociale e
della riserva legale risulti di ammontare inferiore a euro diecimila”.
103
La riduzione del capitale ai sensi dell’art. 2482 c.c. può essere infine innescata dall’esercizio
del diritto di recesso da parte del socio dissenziente.
L’istituto è disciplinato dall’art. 2473 c.c., ove, al quarto comma, vengono indicate le
modalità di attuazione del rimborso delle partecipazioni a favore del socio recedente. In caso
di mancata cessione della quota ad altri soggetti (siano essi soci o terzi), la legge prevede che
“il rimborso è effettuato utilizzando riserve disponibili o, in mancanza corrispondentemente
riducendo il capitale sociale; in quest’ultimo caso si applica l’art. 2482”. Qualora non si
ammettesse nelle s.r.l. a capitale marginale la possibilità di una riduzione reale del capitale,
come dovrebbe avvenire la liquidazione della quota?
Non si può presumere un obbligo in capo agli altri soci di acquisto della partecipazione, in
quanto nulla è stato previsto dalla legge in tal senso, e lo stesso si può dire per la vendita della
quota a terzi. Quindi si deve ritenere lecito il rimborso a favore del socio recedente attraverso
una riduzione volontaria del capitale. Però se si ritengono ammissibili le disposizioni
contenute all’art. 2473 c.c., lo stesso deve avvenire per quanto previsto all’art. 2482 c.c.292.
Se si teme in generale un pregiudizio per i creditori sociali a causa della riduzione del
capitale, si deve far notare che come troverà applicazione il primo comma dell’art. 2482 c.c.,
lo stesso si può dire per le disposizioni contenute nei due commi successivi. Infatti il
legislatore prevede che la decisione possa essere eseguita soltanto se nessun creditore sociale
anteriore all’iscrizione nel registro delle imprese della delibera di riduzione abbia fatto
opposizione nel termine di novanta giorni dalla suddetta iscrizione. Di conseguenza i creditori
hanno la possibilità di opporsi ad eventuali riduzioni, entro novanta giorni dal deposito della
deliberazione contenente la decisione di riduzione “volontaria”, e perciò dispongono delle
medesime protezioni di cui godrebbero in una s.r.l. tradizionale.
3.2.3.2. La riduzione per perdite del capitale sociale
La riduzione del capitale per perdite consiste in un’operazione contabile di adeguamento del
capitale nominale al minor valore del patrimonio sociale, colpito da tali perdite293. Le
292
Secondo F. NIEDDU ARRICA, La rilevanza dell’equilibrio finanziario nelle opposizioni dei creditori alle
riduzioni del capitale sociale, Rivista delle società, fasc. 6, 2014, pag. 1358, non è ammissibile, in una s.r.l.s.,
una riduzione volontaria del capitale, se non nel caso di esercizio del diritto di recesso del socio. Tuttavia questa
conclusione non appare condivisibile, in quanto la scelta delle norme da ritenersi valide appare del tutto
arbitraria. Non essendo infatti stato previsto alcun limite particolare alle operazioni sul capitale nelle s.r.l.s., o si
ritengono inammissibili suddette operazioni, sulla base della ratio della disciplina, oppure si devono ritenere
completamente lecite. Perciò se si ammettono riduzioni volontarie del capitale in seguito al recesso di un socio,
non si comprende perché le stesse non siano lecite in altre circostanze.
293
G. LAURINI, La società a responsabilità limitata post-riforme, CEDAM, 2014, pag. 75. Da qui la
definizione di “riduzione nominale” del capitale.
104
disposizioni che regolano tale istituto sono contenute negli articoli dal 2482-bis al 2482quarter c.c.
L’art. 2482-bis, intitolato “Riduzione del capitale per perdite”, stabilisce l’iter da seguire nel
caso di perdite superiori ad un terzo del capitale sociale294. Le disposizioni contenute nella
norma non appaiono in contrasto con la disciplina propria delle s.r.l. a capitale marginale, e
quindi la disciplina della riduzione del capitale per perdite è la medesima per tutti i modelli di
s.r.l.295
Tuttavia la situazione diviene più complicata con riferimento alla disciplina contenuta nell’art.
2482-ter, relativa alla riduzione del capitale al di sotto del minimo legale.
Il primo comma prevede che gli amministratori debbano, senza indugio, convocare
l’assemblea dei soci, la quale dovrà deliberare la riduzione del capitale e contemporaneamente
aumentare il medesimo ad una cifra non inferiore al minimo legale296.
Anche qui vi è stata un’evidente mancanza di coordinamento della norma con le ultime
disposizioni in tema di s.r.l., che rendono quindi necessario ricostruire l’istituto per le s.r.l. a
capitale marginale.
Stante il tenore letterale della norma, infatti, potrebbe apparire che questa non sia applicabile
alle società “da un euro”, in quanto il parametro di riferimento che rende necessaria
l’applicazione del precetto è quello dei 10.000 euro di capitale sociale, stante il richiamo al
numero 4) dell’art. 2463 c.c.
Se si dovesse applicare rigorosamente la norma, si verificherebbe l’assurdo che una società
appena costituitasi con un euro dovrebbe immediatamente aumentare il proprio capitale ad un
ammontare non inferiore ai 10.000 euro297, poiché, per definizione, le s.r.l. a capitale
marginale hanno sempre un importo inferiore a quello indicato all’art. 2482-ter.
È possibile tuttavia ipotizzare che il richiamo al “numero 4) dell’art. 2463” rappresenti un
riferimento al minimo legale di capitale previsto per i vari modelli di s.r.l.298
294
Per perdite inferiori ad un terzo, la riduzione del capitale per perdite è facoltativa, mentre per perdite superiori
l’operazione è invece obbligatoria.
295
Di certo in una s.r.l. costituita con un euro di capitale potrebbe verificarsi l’assurdo di dover seguire l’iter
previsto dall’art. 2482-ter in caso di perdite pari a, per esempio, 40 centesimi. Tuttavia non essendovi una norma
specifica in tema di s.r.l. a capitale marginale, la soluzione non può che essere l’applicazione integrale dell’art.
2482-ter, il quale risulta essere perfettamente compatibile sia con la disciplina della s.r.l. semplificata, sia con
quella della s.r.l. ordinaria a capitale marginale. Per evitare una siffatta situazione, che richiederebbe un impegno
di spesa da parte dei soci (come ad esempio il pagamento degli onorari notarili), sarebbe opportuno che la società
sia adeguatamente patrimonializzata, poiché in caso contrario si renderebbe necessario seguire il procedimento
analizzato per perdite irrisorie.
296
È fatta salva la possibilità di deliberare la trasformazione della società.
297
Ovviamente in questo caso il capitale inferiore al tradizionale limite legale non deriverebbe da una perdita.
Tuttavia, essendo lo scopo della norma quello di evitare che la s.r.l. abbia un capitale inferiore ai 10.000 euro,
risulterebbe perfettamente applicabile anche nell’esempio appena riportato.
298
BOGGIALI-RUOTOLO, op. cit., pag. 92.
105
Ergo, nel caso di società a capitale marginale, la norma dovrebbe essere letta nel senso che il
procedimento indicato all’art. 2482-ter troverà applicazione nell’eventualità in cui il capitale,
per effetto di perdite di oltre un terzo, si riduca al di sotto del minimo legale fissato per questi
particolari modelli, ossia un euro299.
Questa tesi può trovare conferma nel dato letterale della norma in esame, intitolata appunto
“Riduzione del capitale al disotto del limite legale”, la quale indica perciò una disciplina
applicabile in qualunque caso si verificasse tale fattispecie, a prescindere dall’effettivo limite
minimo di capitale.
Inoltre, se si ritenesse che quanto previsto per le s.r.l. tradizionali non sia adattabile, e quindi
applicabile, ai modelli a capitale marginale, rimarrebbe aperta la questione su quale sia la
disciplina della riduzione del capitale al di sotto del limite legale per tali società.
Se infatti si ritenesse di dover applicare rigorosamente l’art. 2482-ter, si verificherebbe
l’assurdo, come già illustrato, di non poter avere, di fatto, società con capitale inferiore ai
10.000 euro. Ovviamente questa situazione non è realistica, in quanto, oltre a far perdere di
significato la ragion stessa delle s.r.l. a capitale marginale, non sono stati previsti limiti
temporali e capitalizzazioni forzate per i nuovi modelli di s.r.l., come più volte sottolineato.
In secondo luogo non si possono escludere completamente dalla disciplina le società “da un
euro”, poiché in tale eventualità le stesse avrebbero la possibilità di proseguire la propria
attività anche con un patrimonio negativo, non essendoci limiti alla riduzione dello stesso. Si
rende perciò necessario impedire che il capitale della società scenda al di sotto del minimo
legale di un euro, per evitare la situazione appena esposta300.
