INDICE
INTRODUZIONE
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03
PARTE 1 - FISIOPATOLOGIA DELLA DEGLUTIZIONE E
DIAGNOSTICA DELLA DISFAGIA
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05
Fisiopatologia della Deglutizione e Classificazione della Disfagia
Patrizia Formigoni
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07
Inquadramento Diagnostico con Esami Strumentali
Riccardo Dal Zotto
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14
Inquadramento Diagnostico con Test Clinici
Renata Azzali
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16
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19
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21
I Disturbi della Deglutizione nelle Malattie Neurologiche
Norina Marcello
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24
La Disfagia in Ambito Gastroenterologico
Giovanni Fornaciari
Pag.
28
Aspetti Psicologici della Disfagia
Franca Martinelli
Pag.
30
Valutazione dello Stato Nutrizionale nel Paziente Disfagico
Nino Carlo Battistini
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34
PARTE 3 - APPROCCIO TERAPEUTICO-RIABILITATIVO
Pag.
35
La Riabilitazione Dietetico-Nutrizionale: Alimentazione per os
Salvatore Vaccaro
Pag.
37
La Riabilitazione Dietetico-Nutrizionale: Supporto Nutrizionale Artificiale
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61
Sicurezza Igienica dei Cibi a Consistenza Modificata
Maurizio Rosi
Pag.
63
La Disfagia Neurogena: l’Approccio Riabilitativo
Valentina Stigliano
Pag.
66
Riabilitazione Logopedia nel Paziente Disfagico
Immacolata Fusaro
Pag.
68
PARTE 2 - LA DISFAGIA IN VARI AMBITI SPECIALISTICI
La Disfagia in Ambito Pediatrico e le difficoltà nutrizionali nei
bambini con grave handicap neuro-psico-motorio
Sergio Amarri
William Giglioli
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
1
La Pianificazione Infermieristica al Paziente Adulto affetto da
Alterazioni della Deglutizione
Maura Rovatti
Pag.
74
Riabilitazione Infermieristica : Pazienti Stomizzati
Lina Casoni
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82
Il Follow-up Nutrizionale nel Paziente Disfagico
Angela Mazzocchi
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86
Progetto Disfagia: dall’Ospedale al Territorio (e viceversa)
Angela Miriam Campani, Licia Notari
Pag.
88
L’Impegno del Servizio Dietetico Ospedaliero verso i Pazienti Disfaici:
Alimentazione a Consistenza Modificata
Pag.
Salvatore Vaccaro
92
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
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La disfagia non è una malattia, ma è un sintomo che si manifesta in numerosi stati
patologici. Spazia infatti dall’ambito neurologico a quello gastroenterologico portando ad una
vera e propria menomazione fisica e psicologica. Rappresenta un rilevante problema psicofisico per la compromissione delle funzioni fisiologiche e per il peggioramento della qualità
della vita. Un disagio grande, sia per il paziente che per i loro familiari, che porta spesso a
fenomeni depressivi legati al calo della dell’autostima e della autosufficienza.
Frequentemente la disfagia è l’inizio di un percorso, che se non affrontato
precocemente, può portare alla malnutrizione, costituendo così un’ulteriore aggravamento
della malattia artefice della disfagia stessa. Non dobbiamo infatti dimenticare che la
malnutrizione è una malattia nella malattia, capace di instaurare rilevanti complicanze.
La così alta frequenza della disfagia porta a numerosi ricoveri ospedalieri provocando
ulteriore disagio al paziente, ai suoi familiari ed alle risorse della sanità. Molteplici sono le
discipline mediche interessate nella diagnosi e nella terapia della disfagia, coinvolgendo in tal
modo un rilevante numero di figure professionali: infermieri, logopedisti, operatori sanitari di
corsia, medici ospedalieri, psicologi, medici di famiglia, tecnici radiologi e tanti altri. Da non
dimenticare infine la fondamentale preparazione da impartire ai familiari.
Questo “campo comune“ ci ha stimolato a scegliere la disfagia come tema delle
“Seconde Giornate Reggiane di Dietetica e Nutrizione Clinica“, affinché il contributo di vari
esperti del settore possa aiutare ad affrontare meglio questa gravosa condizione patologica.
Dott. William Giglioli
Coordinatore Team Nutrizione Artificiale ASMN
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
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La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
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Parte 1
Fisiopatologia della Deglutizione e
Diagnostica della Disfagia
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
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La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
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FISIOPATOLOGIA DELLA DEGLUTIZIONE E CLASSIFICAZIONE DELLA DISFAGIA
Patrizia Formigoni
Servizio di Foniatria - U.O. O.R.L. - ASMN - Reggio Emilia
La deglutizione è l’abilità di convogliare sostanze solide, liquide, gassose o miste
dall’esterno allo stomaco. La deglutizione è un atto neuromuscolare complesso che si lega
indissolubilmente alla funzione respiratoria e condiziona fortemente altre funzioni vitali
(deglutizione, respirazione,fonazione, articolazione).
La regolazione centrale di tale funzione avviene a livello bulbare, è controllata dai
centri corticali e sottocoticali e dalla sensibilità proveniente dagli effettori periferici ed è
sincrona con quella del centro del respiro.
Per meglio comprendere questo complesso atto neuromuscolare si è soliti suddividere
la deglutizione in 5 fasi che caratterizzano sia il livello che la diversa funzione dei tratti
coinvolti.
• Fase 0 – preparazione extraorale del cibo: comprende tutte quelle funzioni che
coadiuvano la fase di preparazione orale (1) ed orale (2). Essa fa riferimento alle
tecniche di manipolazione (selezione, cottura, frantumazione, associazione tra diverse
consistenze) che rendono fruibili alimenti vari in diverse età e stati clinici e che a volte
vicaria la stessa fase di preparazione orale attraverso la preparazione di cibi frullati od
omogeneizzati. A questa fase compete inoltre la funzione di preparare tutte le strutture
deglutitorie e digestive a svolgere al meglio la loro funzione attraverso gli input
sensoriali di vista, olfatto che associati alla memoria modificano la secrezione salivare
e gastrica ed il tono della muscolatura liscia e striata. Alla associazione vista-olfattomemoria è legata anche una funzione protettiva dalla introduzione di alimenti nocivi.
Non trascurabile, specialmente nelle età estreme quando la funzione appetitiva del
cibo può venire a mancare, è anche la funzione posturale che si realizza come
avvicinamento all’alimento e preparazione all’accoglienza.
•
Fase 1 – buccale o di preparazione orale: l’alimento viene introdotto attraverso le
labbra (primo sfintere) che con il loro sigillo hanno la funzione di evitare cadute
extraorali, viene esplorato ed elaborato dalla lingua, viene trasportato nella regione
retrocanina per la masticazione e viene trasformato in bolo. I momenti caratterizzanti
questa fase sono la salivazione e la triturazione del cibo attraverso la masticazione. I
pattern motori variano a seconda della consistenza, viscosità e temperatura del cibo e
coinvolgono i seguenti gruppi muscolari:
- chiusura dello sfintere labiale per contrazione dell’orbicolare
- movimento laterale e rotatorio della mandibola per azione sinergica dei
muscoli
- elevatori della mandibola (temporale, massetere e pterigoidei) in sincronia con
gli antagonisti (sovra e sottoioidei)
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
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-
movimenti laterali e rotatori della lingua
anteriorizzazione del palato molle ad opera del m. palatoglosso con riduzione
della cavità orofaringea e riduzione del rischio di caduta di parti di alimento in
faringe (caduta predeglutitoria)
La lingua rappresenta indubbiamente l’elemento chiave di tutta la fase buccale sia nel
fine controllo dell’alimento durante i ripetuti cicli masticatori che nella detersione del
cavo orale dai detriti residui che nella veicolazione del bolo. La lingua circonda il bolo
creando un solco centrale e rialzando i bordi e lo tiene nella parte centrale-anteriore
del palato pronta ad iniziare la fase successiva.
•
Fase 2 - orale : il bolo preparato viene sospinto dalla lingua verso l’istmo delle fauci
con un movimento di schiacciamento antero-posteriore della lingua contro il palato
duro e sollevamento dei bordi linguali sulla faccia orale dell’arcata dentale superiore.
Lo sfintere labiale rimane chiuso ed aumenta il tono della muscolatura buccale per
evitare cadute di cibo nei solchi laterali. Quando il bolo raggiunge l’istmo delle fauci
si elicita il riflesso della deglutizione e si conclude il controllo volontario del processo
deglutitorio.
•
Fase 3 – faringea : è la fase più complessa e critica della deglutizione, inizia quando il
bolo supera lo sfintere palatoglosso e si conclude, dopo circa un secondo, con il
superamento dello sfintere crico-faringeo o esofageo superiore. L’elicitazione del
riflesso della deglutizione determina una sequenza di funzioni motorie coordinate che
si susseguono a cascata e consentono la progressione del bolo verso l’esofago.
- apertura dello sfintere palatoglosso con passaggio del bolo in faringe
- chiusura dello sfintere velo faringeo per evitare la fuga di cibo in rinofaringe
- inizio della peristalsi faringea con contrazione dei costrittori faringei superiore
e medio e “spremitura” del bolo verso il basso
- elevazione dello ioide e della laringe con chiusura dello sfintere laringeo
costituito da ribaltamento dell’epiglottide ed adduzione delle corde vocali vere
e false
- apertura dello sfintere crico-faringeo
Se non viene elicitato il riflesso della deglutizione non vengono innescate le sequenze
motorie decritte. La lingua può comunque sospingere il bolo in faringe ma esso si
arresterà a livello delle vallecule glosso-epiglottiche con forte rischio di penetrazione
nelle vie aeree.
La fase faringea è il momento più crirtico e più indagato dell’intero ciclo deglutitorio
perché è durante questa fase che si possono verificare inalazione di alimento nella via
aerea con gravi conseguenze sulle funzioni vitali del soggetto.
•
Fase 4 – esofagea : è caratterizzata dalla formazione di onde peristaltiche della
muscolatura liscia dell’esofago che si innescano con direzione cranio-caudale dopo
l’apertura dello sfintere crico-faringeo (esofageo superiore) e trasportano il bolo fino
allo sfintere esofageo inferiore in un tempo variabile tra 8 e 20 secondi.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
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•
Fase 5 – gastrica : il superamento dello sfintere faringeo inferiore trasporta il bolo
all’interno dello stomaco dove subisce una ulteriore trasformazione mediata dalla
secrezione gastrica e dall’azione della muscolatura liscia che esercita contrazioni
coordinate mantenendo la contrazione tonica degli sfinteri pilorico ed esofageo
inferiore. Alterazione di tono sfinteriale possono generare fenomeni di reflusso
gastro-esofageo con non rare patologie flogistiche delle vie aere superiori, spasmi
glottici o aspirazioni.
La deglutizione si diversifica, specie nella sua fase orale, a seconda dell’età in:
•
deglutizione adulta : è la fenomenologia deglutitoria a cui ci si riferisce di norma
quando si parla di fisiopatologia della deglutizione. Alla deglutizione dell’adulto si
riferiscono pertano le sequenze, le tempistiche e le problematiche appena descritte.
•
deglutizione neonatale ed infantile o pedofagia: la deglutizione infantile presenta
caratteristiche peculiari indotte dalle modificazioni anatomiche e fisiologiche che
si verificano durante la crescita. Già intorno alla 11° settimana di età gestazionale,
dopo la formazione del palato e la fusione del setto nasale e dei processi palatini,
compaiono i primi atti deglutitori che diventano vera suzione solo intorno alla 1824° settimana parallelamente alla formazione del surfactant respiratorio. La
suzione progressivamente si consolida e si coordina con la deglutizione tanto che
il feto deglutisce quotidianamente circa la metà del liquido amniotico in cui è
contenuto, ma solo intorno alla 32-34° settimana la suzione diventa funzionale
all’allattamento al seno. Nel periodo fetale la circolazione placentare e l’assenza
di respirazione polmonare non necessitano della coordinazione tra deglutizione e
respirazione che sarà invece il punto focale della deglutizione successiva. Nei
primi sei mesi di vita l’alimentazione avviene esclusivamente per suzione di latte
dal seno materno o dalla tettarella del biberon. In tale periodo la suzione (suckling)
avviene per spremitura delle arcate edentule sul capezzolo con movimenti linguali
antero-posteriori, relativa ipotonia della muscolatura labiale e facciale, complesso
iodo-laringeo fisso in posizione elevata favorito dalla posizione anatomica alta
della laringe (C2). Alla nascita inizia il compito di coordinamento tra suzione,
deglutizione e respirazione: la deglutizione sembra essere la funzione primaria in
rapporto 1/1 con la suzione e con la respirazione ma mentre il coordinamento tra
suzione e deglutizione, ampiamente sperimentato nel periodo fetale, si realizza
costantemente, talvolta la coordinazione tra quest’ultima e la respirazione
necessita di un breve periodo di rodaggio a scapito della buona respirazione.
Caratteristica significativa della deglutizione neonatale è la presenza di riflessi
orali quali il morso fasico, la protrusione e rotazione linguale, la rotazione del
capo, che andranno in proscrizione dopo i 6-12 mesi. La presenza di riflessi orali è
talvolta di grande aiuto nella riabilitazione deglutitoria neonatale quando si
verficano difficoltà di accoglienza orale o di elaborazione orale di alimento. Al
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
9
contrario l’eccessivo protrarsi della loro presenza induce la necessità riabilitativa
della loro soppressione. Dopo i sei mesi il pattern di suzione si modifica in
relazione ai cambiamenti anatomici che intercorro in tale periodo. La muscolatura
labiale si irrobustisce e viene utilizzata a ventosa intorno alla tettarella, si riducono
i movimenti mandibolari e la lingua, più libera in una cavità più grande, si muove
in senso supero-inferiore creando una pressione negativa all’interno del cavo orale
(sucking) sostenuta dalla mobilità del complesso ioido-laringeo e
dall’abbassamento della laringe che segue la posizione eretta. Intorno ai sei mesi
iniziano dentizione e lallazione e l’alimentazione a cucchiaio con incremento delle
consistenze dei preparati. La fine della alimentazione con tettarella o al seno si
colloca intorno all’anno e tra i 3 e i 6 anni la masticazione raggiunge la completa
maturazione. Entro i 6 anni la fase buccale, orale e la spinta linguale dovrebbero
assumere le caratteristiche dell’adulto con enormi variabili interpersonali e
rilevamenti di deglutizione infantile anche nella popolazione adulta.
•
deglutizione senile o presbifagia: a differenza della età evolutiva, la deglutizione
nell’anziano non subisce sostanziali variazioni fenomenologiche. Tuttavia i dati
epidemiologici affermano una forte prevalenza di diversi gradi di disfagia nella
popolazione anziana sostenuti probabilmente dalla minore efficienza neuromotoria
e muscolare con allungamento delle fasi critiche della deglutizione. La fase orale
aumenta mediamente del 50% e diminuiscono gli atti deglutitori a causa di un
aumento del tempo di elevazione ioidea durante la fase faringea con indebolimento
nell’accoppiamento tra le due fasi e stasi di alimento nelle vallecule glossoepiglottiche. E’ inoltre noto il fisiologico declino delle funzioni olfattiva e
gustativa che investe la fase di preparazione extraorale e la riduzione della
efficacia masticatoria per modificazione della struttura dentale che induce il
soggetto anziano a preferire consistenze sempre meno solide.
Patologie della deglutizione
Le patologie della deglutizione sono molto numerose ed una classificazione esaustiva
è piuttosto complessa.
La classificazione può essere condotta con criteri diversi (Piemonte ’99):
• eziologico (eziologia infettiva, iatrogena, metabolica, malformativa, degenerativa,
neoplastica, vascolare, traumatica, ecc.);
• patogenetico (disfagia meccanica, motorie-neurogene, miogene-funzionali,
respiratorie);
• fisiopatologico (deficit della fase di preparazione extraorale, della fase buccale,
della fase orale, della fase faringea o gastrica);
• topografico (lesione del I motoneurone, del II motoneurone, compromissione
dell’innervazione sensoriale, lesione dell’effettore muscolare).
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
10
Ognuna di queste classificazioni è funzionale ad operatori sanitari diversi e nessuna è
esaustiva di tutte le sfaccettature della patologia disfagia. La classificazione che verrà di
seguito proposta ha l’obiettivo di descrivere un quadro nosografico che consenta di indicare
le alterazioni anatomiche e fisiologiche da compensare attraverso un percorso riabilitativo e le
ripercussioni di tali alterazioni sulle funzioni primarie e sulla quotidianità.
Nosografia dei disturbi delle funzioni della deglutizione (da A.Schindler ’01, modificata):
Fase di preparazione extraorale
Iperprotezione buccale
Inadeguatezze socio-culturali
Fase buccale
Ridotto range di movimento linguale laterale e verticale
Ridotta tensione buccale/reazione cicatriziale
Ridotto range di movimento mandibolare laterale
Cattivo allineamento mascella/mandibola
Ridotta chiusura labiale
Ridotto coordinazione linguale per formazione, trattenimento e posizionamento di bolo
Ridotta sensibilità orale
Fase orale
Aprassia della deglutizione
Deglutizione infantile con spinta linguale semplice o complessa
Ridotta elevazione linguale
Ridotto o alterato movimento linguale antero-posteriore
Ridotta aderenza linguo-palatale
Fase faringea
Ritardato innesco o assenza del riflesso della deglutizione
Insufficiente chiusura dello sfintere velo-faringeo
Ridotta peristalsi faringea
Paralisi faringea unilaterale
Osteofiti cervicali
Reazioni cicatriziali di base lingua e parete del faringe
Disfunzione crico-faringea
Ridotta elevazione laringea
Ridotta chiusura glottica
Fase esofagea
Ridotta peristalsi esofagea
Diverticolo
Ostruzione parziale/totale dell’esofago
Fistola esofago-cutanea o esofago-tracheale
Fase gastrica
Reflusso gastroesofageo
Vomito
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
11
In età evolutiva il quadro più comune di disturbo della deglutizione è quello della
deglutizione atipica o persistenza di deglutizione infantile che si esplica con spinta linguale
anteriore e posizionamento dell’apice tra gli incisivi, scialorrea, beanza del sigillo labiale,
malocclusione dentale, palato ogivale, respirazione orale e frequente presenza di dislalie per i
fonemi fricativi ed affricati. Tali quadri sono spesso generati da cattive abitudini alimentari
(cibi “facili” a masticazione ridotta) e da abitudini orali viziate (suzione protratta di ciucci o
biberon, di dito o lingua, onicofagia, mordicchiamento). Ogni condizione oligofrenica,
genetica o di “ritardo mentale “ si accompagna a deglutizione atipica così come si riscontrano
disturbi vari della deglutizione nelle PCI e nelle malformazioni congenite del cavo orale
(schisi palatine) o nei gravi prematuri.
In età adulta e senile sono le cause vascolari o neurologiche a prevalere nella
eziologia della disfagia con grande variabilità sintomatologia e di esito funzionale. Un altro
importante capitolo che prevale in queste fasce di età è la disfagia con stati di incoscienza o di
coscienza alterata quale quella che si verifica negli stati di coma, nello stroke, nei traumi
cranici e nelle sindromi demenziali. Una ulteriore complicazione è la presenza di canula
tracheostomica associata alla disfagia e alla bassa responsività. E’ importante ricordare che la
canula tracheale non protegge completamente la via aerea da eventuali inalazioni e che la
cuffiatura, quando presente, può determinare decubiti tracheali e riduzione della reflessologia
zonale.
Tutta la chirurgia demolitiva del tratto cervico-facciale investe a diverso titolo la
deglutizione. Gli interventi demolitivi sul cavo orale sono ad alto rischio di disfagia quando
coinvolgono lingua, mandibola, pavimento orale e palato, meno se localizzati su guance e
labbra. Sempre è presente disfagia quando gli interventi demolitivi riguardano base lingua,
faringe e laringe con forte rischio inalatorio e contemporanea compromissione della vocalità e
della articolazione del linguaggio. Ugualmente è possibile che si verifichino disturbi
deglutitori quando la patologia oncologica del distretto cervico facciale viene sottoposto a
terapia radiante come unica soluzione terapeutica o come completamento della terapia
chirurgica.
Valutazione clinica e strumentale
La valutazione clinica del paziente disfagico (Bedside Swallowing Evaluation - BSE)
è il primo livello di valutazione che consente un orientamento sullo stato generale del paziente
sulla eventuale presenza di deficit motori o sensitivi a carico degli effettori della deglutizione
e sul grado di protezione delle vie respiratorie durante l’atto deglutitorio (innalzamento
laringeo, tosse protettiva). Questo grado di valutazione compete a tutti gli operatori sanitari
che hanno in cura il paziente e permette loro di attivare, in caso di riscontro positivo, operatori
esperti che promuoveranno i livelli successivi di valutazione.
Il secondo livello prevede la somministrazione di boli di diverso volume e consistenza
per valutare la eventuale comparsa di tosse, raschio o “gorgoglio” vocale. Solo dopo questa
valutazione specifica si procederà, se necessario ad un approfondimento diagnostico di tipo
strumentale.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
12
Le indagini strumentali più usate nello studio della deglutizione sono quelle che ci
consentono una visione dinamica del processo. In particolare l’esame che più si avvicina al
gold standard è la videofluoroscopia (VFS) che offre una visione completa dell’intero atto
deglutitorio anche se non sono comunque azzerati i rischi di falsi negativi. Spesso pertanto
tale indagine viene affiancata dalla indagine endoscopica (Fiberoptic Endoscopic Evaluation
of Swallowing - FEES) che offre indubbi vantaggi di ripetibilità, bassa invasività, facile
esecuzione anche su pazienti non collaboranti, studio e gestione dei ristagni a fronte dello
svantaggio di potere studiare la sola fase faringea.
Gli esami strumentali, oltre a valutare l’integrità anatomica degli organi e la
competenza motoria e sensitiva, consentono di visualizzare il transito del bolo e di
documentarne la eventuale penetrazione (bolo sopra le corde vocali) o inalazione (bolo sotto
le corde vocali) anche e soprattutto nei casi in cui l’inalazione non induce accessi di tosse
(silente) o non si verifica contestualmente all’atto deglutitorio ( inalazione pre- o postdeglutitoria).
Bibliografia
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Ruoppolo G et all.., La presbifagia e la pedofagia: dalla normalità alla devianza alla patologia,
Acta Phoniatrica Latina, Vol.9,fasc.3-4, 2007
Schindler A . , Catalogo nosologico dei disturbi della deglutizione, in Deglutologia, Ed. Omega,
Torino 2001
Schindler O., Schindler A., La disfagia un quadro multidisciplinare, suppl. Occhio Clinico, Utet
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La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
13
INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO CON ESAMI STRUMENTALI
Riccardo Dal Zotto
U.O. Radiologia - Azienda Ospedaliera “Arcispedale Santa Maria Nuova” - Reggio Emilia
Deglutizione e disfagia
Dopo che il bolo alimentare è stato masticato e rimescolato con la saliva, viene
rapidamente spostato dalla bocca allo stomaco attraverso la faringe e l’esofago; il bolo
alimentare si muove per effetto delle contrazioni dei muscoli scheletrici e lisci che si
verificano in senso oro-caudale, integrati e controllati dal sistema nervoso.
Il bolo alimentare viene spostato dalla bocca all’esofago attraverso la faringe in circa 1
secondo:
• il dorso della lingua viene spinto verso il palato duro portando il bolo solido o liquido
verso la parte posteriore della lingua;
• il bolo viene forzato attraverso la faringe per contrazione dei muscoli scheletrici della
gola;
• il palato molle si solleva e chiude le vie nasali, la laringe si innalza, le corde vocali si
avvicinano, l’epiglottide viene spinta verso la glottide, impedendo il passaggio del bolo
nelle vie respiratorie inferiori;
• dopo che il bolo è entrato nell’esofago, lo sfintere esofageo superiore si chiude, la glottide
si apre, il palato molle si abbassa e la respirazione riprende.
Disfagia è la difficoltà di deglutizione, quando non è dovuta a cause oro-faringee è un
segno soggettivo di alterazioni esofagee, può essere limitata ai cibi solidi o anche ai liquidi,
può essere dovuta a fenomeni funzionali di spasmo o a riduzione del lume per cause
intrinseche o estrinseche, può essere continua o intermittente; la disfagia dolorosa è detta
odinofagia.
La disfagia di origine funzionale ha insorgenza improvvisa, è spesso scatenata da
alimenti particolari, si manifesta a crisi che si risolvono spontaneamente, è sempre dolorosa.
La disfagia da cause organiche generalmente inizia in modo lento e insidioso, interessa
dapprima i solidi e successivamente anche i liquidi, è costante e progressivamente sempre più
grave, può non essere dolorosa almeno nelle fasi iniziali.
Diagnostica radiologica strumentale per lo studio della disfagia
Poiché la deglutizione avviene in tre tempi successivi (fase orale, fase faringea e fase
esofagea) lesioni neuro-muscolari e lesioni organiche intrinseche o estrinseche del cavo orale,
della faringe e dell’esofago possono essere causa di disfagia.
A nostra disposizione abbiamo varie metodiche per lo studio di questi distretti, da
esami radiologici semplici quali la radiografia standard del rachide cervicale e del torace, ad
esami più complessi come la tomografia assiale computerizzata, tuttavia esami specifici per lo
studio del primo tratto del canale alimentare rimangono l’esame contrastografico dell’esofago
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
14
e dello stomaco, che consentono di evidenziare alterazioni anatomo-funzionali di questi
visceri, e lo studio videodinamico delle fasi orale e faringea della deglutizione.
Studio radiologico videodinamico della deglutizione
Questa metodica consente di visualizzare la fase orale e faringea, fornisce utili
elementi dell’entità e dei disordini della deglutizione e permette di programmare e monitorare
una terapia rieducativa appropriata.
L’esame consiste in un’osservazione preliminare della regione oro-faringea, senza
mezzo di contrasto, a paziente seduto, generalmente in posizione laterale, sia a riposo sia in
fase dinamica (fonazione e deglutizione), successivamente, sempre a paziente seduto in
posizione laterale, si somministrano piccoli boli di contrasto radio-opaco, generalmente
organoiodato idrosolubile, per valutare la funzionalità della lingua, del palato molle,
dell’epiglottide, della faringe e l’apertura dello sfintere esofageo superiore; si può eseguire lo
studio della deglutizione con bolo opaco anche in posizione frontale (antero-posteriore) per
valutare il pavimento della lingua, le vallecule glosso-epiglottiche ed i seni piriformi.
Lo studio radiologico videodinamico della deglutizione consente di valutare
alterazioni del trattamento del bolo nel cavo orale, la perdita del bolo dal cavo orale, per
incontinenza dell’istmo palato-linguale, eventuali rigurgiti nasali, ritenzione del bolo nella
faringe, per inadeguata propulsione della contrazione faringea, aspirazione del bolo nelle vie
aeree, per ritardo o deficit della laringe e/o alterata motilità dell’epiglottide, ed alterazioni
della motilità dello sfintere esofageo superiore.
Le informazioni, che si possono ottenere dallo studio radiologico videodinamico della
deglutizione, consentono scelte terapeutiche e di rieducazione all’alimentazione per via orale.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
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INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO CON TEST CLINICI
Renata Azzali
Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia
La disfagia è un sintomo comune nel soggetto con stroke che consiste nell’incapacità
di far progredire alimenti solidi e liquidi dalla bocca allo stomaco. L’incidenza della disfagia
nello stroke acuto si rileva nel 13-71% dei pazienti e si riduce al 50% entro la prima
settimana.
In generale uno stroke che causa lesione dell’emisfero sinistro può determinare
aprassia della deglutizione con compromissione della fase orale, mentre una lesione
dell’emisfero destro può determinare riduzione del transito orale, rallentamento e
incoordinazione della fase faringea e una ridotta elevazione laringea. Numerose sono le
complicanze a cui possono andare incontro i pazienti con disfagia: l’aspirazione di cibo o
saliva che può causare infezioni polmonari, disidratazione e malnutrizione. Come
conseguenza questi pazienti hanno un incremento della durata della degenza e una più elevata
mortalità. Queste considerazioni indicano l’importanza di effettuare una attenta valutazione
clinica della disfagia; e in questa tipologia di pazienti è problematica anche la
somministrazione dei farmaci.
Nel nostro ospedale è da più di un anno che si fa formazione sulla gestione del
paziente con stroke; uno degli obiettivi è di attuare in modo sistematico la valutazione della
disfagia. In questi ultimi anni la pulsiossimetria è utilizzata frequentemente nei pazienti con
stroke al fine di monitorare una eventuale desaturazione che può essere correlata a inalazione.
Tuttavia è da considerare che altri fattori possono determinare desaturazione come la tosse
riflessa, le apnee, il cambio di postura, per cui l’ossimetria dovrebbe essere considerata
strumento utile se integrata con altre valutazioni cliniche e strumentali.
Il test di screening per valutare i disturbi della deglutizione BSA (Bedside Swallowing
Assessment), detto anche Test dell’Acqua viene somministrato entro 24 ore dal ricovero da
infermieri adeguatamente formati. Il paziente deve essere vigile, sveglio da almeno 15 min.,
mantenere la posizione seduta e avere il controllo del capo. Si osserva se il paziente presenta
tosse volontaria, se parla, la qualità della voce, se ci sono deglutizioni spontanee, se c’è
presenza di scialorrea. Per quanto riguarda le prassie bucco-linguo-facciali, è opportuno
considerare la protrusione della lingua, quindi, dare al paziente un cucchiaio (5 ml) di acqua e
considerare la presenza di tosse (o segni di soffocamento), se la voce diventa gorgogliante e
se ci sono difficoltà respiratorie. I 5 ml. di acqua vanno somministrati per tre volte; se non si
evidenziano problemi, somministrare al paziente 50 ml. di acqua con il bicchiere. Si possono
effettuare prove di deglutizione con sostanze prive di rischio di inalazione a consistenza
semisolida, come l’acqua gelificata, valutando l‘efficacia dei riflessi di protezione delle vie
aeree (tosse volontaria, difficoltosa o assente). Se supera il test di screening, il paziente può
assumere una dieta morbida che va monitorata per due pasti; se non supera il test di screening,
il test va ripetuto ogni 12 ore per due giorni. Nel contempo l’igiene orale va fatta almeno due
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
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volte al giorno con lo scopo di mantenere una pulizia ottimale, prevenire infezioni, favorire la
deglutizione della saliva e stimolare la sensibilità orale. Se dopo due giorni il paziente non
supera il test, si possono rieffettuare prove di deglutizione con sostanze prive di rischio di
inalazione a consistenza semisolida. Se persiste il pericolo di inalazione, il pazienta ha una
disfagia ad alto rischio e non deve perciò assumere nulla per os. L’equipe allora decide di
nutrire artificialmente il paziente. Viene quindi richiesta una visita del fisiatra per attivare una
consulenza della logopedista, al fine di effettuare un esame funzionale più dettagliato e
iniziare le stimolazioni sensoriali. Se la sintomatologia persiste, entro una settimana verrà
attivato il foniatra per una valutazione clinica strumentale più approfondita.
Concludendo, si può affermare che la diagnosi e la riabilitazione del paziente con
disfagia post-stroke richiede un intervento multiprofessionale (foniatra, otorinolaringoiatra,
radiologo, neurologo, infermiere, psicologo, fisioterapista, logopedista e dietista), al fine di
definire il più precisamente possibile la disfagia, e poter conseguentemente mettere in atto le
migliori strategie riabilitative e gli eventuali rimedi.
Va considerato che il nostro oggetto di valutazione non è la disfagia in quanto tale, ma
è una persona che ha difficoltà di deglutizione; prima di ogni fare è importante stabilire una
relazione con la persona creando un ambiente sereno e rassicurante, cioè creando un’Alleanza
Terapeutica.