Quindi si deve considerare applicabile l’art. 2482-ter anche per le s.r.l. a ridotta
capitalizzazione, pur con gli opportuni aggiustamenti301. Ovviamente il secondo comma dello
stesso (“è fatta salva la possibilità di deliberare la trasformazione della società”) è anch’esso
applicabile, seppur ridimensionato nella sua utilità applicativa302.
299
F. MAGLIULO, op. cit., pag. 93. Secondo BUSI, op. cit., pag. 93, invece“per le s.r.l.s. la norma principale
che disciplina la perdita c.d. “grave” del capitale diviene […] non più l’art. 2482-ter ma bensì l’art. 2484 n.4”.
300
In BUSANI-BUSI, op. cit., pag. 93, gli Autori fanno giustamente notare che la s.r.l.s. e la s.r.l. ordinaria
(sebbene originariamente il riferimento riguardasse la s.r.l.c.r., ma il ragionamento rimane il medesimo) sono
comunque due società di capitali e “quindi non pare ammissibile il permanere di detta responsabilità limitata in
una situazione di deficit del capitale sociale causata dalle perdite subite”.
301
Del medesimo avviso è anche la Massima del Consiglio Notarile di Milano n. 131, ai sensi della quale “La
disciplina degli artt. 2482-bis e 2482-ter c.c. trova piena applicazione anche nelle s.r.l. semplificate e nelle s.r.l.
a capitale ridotto, con riferimento al diverso limite legale minimo del capitale sociale, pari a euro 1, anziché
euro 10.000”.
302
Infatti questa previsione è stata introdotta per permettere ai soci di procedere alla trasformazione in società di
persone nel caso in cui i soci decidessero di non aumentare il capitale in seguito alla riduzione per perdite al di
sotto del limite legale. Nel caso di società ad un euro questa necessità viene meno, ma non per questo deve
essere esclusa.
106
Riassumendo, per rendere più chiara l’applicazione della disciplina della riduzione per
perdite, si può ipotizzare una società che abbia un capitale sociale pari a 9.000 euro. Essa
subisce perdite per un importo pari a 4.000 euro (ossia oltre un terzo del capitale). In tal caso
si dovrà applicare l’art. 2482-bis, e la società, in seguito all’operazione, avrà un capitale di
5.000 euro.
Se invece le perdite ammontassero a 9.000 euro, in tal caso invece si applicherà l’art. 2482ter, e i soci dovranno ridurre il capitale e deliberare il contemporaneo aumento dello stesso
per un importo non inferiore a 1 euro.
Infine, è bene notare che all’art. 2484, primo comma, n.4) c.c. si indica come causa di
scioglimento della società “la riduzione del capitale al disotto del minimo legale, salvo
quanto è disposto dagli articoli 2447 e 2482-ter”. Alla luce di quanto detto fin qui, si deve
dedurre che tale disposizione debba essere interpretata nel senso che fino a quando la società
avrà un capitale di almeno un euro, non si dovrà procedere allo scioglimento (il quale si
realizzerà solo in caso di mancato aumento del capitale).
Infine, per ciò che concerne l’art. 2482-quarter, il quale disciplina la “riduzione del capitale
per perdite e diritti dei soci”, non vi sono problemi applicativi per le s.r.l. a capitale
marginale.
Concludendo, si può perciò affermare che per le società “da un euro” la disciplina della
riduzione del capitale sia sostanzialmente la stessa prevista per le s.r.l. tradizionali, pur con gli
opportuni aggiustamenti.
Tuttavia la possibilità di costituire una qualsiasi società a responsabilità limitata con solo un
euro di capitale porta a domandarsi quale sia, al giorno d’oggi, il limite minimo del capitale
sociale per questo tipo di società. La questione da risolvere è quindi: il limite legale è ancora
di 10.000 euro oppure di un solo euro?
Si tenterà di rispondere a tale domanda nel proseguo del presente capitolo.
3.2.4. La riduzione del capitale sociale in una s.r.l. “tradizionale”
Il nuovo limite legale previsto al quarto comma dell’art. 2463 c.c. porta con sé la necessità di
analizzare la disciplina relativa alle operazioni di riduzione del capitale per quanto riguarda le
s.r.l. tradizionali (ossia società costituitesi con un capitale pari o superiore ai 10.000 euro).
Infatti, nonostante le novità introdotte con il D.L. 76/13, il limite minimo originariamente
previsto per le s.r.l. non è stato abolito, e ciò ha generato una certa confusione su quale debba
essere considerato, al giorno d’oggi, il valore minimo del capitale sociale.
107
Mentre l’art. 2482-bis non trova particolari difficoltà applicative, in quanto si riferisce
genericamente a perdite di oltre un terzo del capitale sociale, a prescindere dall’ammontare di
questo, le maggior criticità si riscontrano con il contenuto dell’art. 2482-ter, il quale indica
esplicitamente il minimo legale del capitale sociale.
Se per le s.r.l. a capitale marginale l’applicazione di questa disposizione può essere resa
possibile grazie ad un adattamento della norma alle caratteristiche di questi modelli, per le
società con capitale pari ad almeno 10.000 euro è ancora necessario seguire rigorosamente
l’iter previsto dall’art. 2482-ter?In altri termini, è possibile, per una s.r.l. tradizionale, ridurre
il capitale fino al valore di un euro senza dover deliberarne il contemporaneo aumento?
A tal fine, occorre rilevare che le novità introdotto con il D.L. 76/13 non vanno ad intaccare
la disciplina generale della s.r.l. tradizionale in tema di riduzione per perdite. Di conseguenza,
rimarrebbe l’obbligo per la società, in presenza delle condizioni previste dall’art. 2482-ter, di
deliberare una riduzione del capitale e un successivo aumento303.
Tuttavia, come già ricordato, anche le s.r.l. tradizionali possono avere un capitale sociale pari
ad almeno un euro. Quest’ultima disposizione porterebbe perciò a poter presumere che, nel
caso in cui il capitale scendesse al di sotto dei 10.000 euro per effetto di perdite, non sarebbe
necessario deliberare un aumento dello stesso304.
Occorre innanzitutto osservare che in presenza delle condizioni previste dall’art. 2482-ter
(ossia perdite superiori ad un terzo del capitale e riduzione di questo al di sotto del limite dei
10.000 euro), la società è comunque tenuta a convocare l’assemblea per deliberare la
riduzione del capitale o la trasformazione della società o lo scioglimento di essa, poiché
l’articolo in questione non ha subito alcuna modifica da parte del legislatore305.
Il nodo maggiormente rilevante da sciogliere è se permanga ancora l’obbligo di procedere ad
un aumento del capitale ad una cifra non inferiore ai 10.000 euro (in alternativa alla
trasformazione o allo scioglimento).
Analizzando la questione da un altro punto di vista, ci si può chiedere se sia possibile il
passaggio da una s.r.l. tradizionale ad una s.r.l. ordinaria a capitale marginale, ossia se sia
possibile una c.d. evoluzione “regressiva”306.
303
Non è infatti possibile affermare che l’art. 2463-bis e l’art. 2463 c.c. abbiano tacitamente modificato l’art.
2482-ter, il quale dovrebbe essere letto nel senso che il procedimento descritto da tale disposizione debba essere
seguito solo qualora il capitale si riduca al di sotto della soglia di un euro.
304
Di avviso contrario è N. DE LUCA, Manutenzione del capitale nelle s.r.l. semplificate e in quelle in crisi,
Società, 2013, 11, 1185, il quale ritiene che per le s.r.l. tradizionali continui a rimanere obbligatorio il rispetto del
limite di 10.000 euro del capitale sociale. Di conseguenza una s.r.l. tradizionale non potrà procedere, ad esempio,
ad una riduzione volontaria che porti il capitale al di sotto della tradizionale soglia minima.
305
BOGGIALI-RUOTOLO, op. cit., pag. 92.
306
Si esclude comunque, in questa sede, che una s.r.l. tradizionale possa evolvere in una s.r.l. semplificata,
poiché, come già esposto precedentemente, tale operazione, oltre ad essere priva di logica, non sembrerebbe
neanche possibile, stante la ratio della disciplina del modello semplificato, indirizzata a regolamentare
108
Per rispondere a questi interrogativi, si può innanzitutto affermare che l’attuale minimo legale
per il capitale sociale di una s.r.l. corrisponda di fatto ad un euro307. Infatti la scelta di adottare
un capitale sociale compreso tra un euro e 9.999,99 euro non viene limitata solo alla fase
costitutiva, ma rappresenterebbe una facoltà nella disponibilità dei soci in ogni momento di
vita della società. Infatti, a differenza della s.r.l. semplificata, ove sono poste determinate
condizioni per poter beneficiare di un capitale ridotto (soci persone fisiche e conformità
all’atto costitutivo standardizzato), nelle s.r.l. ordinarie tali requisiti sono assenti, ed inoltre
non sono presenti condizioni che obblighino la società a raggiungere un capitale di 10.000
euro. Il tradizionale limite dei 10.000 euro è utile soltanto quindi per determinare
l’applicazione delle diverse discipline in tema di conferimenti e di riserva legale.