Il counseling ai familiari (o ai caregivers) è di fondamentale importanza, in quanto
essi, adeguatamente addestrati, sono una risorsa, e il loro ruolo va sempre riconosciuto. Dati i
tempi che servono per alimentare per os un paziente disfagico, i familiari (o i caregivers)
sono indispensabili.
Infine non bisogna dimenticare la necessità di implementare un follow up nei pazienti
con PEG per una possibile eventuale ripresa dell’alimentazione orale anche a distanza
dall’evento ictale.
Bibliografia
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Parte 2
La Disfagia nei vari Ambiti Specialistici
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La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
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LA DISFAGIA IN AMBITO PEDIATRICO E LE DIFFCIOLTÀ NUTRIZIONALI
NEI BAMBINI CON GRAVE HANDICAP NEURO-PSICO-MOTORIO
Sergio Amarri
U.O. Pediatria - Azienda Ospedaliera “Arcispedale Santa Maria Nuova” - Reggio Emilia
Negli ultimi anni è stata posta una maggiore attenzione nel ricercare le cause e nel
curare la malnutrizione dei bambini con handicap neurologico. Spesso questi bambini, a causa
della difficoltà ad assumere sufficienti quantità di cibi liquidi e solidi, sono nutriti attraverso
sonde con un’alimentazione enterale. Il sondino naso-gastrico è impiegato spesso per nutrire
questi bambini, ma si tratta di una pratica non priva d'importanti rischi e che può contribuire
all’insorgenza di reflussi gastro-esofagei, vomiti e frequenti polmoniti. L’avvento della
gastrostomia per via endoscopica (PEG) e l’impiego di sonde gastroduodenali ha aperto la
strada ad una gestione più agevole e sicura per questi bambini.
La malnutrizione è un problema frequente nei bambini con grave paralisi cerebrale,
che spesso hanno problemi di masticazione e deglutizione, e che presentano spettanze di vita
sempre maggiori (anche > 30 anni) e con una percentuale di decessi per anno ≤ 5%. Nel
passato la maggioranza di questi bambini viveva in istituti, mentre attualmente la tendenza è a
riportarli in comunità, pertanto un approccio sistematico alla nutrizione diventa ancora più
sentito e importante. La malnutrizione non permette di raggiungere lunghezza e peso normali,
inoltre è dimostrato un ulteriore peggioramento dello sviluppo neurologico. I bambini
malnutriti tendono a manifestare avversione verso i pasti e ad essere molto agitati, situazioni
che i genitori vedono scomparire quando lo stesso bambino raggiunge un adeguato stato di
nutrizione. La famiglia inoltre può dedicare a quel punto più tempo ad altre attività educative
e di gioco. Per questi motivi è raccomandabile un’attenta valutazione dello stato nutrizionale
di questi bambini, con un pronto impiego della nutrizione enterale nel caso in cui i fabbisogni
non siano soddisfatti dalla dieta per os.
Esiste consenso nella comunità medica internazionale per affermare che è inaccettabile
non trattare la malnutrizione secondaria in soggetti con handicap neurologico. L’impiego di
PEG ha cambiato radicalmente l’approccio della nutrizione con sonde enterali ed è
raccomandata da tutte le linee guida (Società Italiana di Nutrizione Enterale e Parenterale e
American Society of Parenteral and Enteral Nurtiton), nei bambini che richiedano nutrizione
enterale per periodi > 6-8 settimane. Questo tipo di trattamento è particolarmente
raccomandato nei disturbi NC stabili, mentre nelle patologie a rapida progressione andrà
valutata caso per caso l’indicazione.
Esistono scarse informazioni sui fabbisogni nutrizionali dei soggetti con patologia
neurologica cronica. Dai dati esistenti emerge che gli adolescenti con paralisi cerebrale hanno
spese energetiche inferiori agli adolescenti sani, con un consumo oscillante tra 2900 e 4600
kJ/die. La raccomandazione è quindi quella di non utilizzare ampi apporti calorici, soprattutto
nei pazienti che non deambulano, pena la comparsa d'obesità.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
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L'usuale valutazione nutrizionale con percentili per peso e altezza può essere non
facilmente applicabile nei bambini con neuropatie croniche che alterano la postura corporea.
Sebbene siano stati fatti tentativi per utilizzare misure corporee scelte, come la misurazione di
segmenti d'arti, esiste consenso sull’impiego delle pliche cutanee come migliore forma di
valutazione nutrizionale. Il consiglio è di far riferimento ai valori normali di pieghe tricipitali,
una corretta nutrizione deve portare i valori plicali all’interno del range di normalità. Gli
esami bioumorali non forniscono grande aiuto, se si esclude il controllo dell'emoglobina e
della sideremia.
La valutazione della capacità di nutrirsi dovrebbe esaminare diversi fattori; vanno
studiati il modo con cui il bambino si nutre, il succhiamento, l’uso del cucchiaio, il
movimento delle labbra, etc., che andranno valutate con l’ausilio di logopediste e
fisioterapiste. Molto importante è il tempo impiegato a nutrire il bambino, infatti, i disturbi
più gravi possono portare la famiglia a spendere anche il 50% del tempo passato sveglio per
assumere quantità non sempre sufficienti di cibo.
L’anamnesi positiva per polmoniti da aspirazione è un dato che aumenta l’indicazione
all’alimentazione enterale con sonda. Inoltre è fondamentale quantificare la frequenza, l’entità
di eventuali vomiti e di segni di malattia da reflusso gastro-esofageo. Sebbene un’attenta
anamnesi possa fornire utili informazioni, per quest’ultimo sospetto si deve ricorrere
frequentemente ad indagini diagnostiche, come la pHmetria esofagea di lunga durata e
l’esofagogastrocopia con biopsie per analisi istologiche.
La PEG è utilizzata a partire dai primi anni 80 ed il suo impiego è in costante aumento.
L’impiego della tecnica endoscopica è meno invasivo della procedura chirurgica, che può così
essere evitata, somministrando anche necessarie terapie antiacide (H2 antagonisti o inibitori
della pompa protonica) per eventuale malattia da reflusso gastro-esofageo. Il posizionamento
di PEG è controindicato quando l’accostamento tra parete gastrica ed addominale può
presentare problemi, come ad esempio precedenti interventi chirurgici addominali,
epatomegalia, ascite. Controindicazioni relative sono invece l’aspettativa di vita molto breve,
deficit di coagulazione e rischi generali anestesiologici. In talune situazioni di vomito
incoercibile con rischio d'inalazione, può essere indicato introdurre attraverso la PEG un
sondino digiunale per somministrare gli alimenti distalmente al piloro; sono disponibili
appositi kit che permettono sia l’alimentazione digiunale sia la decompressione gastrica. La
PEG può presentare delle complicanze, anche gravi e soprattutto nei pazienti in condizioni
generali scadute. Vi sono delle complicanze correlate alla metodica: formazione di un ascesso
della parete addominale nel sito d'introduzione della sonda, pneumoperitoneo, perforazione
(del colon), sanguinamento gastrico. L’attenta gestione della stomia da parte di personale
infermieristico specializzato consente di avere bassa incidenza di complicanze dopo
l’inserzione della PEG.
L’indicazione deve essere discussa all’interno di un team nutrizionale
multidisciplinare, solitamente composto da un medico pediatra con esperienza in nutrizione e
gastroenterologia, un dietista, un’infermiera professionale esperta nella gestione di stomie.
Altre figure mediche solitamente coinvolte possono essere il radiologo e il chirurgo pediatra,
oltre alla consulenza di un farmacista per la scelta della formula entrale da infondere.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
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Le formule da privilegiare sono solitamente quelle con un alto rapporto
nutrienti/energia, tipicamente utilizzate per la nutrizione sotto i sei anni di età. In caso
d'intolleranze verso le proteine del latte vaccino andranno utilizzate formule anallergiche.
Anche quando esista l’indicazione a iniziare la nutrizione entrale è da incoraggiare la
somministrazione di cibi semisolidi, come puree o gelati per stimolare le attività motorie orali.
Nei soggetti con disturbi di minore entità la nutrizione con sonde può essere solo
parziale, ed il tentativo di reintroduzione di dieta orale è sempre possibile.
Bibliografia
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La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
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I DISTURBI DELLA DEGLUTIZIONE NELLE MALATTIE NEUROLOGICHE
Norina Marcello
S.C. Neurologia - Azienda Ospedaliera “Arcispedale Santa Maria Nuova” - Reggio Emilia
Nei cenni anatomici che riguardano la deglutizione è necessaria una visione, sia pure
sommaria, dei territori d’innervazione del IX e X nervi cranici. L’innervazione sensorimotoria di palato, lingua e faringe è a carico del IX nervo cranico. Gli assoni motori
innervano i muscoli stilo-mastoideo e il costrittore medio-faringeo. La parte sensitiva è
costituita dalle afferenze gustative linguali e dall’intero arco afferente del riflesso della
deglutizione, nonché dai riflessi vasomotorio, cardioinibitorio e respiratorio provenienti dal
seno carotideo. L’innervazione del palato molle, di faringe e laringe è costituita dal nervo
vago. In particolare la branca palatale innerva i muscoli elevatori che sollevano il palato,
assicurando la chiusura della rinofaringe nell’atto della deglutizione. I rami nervosi faringei e
laringei mediano afferenze sensitive e motorie da queste regioni. Data la forte
interconnessione dei due territori nervosi, non è possibile testare isolatamente i due nervi.
Solo la laringe possiede unicamente l’innervazione sensitivo motoria vagale.
A questa innervazione bisogna aggiungere l’importante e, ancora in parte sconosciuta,
innervazione dei sistemi orto e parasimpatico. Le fibre ortosimpatiche sinaptano nel gangli
cervicali superiore e medio per le ghiandole nasofaringee e quelle parasimpatiche nei gangli
sfenopalatino e sottomascellare (Jcl neurophis). L’inizio del riflesso della deglutizione è
costituito dalla stimolazione della parete faringea o della base della lingua: il cibo è spinto
nell’esofago, dall’azione degli archi palatini, della lingua, del palato molle, e della faringe. La
presenza del bolo di cibo agisce come uno stimolo per la deglutizione. Anche la stimolazione
periorbicolare della bocca evoca oltre che la protrusione labiale per la suzione anche il riflesso
della masticazione e della deglutizione. (Baker, 2004)
La disfagia è un sintomo causato dall’alterazione del normale processo di deglutizione
e può essere presente in numerose malattie neurologiche: accidenti cerebrovascolari, paralisi
cerebrali, sclerosi multipla, miastenia gravis e disturbi del movimento in genere (malattia di
Parkinson, chorea, parkinsonismi atipici, tremore etc.). Anche una patologia come la demenza
negli stati più avanzati comporta disfagia. Il motivo dell’alta frequenza di questo sintomo è
dovuto al processo complesso che costituisce l’atto deglutitorio: ad esso partecipano, infatti,
riflessi volontari e involontari, la sensorialità orale, l’integrazione sensorimotoria, la
salivazione e la regolazione viscerale. La tradizionale fisiologia della deglutizione si basa sul
ruolo del giro precentrale inferiore (IPCG) a livello biemisferico e della regione bulbare. Zald,
tuttavia, nel 1999 dimostrò con studi PET come durante la deglutizione sia presente una forte
attivazione a livello della regione insulare anteriore di destra, oltre che a livello dell’IPCG,
bilateralmente, e dell’emisfero cerebellare di sinistra (Zald DH , Pardo JV; Ann Neurol 1999;
46:281-286) nonché a livello di putamen, claustro, cervelletto e talamo. Il principio di rete
distribuita può quindi spiegare perché multiple lesioni encefaliche possano produrre disfagia.
L’atto volontario della deglutizione rimane appannaggio delle aree bilaterali degli IPCG,
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
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mentre le fasi, faringea ed esofagea possono essere più asimmetriche. La natura bilaterale
dell’inizio volontario della deglutizione è tuttavia in contrasto con la possibilità che un terzo
dei pazienti con stroke emiplegico unilaterale, presenti disfagia. Hamdy S. et altri
dimostrarono con studi elettrofisiologici che questo accade quando la grandezza della
rappresentazione motoria della faringe sull’emisfero non affetto, risulti inferiore. Tuttavia
proprio la natura bilaterale di queste risposte spiega perchè con discreta frequenza nella
patologia cerebrovascolare, possa recuperare e/o essere frequentemente transitoria (Hamdy S.;
Lancet 1997;350:686-92).
La disfagia può essere conseguente sia a problemi neuromotori sia a problemi
meccanici. Per ognuno di questi aspetti ci può essere una componente orofaringea o una
componente esofagea (LA Rolak “Secrets in neurology”, Mosby, 2001).
La disfagia orofaringea avviene già durante la deglutizione e include la sensazione di
corpo estraneo causata dalla presenza del cibo in una sede non congrua, dolore nel deglutire,
rigurgito nasale e, se il bolo ostruisce la laringe si manifestano, con severo rischio, i sintomi
del soffocamento. La disfagia può essere presente in un numero molto importante di malattie
neurologiche: m. del motoneurone, tumori cerebrali, ictus, neuropatie, malattie
demielinizzanti, m. degenerative (in particolare quelle spino-cerebellari, siringobulbia,
miastenia gravis, miopatie, m. di Parkinson, discinesia tardiva, sindrome di Sjogren).
Le cause di disfagia meccanica possono in alcuni casi (miopatie) concomitare:
dislocazione dell’articolazione temporo-mandibolare, macroglossia. Altre patologie, quali
spasmo esofageo diffuso, neuropatie autonomiche, polimiosite sono causa più frequente di
disfagia esofagea .
Il momento in cui il cibo è spinto nella faringe da molti autori è considerato un atto
volontario.
Studi molto recenti sulla disfagia nei pazienti con demenza lobare frontotemporale
(Langmore SE et al.; Arch. Neurol. 2007;64:58-62) sull’analisi di predittori precoci della
mortalità (FTLD) hanno dimostrato in una review retrospettiva che se il mutacismo o la
disfagia precedono i disturbi comportamentali la prognosi di sopravvivenza è ridotta. Ciò è
verosimilmente conseguente ad una più estesa degenerazione delle strutture corticali e
sottocorticali infatti, nello studio citato, tutti i pazienti in seguito avevano sviluppato sclerosi
laterale amiotrofica (SLA).
Nella sclerosi laterale amiotrofica la disfagia e le polmoniti ab ingestiis relative
costituiscono il maggiore handicap per la qualità della vita; oltre al rischio di scarsa nutrizione
ed idratazione che interviene più precocemente nei pazienti più anziani. Il meccanismo
patofisiologico della disfagia nell’ALS fu estesamente studiato da Ertekin alla fine degli anni
90; i risultati indicarono come il disturbo sia principalmente associato con la degenerazione
progressiva delle fibre piramidali corticobulbari, eccitatorie ed inibitorie, che controllano il
centro bulbare della deglutizione. In uno studio pubblicato ancora da Ertekin nel 2000, di 35
pazienti che presentavano disfagia precocemente, 18 avevano predominanti segni
pseudobulbari. Il loro quadro clinico preminente era l’aumento dei riflessi mesencefalici con
difetto motorio linguale senza atrofia e riso e pianto spastico. Lo studio elettromiografico
dimostrò anomalie nell’inizio del riflesso di deglutizione e nell’elevazione della laringe
durante la fase orofaringea; altre anomalie furono registrate negli aspetti dinamici legati allo
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
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sfintere cricofaringeo e all’assenza di coordinazione tra i muscoli elevatori della laringe
(includendo la muscolatura sottomentoniera e i muscoli dello sfintere cricofaringeo) durante
la fase orofaringea della deglutizione. Questi dati hanno portato alla conclusione che due
meccanismi patofisiologici operano nella disfagia dell’ALS: il trigger del riflesso deglutitorio
volontario è ritardato mentre sono preservate le deglutizioni spontanee fino a stadi avanzati.