Infatti, per le società a ridotta capitalizzazione si applicheranno le disposizioni contenute al
quarto comma dell’art. 2463 c.c. (conferimento in denaro e versamento integrale dello stesso)
ed al quinto comma del medesimo (riserva legale “accelerata”), mentre invece per le s.r.l. a
piena capitalizzazione sarà richiesto il rispetto dell’art. 2464 c.c. (disciplina generale dei
conferimenti) e dell’art. 2430 c.c. (disciplina tradizionale della riserva legale).
A sostegno della tesi secondo la quale il valore minimo del capitale corrisponda ad un euro,
può essere utile analizzare quanto previsto all’art. 2484 c.c., ove al n. 4) del primo comma
viene indicato, fra le cause di scioglimento della società, “la riduzione del capitale al di sotto
del minimo legale, salvo quanto disposto dagli articoli 2447 e 2482-ter”. Dalla lettura della
norma si può notare come si faccia riferimento ad un generico “minimo legale”, il quale deve
essere necessariamente individuato nell’importo di euro 1, come previsto al quarto comma
dell’art. 2463 c.c.308
Ergo, dall’art. 2484 c.c. si può desumere che la società debba procedere allo scioglimento solo
ed esclusivamente quando il capitale scende al di sotto del valore di 1 euro.
L’art. 2484 c.c. fa però salvo quanto previsto dall’art. 2482-ter. Questa previsione potrebbe
lasciare intendere che la procedura prevista nella seconda norma citata trovi applicazione solo
nel caso in cui il capitale scenda al di sotto del minimo legale, che è stato individuato nel
principalmente la fase costitutiva della società e non i momenti successivi a questa. La s.r.l.s. infatti è un modello
introdotto per agevolare l’avvio dell’impresa, e perciò per attività già in corso non sarebbe possibile ricorrere alla
“variante” considerata (sebbene astrattamente non vi siano limiti all’utilizzo di suddetto modello).
307
BUSANI, op. cit., pag. 102. A favore anche la Massima n° 143 del Consiglio notarile di Milano (del 19
maggio 2015) secondo la quale “il nuovo limite di un euro non rappresenti unicamente una sorta di
"agevolazione" in sede di costituzione della società, bensì rappresenti in generale il nuovo limite minimo del
capitale sociale nella s.r.l., pur residuando alcune regole che mantengono una sorta di "vincolo patrimoniale"
al medesimo importo di diecimila euro cui era collegato il vecchio limite minimo”. Di diverso avviso è invece
M. S. SPOLIDORO, op. cit., pag. 92. Secondo l’Autore infatti il limite minimo legale continua a rimanere
10.000 euro, e di conseguenza non saranno possibili operazioni di riduzione del capitale, sia volontaria che
obbligatoria, per le società con una ridotta capitalizzazione.
308
F. MAGLIULO, Le operazioni straordinarie nelle nuove fattispecie codicistiche di srl, Il nuovo diritto della
società, 2013, fasc. 19, pag. 69-141.
109
valore di un euro309. Tale interpretazione non è tuttavia condivisibile, poiché esiste una
fondamentale differenza fra le due norme. Mentre infatti all’art. 2484 c.c. il riferimento ad un
generico “minimo legale” permette di concludere che lo stesso possa essere individuato nella
misura di un euro, l’art. 2482-ter indica esplicitamente il n. 4), secondo comma, dell’art.
2463. E non essendo stata modificata la disciplina riguardante la riduzione del capitale dai
vari interventi legislativi, non è possibile dedurne una sua disapplicazione per le s.r.l.
tradizionali, le quali quindi dovranno continuare a rispettare suddetta norma310.
Si può analizzare infine, a sostegno della tesi che sostiene il passaggio da s.r.l. tradizionale a
modelli a capitale marginale, la possibilità di deliberare, in alternativa alla ricostituzione del
capitale, la trasformazione della società, così come previsto all’ultimo comma dell’art. 2482ter.
Prima dell’introduzione dei nuovi modelli di s.r.l., tale trasformazione poteva avvenire,
nell’ambito delle società, solo in tipi sociali che non prevedessero un capitale minimo, ossia le
società di persone.
Tuttavia, in seguito agli ultimi interventi in tema di s.r.l., sono state introdotte forme sociali
che richiedono non soltanto un capitale minimo inferiore rispetto a quanto originariamente
previsto per le s.r.l., ma anche un capitale massimo311.
Di conseguenza, se lo scopo dell’art. 2482-ter fosse quello di consentire la prosecuzione
dell’attività sociale, pur non possedendo i requisiti tradizionalmente previsti per il capitale
della società (da cui normalmente si rende necessaria la deliberazione di trasformazione),
l’eventualità di mantenere la forma di s.r.l. può sicuramente rientrare nelle possibilità
concesse ai soci312, stante il nuovo limite minimo previsto per questo tipo sociale.
Non sembrano quindi esserci motivi che impediscano il “passaggio” da una s.r.l. tradizionale
ad una a capitale marginale, salvo il rispetto dei regimi sopra indicati313.
L’orientamento contrario alla tesi secondo la quale sia possibile questa evoluzione
“regressiva” sostiene invece che il limite minimo del capitale continui ad essere quello
originariamente previsto all’art. 2463 c.c., ossia di 10.000 euro314.
309
F. MAGLIULO, ibidem.
Ci si riferisce, come già precedentemente esposto, all’iter da seguire, escludendo però la necessità di un
aumento obbligatorio. Non è quindi possibile condividere la tesi secondo la quale, nell’eventualità in cui le
perdite portino il capitale sociale al di sotto del limite legale, si debba applicare l’art. 2482-bis anziché l’art.
2482-ter.
311
F. MAGLIULO, ibidem.
312
Ovviamente il “passaggio” da una s.r.l. tradizionale ad una a capitale marginale non costituisce una
trasformazione, in quanto entrambi i modelli appartengono allo stesso tipo sociale.
313
BOGGIALI-RUOTOLO, op. cit., pag. 92. Di diverso avviso è invece G. PORTALE, op. cit., pag. 102,
secondo il quale non sarà mai possibile per una società di capitali evolvere in una s.r.l. a capitale marginale. Di
conseguenza, nel caso in cui in una s.r.l. ordinaria vi siano perdite che facciano scendere il capitale al di sotto del
limite legale, si dovrà applicare rigorosamente l’art. 2482-ter, non essendo lecito scendere al di sotto del limite
dei 10.000 euro.
310
110
La permanenza, all’interno del codice civile, del suddetto limite, infatti, sembrerebbe
presupporre una situazione, quella della costituzione con un euro, di eccezionalità, e quindi di
temporaneità, verso la quale sono state introdotte misure volte ad evitare un prematuro
scioglimento della società (come ad esempio la disciplina della riserva legale a formazione
accelerata)315.
Perciò, una volta superata la fase di costituzione, la disciplina del capitale sociale ritornerà ad
essere quella originariamente prevista, sia per appunto questa connotazione di eccezionalità
attribuita alla presenza di un capitale “simbolico”, sia anche sulla base del dato letterale delle
norme ivi analizzate. La mancata modificazione di queste, infatti, secondo questo
orientamento, può essere interpretata come la volontà del legislatore di mantenere inalterata la
disciplina relativa alle riduzioni del capitale316.
Quindi il valore di 10.000 euro dovrà continuare ad essere considerato come parametro di
riferimento per il calcolo delle perdite (per poter stabilire ove applicare l’art. 2482-bis e ove
applicare invece l’art. 2482-ter, ossia per distinguere tra perdita “grave” e perdita
“gravissima”) e per la misurazione della sostenibilità.
Questa tesi tuttavia non appare in questa sede pienamente condivisibile, per i motivi
precedentemente esposti.
Appare evidente il difetto di coordinamento fra le varie norme regolatrici la disciplina delle
s.r.l. (e si auspica al più presto un intervento del legislatore in tal senso), tuttavia, in assenza di
limitazioni all’utilizzo dei modelli a capitale marginale, la conclusione non potrà che essere
nel senso che l’attuale limite minimo legale corrisponda ad un euro e non più a 10.000
euro317.
Di conseguenza, in relazione alle previsioni dell’art. 2482-ter, i soci non avranno più
l’obbligo di aumentare il capitale fino ad un ammontare pari ad almeno 10.000 euro, potendo
lo stesso scendere fino al minimo di un euro.
314
L. TRONCI, La riserva legale a formazione accelerata: problemi vecchi e nuovi, Rivista delle Società, fasc.
1, 2014, pag. 194, M.S. SPOLIDORO, op. cit., pag. 92 e N. DE LUCA, op. cit., pag. 108.