Lo sfintere cricofaringeo del segmento faringoesofageo diviene iperreflessico ed ipertonico;
questo comporta che il sistema protettivo laringeo e il sistema di trasporto del bolo perdono la
loro coordinazione durante le deglutizioni volontarie. Ciò accade, come si è detto, per la
progressiva degenerazione delle fibre corticobulbari, eccitatorie ed inibitorie (Brain 2000;123,
125-140).
La disfagia è un sintomo abbastanza frequente nel capitolo dei disturbi del movimento,
tra cui prima è la malattia di Parkinson. Due scale di valutazione clinica, specifiche per la
malattia, comprendono tra gli items il sintomo disfagia: la UPDRS (Unified Parkinson disease
rating scale) tra le activities of daily living (speech, salivation, swallowing, handwriting,
cutting food and handling utensils, dressing) e la Schwab and England activities of the daily
living scale. Nella UPDRS lo score di valutazione è compreso tra 0 e 4: normale = 0, tosse
rara = 1, tosse occasionale = 2, necessita di cibi soffici = 3, richiede sonda NG o
alimentazione per gastrostomia = 4. Nella Schwab, invece, la disfagia viene considerata solo
se “completa”, ovvero un sintomo della fase terminale, pari a 0% , in quanto l’item descrive
“vegetative, functions such as swallowing, bladder,and bowel are not functioning.
Bedridden“.
In genere nei pazienti affetti da parkinsonismi atipici (Atypical Parkinsonian
Disorders): Multisystem atrophy (MSA), dementia with Levy bodies (DLB), corticobasal de
generation (CBD) e Progressive Supranuclear Palsy (PSP) la disfagia può essere più precoce e
più grave.
Muller J (Arch Neurol. 2001;58:259-264) analizzò retrospettivamente l’evoluzione
temporale della disartria e della disfagia , tanto quanto il tempo di sopravvivenza media dopo
l’insorgenza dei sintomi e la correlazione tra la latenza d’esordio della disfagia e il tempo
totale di sopravvivenza in due popolazioni di pazienti, la prima con PD e l’altra con
parkinsonismi atipici (APD) confermati postmortem. Inoltre, furono investigati la precoce
comparsa di disartria o disfagia entro un anno dall’inizio della malattia. I risultati
dimostrarono che nessuno dei pazienti con PD aveva sviluppato, entro il primo anno dalla
diagnosi di malattia, disartria o disfagia. La disartria precoce era (entro o meno di un anno)
caratteristica dell’APD (specificità 100%), per contrasto la sensibilità era bassa nel totale
degli APD (19%) ma più alta nel MSA (27%). La disfagia era riportata soltanto in due
pazienti con PSP e 1 paziente con MSA durante il primo anno d’insorgenza della malattia,
rappresentando una scarsa sensibilità diagnostica (8 e 7% rispettivamente). In questo studio
la disfagia era sempre associata con la concomitante disartria, in genere più precoce sintomo.
L’insorgenza della disfagia prediceva un breve tempo di sopravvivenza nell’MSA, PSP e
CBD.
Alfonsi e coll. (Neurology 2007;68:583-590) hanno recentemente pubblicato uno
studio EMG sulla durata di attività dei muscoli sopraioidei e sottomentonieri, valutando la
durata del meccanogramma laringo-faringeo, la durata dell’inibizione dell’attività del
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
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muscolo cricofaringeo e il tempo di reazione della deglutizione. Gli autori hanno concluso per
un coinvolgimento del nucleo tegmentale peduncolo-pontino, con la susseguente disfunzione
dei gangli basali e del pattern centrale del generatore midollare. Il metodo utilizzato è capace
di identificare anomalie della deglutizione anche in pazienti asintomatici e di valutare la
gravità della disfagia in tutti i pazienti.
Se nelle malattie degenerative il sintomo disfagia riveste un ruolo preminente nel
paziente cronico, spesso assistito presso il domicilio e/o in strutture protette, all’interno di
settings ospedalieri per acuti, come nelle Stroke Units, i pazienti affetti da patologia
cerebrovascolare molto spesso presentano gravi episodi d’ingestione; tale evento, purtroppo
comune complicazione nei pazienti con stroke acuto, è fortemente associato a prognosi grave.
La prevenzione delle ingestioni è quindi necessaria ma i test clinici per la disfagia, effettuati
al letto del paziente non hanno alta specificità e sensibilità nello screening clinico.
Recentemente Warnecke et al (JNNP, 2008 Mar;79(3):312-4) hanno sottoposto 100 pz,
colpiti da stroke, al test di provocazione in due tempi “swallowing provocation test ( SPT)”
e alla valutazione mediante endoscopia a fibre ottiche per rilevare il rischio di aspirazione
entro 72 ore dall’insorgenza dello stroke. I risultati hanno dimostrato che l’incidenza di
aspirazioni - endoscopicamente provate - era dell’81%. Il primo step di SPT aveva 74,1% e
100%, rispettivamente di sensibilità e di specificità, mentre nella seconda fase del test la
sensibilità era più bassa. Nelle loro conclusioni gli autori hanno evidenziato come SPT sia
attendibile se l’alterazione sia prevalente nella fase faringea, mentre per l’alterazione della
fase orale, durante la quale si ha perdita di liquido nel seno piriforme senza ritardo dell’inizio
della deglutizione, il test non è sufficientemente sensibile a rilevare il rischio d’ingestione.
Uno studio personale condotto sulla disfagia nei pazienti affetti da Distrofia Muscolare
di Duchenne nel 1995 ha evidenziato che il problema inizialmente ha maggiore carattere
meccanico piuttosto che nervoso. Dopo la perdita del cammino i pazienti presentano
degenerazione dei muscoli masticatori e nucali con sviluppo di mal occlusione e macroglossia
nonché importante scoliosi. Le fasi di apertura rapida della mandibola e successiva occlusione
degli incisivi sono impediti e l’intero processo della masticazione è compromesso a causa
della diminuzione dei contatti occlusali e per la precoce degenerazione dei muscoli masseteri
e paraspinali.
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LA DISFAGIA IN AMBITO GASTROENTEROLOGICO
Giovanni Fornaciari
U.O. Medicina IIIa e Gastroenterologia - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria
Nuova - Reggio Emilia
La disfagia può essere definita come una difficoltà o un ritardo nel passaggio del bolo
alimentare. Deve essere distinta dagli altri sintomi legati al processo della deglutizione:
• Afagia o impatto esofageo: ostruzione completa dell’esofago in situazione di emergenza;
• Odinofagia: deglutizione accompagnata da dolore;
• Bolo faringeo: sensazione di corpo estraneo nella gola senza alterazione della
deglutizione;
• Fagofobia e rifiuto spontaneo della deglutizione: presenti in patologie psichiatriche quali
l’isteria ma anche nel tetano e nella rabbia.
La disfagia non deve essere confusa con la fastidiosa sensazione di gonfiore
epigastrico legata all’ingestione involontaria di aria. Può essere distinta in:
• Meccanica: ostruzione reale del lume faringo-esofageo;
• Motoria: difetto nel processo della deglutizione per alterazione della muscolatura liscia o
striata.
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Le cause più comuni di disfagia meccanica sono le seguenti:
Ingestione di boli di cibo troppo grossi;
Corpo estraneo;
Malattie infiammatorie dell’esofago (caustici, infezioni virali o da Candida);
Anelli e membrane (sindrome di Plummer-Vinson, anello di Schatzki);
Stenosi benigne (stenosi peptica, stenosi post ingestione di caustici, Crohn, esiti di
radioterapia);
Neoplasie dell’esofago (ADK, Kaposi, melanoma, linfoma);
Metastasi esofagee;
Tumori benigni dell’esofago (leiomioma, lipoma);
Compressione ab estrinseco (spondilite cervicale, osteofiti vertebrali, masse retrofaringee,
gozzo, diverticolo di Zenker, malformazioni vascolari, masse mediastiniche).
Quelle della disfagia motoria sono invece:
Lesioni o paralisi della lingua;
Lesioni dei nervi cranici;
Paralisi bulbare;
Miastenia grave;
Malattie muscolari (polimiosite, dermatomiosite);
Alterazione della muscolatura striata (rabbia, tetano, paralisi pseudobulbare);
Alterazione della muscolatura liscia (acalasia primaria, sclerodermia, neuromiopatia
metabolica, spasmo esofageo diffuso, acalasia secondaria a Chagas, tumori).
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
28
Nella pratica gastroenterologica le più comuni cause di disfagia sono l’acalasia, la
sclerodermia, l’esofagite peptica, la stenosi da caustici e le neoplasie. La diagnosi si fonda
sullo studio endoscopico e radiologico dell’esofago e sulla manometria (vedi altre relazioni).
Un ruolo fondamentale è però ancora costituito dall’anamnesi che deve tenere conto di
tre domande fondamentali:
1. che tipo di cibo (solido o liquido) causa la disfagia?
2. la disfagia è intermittente o progressiva?
3. vi sono altri sintomi associati?
Una disfagia sia per i liquidi che per i solidi, intermittente e che si risolve
completamente ripetendo l’atto della deglutizione porta a ipotizzare l’esistenza di una acalasia
o di un’altra malattia motoria dell’esofago. Nell’acalasia, a differenza delle altre malattie
motorie, vi è però rigurgito notturno e calo ponderale. Nella sclerodermia la disfagia è
lentamente progressiva e si associa a sintomi da reflusso gastro-esofageo. Nella disfagia
meccanica vi è disfagia per i solidi fin dall’esordio; se i sintomi sono intermittenti e vi è storia
di pirosi retrosternale si può ipotizzare un anello di Shatzski o una stenosi su base peptica. Se
invece la disfagia è progressiva, se vi è odinofagia e calo ponderale significativo l’ipotesi più
probabile è quella del tumore dell’esofago.
La terapia endoscopica e chirurgica dell’acalasia viene trattata a parte. Per quanto
riguarda la terapia medica si fonda su nitrati e calcio-antagonisti somministrati prima dei
pasti; questa terapia viene però utilizzata solo nei casi non candidabili a trattamenti
endoscopici o chirurgici.
Negli altri disturbi motori dell’esofago (ipermotilità esofagea) invece la terapia con
dilatazione endoscopica non è di solito necessaria; in questi casi può essere utilizzato il calcio
antagonista e si sono registrati risultati anche con gli antidepressivi.
Nella sclerodermia l’alterazione motoria dell’esofago non è reversibile ed il
trattamento è volto a prevenire le complicazioni legate al reflusso gastro-esofageo mediante
l’utilizzo degli inibitori di pompa.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
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ASPETTI PSICOLOGICI DELLA DISFAGIA
Franca Martinelli
U.O. Psicologia Clinica - Azienda Unità Sanitaria Locale di Reggio Emilia - Reggio Emilia
Per affrontare le problematiche legate alla deglutizione dobbiamo considerare la
deglutizione:
• come una abilità primariamente alimentare complessa, dinamica, con macroevoluzioni
(dalla deglutizione neonatale alla deglutizione adulta) e microevoluzioni (a seconda delle
abitudini alimentari variabili dei gruppo di appartenenza - per es. asiatici versus
occidentali - o del singolo individuo - in rapporto alla variabilità delle sue abitudini o
necessità alimentari di tipo fisiologico o patologico); strettamente connessa ad altre
funzioni;
• collegata con un’altra funzioni biologica primaria quale la respiratoria con la quale
sostanzialmente interferisce fino all'inibizione reciproca delle due funzioni;
• sfruttante organi e funzioni che hanno primariamente o secondariamente significato
comunicativo (così primariamente la bocca, nella sua posizione privilegiata di interfaccia
con l'ambiente, ha significato di analizzatore sensoriale e cognitivo dell'esterno e di
fruitore edonistico, mentre secondariamente il sistema naso-oro-faringolaringeo viene
usato per l'espressione vocale-verbale).
•
•
La patologia della deglutizione si divide in due capitoli ben distinti:
la patologia della deglutizione nel suo trasformarsi da forma neonatale-infantile a forma
adulta: in soggetti normali l'evoluzione della deglutizione può essere ritardata e/o distorta
a causa di varie patologie; qualsiasi sia il tipo di patologia evolutiva della deglutizione
essa automaticamente coinvolge le rimanenti e correlate funzioni con esplicito riguardo
alla respirazione ed alla verbalità;
la patologia della deglutizione adulta consolidata sostanzialmente per patologia della sua
regolazione nervosa periferica e/o centrale, oppure per mutilazione, in genere jatrogena
chirurgica.
Con il termine disfagia, o turba della deglutizione, ci si riferisce a qualsiasi disagio nel
deglutire (aspetto soggettivo del cliente) o a qualsiasi disfunzione deglutitoria obiettivamente
rilevabile, direttamente o indirettamente per le sue conseguenze. Tale sintomo, isolato o
associato in quadri sindromici, è oggi oggetto di una scienza medica, la deglutologia o
fisiopatologia e clinica della deglutizione di recente nascita, risalente solo alla seconda metà
degli scorsi anni Ottanta in rapporto a un crescente interesse per la deglutizione nella
normalità e nella patologia. Le ragioni di tale interesse sono molteplici ma possono ricondursi
al fatto che la disfagia ha alta morbilità e alta mortalità. Un capitolo della Deglutologia viene
dedicato anche alla “Disfagia psicogena o bolo isterico o funzionale.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
30
Quadro clinico ancora di una certa rilevanza e spesso di approccio complesso trattato
prevalentemente dal medico psichiatra e dal medico di medicina generale lo si considera
funzionale quando non si riscontra alcuna anormalità fisiologica specifica tale da spiegare
questo sintomo, oppure quando l’intensità e la durata sono sproporzionati ai dati oggettivi.
I dati clinici ne indicano la presenza prevalente nell’adolescenza e nelle donne.
I sintomi assomigliano alla normale reazione che si ha quando ci si sente “strozzare”,
una sensazione soggettiva di un nodo o di una massa in gola.
I fattori psicologici svolgono un ruolo di rilievo, nonostante la iniziale terminologia di
bolo isterico manca quasi sempre il carattere isterico, sono invece state riscontrate ansia,
depressione, ipocondria, somatizzazione, ossessività.
La letteratura attuale suggerisce di considerare il bolo funzionale non strettamente un
sintomo di conversione (risposta somatica ad un conflitto psichico irrisolto), ma come
risposta ad un disagio psicoemotivo, a situazioni traumatiche o luttuose, o come sintomo
connesso a patologie ansiose, disturbi dell’umore e del comportamento. Qui il sintomo,
come immagine somatica di un disagio psicologico, di una conflittualità affettiva e
ambientale, si colloca nell’intersezione tra le due dimensioni che caratterizzano ogni essere
umano: la psiche e il soma.
Mente e corpo sono parti inscindibili, la cui non integrazione genera disagio che si può
manifestare sia a livello psichico sia a livello fisico. Il corpo è infatti il primo mezzo con cui il
bambino si pone in relazione con le figure significative e per questo motivo diviene luogo di
veicolazione d’importanti significati riguardanti la qualità dei propri legami affettivi e della
strutturazione del Sé, che lo accompagneranno anche nella vita adulta.
“Il corpo è, per il bambino, lo strumento, il solo o quasi, prima del linguaggio,
attraverso cui esprimere una sofferenza psicologica”.
Nella sintomatologia psicogena è fondamentale l’intervento psicologico o psichiatrico
che prevede il coinvolgimento del paziente nella presa di coscienza della reale eziologia e
natura della sua affezione, per orientarlo e accompagnarlo al trattamento.
Se nella disfagia psicogena le componenti psichiche e la loro comprensione sono
rilevanti, sia nella fase diagnostica che di cura, anche nel trattamento della disfagia organica
non possono essere ignorate, sia per i significati simbolici collegati al cibo e all’alimentarsi
che per l’impatto che le patologie interessate hanno sulla qualità di vita del paziente”.
L’evento malattia determina nell’uomo modificazioni non solo biologiche ma anche
psicologiche, alterando il senso dell’identità personale e sociale e la progettazione ed
innestando una serie di fantasie sul proprio essere malato.
Il grado di queste alterazioni dipende dalla personalità del paziente, dalla gravità della
malattia e dalle condizioni ambientali in cui il paziente si trova.