315
L. SALAMONE, op. cit., pag. 92.
316
L. SALAMONE, ibidem. Di questo avviso sono anche L. TRONCI, ibidem, M.S. SPOLIDORO, op. cit., pag.
92 e N. DE LUCA, op. cit., pag. 108. Gli Autori fanno però giustamente notare che, nel caso in cui il limite
risulti essere effettivamente di un euro, nell’eventualità di una riduzione per perdite fino a suddetto limite senza
conseguente ricapitalizzazione si ridurrebbe notevolmente il livello di tutela dei creditori.
Tuttavia, proprio per evitare tale evenienza, il legislatore ha voluto introdurre la disciplina della riserva legale a
formazione accelerata, per favore una più rapida patrimonializzazione della società e aumentare le garanzie a
favore dei terzi.
317
A sostegno di questa tesi, fra gli altri, G. MARASA’, op. cit., pag. 99, M. CIAN, op. cit., pag. 96,
BOGGIALI-RUOTOLO, op. cit., pag. 92, C.A. BUSI, op. cit., pag. 93 e F. MAGLIULO, op. cit., pag. 93.
111
Potranno tuttavia optare per un aumento nell’eventualità in cui non volessero dover rispettare
la disciplina della riserva legale “accelerata”, la quale diminuirebbe gli utili distribuibili, ma
volessero continuare ad accantonare solo la ventesima parte degli utili netti318.
Quindi, in conclusione, sembra possibile il “passaggio” da una s.r.l. tradizionale ad una s.r.l.
ordinaria a capitale ridotto, e si può considerare come limite minimo del capitale sociale
l’unità di euro per tutte le società a responsabilità limitata319.
Sempre in riferimento alla disciplina di riduzione del capitale, rimane infine da analizzare
l’istituto della riduzione volontaria contenuta all’art. 2482 c.c. per le s.r.l. ad ordinaria
capitalizzazione.
Anche in questo caso la norma fa riferimento al limite previsto dal numero 4) dell’art. 2463
c.c., ossia l’importo di 10.000 euro.
Si tratta ora di comprendere se in una s.r.l. ad ordinaria capitalizzazione sia possibile
effettuare operazioni di riduzione “reale” del capitale fino ad un valore inferiore rispetto a
quello indicato nel codice civile, oppure se sia necessaria l’applicazione testuale della norma.
A differenza della riduzione per perdite, ove vi è semplicemente una modificazione del
capitale nominale in virtù di quanto già avvenuto a livello reale, nel caso delle riduzioni reali,
il patrimonio della società viene depauperato nel suo valore, e perciò la questione può
risultare assai più delicata.
A favore della tesi secondo la quale non sia possibile eseguire riduzioni volontarie del capitale
al di sotto del predetto limite, si afferma che la presenza di una disciplina (quella della riserva
legale) volta a favore la patrimonializzazione della società, attraverso la tesaurizzazione degli
utili, è in contrasto con la possibilità di ridurre volontariamente il capitale320.
Inoltre, la disposizione analizzata non è stata modificata nel corso della riscrittura delle s.r.l. a
capitale marginale. Poiché il legislatore, tra il 2012 e 2013, ha avuto numerose occasioni per
intervenire in tal senso, il non averlo fatto può essere interpretato come un inequivocabile
indicatore della sua volontà a lasciare inalterata la disciplina delle riduzioni del capitale321.
318
E lo stesso ragionamento può essere fatto valere in relazione alla disciplina dei conferimenti.
Del medesimo avviso, anche la Massima n. 143 del Consiglio Notarile di Milano, secondo la quale “In
seguito alle modificazioni dell'art. 2463 c.c., ad opera del d.l. 76/2013, tutte le s.r.l., a prescindere
dall'ammontare del capitale sociale:
a) possono deliberare una riduzione del capitale sociale a copertura di perdite a un ammontare inferiore a euro
diecimila, sia qualora la società versi nelle situazioni di cui agli artt. 2482-bis e 2482-ter c.c., sia qualora essa
abbia perdite inferiori a un terzo del capitale sociale;
b) possono deliberare un aumento del capitale sociale, a titolo gratuito o a pagamento, ad un ammontare
inferiore a euro diecimila, anche in seguito a riduzione o azzeramento del capitale sociale a copertura di
perdite”.
320
M. CIAN, op. cit., pag. 97.
321
L. SALAMONE, op. cit., pag. 92.
319
112
In riferimento a quest’ultima obiezione, è già stata sottolineata la scarsa propensione del
legislatore a tener conto dei problemi di coordinamento tra la nuova disciplina delle s.r.l. ed i
precedenti istituti.
Per quanto riguarda invece il ruolo della riserva legale, vale anche qui quanto già esposto in
relazione all’art. 2482-ter, ossia che la presenza del quinto comma dell’art. 2463 c.c. non vieta
in alcun modo le operazioni di riduzione del capitale sociale, e ciò vale anche per le riduzioni
volontarie. Inoltre, l’obbligo di accantonamento previsto in seguito al D.L. 76/13 è del tutto
analogo (distinguendosi solo da un punto di vista quantitativo) a quello indicato all’art. 2430,
il quale non impedisce le riduzioni di capitale322.
In secondo luogo, per coerenza interpretativa, se si accogliesse la tesi secondo la quale le
riduzioni per perdite possono avvenire tenendo come limite minimo l’importo di un euro, il
medesimo valore dovrà essere utilizzato come parametro di riferimento nelle riduzioni
volontarie, poiché in caso contrario il sistema normativo potrebbe apparire incoerente323.
Si può quindi affermare che anche nelle s.r.l. tradizionali siano possibili operazioni di
riduzione volontaria, in seguito alle quali il capitale risulti essere inferiore ai 10.000 euro324.
E si può perciò concludere affermando che al giorno d’oggi, il limite minimo del capitale
sociale corrisponda non più al precedente importo di 10.000 euro ma sia uguale invece ad un
euro.
3.2.4. Le trasformazioni “regressive” e le scissioni
In questa sede si vuole ora comprendere se i modelli di s.r.l. a capitale marginale possano
costituire forme di “destinazione” nell’ambito delle operazioni di trasformazione c.d.
“regressive”.
Per ciò che concerne la trasformazione di s.p.a. o s.a.p.a. in s.r.l. a capitale marginale, vale
anche qui quanto già affermato precedentemente in tema di evoluzioni “progressive325”.
322
M. CIAN, ibidem.
BOGGIALI-RUOTOLO, op. cit., pag. 92.
324
Di questa opinione BOGGIALI-RUOTOLO, ibidem, C.A. BUSI, op. cit., pag. 93, F. MAGLIULO, op. cit.,
pag. 93; contra L. SALAMONE, op. cit., pag. 92 e la Massima del Consiglio notarile di Milano, op. cit., pag.
112, la quale afferma che “si ritiene invece che non possa essere deliberata una riduzione del capitale sociale
mediante rimborso ai soci delle quote pagate o mediante liberazione dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti o
mediante passaggio di capitale a riserve disponibili, qualora, all'esito dell'operazione, la somma del capitale
sociale e della riserva legale risulti di ammontare inferiore a euro diecimila”.
Ammettendo le operazioni ivi analizzate, se si temesse pregiudizio nei confronti dei creditori sociali, vale anche
qui quanto già affermato in tema di s.r.l. a capitale marginale, ossia che la riduzione dovrebbe comunque
avvenire con tutte le cautele previste all’art. 2482 c.c.
325
G. FERRI jr., Prime osservazioni in tema di società a responsabilità limitata semplificata e di società a
responsabilità limitata a capitale ridotto, Riv. Dir. Comm., 2013, II, 135 ss. Secondo l’Autore una s.p.a. può
procedere alla trasformazioni in una s.r.l. ordinaria a capitale marginale (è esclusa la s.r.l.s. per la sua funzione di
323
113
Invece, per ciò che concerne le operazioni di scissione, si ripresentano qui le medesime
criticità presentate in riferimento alle fusioni.
Al comma 1 dell’art. 2506 c.c. è stabilito che attraverso la scissione una società può assegnare
la totalità del suo patrimonio “a più società, preesistenti o di nuova costituzione, o parte del
suo patrimonio, in tal caso anche ad una sola società, e le relative azioni o quote ai suoi
soci”.
Non vi sono espliciti limiti alla possibilità che la società di nuova costituzione risultante dalla
scissione possa essere una s.r.l. semplificata od ordinaria “sotto capitalizzata”, purché sempre
nel rispetto dell’obbligo di conferimenti in denaro, ed un capitale compreso tra 1 e 9.999,99
euro.
Per le medesime ragioni, non sembrano esserci ostacoli nemmeno in riferimento
all’assegnazione di una parte del patrimonio ad una società a capitale marginale, sempre però
nel rispetto dei requisiti previsti per le s.r.l. a capitale marginale.
Infine, non vi sono problemi in relazione alle trasformazioni omogenee ed eterogenee
“regressive” ossia trasformazioni di s.r.l. a ridotta capitalizzazione in società di persone o in
consorzi, società consortili, comunioni d’azienda, associazioni riconosciute e fondazioni, in
quanto la disciplina di tali operazioni, contenuta agli art. 2500-sexies e 2500-septies, non
presenta problemi di coordinamento con la disciplina delle s.r.l. a ridotta capitalizzazione, e
quindi si può assumere la liceità di tali trasformazioni.