Quando la patologia colpisce un organo o un distretto corporeo è l’intero mondo di
rappresentazioni che sostengono l’immagine di quell’organo specifico ad essere
scompaginato. Le particolarità psicologiche legate al canale alimentare riguardano
specificatamente il gesto dell’ingestione del cibo, nella sua complessità di necessità
fisiologica e di oggetto delle più arcaiche rappresentazioni mentali delle prime gratificazioni
istintuali legate alla fase orale dello sviluppo libidico descritta da Freud (1886-1938).
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
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Attraverso il nutrirsi e l’alimentarsi si sviluppano le basi psicologiche dell’identità e
della personalità, infatti la soddisfazione del bisogno permette la crescita e l’inizio dello
scambio con l’ambiente esterno. Fino al momento della nascita, il bambino e la madre non
hanno esperito di essere distinti, ma hanno vissuto una fusione; la nascita rompe la simbiosi
fisica e segna l’inizio del percorso di separazione-individuazione per il bambino, ma anche
per la mamma.
Introdurre nel corpo il cibo è la primissima esperienza di differenziazione che il
bambino compie, infatti mette dentro un qualcosa che è distinto da lui e che proviene da un
esterno; inizia la differenziazione tra un dentro e un fuori, tra un Sé e qualcos’altro…..
Inizia con la madre una complessa interazione basata sul soddisfacimento dei bisogni
reciproci, anche del bisogno di nutrirsi e nutrire, che porterà alla formazione di una modalità
interattiva denominata “relazione di attaccamento”. La relazione di attaccamento si instaura
tra il bambino e il suo caregiver, in genere la madre, ed è una modalità interattiva che pervade
tutti gli aspetti dello sviluppo psicologico, sociale, relazionale. Il caregiver infatti, attraverso
la relazione di attaccamento, fornisce al bambino la base da cui partire per il suo viaggio verso
l’indipendenza.
Si comprende bene che l’alimentazione assume fin dai primissimi istanti di vita
un’importanza notevole per quanto riguarda lo sviluppo oltre che fisico, anche psicologico e
sociale della persona.
Il cibo è il veicolo della relazione tra madre e figlio, assume carattere di piacere per il
soddisfacimento dei bisogni primitivi della fame e del prendersi cura, permette lo scambio
nella soddisfazione del bisogno relazionale e per questo motivo può diventare il mezzo
attraverso cui “giocare” i momenti conflittuali e l’oppositività nei confronti del genitore.
Tutto ciò che afferisce al canale alimentare riguarda, sul piano ontogenetico, le prime
fasi dello sviluppo, quando la mente si organizza intorno alle prime impressioni sensoriali che
derivano dal canale oro-esofageo. Il ripetersi ritmico del funzionamento alimentare, per la sua
capacità di gratificazione e appagamento, è il primo ad acquisire un senso mentale. Le
sensazioni relative al vissuto del funzionamento alimentare, anche se tra le più primitive, sono
molto complesse e trovano origine nell’area periorale, nelle labbra, nel cavo orale, nella
suzione, nella deglutizione, nella sensazione del bolo alimentare che scende nell’esofago,
nella fame, nella sazietà.
In questa prospettiva, l’intera sintomatologia legata alla presenza di malattia nel canale
esofageo (ad esempio disfagia, odinofagia, rigurgito) con conseguenze quali impedimento e/o
difficoltà ad ingoiare, in mancanza o in presenza di appetito, ha il potere di re-investire
prepotentemente il distretto corporeo del canale alimentare, riportando il paziente ad una
regressione forzata a quelle fasi precoci dello sviluppo in cui si erano instaurate le prime
modalità psicofisiche con le quali il mondo esterno era stato introiettato, “messo dentro”.
Il vissuto di malattia riattiva quindi la vita fantasmatica collegata alle prime fasi dello
sviluppo, alle modalità con le quali sono state vissute le vicissitudini dell’equilibrio
gratificazioni-frustrazioni rispetto all’alimentazione, provocando modalità regressive di
risposta nelle relazioni col mondo.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
32
La regressione è un meccanismo di difesa che svolge un ruolo importante nelle
situazioni di grave minaccia della propria integrità e designa il passaggio a modi di
espressione e di comportamento a livello inferiore dal punto di vista della complessità, della
strutturazione e della differenziazione dell’Io. La regressione indica un ritorno automatico ed
involontario a modi di funzionamento psicologico che sono caratteristici di stadi più antichi, e
interferisce nell’adulto con i processi di adattamento; il ritorno simbolico agli anni
dell'infanzia consente alla persona di evitare l'avversità presente e di trattarla come se non
fosse ancora accaduta.
Clinicamente possiamo aspettarci, nel paziente, una chiusura e un ripiegamento
narcisistico sul sé nel momento in cui la via del contatto con il mondo esterno è così attaccata
e deteriorata dalla malattia e dalle eventuali metamorfosi chirurgiche rese necessarie dalla
patologia. L’osservazione psicodinamica delle interazioni tra curanti e pazienti ha rilevato
come l’intera équipe possa trovarsi, a causa dei potenti fenomeni contro-transferali legati al
pathos suscitato da queste malattie, ad oscillare tra accettazione e rifiuto (cibo buono/cibo
cattivo espulsione/assimilazione).
La lettura psicologica di queste dinamiche può favorire un lavoro d’integrazione
nell’équipe riducendo quei fenomeni che, nel linguaggio psicologico, vengono definiti
“scissioni del transfert”, vere e proprie spaccature che il paziente opera sui sanitari che si
prendono cura di lui e che lo portano a costruire attivamente un “capro espiatorio” in un
membro dell’équipe curante o in una figura professionale proprio per controllare l’angoscia di
una malattia che lo attacca invece dall’interno e su cui non può esercitare alcun controllo.
L’instaurarsi di una relazione psicoterapeutica (non intesa nel senso classico di un setting
tradizionale di una sequenza di sedute periodiche ma intesa in modo più ampio, come un
modo dell’operatore “psi” di porsi come Io-ausiliario del paziente per aiutarlo a rielaborare la
sua storia clinica e la sua storia di vita, anche semplicemente narrandola) si è dimostrata
sempre utile a ridurre l’angoscia del paziente e quindi ad alleggerire il transfert su tutti gli
altri operatori dell’équipe integrata e a evitare che finiscano in burnout. Nell’ambito della
riabilitazione infatti può essere di supporto un lavoro psicologico di supervisione del team
riabilitativo per raggiungere un’utile uniformità di intervento fra i componenti del team e
anche per il sostegno agli operatori, soprattutto nell’approcciare il paziente molto
problematico, che mostra poca compliance, scarsamente “adattato” e “adattabile” ai nuovi stili
di vita imposti dalla malattia.
L’integrazione psicologica del percorso riabilitativo gioca un ruolo decisivo anche nel
reinserimento ambientale del paziente. L’intervento psicologico, insieme con la caratteristica
della flessibilità dei percorsi, si definisce necessariamente attraverso la presa in carico degli
aspetti psicologici o meglio psicosociali del paziente e della sua famiglia, binomio che viene
doppiamente colpito e in casi di grave disabilità.
L’adattamento assume un valore centrale nel percorso psicologico del paziente e le
modalità di approccio possono di volta in volta essere scelte sulla base dei colloqui con gli
altri specialisti in un assetto multidisciplinare
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
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VALUTAZIONE DELLO STATO NUTRIZIONALE NEL PAZIENTE DISFAGICO
Nino Carlo Battistini, Marcella Malavolti
Dipartimento di Scienze di Sanità Pubblica - Università degli Studi di Modena - Modena
Lo stato nutrizionale dipende dall’introduzione, dall’assorbimento e dall’utilizzazione
dei nutrienti introdotti attraverso la dieta. Questa affermazione è corretta per tutti gli individui,
tuttavia occorre monitorare due variabili che, più o meno direttamente, influenzano
ulteriormente lo stato di nutrizione: la variabile biologica, cioè le caratteristiche intrinseche e
peculiari di ciascun individuo, e la variabile psico-sociale, cioè il rapporto, delicato e
complesso, che si instaura tra psiche e ambiente. A questo punto non ci pare superfluo
ricordare che il corretto inquadramento dello stato nutrizionale di una persona o di
popolazioni richieda la presenza di una equipe formata almeno da un dietologo, un
nutrizionista, un dietista e da uno psicologo esperto nei disturbi del comportamento
alimentare. Fatte queste premesse dobbiamo anche considerare che, ormai da diversi anni,
l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS/WHO) sottolinea la relazione biunivoca
esistente tra stato di salute e stato nutrizionale. Possiamo quindi affermare che il
deterioramento, per eccesso o per difetto, dello stato di nutrizione influenzi lo stato di salute e
viceversa. Questo ci permette di superare la definizione iniziale di stato di nutrizione che
mostra un contenuto limitato per quanto riguarda gli aspetti pratici della valutazione dello
stato nutrizionale. Possiamo così elaborare una definizione “operativa” fondata sulla relazione
esistente tra composizione corporea, funzionalità corporea, bilancio energetico, stato
nutrizionale e stato di salute.
Sia nel soggetto in area fisiologica che patologica la relazione biunivoca tra stato di
salute e stato di nutrizione si sta imponendo in tutta la sua importanza in quanto assiste a
rapide modificazioni metaboliche che possono essere monitorate e quantificate attraverso lo
studio dello stato nutrizionale. Diventa quindi di fondamentale importanza saper cogliere,
nelle metodiche che gli specialisti hanno a disposizioni, i relativi vantaggi e svantaggi.
Il presente intervento pone l’attenzione ai metodi di valutazione dello stato
nutrizionale nel paziente disfagico. Saranno individuati, in un tentativo d’interpretazione e di
una concreta applicabilità, i diversi indicatori, clinici, bioumorali, antropometrici, strumentali,
di rischio di malnutrizione, la storia dietetica, la valutazione del bilancio di energia e nutrienti,
la valutazione dello stile di vita, quali parametri indispensabili per l'inquadramento dello stato
nutrizionale e l'impostazione di un efficace programma dietetico per il paziente.
Bibliografia
•
•
Stratton R.J.,.Green C.J and Elia M. Disease Related Malnutrition: an evidence based approach to
treatment. CABI Publishing USA 2005
Battistini N, Bedogni G (1999): Composizione corporea: modelli analitici di valutazione. In: Mariani
Costantini A., Cannella C., Tomassi G., editors. Fondamenti di Nutrizione Umana. Il Pensiero Scientifico,
447 – 470
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Parte 3
Approccio Terapeutico-Riabilitativo
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LA RIABILITAZIONE DIETETICO-NUTRIZIONALE NEL PAZIENTE
DISFAGICO: ALIMENTAZIONE PER OS
Salvatore Vaccaro
Servizio Dietetico - Azienda Ospedaliera “Arcispedale Santa Maria Nuova” - Reggio Emilia
Il termine “Disfagia”, dal greco “dys (difficoltà) phajein (mangiare)”, viene impiegato
in medicina per descrivere qualsiasi disagio, alterazione e/o compromissione di una o più fasi
della deglutizione1 e consiste nell'impedimento o nel rallentamento della progressione di cibi,
bevande, saliva, etc. dal cavo orale allo stomaco, attraverso il canale oro-faringo-esofageo.
La Disfagia è una condizione anomala complessa che può essere causata da una
patologia congenita o acquisita, riconoscendo principalmente cause meccaniche (resezione
chirurgica, disfunzione degli organi della deglutizione per trauma, ostruzioni, neoplasie, etc.)
o neurologiche (lesione della corteccia cerebrale, dei nervi cranici e del midollo allungato).
Altri disordini della deglutizione possono dipendere da debolezza, senilità2, etc.
I sintomi (avvertiti soggettivamente dall’individuo) ed i segni (riscontrabili oggettivamente)
sono numerosi e vengono usualmente classificati in:
Generali: assenza o debolezza di deglutizione volontaria, diminuzione dei movimenti della
bocca e lingua, lingua protrusa, riflessi orali primitivi, difficoltà nel gestire le secrezioni
orali (sbavature), sensazione di corpo estraneo in gola, cambiamenti del tempo e della
modalità di alimentazione, perdita di appetito, modificazione di qualità/tono della voce
(raucedine), schiarimenti di gola frequenti, espressioni di disagio sul viso (alterazioni della
mimica facciale), igiene orale insufficiente, rialzo di temperatura, perdita di peso e/o
disidratazione, frequenti infezioni toraciche;
Avvertiti/Rilevabili mentre si mangia e/o beve: lentezza ad iniziare una deglutizione e/o
ritardo a deglutire, masticazione o deglutizione non coordinate, ripetute deglutizioni per
ogni boccone, ripetuta assunzione di liquidi tra un boccone e l'altro, blocco del cibo in
gola con conseguente ritenzione nella cavità orale (impacchettamento di cibo nelle guance),
rigurgiti orali e nasali di cibo e/o liquidi, sensazione di soffocamento da alimenti e/o
liquidi, accessi di tosse o starnuti durante e/o dopo l’alimentazione (che compare dopo la
deglutizione), dolore al petto quando si ingeriscono alimenti e/o liquidi, tendenza ad
isolarsi durante i pasti;
Avvertiti/Rilevabili dopo la consumazione di cibo o bevande: sonorità della voce bagnata
o rauca, affaticamento, modificazione delle modalità di respirazione, bruciori e acidità di
stomaco.
Vi è una stretta correlazione tra disfagia e riduzione di attività psicologiche e sociali e
il conseguente peggioramento della qualità di vita come espressione di riduzione di autostima,
sicurezza, capacità lavorativa e di svago.
1
Definizione: transito parziale o totale di cibi, bevande, saliva, farmaci, flora batterica, contenuti gastrici e
duodenali dagli osti narinali e labiali al duodeno (e viceversa). Fasi della deglutizione: orale, faringea, esofagea.
2
La Presbifagia è una forma fisiologica di difficoltà di deglutizione dovuta all’invecchiamento (anche in assenza
di eziologia).
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
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Un disturbo della deglutizione determina spesso disabilità dal momento che può
impedire il partecipare a diversi aspetti della vita sociale di relazione3: frequenti accessi di
tosse provocati da bocconi andati di “traverso” con rigurgito di cibo dal naso e/o dalla bocca
durante i pasti possono provocare imbarazzo, ansia e depressione, alcuni individui spesso
preferiscono evitare di mangiare in compagnia, se non addirittura saltare completamente i
pasti (senso di inadeguatezza, isolamento).
Questa situazione può condurre ad inappetenza, assunzione alimentare inadeguata4,
dimagrimento, disidratazione5 e malnutrizione proteico-calorica, esponendo tali soggetti ad
altri rischi per la loro salute in conseguenza di uno stato nutrizionale deficitario, come ad
esempio: ritardo nella cicatrizzazione delle ferite, maggiore predisposizione alle infezioni e
disturbi delle funzioni mentali e fisiche.
L'evento più temuto è la penetrazione di particelle alimentari solide e/o liquide nelle
vie aree (Aspirazione), la quale è associata all'insorgenza di “polmoniti ab ingestis” ed altre
infezioni delle vie respiratorie. Nei pazienti colpiti da ictus, proprio a causa delle polmoniti
causate da problemi di deglutizione, è stimato un decesso del 20% dei casi ad un anno di
distanza dall’ischemia e del 10-25% dei casi per ogni anno successivo.
Per garantire una gestione corretta ed efficace del soggetto disfagico è indispensabile
costituire un Team Multidisciplinare Disfagia, il quale disponendo di diverse figure
professionali, ognuna con specifiche competenze (neurologo, otorinolaringoiatra, radiologo,
nutrizionista, chirurgo, psicologo, dietista, fisioterapista, foniatra, logopedista, infermiere
professionale, etc.) è in grado di prendere in carico il paziente ed assicurargli un trattamento
condiviso su diverse sfere specialistiche delle varie sfaccettature, direttamente e/o
indirettamente, indotte dalla disfagia.
3
L’indipendenza nell’alimentazione assume un importante significato simbolico di dignità e autoconsiderazione.
Fattori che contribuiscono ad un’assunzione alimentare inadeguata: difficoltà di deglutizione, diminuzione del
senso dell’olfatto e del gusto, riduzione dell’appetito e della produzione di saliva, incapacità a nutrirsi in modo
autonomo, psicologici (paura di soffocare), effetti della terapia, della chirurgia e dei medicamenti.
5
Per ogni individuo l’apporto quotidiano di fluidi è assicurato per il 50% dal cibo consumato, una ridotta
alimentazione può aumentare il rischio di disidratazione.
4
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
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L’obiettivo riabilitativo comune è il recupero o il mantenimento di una deglutizione
quanto più fisiologica e/o funzionale possibile, al fine di:
Favorire una deglutizione funzionale sicura e priva di rischi, contrastando così il
passaggio di particelle alimentari nelle vie respiratorie (prevenire l’aspirazione);
Mantenere o recuperare uno stato nutrizionale e di idratazione idonei, nonostante le
limitazioni dell’assunzione per via orale (prevenire la disidratazione e la malnutrizione
proteico-calorica);
Migliorare la qualità di vita favorendo l’autosufficienza del soggetto nel gestire in
autonomia la propria condizione ed affrontare situazioni potenzialmente difficili6
(prevenire l’involuzione psicofisica).
Gli approcci terapeutici-riabilitativi per ottenere tali obiettivi sono principalmente:
Terapia chirurgica: può apportare un beneficio in un numero limitato di casi;
Valutazione della terapia medica in atto: alcuni farmaci prescritti per altre patologie
(come ad esempio quelli per l’epilessia, l’insonnia, la depressione, etc.) possono produrre un
effetto ostacolante sulla deglutizione;
Terapia fisica: esercizi, posture e/o manovre compensatorie possono rispettivamente
migliorare la forza, la velocità, la resistenza dei movimenti deglutitori e/o favorire un
transito corretto del bolo attraverso la bocca e il faringe;
Terapia di supporto alla deglutizione;
Modifica delle caratteristiche fisiche dei cibi e/o delle bevande: per ottenere una
migliore risposta deglutitoria è consigliabile apportare una modifica ad una o più
caratteristiche fisiche dei cibi e/o delle bevande somministrati.
Sebbene possano risultare efficaci, alcuni di questi approcci danno per scontata una
collaborazione attiva da parte del paziente, il quale molto spesso non è in grado di collaborare
a causa della propria condizione. Per questo ci si affida principalmente alla “Modifica delle
caratteristiche fisiche dei cibi e/o e delle bevande”. [vedi oltre]
Si comprende facilmente l’importanza del contributo che i professionisti sanitari
operanti nell’ambito Dietetico-Nutrizionale apportano all’interno del Team Multidisciplinare
Disfagia, nonché del beneficio derivante dal fatto che tutti i pazienti disfagici possano (e
debbano) essere sottoposti a Valutazione Dietetico-Nutrizionale.
Ai professionisti operanti in ambito Dietetico-Nutrizionale, spetta il compito di:
Valutare lo Stato Nutrizionale
Viene classicamente definito come “la risultante dell'equilibrio tra l'apporto
bilanciato ed adeguato di nutrienti e il fabbisogno dell'organismo”. In base alle funzioni
svolte dai nutrienti (strutturali, energetiche e regolatorie) è stata proposta una definizione
operativa, ossia “la risultante di tre entità tra loro strettamente correlate: la composizione
corporea, il bilancio energetico e la funzionalità corporea”7. Scopi della valutazione dello
stato nutrizionale sono: a) identificare i pazienti malnutriti (nutrition diagnosis); b) identificare
i pazienti a rischio di complicanze, a seguito di un deficit nutrizionale o metabolico (nutrition
prognosis); c) valutare l'efficacia della terapia nutrizionale (nutrition effectiveness).
6
Senso di preoccupazione nel consumare il pasto da solo e/o con altre persone, etc.
La definizione classica è fondata sui tre momenti fondamentali del processo di nutrizione (introduzione,
assorbimento ed utilizzazione dei nutrienti), mentre quella operativa è basata sulle funzioni svolte dai nutrienti e
sulla relazione esistente tra lo stato nutrizionale e lo stato di salute.
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L'inquadramento nutrizionale si fonda sulla valutazione di tutta una serie di
parametri ed indici nutrizionali:
Parametri antropometrici: peso corporeo, altezza, BMI, circonferenze corporee, pliche
cutanee, etc.;
Anamnesi ponderale: per determinare l'effetto della malattia sullo stato di nutrizione
più che il peso attuale risulta preferibile utilizzare come valori di riferimento le
variazioni ponderali, ossia bisogna conoscere il peso del soggetto prima della malattia
o il peso abituale in buona salute. Peso attuale, peso abituale e peso ideale (in relazione
ad età, sesso e costituzione fisica) permettono di ricavare dati molto utili per coloro che
assistono il paziente dal punto di vista nutrizionale, in quanto la perdita di peso può
essere valutata attraverso tre forme di valore percentuale: “% rispetto al peso ideale, %
rispetto al peso abituale e % di modificazione ponderale”. Valutare sempre anche la
tempistica dell’eventuale calo ponderale, a rischio nutrizionale se: ≥ 10% del peso
abituale negli ultimi 3-6 mesi oppure > 5% del peso abituale nell’ultimo mese;
Anamnesi alimentare: vanno indagati con accuratezza le abitudini ed i consumi
alimentari attuali e pregressi. Può essere utile utilizzare un diario alimentare. A rischio
nutrizionale se gli introiti alimentari < 50% dei fabbisogni per > 7-10 giorni.
Alcune notizie legate all’alimentazione utili da indagare
Sono presenti alterazioni del gusto, dell’olfatto, della vista che possono rendere problematica l’alimentazione?
La persona possiede una dentizione naturale/protesi idonea?
I movimenti delle mani per portare il cibo alla bocca sono alterati? La capacità di maneggiare utensili è normale?
Lo stato cognitivo, cardiovascolare, respiratorio, etc. impediscono l’alimentazione?
È presente rischio di aspirazione o rigurgito di materiale alimentare?
È necessaria assistenza durante l’alimentazione?
Vengono assunti tutti i principi nutritivi (glicidi, protidi, lipidi, minerali, vitamine) in quantità sufficienti?
Vengono assunti liquidi in quantità sufficienti?
Vengono assunti alimenti naturali o è necessario un pretrattamento (modifica consistenza)?
La tipologia di cibi offerti al paziente risponde alle sue preferenze, abitudini e gusti alimentari?
La presentazione dei cibi è sufficientemente stimolante?
Quanto tempo è necessario per l’assunzione alimentare?
Sono presenti stress o condizioni distraesti durante i pasti?
Indagini biochimiche: proteine totali, albumina plasmatica, prealbumina, transferrina,
linfociti totali circolanti, RBP, etc.
Classificazione della Malnutrizione
MALNUTRIZIONE DI GRADO:
Parametro
Lieve
Moderata
Grave
Calo ponderale (% su peso abituale)
5-10
11-20
> 20
BMI (kg/m2)
17-18,4
16-16,9
< 16
99-80
79-60
< 60
ICA
Se non è possibile acquisire informazioni sul peso abituale si può far riferimento al peso ideale.
Decremento ponderale (% su P.I.)
10-20
21-40
> 40
Albumina (g/dl)
3,5-3,0
2,9-2,5
< 2,5
Transferrina (mg/dl)
200-150
149-100
< 100
Prealbumina (mg/dl)
18-22
10-17
< 10
RBP (mg/dl)
2,9-2,5
2,4-2,1
< 2,1
Linfociti Totali Circolanti (n./mm3)
1500-1200
1199-800
< 800
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
40
Definire i Fabbisogni Nutrizionali
Bisogna tenere in considerazione: i fabbisogni nutrizionali del soggetto in condizioni
di salute, l’attuale stato nutrizionale, le condizioni generali e l’entità della malattia, la capacità
dell’organismo di immagazzinare alcuni nutrienti, eventuali perdite di sostanze nutritive, le
interazioni farmaci-nutrienti e/o nutriente-nutriente, etc. Indicativamente:
Energia: 22-25 kcal non proteiche/kg peso ideale/die (fino a 35 kcal se presente
ipermetabolismo);
Proteine: 0,8-1,2 gr/kg peso ideale/die (fino a 1,5 gr o più in presenza di
ipercatabolismo o piaghe da decubito);
Idrici: 30-35 ml/kg peso attuale/die, nell’anziano > 65 anni 20-25 ml/kg/die;
Micronutrienti: secondo quanto indicato dai LARN (salva diversa indicazione).
Scegliere la Via di Somministrazione dei Nutrienti più Idonea
La scelta della via di somministrazione dei nutrienti va effettuata sulla base della
funzionalità deglutitoria residua, dei rischi di aspirazione e della possibilità di coprire i
fabbisogni nutrizionali. L’eventuale progressione da un punto all’altro della tabella sottostante
avviene in tempi e modi diversi, in base al singolo caso. Il mantenimento dell’alimentazione
per via naturale è di grande importanza clinica, nonché ai fini della qualità di vita e per
prevenire l’involuzione psicofisica.
Outcome Funzionale e Progressione seguita nella scelta della via di somministrazione dei nutrienti
Disfagia nella Patologia Acuta
Disfagia nella Patologia Cronica
Esordio: Lento e Progressivo
Esordio: Acuto
Sintomatologia: in fase iniziale spesso non
Sintomatologia: quasi sempre ben evidente,
evidente, vaga, sfumata, non prontamente segnalata
correlata alla sede e/o alla dimensione del danno
Recupero Funzionale: Limitate possibilità
Recupero Funzionale: Possibile (parziale o totale)
Obiettivo: Mantenimento della Residua Funzione di
Obiettivo: Recupero Deglutizione Fisiologica o
Deglutizione
Funzionale
1
2
3
4
5
▼
▼
▼
▼
▼
Disfagia Grave
Nutrizione Entrale Totale
Nutrizione Enterale (come fonte principale) + Nutrizione Orale (integrazione)
Nutrizione Orale (come fonte principale) + Nutrizione Enterale (integrazione)
Nutrizione Orale Modificata (con alimenti di consistenza specifica)
Nutrizione Orale (con minimi accorgimenti dietetici)
Deglutizione Normale
5
4
3
2
1
▲
▲
▲
▲
▲
Impostare il Programma Nutrizionale Personalizzato
Nella pianificazione dell’alimentazione per via orale del paziente disfagico si devono:
Scegliere alimenti che presentino particolari caratteristiche fisiche;
Proporre cibi e/o ricette invitanti, curati nella loro presentazione ed adeguati ai gusti e
alle abitudini del paziente;
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
41
Combinare quest’ultimi in programmi dietetici giornalieri8, che devono risultare
nutrizionalmente completi ed equilibrati nel contenuto di tutti i nutrienti: proteine,
grassi, carboidrati, vitamine, sali minerali, fibre ed acqua:
Gruppo della carne, pesce, uova e rispettivi derivati: ricchi di proteine e ferro;
Gruppo del latte e derivati: ricchi di proteine, calcio e fosforo;
Gruppo dei legumi: ricchi di proteine vegetali e fibra;
Gruppo dei grassi ed oli di condimento: ricchi di energia;
Gruppo degli zuccheri e dei dolci: ricchi di energia a rapido assorbimento;
Gruppo dei cereali e derivati e delle patate: ricci di carboidrati;
Gruppo degli ortaggi e frutta: ricchi di acqua, vitamine, sali minerali e fibre;
Gruppo delle bevande: ricche di acqua.
Piramide Alimentare9
Programmare il Monitoraggio Nutrizionale nel Tempo
Il programma nutrizionale formulato va periodicamente rivalutato ed adattato, in
collaborazione con la logopedista, in funzione delle condizioni del soggetto (miglioramento o
peggioramento della deglutizione, insorgenza di complicanze metaboliche, etc.).
8
Composti da colazione, pranzo, cena ed eventualmente due o più spuntini.
La Piramide Alimentare è stata elaborata a partire dalle “Linee Guida per una Sana e Corretta Alimentazione”:
è suddivisa in settori orizzontali, nei quali sono inseriti, a diversi livelli, gruppi di alimenti e seguendo le sue
indicazioni si possono fare scelte alimentari più corrette, qualitativamente e quantitativamente. Alla base della
Piramide ci sono gli alimenti da consumare più frequentemente; salendo verso il suo vertice, troviamo quelli da
limitare e/o da consumare occasionalmente.
9
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
42
Questa relazione ha il compito di trattare la Riabilitazione Dietetico-Nutrizionale nel
Paziente Disfagico, approfondendo l’aspetto inerente l’Alimentazione per via Orale.
Alimenti Specifici per la Riabilitazione della Disfagia
Sostanze Feed Back (con
tracheostomia) per la
Valutazione della Disfagia
Ghiaccioli Colorati
Sciroppi (Menta)
Coloranti per Alimenti
Alimenti per la Laringoscopia
a Fibre Ottiche
Acqua
Ghiaccio
Acqua Gelificata Fredda
Alimenti per la
Videofluorografia
Liquido: Bario Liquido
Liquido Denso: Succhi di Frutta, Yogurt alla Vaniglia Cremoso o
Frullato di Frutta
Semisolido: Budino alla Vaniglia
Solido: Biscotto
Alimenti per il Trattamento
della Deglutizione
Acqua
Ghiaccio
Acqua Gelificata Fredda
Granite
Ghiaccioli
Gelati
Addensanti
Yogurt Cremoso10
Coloranti per Alimenti
Bibite: Coca Cola, Aranciata,
Sprite
Sciroppi: Menta, Arancia Rossa
Succhi di Frutta
Frullati
Bastoncino di Liquirizia
Tabella tratta da: P. Cancialosi - Riabilitazione del Cerebroleso Disfagico - Edizione Minerva Medica Pag. 13.
Riabilitazione Dietetico-Nutrizionale in Fase Acuta
Eseguire una valutazione multidisciplinare entro 24 ore dal ricovero ed iniziare un
supporto nutrizionale per via orale solo se sono mantenute attive le funzioni di vigilanza, la
coordinazione motoria ed il riconoscimento del cibo.
In seguito a valutazione logopedica (water swallow test) si seguono 3 steps nutrizionali:
1. Ritardo di innesco della deglutizione → Possibilità di integrazione nutrizionale per os;
2. Assenza del riflesso della deglutizione o tosse importante dopo somministrazione di acqua
o voce gorgogliante dopo deglutizione → Nutrizione Artificiale;
3. Inizio del compenso deglutitorio → Svezzamento dalla nutrizione artificiale a quella per
via orale (Dieta Starter). La deglutizione funzionale non deve avere vincoli né di
consistenza né di tempo.
In questa fase procedere per steps, ricordandosi che i parametri da monitorare sono la
consistenza, la coesività, la necessità di masticazione, la possibilità di assumere liquidi e il
mantenimento di una forma autonoma di alimentazione.
Dieta Starter. Somministrare un piatto unico (semolino o crema di cereali con
Ia Fase
omogeneizzato di carne o pesce, olio di oliva, formaggio grattugiato, verdura
cotta frullata, patate frullate, brodo vegetale filtrato). Evitare preparazioni
estemporanee, se proprio non se ne può far a meno bisogna filtrare con una
garza il composto per limitare la presenza di grumi ed eventuali residui fibrosi.
10
Senza pezzi di frutta.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
43
IIa Fase
IIIa Fase
IVa Fase
Va Fase
VIa Fase
Somministrare un piatto unico (semolino o crema di riso o di cereali con latte,
formaggino, formaggio grattugiato, olio di oliva, verdura cotta frullata, patate
frullate, prosciutto cotto frullato), purea di frutta (integrata con dietetico
modulare) ed acqua gelificata o bevanda addensata.
Somministrare un piatto unico (semolino, omogeneizzato di carne, brodo
filtrato, formaggio grattugiato, olio di oliva, verdura cotta frullata, patate
frullate), mousse di frutta o banana schiacciata o yogurt cremoso, budino con
amaretti finemente sminuzzati o budino di riso e crema di frutti di bosco.