3.3. La riserva legale
Ritornando alle novità introdotte dalla L. 99/13, il comma 15-ter non si è limitato solo a
prevedere s.r.l. ordinarie a ridotta capitalizzazione, ma ha previsto un ulteriore onere per i soci
che decidono di ricorrere a suddetto modello.
Il legislatore, al fine di ottenere la formazione di un patrimonio netto pari ad almeno 10.000
euro, ha affiancato al capitale sociale un altro strumento volto alla patrimonializzazione della
società e quindi anche a tutela dei creditori326.
Infatti, in seguito alle ultime modifiche, l’art. 2463 c.c., al quinto comma, prevede che “le
somme da dedurre dagli utili netti risultanti dal bilancio regolarmente approvato, per
formare la riserva prevista dall’art. 2430, deve essere almeno pari a un quinto degli stessi,
fino a che la riserva non abbia raggiunto, unitamente al capitale, l’ammontare dei diecimila
start-up) per scongiurare le conseguenze derivanti da perdite che abbiano ridotto il capitale al di sotto del limite
legale per le s.p.a., a patto che il patrimonio netto raggiunga la misura di euro.
326
C.A. BUSI, op. cit., pag. 93.
114
euro. La riserva così formata può essere utilizzata per imputazione a capitale e per copertura
di eventuali perdite. Essa deve essere reintegrata a norma del presente comma se viene
diminuita per qualsiasi ragione”.
Di conseguenza, la disciplina della riserva legale, prevista all’art. 2430 c.c. per le s.p.a. ed
applicabile alle s.r.l., per le “nuove” s.r.l. a capitale ridotto viene derogata, per espressa
previsione dell’art. 2463, venendo imposta una c.d. “progressiva patrimonializzazione
forzosa327”, attraverso una riserva legale a “formazione accellerata328”. Quindi, anziché dover
destinare a riserva almeno un ventesimo degli utili netti annuali, fino a quando la stessa non
abbia raggiunto il quinto del capitale sociale, gli accantonamenti a riserva ora sono previsti
nella misura pari ad un quinto degli utili, fino a quando la riserva, addizionata al capitale
sociale, non raggiunga il valore di 10.000 euro329.
Sembrerebbe che tale previsione vada a sostituire solo parzialmente la disciplina generale
dell’art. 2430330. Al proposito è opportuno distinguere la disciplina della riserva in due
momenti.
Il primo fa riferimento alla situazione di ridotta capitalizzazione. In questo caso, si ritiene
applicabile esclusivamente l’art. 2463, 5° comma, per cui si può escludere il cumulo
dell’accantonamento del quinto degli utili con la deduzione della ventesima parte degli stessi
prevista dalla norma a precetto generico.
Una volta invece raggiunta la soglia indicata, si può escludere l’applicazione dell’art. 2463
c.c., poiché troverà applicazione la regola generale relativa alla riserva legale.
Occorre far notare tuttavia l’insorgenza di una leggera incoerenza nell’applicazione dei due
articoli nelle due differenti situazioni. Un esempio numerico è utile per poter mettere in risalto
il problema. Potrebbe accadere infatti che la società si sia costituita con un capitale sociale
pari a 9.000 euro (o in ogni caso abbia un valore superiore agli 8.333,33 euro). Dopo il primo
anno, sarà necessario, secondo quanto previsto dall’art. 2463 c.c., accantonare il 20% degli
utili netti. Fermo restando l’ammontare del capitale, gli accantonamenti proseguiranno fino a
che il capitale sociale e la riserva legale non abbiano raggiunto il valore soglia dei 10.000
327
BUSANI, op. cit., pag. 102.
L. TRONCI, op. cit., pag. 111.
329
A. BARTOLACELLI, L’insostenibile leggerezza dell’s.r.l.s. Nell’intricata “matassa” delle “nuove” s.r.l.:
ricercare un bandolo o tagliare il filo? in Atti di: V convegno annuale dell'associazione italiana dei professori
universitari di diritto commerciale "Orizzonti del diritto commerciale", Roma, 21-22 febbraio 2014. - URL:
http://associazione.orizzontideldirittocommerciale.it/media/24002/bartolacelli_a.pdf. Si badi bene inoltre che
non è richiesto un valore del capitale sociale pari a 10.000 euro, come invece previsto normalmente per le s.r.l.,
ma è solamente richiesta che la somma della riserva legale e del capitale sia pari a questa cifra, non venendo
considerate altre poste del patrimonio netto.
330
È bene ricordare che, al terzo comma dell’art. 2430 c.c., è stabilito che “Sono salve le disposizioni delle leggi
speciali”, prevedendo già deroghe alla disciplina generale (nonostante la L. 99/2013 sia già di per sé sufficiente a
derogare le norme generali).
328
115
euro, ossia fino a quando la riserva non abbia un valore pari a 1.000 euro. Da questo momento
in poi si applicherà il regime previsto dall’art. 2430 c.c., quindi gli accantonamenti saranno
pari al 5% degli utili netti, e ciò fino a quando la riserva legale non sia pari a 1.800 euro (ossia
un quinto del capitale sociale331).
Presupponendo l’assenza di operazioni sul capitale, la società risulterà essere ancora a
“capitale marginale”, ma potrà godere delle stesse regole, in tema di riserva legale, previste
per società a “ordinaria capitalizzazione”. La maggior criticità deriva dunque dal fatto che
quanto previsto al quinto comma dell’art. 2463 c.c. trovi applicazione nel caso in cui
l’ammontare del capitale sociale sia inferiore ai 10.000 euro. Ma come è emerso dall’esempio
ivi riportato, in realtà la società potrà accedere al regime previsto all’art. 2430 c.c., pur
mantenendo un capitale di valore inferiore rispetto al tradizionale limite minimo. Da ciò
risulta quindi che le s.r.l. a capitale marginale avrebbero un vantaggio ingiustificato rispetto
alle s.r.l. a capitalizzazione pari o superiore ai 10.000 euro, potendo iniziare ad accantonare a
riserva importi più irrisori, rispetto a quanto previsto dalla disciplina speciale, pur rimanendo
“a capitale marginale”, quando invece le peculiarità del modello dovrebbero suggerire una
maggiore prudenza in proposito332. Sempre in questo senso, è opportuno sottolineare che nelle
s.r.l. a ridotta capitalizzazione il valore della riserva legale che farà cessare l’obbligo di
accantonamenti è numericamente inferiore (come appena visto, può essere pari, ad esempio, a
1.800 euro) rispetto al caso di una s.r.l. tradizionale (ove invece la riserva legale dovrà, per far
cessare l’obbligo di conferimenti, avere un valore minimo di 2.000 euro, stante un capitale
sociale di 10.000 euro).
Il legislatore probabilmente avrebbe dovuto mantenere la regola prevista all’art. 2463 c.c. fino
al raggiungimento della “vecchia” quota di capitale sociale minimo, per evitare qualsiasi
dubbio. In ogni caso la nuova previsione può trovare fondamento nella tradizionale funzione
di “cuscinetto” della riserva legale a protezione del capitale sociale, ritenendosi quindi
sufficiente che le due poste patrimoniali (e non altre voci, come ad es. riserve diverse da
quella legale) garantiscano adeguate tutele a favore dei terzi.
331
Si può notare come, in questa situazione particolare, l’ammontare della riserva legale che libera i soci
dall’obbligo di accantonamenti è inferiore rispetto a quello tradizionalmente previsto per le società a
responsabilità limitata. Infatti, stante un capitale minimo di 10.000 euro, il valore della riserva legale dovrà
essere pari ad almeno 2.000 euro, per liberare gli utili dal vincolo di accantonamenti. Nell’esempio sopra
riportato è invece sufficiente che la stessa sia pari a 1.800 euro. Questi dati mostrano come, pur attraverso una
nuova disciplina della riserva legale, la società a capitale marginale gode comunque di un trattamento di maggior
favore rispetto ad una s.r.l. tradizionale. Probabilmente il legislatore avrebbe dovuto valutare con più attenzione
la nuova disciplina.
332
L’esempio è stato elaborato prendendo spunto da BARTOLACELLI, op. cit., pag. 115.
116
3.3.1. L’applicabilità della disciplina della riserva legale alle s.r.l. semplificate
Appare necessario però comprendere se la previsione in esame sia da ritenersi applicabile
anche alla s.r.l.s.
A tal proposito, occorre notare come, da un punto di vista formale, la norma è stata collocata
all’ultimo comma dell’art. 2463 c.c., e quindi prioritariamente è stata pensata per la s.r.l.
“ordinaria” che si sia costituita con un capitale “sotto soglia”. Si potrebbe infatti sostenere che
se il legislatore avesse voluto renderla applicabile anche alle s.r.l.s., l’avrebbe collocata
diversamente all’interno della disciplina, e tale scelta potrebbe indurre a ritenere che la s.r.l.s.
sia esclusa dal campo di applicazione della norma in oggetto.
A sostegno di tale tesi333, è possibile in primo luogo affermare che ove il legislatore ha voluto
indicare una disciplina univoca per entrambi i modelli di s.r.l. a capitale marginale, si è
espresso in tal senso (basti pensare alla disciplina dei conferimenti)334.
In secondo luogo, nelle s.r.l. ordinarie la regola di base è che il capitale “deve essere di
almeno 10.000 euro”. La deroga concessa dal legislatore in relazione all’ammontare minimo
del capitale costituisce quindi un’eccezione che viene “controbilanciata” dall’obbligo di
accantonamento accelerato della riserva. Poiché invece nelle s.r.l.s. la regola di default è che il
capitale sia compreso tra 1 e 9.999,99 euro, non vi è in questo modello la necessità di
controbilanciare alcuna deroga335.
Infine, poiché le s.r.l. semplificate sono state introdotte per agevolare i soci nella costituzione
di una società, l’onere di un accantonamento superiore rispetto alla disciplina generale
potrebbe vanificare il vantaggio ottenuto in sede di costituzione. Infatti, visto la destinazione
del modello a soggetti meno abbienti (almeno nelle intenzioni iniziali), può risultare plausibile
che il legislatore abbia voluto escludere dalla regola relativa alla riserva le s.r.l.s., in modo
tale da non sottrarre risorse al sostentamento dell’attività imprenditoriale336
La tesi, tuttavia, non pare condivisibile, dal momento che l’art. 2463-bis, disciplinante la
costituzione della s.r.l.s., all’ultima comma, prevede l’applicazione della disciplina della s.r.l.
ordinaria anche alla semplificata di “quanto non previsto al presente articolo in quanto
compatibile”. Quest’ultimo si preoccupa di disciplinare solo la costituzione e i limiti di
333
Sostenuta da C.A. BUSI, op. cit., pag.93.
In questo senso F. MAGLIULO, op. cit., pag.93.
335
Tale argomentazione non appare tuttavia qui condivisibile, poiché la s.r.l.s., non essendo un tipo autonomo,
come sostenuto precedentemente, ma rappresentando invece una “variante” del tipo generale, presenta
comunque una disciplina derogatoria rispetto a quello delle s.r.l. ordinarie. Di conseguenza, se si sostiene che la
presenza della riserva a “formazione accellerata” sia dovuta alla necessità di controbilanciare un capitale di
ammontare inferiore rispetto al limite di default, per le medesime ragioni anche le s.r.l. semplificate dovranno
applicare la relativa disciplina.
336
In questo senso F. MAGLIULO, ibidem e C.A. BUSI, ibidem.
334
117
capitale della s.r.l.s., quindi, nel silenzio della legge, il vuoto normativo dovrebbe essere
colmato ritenendo applicabile la disciplina generale della riserva legale337. Inoltre non avrebbe
alcun fondamento logico l’esclusione di tale regime per le s.r.l.s., visto che, se così fosse,
queste godrebbero di un trattamento agevolato rispetto alle s.r.l. ordinaria a capitale
marginale, stante l’applicazione del ben più favorevole art. 2430 c.c.
Il problema può essere affrontato anche considerando la compatibilità tra la nuova
disposizione dell’art. 2463, comma 3, c.c., e la disciplina della s.r.l.s.
Anche in questo caso la risposta non può che essere affermativa, stante il fatto che la regola in
questione è volta a favorire la patrimonializzazione delle società che ottengono il privilegio
della irresponsabilità dei soci, nonostante un’iniziale ridotta capitalizzazione; profilo, questo,
che accumuna sia le s.r.l. ordinarie che scelgano di optare per la deroga al limite minimo del
capitale di 10.000 euro, sia le s.r.l. semplificate. In quest’ultimo caso è inoltre da osservare
che, nel momento in cui la somma tra riserva e capitale raggiunge il valore legale previsto, la
s.r.l. semplificata continuerebbe a mantenere la sua denominazione, nel caso in cui il capitale
sia comunque inferiore a 9.999,99 euro, eventualità che può suscitare alcune perplessità,
stante una consistenza patrimoniale a questo punto non giustificante tale denominazione.
La norma quindi permette di desumere che nelle intenzioni del legislatore la situazione di
ridotta capitalizzazione delle società sia una circostanza temporanea, idonea a favorire l’avvio
e la fase di start-up delle imprese, spingendo perciò le stesse ad evolversi nel corso della loro
esistenza.
Tuttavia, come più volte ribadito, la legge non impone alcun obbligo di imputare la riserva
legale a capitale, perciò la società potrà anche proseguire a tempo indeterminato la sua attività
pur con un capitale irrisorio338.
3.3.2. La “disponibilità” della riserva legale
Tradizionalmente, la riserva legale deve essere utilizzata per la copertura delle perdite. Ciò lo
si può dedurre dal secondo comma dell’art. 2430 c.c., ai sensi del quale “la riserva deve
essere reintegrata a norma del comma precedente se viene diminuita per qualsiasi ragione”.
337
Della stessa opinione BUSANI, op. cit., pag. 102; BARTOLACELLI, op. cit., pag. 115; MARASA’, La
nuova società a responsabilità semplificata e la nuova s.r.l. con capitale inferiore a 10mila euro, Soc., 2013, 10,
1068, ed in generale la dottrina prevalente. Anche la Commissione società del Comitato interregionale dei
consigli notarili delle tre Venezia è favorevole a questa tesi. Nella massima R.A.6 infatti si precisa che “si ritiene
che nelle s.r.l. semplificate la riserva legale segua le regole previste dall’art. 2463, comma 4, c.c., per le s.r.l.
ordinarie”.
338
Infatti il capitale potrà continuare ad avere un valore pari ad un euro, mentre in questo caso la riserva dovrà
avere un valore almeno pari a 9.999 euro, per poter godere del regime agevolato previsto all’art. 2430 c.c.
Inoltre, in questa circostanza, una volta raggiunta la somma di 10.000 euro, non sarà necessario nessun ulteriore
accantonamento, poiché la riserva stessa avrà un valore superiore ad un quinto del capitale sociale.
118
È opinione prevalente339 che tale disposizione si riferisca proprio all’utilizzo della riserva
legale per la copertura delle eventuali perdite della società.
Le modalità di reintegrazione della riserva sono quelle previste al primo comma del
medesimo articolo, ove è previsto che “dagli utili netti annuali deve essere dedotta una
somma corrispondente almeno alla ventesima parte di essi per costituire una riserva, fino a
che questa non abbia raggiunto il quinto del capitale sociale”. Questo accantonamento va
ovviamente a ridurre la quota di utili netti distribuibili ai soci. Inoltre, una volta completata la
riserva legale (ossia quando la stessa sia pari al 20% del capitale sociale), i valori ad essa
soggetti rimarranno indistribuibili340, ma verrà meno la necessità di effettuare ulteriori
accantonamenti. Per questo motivo la riserva legale viene considerata come una riserva
indistribuibile341. È infatti opinione pacifica che tale riserva non possa essere destinata, ad
esempio, alla distribuzione tra i soci342.
È discusso invece se la riserva legale sia anche indisponibile, ossia se non possa essere
utilizzata per aumenti gratuiti del capitale sociale343 (a norma dell’art. 2481-ter ai sensi del
quale “la società può aumentare il capitale imputando ad esso e riserve e gli altri fondi
iscritti in bilancio in quanto disponibili”).
La dottrina maggioritaria sostiene generalmente la tesi dell’indisponibilità344 della riserva
legale sulla base del particolare riferimento alle riserve c.d. disponibili, contenuto nell’articolo
suindicato345. Il riferimento a queste riserve fa infatti presumere che ve ne siano altre
indisponibili, ed in questa categoria si fa appunto rientrare la riserva legale.
A sostegno della tesi dell’indisponibilità della riserva legale, è utile analizzare quella che è la
funzione principale della riserva oggetto di analisi. Infatti la stessa ha la funzione di garantire
la tutela dell’integrità del capitale sociale, in modo tale da evitare che eventuali perdite
incidano sullo stesso, andando a compromettere le garanzie nei confronti dei terzi e il normale
conseguimento dell’oggetto sociale (ed entrambe queste esigenze rappresentano la funzione
339
L. TRONCI, op. cit., pag. 111 e D. FICO, Le operazioni sul capitale sociale nella s.p.a. e nella s.r.l.,
GIUFFRE’ EDITORE, 2010, pag. 85.
340
G. FERRI jr., Patrimonio, capitale e bilancio, pag. 96, in AA.VV., Diritto delle società – Manuale breve,
Giuffrè Editore, 2008.
341
Per la parte non eccedente il quinto del capitale.