Somministrare glutinata o pasta di piccolo formato al sugo (morbida ben cotta
con carne frullata, olio di oliva, formaggio grattugiato), mousse di formaggio
insaporita con aromi o pesce o carne frullata, gelato alla crema o centrifugati di
frutta addensati.
Somministrare creme di verdure o passati densi con fiocchi di cereali o pastina
di piccolo formato (morbida ben cotta con sughi a base di carne e verdure
passate, olio di oliva, formaggio grattugiato), polpette morbide o hamburger,
pane morbido (al latte o da toast), acqua a piccoli sorsi.
Dieta Morbida. Somministrare pasta di piccolo formato o glutinata al sugo o
passati densi di legumi con fiocchi di cereali, arrosto morbido a pezzi o
polpette morbide o hamburger, frutta a piccoli pezzi (sbucciata e privata di
eventuali semi), acqua a temperatura ambiente.
Progressione Dietetica in Ambito Ospedaliero: Diete a Struttura e Consistenza
Modificata
Il Prontuario Dietetico Ospedaliero, che raccoglie gli schemi delle diete ordinarie e
speciali elaborate dal Servizio Dietetico, dovrebbe costituire una guida ed il punto di
riferimento nella pianificazione dei regimi dietetici. In genere, per la disfagia si ritrovano le
seguenti diete a struttura e consistenza modificata:
Dieta Liquida
Caratteristiche - Fornisce alimenti liquidi a temperatura ambiente. Il tipo di alimenti può
variare a seconda delle condizioni cliniche del paziente.
Indicazioni - Tutte quelle condizioni morbose in cui è presente un’incapacità o
un’impossibilità a masticare e/o deglutire. Diffusamente impiegata nei seguenti contesti:
disordini della masticazione e/o della deglutizione, pazienti sottoposti a chirurgia del cavo
orale, substenosi esofagee o gastrointestinali, pazienti con cirrosi epatica dopo trattamenti
endoscopici di sclerosi o legatura di varici esofagee, lievi stati infiammatori del tratto
gastrointestinale, pazienti con malattie acute. Inoltre, viene impiegata nella prima fase di
svezzamento dalla nutrizione artificiale a quella per via orale.
Limiti - Spesso carente in nutrienti ed energia (eccetto che per proteine, calcio, acido
ascorbico). Nei pazienti con importanti problematiche nutrizionali o con patologie
potenzialmente causa di malnutrizione dovranno essere programmati supporti nutrizionali con
integratori oppure impostare una nutrizione entrale o parenterale.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
44
Gruppo Alimentare
Bevande
Minestre
Frutta
Dessert
Dolcificanti
Miscellanea
Integratori
Alimenti Raccomandati
Caffè e/o the (normali e/o decaffeinati/deteinati), bevande a base di cereali,
bevande gasate*, bevande aromatizzate alla frutta
Brodo di carne sgrassato o vegetale
Succhi di frutta* (eccetto quelli con polpa, quelli omogeneizzati, i succhi di
pomodoro e prugna)
Gelatine, ghiaccioli
Zucchero, miele, caramelle
Sale
Integratori orali ipercalorici senza scorie
* Le bevande gasate e i succhi possono non essere tollerati da molti pazienti chirugici
° Alcuni pazienti presentano una temporanea intolleranza al lattosio nel periodo postoperatorio. La dieta deve essere modificata con la
sostituzione di latte con lattosio idrolizzato o prodotti senza lattosio.
#
Senza semi, noci, pezzi di frutta, cacao.
Dieta Semi-Liquida
Caratteristiche - Fornisce alimenti liquidi o semi-liquidi facilmente assorbibili nel tratto
gastrointestinale con residuo minimo e con scarso contenuto calorico. Il tipo di alimenti può
variare a seconda delle condizioni cliniche del paziente, dai test o delle procedure
diagnostiche o della chirurgia specifica alla quale deve essere sottoposto.
Indicazioni - Tutte quelle condizioni morbose in cui è presente un’incapacità o
un’impossibilità a masticare e/o deglutire. Diffusamente impiegata nei seguenti contesti:
passaggio iniziale e progressivo dall’alimentazione enterale/parenterale a quella orale,
preparazione dietetica per esami endoscopici del tratto gastrointestinale, preparazione ad
interventi chirurgici, disturbi acuti della funzione gastroenterica, primo momento verso la
rialimentazione orale per pazienti gravemente debilitati.
Limiti - Spesso inadeguata da un punto di vista calorico e di apporto di nutrienti essenziali.
Utilizzabile per 2-3 giorni qualora sia l’unica fonte di nutrimento. Può essere integrata con
supplementi orali o per via endovenosa.
Gruppo Alimentare
Bevande
Minestre
Carni
Grassi
Latticini
Amidi
Frutta
Dessert
Dolcificanti
Miscellanea
Supplementi
Alimenti Raccomandati
Caffè e/o the (normali e/o decaffeinati/deteinati), bevande a base di cereali,
bevande gasate*, bevande aromatizzate alla frutta
Brodo di carne sgrassato o vegetale, minestre e creme passate o frullate*
Nessun tipo
Burro, margarina, panna
Latte, bevande a base di latte°, yogurt cremosi#
Cereali raffinati cotti
Succhi di frutta* (eccetto quelli con polpa, quelli omogeneizzati, i succhi di
pomodoro e prugna)
Gelatine, ghiaccioli, sorbetti, gelati, creme#, dolci cremosi#
Zucchero, miele, caramelle, aromi naturali
Sale, pepe, speziature moderate se tollerate
Formule per NE
*Le bevande gasate e i succhi possono non essere tollerati da molti pazienti chirugici
° Alcuni pazienti presentano una temporanea intolleranza al lattosio nel periodo postoperatorio. La dieta deve essere modificata con la
sostituzione di latte con lattosio idrolizzato o prodotti senza lattosio.
#
Senza semi, noci, pezzi di frutta, cacao.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
45
Dieta Frullata
Caratteristiche - Fornisce cibi passati, frullati o liquidi che non necessitano della
masticazione e che sono facilmente deglutibili.
Indicazioni - Lesioni anatomofunzionali delle prime vie digestive (in particolare dell’esofago) e
dalla mancanza di dentizione. Diffusamente impiegata nei seguenti contesti: post-operatorio
in pazienti sottoposti di recente ad interventi sul cavo orale, sull’esofago, dopo radioterapia
del cavo orale, del faringe o dell’esofago; infiammazioni, ulcere o deficit strutturali e motori
della cavità orale o dell’esofago o per pazienti privi di dentizione; fornire cibi facilmente
digeribili; in fase di svezzamento dalla nutrizione artificiale a quella per via orale.
Limiti - Le temperature elevate dei cibi sono generalmente non tollerate. Se sono necessarie
siringhe o cannule per nutrire i pazienti può essere utile addizionare dei liquidi per diluire i
cibi.
Gruppo Alimentare
Bevande
Minestre
Carni
Formaggi
Grassi
Latticini
Amidi
Verdura
Frutta
Dessert
Dolcificanti
Miscellanea
Alimenti Raccomandati
Tutte
Brodo di carne sgrassato o vegetale, minestre e creme passate o frullate*
Carni rosse e bianche frullate o passate
Utilizzati nelle salse, nelle minestre o nei cibi cotti in pentola e passati,
formaggini schiacciati
Burro, margarina, panna e suoi sostituti, olio, sugo d’arrosto, salse, panna
montata
Latte, bevande a base di latte°, yogurt cremosi#
Cereali raffinati cotti, purè di patate
Passata o tritata, succhi di verdura
Passata o frullata, succhi di frutta* (eccetto quelli con polpa, quelli
omogeneizzati, i succhi di pomodoro e prugna)
Gelatine, ghiaccioli, sorbetti, gelati, creme#, dolci cremosi#
Zucchero, miele, gelatine, aromi naturali
Condimenti e spezie
* Le bevande gasate e i succhi possono non essere tollerati da molti pazienti chirugici
° Alcuni pazienti presentano una temporanea intolleranza al lattosio nel periodo postoperatorio. La dieta deve essere modificata con la
sostituzione di latte con lattosio idrolizzato o prodotti senza lattosio.
#
Senza semi, noci, pezzi di frutta, cacao.
Dieta Tritata
Caratteristiche - Dieta normale unicamente modificata in consistenza, ideata per rendere
l’alimentazione facilitata con cibi morbidi da masticare e deglutire in funzione della
tollerabilità del paziente.
Indicazioni - Diffusamente impiegata nei seguenti contesti: problemi di dentizione o privi di
dentizione, difficoltà masticatorie, condizioni patologiche caratterizzate da disfagia, pazienti
debilitati incapaci di masticare, pazienti con disfagia secondaria a disordini neurologici,
esofagei, orali, laringei o a problemi chirurgici, pazienti con stenosi del tratto intestinale,
pazienti sottoposti a trattamento laser o radioterapico della cavità orale, svezzamento dalla
nutrizione artificiale a quella per via orale.
Limiti - Spesso il pane e gli alimenti a base di pane possono essere mal tollerati, non bisogna
somministrarli routinariamente ai pazienti che presentano difficoltà di deglutizione.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
46
Gruppo Alimentare
Bevande
Minestre
Carni
Grassi
Latticini
Amidi
Verdura
Frutta
Dessert
Dolcificanti
Miscellanea
Alimenti Raccomandati
Tutte
Brodo sgrassato, brodo di carne, minestre e creme a base di brodo
Tritata o a dadini, carni o pollame al vapore, pesci in piccoli pezzi, uova,
formaggi, burro di arachidi, spezzatini
Burro, margarina, panna e suoi sostituti, olio, sughi di carne, condimenti per
insalata
Latte, bevande a base di latte°, yogurt cremosi#
Cereali cotti, patate, riso, pasta, farina bianca tipo 00, pane di segale, cracker se
tollerati
Soffice, cotta, senza scorza o buccia dura (piselli, mais), tritata, succhi di
verdura
Cotta o sciroppata senza buccia o semi, banane, tritata, succhi di frutta (eccetto
quelli con polpa, quelli omogeneizzati, i succhi di pomodoro e prugna), agrumi
senza scorza
Gelatine, ghiaccioli, sorbetti, budini, gelati#, creme#, dolci cremosi#
Zucchero, miele, gelatine, caramelle, aromi naturali
Condimenti e spezie
* Le bevande gasate e i succhi possono non essere tollerati da molti pazienti chirugici
° Alcuni pazienti presentano una temporanea intolleranza al lattosio nel periodo postoperatorio. La dieta deve essere modificata con la
sostituzione di latte con lattosio idrolizzato o prodotti senza lattosio.
#
Senza semi, noci, pezzi di frutta, cacao.
Modifica delle caratteristiche fisiche dei cibi e/o delle bevande
Per ottenere una migliore risposta deglutitoria è consigliabile apportare una modifica
ad una o più delle seguenti caratteristiche fisiche dei cibi e/o delle bevande somministrati:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
Consistenza o Densità
Grado di Coesione
Omogeneità
Viscosità o Scivolosità
Volume del Bolo
Temperatura
Colore
Sapore
Appetibilità
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico
47
1. Consistenza o Densità
Per rendere più facile la deglutizione, la consistenza degli alimenti va adeguata al
tipo e al grado di disfagia presente. In base alla consistenza i cibi vengono classificati in:
Liquidi: acqua11, the, caffè, infusi, tisane (se privi di zucchero presentano meno rischi di
infezioni polmonari). Sono utili se la difficoltà del paziente risiede nella masticazione,
più problematici in caso di disfagia12 (da assumere solo se indicati dai riabilitatori);
Liquidi densi: succhi di frutta, latte, yogurt da bere (bevande che possono dare luogo a
infiammazioni a carico dell’apparato broncopolmonare);
Semiliquidi: gelati, granite, frullati di frutta, passati di verdura, yogurt cremosi, creme
(un po’ più consistenti per la presenza di particelle in sospensione, ma nei quali prevale la
% liquida; non richiedono la masticazione);
Semisolidi: budini, mousse, formaggi cremosi, carni crude o frullate con gelatine,
omogeneizzati, polenta morbida, creme di cereali, semolini, passati e frullati più densi,
gelatine salate e dolci, uova alla coque, acqua gelificata (richiedono una preparazione
orale e quindi una deglutizione più impegnativa rispetto ai liquidi e semiliquidi, ma non
la masticazione);
Solidi: gnocchi di patate ben cotti e ben conditi, pasta ben cotta e ben condita, pasta
ripiena, pesce privo di lische, soufflé, verdure cotte senza filamenti, ricotta, banane e
frutta matura, frutta cotta, pane da tramezzini (richiedono un impegno maggiore nella
deglutizione e nella masticazione rispetto alle precedenti consistenze, devono essere
morbidi, omogenei e scivolare con facilità, senza provocare attrito al passaggio sulle
pareti del canale alimentare; riservati ai pazienti con compromissione di bassa entità).
Compensi Dietetici in Funzione delle Alterazioni Duglutitorie
Alterazioni Deglutitorie
Chiusura insuff. delle labbra
Deficit di masticazione
Deficit sensibilità orale
Ipomobilità della lingua
Ritardo d’innesco della
deglutizione faringea
Paralisi faringea unilaterale
Ridotta peristalsi faringea
Paralisi laringea unilaterale
Deficit di elevazione laringea
Disfunzione dello sfintere
esofageo superiore
Caratteristiche del cibo per il
trattamento
Caratteristiche del cibo per
l’alimentazione
Liquidi densi
Liquidi, liquidi densi e semisolidi
Liquidi densi (► liquido)
Liquidi densi
Semisolidi
Liquidi densi
Liquidi densi (► liquido)
Semisolidi
Liquidi densi
Liquidi densi
Liquidi densi
Liquidi densi addensati
Semisolidi (► solido)
Sostanze fredde o gasate
Liquidi densi (► semisolido)
Liquidi
Solidi morbidi
Semisolidi
Liquidi densi
Semisolidi (► solido)
Liquidi densi (► liquido)
Semisolidi
Semisolidi
Il simbolo ► indica “con tendenza al …”
Tabella tratta da: P. Cancialosi - Riabilitazione del Cerebroleso Disfagico - Edizione Minerva Medica Pag. 53.
11
L’acqua è l’agente più a rischio, poiché è inodore, insapore ed incolore.
I liquidi possono defluire nell’area faringea spontaneamente, senza che venga stimolato il riflesso della
deglutizione e quindi entrare nelle vie respiratorie pervie.
12
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
48
In base alla fase deglutitoria disturbata varia la consistenza dei cibi da somministrare
e/o consigliare:
Fase orale (difficoltà di preparazione orale del bolo): gli alimenti solidi poiché richiedono
maggior tempo di elaborazione nel cavo orale possono essere più rischiosi, così come gli
impasti collosi (mollica e saliva). I latticini in genere stimolano la produzione di
abbondante muco e saliva e possono così aiutare la preparazione del bolo; tuttavia
bisogna prestare attenzione perché la produzione di saliva può essere anche uno
svantaggio non indifferente, soprattutto nei soggetti affetti da ipersalivazione
(parkinsoniani).
Fase faringea (ritardo d’innesco del riflesso deglutitorio): le sostanze liquide poiché hanno
un transito orofaringeo di breve durata vengono frequentemente aspirate in trachea. Si
può testarne l’assunzione usando inizialmente ghiaccio tritato su un cucchiaino,
progressivamente provando con una cannuccia fino ad usare il bicchiere solo se la
deglutizione è sicura.
Fase esofagea (difficoltà di progressione del bolo in esofago): gli alimenti solidi possono
essere maggiormente rischiosi. Gli impasti collosi (riso, mollica di pane allo strutto, etc.)
tendono a fermarsi lungo il transito. L’assunzione di liquidi durante il pasto deve
avvenire con cautela, in quanto in caso di marcato rallentamento del bolo in esofago,
quest’ultimo funge da tappo per il liquido in arrivo, con conseguente vomito.
Tollerabilità alla Consistenza dei cibi
Minore
Liquido
Minore
Maggiore
Semiliquido
Frullato
Semisolido
Solido
Tipologia di cibo da utilizzare
Acqua, caffè,
the, latte, brodo,
etc.