342
N. DE LUCA, Riserve indistribuibili, riserve indisponibili e incidenza delle perdite, Riv. soc., fasc.2-3, 2013,
pag. 464.
343
Secondo la definizione fornitaci da E. GINEVRA, La società per azioni, pag. 256, in AA.VV., op. cit., pag.
84, per aumento gratuito si intende quello “consistente in una mera operazione contabile di imputazione a
capitale di valori patrimoniali già presenti in società”. Di conseguenza l’operazione consiste semplicemente in
un aumento nominale del capitale sociale, mentre invece il patrimonio netto rimane pressoché inalterato.
344
L. TRONCI, op. cit., pag. 111.
345
La tesi dell’indisponibilità si basa non sull’art. 2481-ter ma bensì sull’art. 2442 c.c., relativo all’aumento
gratuito in una società per azioni. Tuttavia essendo il testo dei due articoli pressoché identico, ed essendo la s.r.l.
materia di interesse del presente elaborato, il ruolo della riserva legale verrà analizzato unicamente in riferimento
alla società a responsabilità limitata.
119
propria del capitale sociale346). Per questo motivo si esclude la riserva legale dal novero delle
riserve disponibili, e quindi la stessa non potrà essere utilizzata per aumenti gratuiti del
capitale sociale.
Tornando all’art. 2463 c.c., la L. 99/13, come già visto precedentemente, ha introdotto una
disciplina speciale della riserva legale per le s.r.l. a capitale marginale. Superati i problemi
relativi al campo di applicazione di queste nuove disposizioni, è opportuno affrontare il tema
della disponibilità della riserva legale in sede di aumenti del capitale e di riduzione per
perdite.
Attraverso le previsioni del quinto comma dell’art. 2463 c.c., il legislatore ha voluto limitare
ulteriormente la quota di utili liberamente distribuibile tra i soci, ponendo quindi dei limiti
alla politica dei dividendi da parte dell’assemblea dei soci347.
La nuova disposizione inoltre ha comportato delle conseguenze sul regime della disponibilità
della riserva. In particolar modo viene esplicitamente indicato che essa possa essere utilizzata
“per copertura di eventuali perdite348”, da cui deriva il medesimo grado di disponibilità della
riserva formata secondo la disciplina generale349.
Tuttavia la legge prevede che la riserva possa essere utilizzata anche per “imputazione a
capitale”, e che quindi possa essere adoperata per eseguire operazioni di aumento gratuito del
capitale sociale, a norma dell’art. 2481-ter, tanto in una s.r.l. ordinaria a ridotta
capitalizzazione, quanto in una s.r.l. semplificata.
Questa possibilità concessa dal legislatore per le s.r.l. a capitale marginale trova la sua ragion
d’essere in una funzione parzialmente diversa della riserva legale nelle s.r.l. a ridotta
capitalizzazione.
Infatti, mentre tradizionalmente, la riserva legale “ordinaria” ha come ruolo primario quello di
salvaguardare il capitale sociale, nelle s.r.l. a capitale marginale invece ha anche lo scopo di
sostenere la patrimonializzazione350 della società. Ergo, una volta raggiunta la soglia dei
346
M. CERA, Il passaggio di riserve a capitale, pag. 110, Giuffrè Editore, 1988.
L. TRONCI, ibidem.
348
Secondo C.A. BUSI, op. cit., pag. 93, tale “precisazione restrittiva escluderebbe […] che detta riserva possa
essere utilizzata al fine di liquidare un socio recedente”. Secondo l’Autore tale limitazione può trovare
applicazione solo in una s.r.l. ordinaria, ove è possibile evitare il recesso libero tramite indicazione, nello statuto,
della durata della società. Tale argomentazione viene utilizzata per escludere dal campo di applicazione della
disciplina della “nuova” riserva legale le s.r.l.s., in quanto in questi modelli non è possibile impedire il recesso
libero, poiché nell’atto costitutivo, essendo immodificabile, non potrà essere inserita la clausola relativa alla
durata della società.
349
La differenza fra l’art. 2463 e 2430 c.c. è che nel primo viene esplicitamente indicato il possibile utilizzo della
riserva legale, mentre nel secondo si fa riferimento ad una generica “qualsiasi ragione” di riduzione della stessa.
350
L. TRONCI, ibidem utilizza l’espressione capitalizzazione. Tuttavia si ritiene che non sia il termine corretto
da utilizzare in questo caso, poiché una volta formatasi la riserva legale, questa non va obbligatoriamente a
capitale. Di conseguenza attraverso un aumento del valore della riserva, vi è un pari aumento del patrimonio
netto, mentre il capitale sociale, in assenza di aumenti, continuerà ad avere lo stesso valore. Questa distinzione
non va tuttavia ad inficiare sul ragionamento esposto.
347
120
10.000 euro, attraverso la somma del capitale e della riserva, quest’ultima potrà svolgere
adeguatamente la propria funzione di protezione del capitale sociale.
Per questo motivo, la disciplina della riserva legale prevista all’art. 2463 c.c. deve essere
considerata come una disciplina speciale e quindi applicabile esclusivamente nell’ambito di
società a capitale marginale. Di conseguenza, la “tradizionale” riserva legale continuerà ad
essere disponibile solo per la copertura delle perdite ma indisponibile per gli aumenti del
capitale, in accordo con la dottrina prevalente.
Per ciò che concerne le s.r.l. “da un euro”, si è potuto osservare come queste possano essere
assoggettate ad entrambe le discipline della riserva legale, a seconda del valore della somma
fra il capitale e la riserva. Quindi, riassumendo quanto è stato detto fino a questo momento, in
tema di s.r.l. a capitale marginale si può affermare che:
a)
la riserva formata ex art. 2463, comma quinto, del codice civile, potrà essere utilizzata
sia per la copertura di perdite, sia per aumenti gratuiti del capitale. Essa è quindi
indistribuibile ma sempre disponibile;
b)
la riserva invece formata ex art. 2430 c.c. è disponibile per la copertura delle perdite
ma indisponibile per gli aumenti del capitale sociale, rimanendo sempre
indistribuibile;
c)
infine, la riserva formata ex art. 2430 c.c., per la parte eccedente il quinto del capitale
sociale è distribuibile e disponibile sia per gli aumenti del capitale, sia per la copertura
delle perdite.
121
122
Conclusioni
Come si è avuto modo di vedere, permangono ancora numerosi dubbi circa la disciplina delle
s.r.l. a capitale marginale. In questa sede si è cercato di far chiarezza su alcuni aspetti
fondamentali dei modelli di recente introduzione e, più in generale, si è tentato di coordinare
la disciplina di queste “varianti” con quella del tipo di riferimento.
Il legislatore è stato mosso, nel riformare la disciplina delle s.r.l., principalmente da
motivazioni di carattere economico, con il dichiarato scopo di facilitare l’apertura di nuove
imprese, in modo tale da incentivare l’attività produttiva e permettere il risanamento
dell’economia italiana. Tuttavia, il carattere emergenziale di queste riforme, e la conseguente
scarsa attenzione data al coordinamento tra le nuove disposizioni e la disciplina generale delle
s.r.l., ha fatto sì che le norme recentemente introdotte nel nostro ordinamento abbiano
generato maggiori problemi di quelli che avrebbero dovuto risolvere.
Il legislatore si è infatti limitato a prevedere un limite minimo di un euro di capitale per queste
società, ed alcune disposizioni da rispettare in sede di costituzione, senza preoccuparsi delle
vicende successive caratterizzanti la vita della società, lasciando immodificata la disciplina
generale.
Superata la questione relativa alla qualificazione giuridica da attribuire al modello di s.r.l.
semplificata, poiché la dottrina maggioritaria esclude che queste costituiscano un tipo
autonomo rispetto a quello di riferimento, le altre problematiche esposte nel secondo e terzo
capitolo continuano ad alimentare il dibattito tra i vari commentatori della disciplina.
Nel secondo capitolo è stato esposto il tema dell’inderogabilità dell’atto costitutivo previsto
dal D.M. 138/12 per le s.r.l. semplificate. In questa sede si è sostenuta l’assoluta
inderogabilità ed immodificabilità dell’atto costitutivo, coerentemente con la ratio della
norma, la quale prevede l’esenzione degli onorari notarili se si redige l’atto in conformità al
modello previsto nel decreto ministeriale. Tuttavia vi sono ampi margini interpretativi per
sostenere invece la tesi contraria, e vi sono numerosi esempi in dottrina in tal senso. La
questione non è solamente teorica, ma ha delle importanti conseguenze sul concreto
funzionamento della società, poiché la tesi dell’immodificabilità dell’atto costitutivo va a
determinare quali regole organizzative potranno essere applicate nella società.
Di conseguenza sarebbe opportuno chiarire il significato da attribuire alla previsione di
inderogabilità dell’atto costitutivo, in modo tale da conferire una maggior certezza sia ai soci
costituenti sia al notaio sul contenuto dell’atto medesimo, al fine di fugare ogni dubbio circa
l’ammissibilità o meno di integrazioni al modello standard.
123
Inoltre, è necessaria una revisione del modello standard stesso, previsto dal D.M. 138/12, in
particolar modo delle clausole numero 4 e 5 che, pur mantenendo la loro efficacia, non sono
armonizzate con le ultime disposizioni introdotte col D.L. 76/13.
Nel terzo capitolo, dopo aver sottolineato come la previsione di un capitale “simbolico” da
sola non sia sufficiente per ritenere superato l’istituto del capitale sociale, è stato affrontato il
delicato istituto delle operazioni di aumento e di riduzione del capitale nelle s.r.l.
Numerose sono le questioni sorte in relazione a questa materia. Prima di tutto si è affrontato il
tema della disciplina dei conferimenti in sede di aumento per le s.r.l. a capitale marginale,
giungendo alla conclusione che essa sia la stessa già prevista in sede di costituzione. Già qui
si è potuto notare come la dottrina sia divisa circa il regime da applicare in caso di aumento,
mentre non sono stati rilevati particolari disaccordi per ciò che concerne le operazioni
straordinarie di trasformazione c.d. “progressiva” da una s.r.l. a capitale marginale, mentre
dubbi permangono nel caso in cui il modello di destinazione sia per l’appunto una s.r.l. “da un
euro”.
Più delicato e complesso è invece l’istituto delle riduzioni del capitale sociale, sia facoltative
che per perdite, a causa della permanenza, agli artt. 2482 e ss. del codice civile, del limite
tradizionalmente previsto al numero 4), secondo comma, dell’art. 2463 c.c., il quale impone
un capitale minimo pari ad almeno 10.000 euro.
Per ciò che concerne le s.r.l. a “ridotta capitalizzazione”, si è assunto che tutte le disposizioni
previste in tema di s.r.l. “tradizionale” siano applicabili, pur con gli opportuni aggiustamenti,
alle s.r.l. a capitale marginale. L’applicazione letterale delle varie norme impedirebbe di fatto
la presenza di s.r.l. con un capitale marginale, mentre invece la completa disapplicazione della
disciplina avrebbe come conseguenza la possibilità che il capitale assuma valore negativo,
eventualità questa che non è ammissibile in una società che comunque rientra nel novero delle
società di capitali, e dove quindi i soci sono irresponsabili per le obbligazioni sociali.
La questione tuttavia più rilevante riguarda l’attuale limite minimo del capitale sociale per
tutte le s.r.l., poiché si tratta ora di comprendere se il valore minimo debba continuare ad
essere quello originariamente previsto pari a 10.000 euro, oppure se lo stesso corrisponda ad
un importo pari ad almeno un euro.
Qui la dottrina è nettamente divisa fra coloro i quali ritengono immodificata la disciplina
generale delle s.r.l. e coloro i quali ritengono invece che per tutte le società a responsabilità
limitata sia sufficiente dotarsi di un capitale di un solo euro.
Nel silenzio della legge infatti, la quale non ha modificato in alcun modo l’istituto delle
riduzioni di capitale, i vari commentatori hanno espresso posizioni anche molto diverse fra di
124
loro e tutte egualmente plausibili, rendendo più difficoltosa l’individuazione di un
orientamento maggioritario che permetta una migliore interpretazione dell’istituto.
Nel terzo capitolo si è giunti alla conclusione che le s.r.l. tradizionali possano ridurre il
proprio capitale fino ad un valore minimo di un euro, senza la necessità di una contemporanea
ricapitalizzazione, così come sarebbe invece previsto dall’art. 2482-ter.
Ma i numerosi dubbi esposti, in particolar modo in relazione al destino delle s.r.l. a piena
capitalizzazione che riducono il capitale al di sotto della soglia originariamente prevista per
questo tipi, necessitano di un chiarimento da parte del legislatore, dal momento che la s.r.l.
rappresenta uno dei tipi più diffusi nel nostro sistema economico.
Si è quindi cercato di ricostruire i vari istituti, tenendo in considerazione sia le intenzioni più
volte espresse dal legislatore sia il dato testuale delle norme introdotte dai vari interventi
legislativi. Il problema principale che si è riscontrato risiede nel fatto che le s.r.l. a capitale
marginale furono e sono tutt’ora presentate come modelli di “avviamento”, e quindi,
teoricamente, utilizzabili solo nella fase di “start-up” dell’impresa. Nonostante questa sia la
ratio sottostante l’introduzione delle s.r.l. “da un euro”, la legge in realtà non ha imposto
esplicitamente alcun limite al loro utilizzo, rendendo maggiormente difficoltosa
l’interpretazione delle norme introdotte negli ultimi anni.
Inoltre le s.r.l. a capitale marginale sembrano essere frutto dell’estemporaneità del legislatore
nel tentativo di risollevare l’economia italiana in seguito allo scoppio della crisi finanziaria
iniziata nel 2007-2008, piuttosto che essere il prodotto di un’azione ragionata e coerente con
le esigenze del sistema economico italiano351. Questo ha sicuramente inficiato la qualità della
produzione legislativa degli ultimi anni e reso più difficoltoso l’interpretazione operata in
questa sede.
Tuttavia, nonostante le numerose questioni sorte nel corso degli anni e i dubbi interpretativi
emersi, le s.r.l. a capitale marginale hanno ormai fatto breccia nel nostro Paese e
rappresentano ormai una consolidata alternativa per coloro che vogliono aprire una nuova
impresa in forma societaria.
Nonostante numerosi commentatori abbiano più volte sottolineato l’inutilità e lo scarso
successo dei modelli a capitale marginale, l’evidenza empirica mostra invece che, nonostante
tutte le incertezze caratterizzanti queste “varianti”, ogni anno sempre più s.r.l. “da un euro”
vengono aperte. Secondo infatti i dati forniti da Unioncamere352, nel 2015 il numero di s.r.l.s.
351
E l’inserimento delle norme qui analizzate in leggi riguardanti il rilancio dell’economia non fanno altro che
confermare questo pensiero.
352
Disponibile all’URL:
https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/attachments/documento_evento_procedura_commissi
one/files/000/003/385/2015_12_09_-_Unioncamere.pdf.
125
presenti nel territorio italiano è pari circa a 80.000, con una variazione, rispetto al 2014353,
pari a +80% (pur rappresentando solo il 5,4% del totale delle s.r.l. iscritte al registro delle
imprese, il trend registrato negli ultimi tre anni è comunque positivo ed in costante crescita).
Per chi dubitasse tuttavia della possibilità di iniziare un’attività imprenditoriale con un
capitale “irrisorio354”, anche in questo caso i dati sono comunque incoraggianti. Infatti,
sempre secondo Unioncamere, le s.r.l.s. effettivamente attive nello svolgimento della propria
attività sono pari a circa il 60% del totale (in linea con la percentuale di attività registrato per
le s.r.l. tradizionali, pari infatti al 68%).
Guardando invece alla distribuzione territoriale delle s.r.l. semplificate, è possibile notare una
maggiore concentrazione nel Sud e nelle Isole, ove è presente il 42% del totale delle s.r.l.s.
aperte in Italia. Alcuni commentatori hanno fatto notare, in relazione a quest’ultimo dato,
come il maggior successo del modello “semplificato” si sia registrato in regioni ad alto tasso
di criminalità e corruzione355, ma al momento non sono disponibili evidenze empiriche
riguardanti la correlazione fra questi due fenomeni.
A circa quattro anni dalla loro introduzione, tuttavia, è forse ancora presto per poter valutare il
successo di questi modelli ed il loro effettivo contributo al rilancio dell’economia italiana.
In virtù però del loro ampio utilizzo da parte degli imprenditori nostrani, si auspica un nuovo
intervento da parte del legislatore, al fine di rendere questi modelli più certi nel loro utilizzo e
maggiormente competitivi nei confronti delle “varianti” previste negli ordinamenti esteri, a
causa di una competizione divenuta ormai globale.
Inoltre, alla luce di quanto esposto precedentemente, è necessaria una revisione dell’intera
disciplina delle società a responsabilità limitata, in modo da avere un quadro normativo
coerente con sé stesso e certo nella sua applicazione.
353
Per i dati relativi al 2014 si rinvia all’articolo de “IlSole24ore”di V. MELIS, Le «Srl a un euro» moltiplicano
i posti di lavoro: 40mila in due anni”, disponibile all’URL : http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-eterritori/2015-03-27/le-srl-un-euro-moltiplicano-posti-lavoro-40mila-due-anni-214810.shtml?grafici.
354
Come fa ad esempio notare, fra gli altri, anche F. M. MUCCIARELLI, Dubbi sulle società da un euro, in
http://www.lavoce.info/archives/27458/dubbi-sulle-societa-da-un-euro/.
355
Come rileva M. S. SPOLIDORO, Una società a responsabilità limitata da tre soldi (o da un euro?), Rivista
delle Società, 2013, pag. 1085.
126
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