Yogurt da bere,
succo di frutta,
gelato, semolino
liquido, etc.
Budino, creme,
passato di
verdure,
semolino denso,
purea di patate,
pasta frullata
con brodo, etc.
Merendine,
gnocchi,
polenta, ricotta,
stracchino,
carote lesse, etc.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
Pasta, pane,
carne, biscotti,
etc.
49
2. Grado di Coesione
Il cibo servito deve garantire la coesione (compattezza) del bolo durante tutto il
transito oro-esofageo senza sbriciolarsi o frammentarsi. Sono da evitare: cracker, grissini,
biscotti, pastina in brodo, riso, frutta secca.
3. Omogeneità
Il cibo servito deve essere costituito da particelle di uguale consistenza e dimensione.
Modifica dell’omogeneità da solido a liquido: tritato, frullato, passato, omogeneizzato,
centrifugato. Sono da evitare: minestrone di verdure in pezzi, pastina in brodo, latte e
cereali, yogurt con pezzi di frutta. Sono consigliati: creme e frullati senza grumi.
4. Viscosità o Scivolosità
Un cibo liscio ed untuoso favorisce il passaggio dal cavo orale all’esofago, poiché
scivola con facilità e non provoca attrito al suo passaggio sulle pareti del canale alimentare.
Sono da evitare: cibi secchi. Sono consigliati: condimenti untuosi (olio, burro, panna,
maionese, besciamella).
5. Volume del Bolo
La dimensione (volume) del boccone viene definita per ogni singolo paziente in
funzione del tipo di alterazione della deglutizione. In genere, il bolo deve essere piccolo, con
buona omogeneità e scivolosità.
6. Temperatura
Per stimolare la deglutizione sono da preferire cibi che possiedono una temperatura
più calda o più fredda di 36-37 C°. Una temperatura simile a quella corporea non stimola la
percezione del boccone durante le fasi della deglutizione.
7. Colore
Il colore del cibo servito è molto importante per i pazienti portatori di cannula
tracheale, in quanto il colore del cibo deve essere differente e distinguersi dalle secrezioni
tracheo-bronchiali. Possono essere usati coloranti per alimenti.
8. Sapore
È di estrema importanza rispettare quanto più possibile i gusti e le preferenze
alimentari del paziente. I sapori acido, amaro e piccante possono avere effetti contrastanti:
da un lato possono aumentare il rischio di aspirazione per scarso controllo linguale e/o
ipomobilità faringea, dall’altro possono aiutare in caso di ridotta sensibilità orale. Il sapore
acido (ad esempio cibi serviti con limone) ha l’effetto di aumentare la secrezione salivare (da
evitare in caso di scialorrea) ed attivare automaticamente il riflesso della deglutizione.
Possono essere utilizzate sostanze aromatizzanti (naturali o artificiali).
9. Appetibilità
Per stimolare l’appetito, la presentazione complessiva e l’aspetto dei cibi serviti
devono essere ben curati. Per aumentare l’appetibilità bisogna tenere separate le puree di
carne da quelle di verdure, si possono utilizzare verdure dai colori vivi (broccoli, spinaci), etc.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
50
Modificatori di consistenza
La consistenza dei cibi può essere modulata ed adeguata alle esigenze del paziente
tramite l’impiego di additivi modificatori di consistenza: addensanti, diluenti e
lubrificanti.
Addensanti: in commercio esistono diverse sostanze con potere addensante, le quali
sono in grado di modificare la consistenza dei liquidi in cui vengono aggiunte (latte, the,
caffè, bevande, brodo, etc.), di aumentare la coesione degli alimenti e renderli più
scivolosi e facilmente deglutibili. A scopo addensante possono essere utilizzati i seguenti
prodotti:
Fecola di Patate13. È una farina composta dall’amido delle patate, impalpabile, di
colore bianco, insapore ed inodore. Va aggiunta ai cibi (dolci o salati) durante la loro
cottura o al momento della somministrazione. Dà all’impasto una consistenza
trasparente, altamente viscosa e ne evita la formazione di grumi. A seconda della
concentrazione utilizzata durante il raffreddamento forma un gel o una pasta. Va
conservata in luogo fresco ed asciutto, separatamente da merce con odori forti. Non
contiene glutine.
Fiocchi di Patate Liofilizzati. Si presentano in polvere, di colore giallo-crema,
sapore ed odore di patate. Vanno aggiunti ai cibi (salati) durante la loro cottura o al
momento della somministrazione.
Amido di Mais, Riso o Frumento. È una farina composta rispettivamente dall’amido
di mais, di riso o di frumento, di colore bianco, impalpabile, insolubile in acqua
fredda. Va aggiunto ai cibi (dolci o salati) durante la loro cottura o al momento della
somministrazione. Disperso in liquidi freddi, sottoposto a successiva ebollizione si
rigonfia con formazione di una pasta omogenea che raffreddandosi gelifica per
retrogradazione. L’amido di frumento contiene glutine.
Farine di cereali. Farine ottenute dai vari cereali di colore bianco, impalpabile,
insolubile in acqua fredda. Vanno aggiunte ai cibi (dolci o salati) durante la loro
cottura o al momento della somministrazione.
Farine Istantanee per Lattanti (lattea o di cereali). Ne esistono una vasta gamma.
Vanno aggiunte ai cibi (dolci o salati) durante la loro cottura o al momento della
somministrazione.
Gelatine. Ne esistono di diversi tipi (in polvere, dadi o fogli). Vanno sciolte nei cibi
(dolci o salati) a caldo o a freddo. Non aggiungere mai la gelatina a liquidi bollenti,
poiché in tal caso andrebbe perduto il suo potere gelatinizzante. Le gelatine non
devono mai essere congelate: dopo lo scongelamento perdono la loro consistenza
elastica, diventando friabili.
13
Viene estratta dalle patate danesi con un procedimento speciale che utilizza la sola acqua del sottosuolo,
conferendo così un alto grado di purezza (fisico, chimico e microbiologico).
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
51
Valori Nutrizionali per 100 gr
di alcuni Prodotti Naturali
Fecola di Patate
Fiocchi di Patate
Amido di Mais
Amido di Frumento
Farina di Riso
Farina di Frumento tipo 0
Farina Lattea
Energia
(kcal)
346
318
327
379
360
341
415
Proteine
(gr)
1,4
9,1
0,3
0,4
7,3
11,5
13,2
Lipidi
(gr)
0
0,8
0
0,2
0,5
1
6,3
Glicidi
(gr)
90,7
73,2
86,8
100,1
87
76,2
81,5
Amido
(gr)
74,2
71,0
76,7
100,1
79,1
67,7
27,8
Addensanti istantanei. Rappresentano un presidio alimentare particolarmente utile
per la preparazione delle diete per il paziente disfagico. Vanno versati sull’alimento
da addensare, in quantità variabile in funzione della consistenza desiderata
mescolando fino a dissoluzione, la consistenza può essere modificata con l’aggiunta
di ulteriore polvere o liquido. Presentano le seguenti caratteristiche:
o Preparati in polvere, di colore bianco, a base di amido di mais modificato, privi
di glutine e lattosio, con contenuto di minerali basso;
o Solubilità istantanea in alimenti caldi o freddi, liquidi o semiliquidi;
o Mantengono le proprietà degli alimenti, non alterando né sapore, né odore e né
colore delle preparazioni;
o Addensano in maniera omogenea, con possibilità di ottenere un grado di densità
variabile in base alle caratteristiche di scompenso deglutitorio presente (sciroppo,
crema o budino, rispettivamente paragonabili alla consistenza posseduta del
succo di frutta, della frutta cotta o dello yogurt/budino);
o La consistenza ottenuta non si modifica e perdura nel tempo;
o I prodotti addensati possono essere conservati, congelati e successivamente
scongelati senza presentare alcuna alterazione della consistenza.
Diluenti: per diluire i cibi si può ricorrere ad acqua, the, latte, succhi di frutta o di
verdura, brodi vegetali o di carne, etc.
Lubrificanti: per lubrificare i cibi si può ricorrere a burro, margarina, olio, maionese,
besciamella, etc.
Riabilitazione Dietetico-Nutrizionale in Fase Cronica Disfagia e Livelli di Dieta
Come è stato detto più volte, la Disfagia costituisce un grosso ostacolo alla regolare
assunzione alimentare, a seconda della capacità di masticare, di deglutire alimenti di
consistenza diversa e di deglutire liquidi sono stati proposti quattro livelli dietoterapici.
Il Servizio Logopedico di concerto con il Servizio Dietetico indicano il livello di
dieta consigliato e ne stabiliscono l’eventuale progressione da un livello a quello successivo,
in funzione della capacità di assumere bevande sempre più fluide, di deglutire cibi di
crescente disomogeneità, di deglutire cibi che richiedono una maggiore masticazione.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
52
Dieta di 1° Livello
Trova indicazione nei soggetti che presentano un’incapacità a masticare e/o a
deglutire cibi solidi o liquidi o difficoltà di transito del bolo alimentare dal cavo orale allo
stomaco. Per diluire i cibi si possono aggiungere bevande a base di latte, brodo, sugo di
carne, olio, margarina, burro, panna, salse.
Gruppo di Alimenti
Generalità
(a seconda della
tolleranza individuale)
Cereali e derivati
Carni
Pesci
Latte e yogurt
Formaggi
Uova
Verdure
Legumi
Patate
Frutta
Grassi
Dolci
Bevande
Alimenti Consigliati
Cibi semiliquidi, omogenei con una
consistenza variabile da quella del
succo di frutta a quella di una zuppa
cremosa.
Tutti i tipi di cerali che possono essere
ben frullati, crema di grano, crema di
riso, semolino, farina d’avena.
Tutte le carni frullate (tenere o cotte al
forno con sughi o brodi per renderle
più umide, private dei legamenti e
filamenti); omogeneizzati e liofilizzati
in commercio; prosciutto cotto frullato
finemente.
Tutti i tipi di pesce privati di lische,
pelle, coda, testa, ben cotti, ridotti in
paté molto cremosi. Omogeneizzati in
commercio.
Latte e yogurt cremosi. Panna, burro,
latte e besciamella sono utilizzati per
aumentare la quota calorica se aggiunti
ad altre preparazioni.
Tutti i formaggi a consistenza cremosa.
I formaggi stagionati sono consigliati
grattugiati,
aggiunti
ad
altre
preparazioni.
Utili per preparare creme, flan o per
arricchire minestre.
Tutte le verdure senza buccia, semi e
filamenti, ben cotte, in purea o passate
o in creme; centrifugati addensati ed
omogenei.
Omogeneizzati
in
commercio.
Tutti i tipi ben cotti, privati di bucce,
passati al setaccio e frullati.
Previa cottura, passate al setaccio fino
ad ottenere una purea omogenea.
Frullati o passati di frutta fresca o
cotta, privata di semi, della buccia e
del
torsolo.
Omogeneizzati
in
commercio.
Olio, burro, panna.
Creme, budini, flan, frappè e gelatine.
Seguire le indicazioni specifiche.
Le
bevande
possono
essere
eventualmente addensate.
Alimenti Sconsigliati
Cibi che si frantumano o si sbriciolano
e quelli appiccicosi.
Pane, grissini, cracker, cracottes,
cereali a chicco (frumento, riso, orzo,
farro), tutti i preparati da forno.
Tutte le carni a consistenza
filamentosa che non si prestano alla
frullatura.
Pesci che non possono essere ben
privati di lische, pelle, coda e testa.
Yogurt con pezzi di frutta.
Formaggi a pasta filata (mozzarella,
scamorza) o troppo appiccicosi,
formaggi semistagionati (taleggio,
fontina)
se
non
disciolti
in
preparazioni.
Uova sode, omelette e frittate.
Tutte le verdure crude o cotte, intere o
a pezzi.
Legumi interi.
Intere o a pezzi.
Frutta fresca intera o a pezzi, frutta
secca, frutta essiccata.
Caramelle dure, gomme da masticare,
biscotti, torte, brioches.
Seguire le indicazioni specifiche.
Tabella Tratta da: A.V. - Guida ai Pasti della Giornata - Dieta di 1° e 2° livello per la disfagia - Novartis - Pag. 19.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
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Dieta di 2° Livello
Trova indicazione nei soggetti che presentano una ridotta capacità a masticare e una
deglutizione fortemente compromessa.
I liquidi (acqua) possono risultare pericolosi. Gli alimenti e le bevande possono
essere addensati.
Gruppo di Alimenti
Generalità
(a seconda della
tolleranza individuale)
Cereali e derivati
Carni
Pesci
Latte e yogurt
Formaggi
Uova
Verdure
Legumi
Patate
Frutta
Grassi
Dolci
Bevande
Alimenti Consigliati
Alimenti passati (consistenza di purea o
di budino cremoso). Cibi con sapori forti
(speziati o in agrodolce per stimolare la
salivazione e favorire il transito del bolo e
in
particolare
il
riflesso
della
deglutizione)
Tutti i tipi di farine e cerali che possono
essere ben frullati, crema di grano, crema
di riso, semolino, farina d’avena.
Tutte le carni frullate (tenere o cotte al
forno con sughi o brodi per renderle più
umide, private dei legamenti e filamenti);
carni con salse o passate o mosse;
omogeneizzati
e
liofilizzati
in
commercio; prosciutto cotto frullato
finemente.
Tutti i tipi di pesce privati di lische, pelle,
coda, testa, ben cotti e passati.
Omogeneizzati in commercio.
Latte e yogurt cremosi. Panna, burro, latte
e besciamella sono utilizzati per
aumentare la quota calorica se aggiunti ad
altre preparazioni.
Tutti i formaggi freschi e quelli a
consistenza
cremosa.
I
formaggi
stagionati sono consigliati grattugiati,
aggiunti ad altre preparazioni.
Utili per preparare creme, flan o per
arricchire minestre.
Tutte le verdure senza buccia, semi e
filamenti,
ben
cotte
e
passate.
Omogeneizzati in commercio.
Tutti i tipi ben cotti, privati di bucce,
passati al setaccio fino ad ottenere una
purea omogenea.
Previa cottura, passate al setaccio fino ad
ottenere una purea omogenea.
Tutta la fresca privata di semi, della
buccia e del torsolo, ben cotta o passata.
Succhi di frutta addensati o nettari.
Omogeneizzati in commercio.
Olio, burro, panna.
Creme, budini, flan di frutta, frappè,
biscotti granulati disciolti in piccole
quantità di liquidi.
Seguire le indicazioni specifiche.
Le
bevande
possono
essere
eventualmente addensate.
Alimenti Sconsigliati
Cibi in pezzi o interi, con doppia
consistenza (minestrine, zuppe con
crostini) o non compatti (carni tritate,
riso, legumi, cracker, pane), alimenti che
si sciolgono in bocca (gelati o gelatine).
Pane, grissini, cracker, cracottes, cereali a
chicco (frumento, riso, orzo, farro).
Tutte le carni a consistenza filamentosa
che non si prestano alla frullatura.
Pesci che non possono essere ben privati
di lische, pelle, coda e testa.
Yogurt con pezzi di frutta.
Formaggi a pasta filata (mozzarella,
scamorza) o troppo appiccicosi, formaggi
semistagionati (taleggio, fontina) se non
disciolti in preparazioni.
Uova sode, omelette e frittate.
Tutte le verdure crude o cotte, intere o a
pezzi.
Legumi interi.
Intere o a pezzi.
Frutta fresca intera o a pezzi, frutta secca,
frutta essiccata.
Caramelle dure, gomme da masticare,
biscotti, torte, brioches.
Seguire le indicazioni specifiche.
Tabella Tratta da: A.V. - Guida ai Pasti della Giornata - Dieta di 1° e 2° livello per la disfagia - Novartis - Pag. 57.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
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Dieta di 3° Livello
Trova indicazione nei soggetti che presentano una masticazione limitata ed
un’accettabile deglutizione dei cibi solidi e liquidi.
I cibi devono essere ben cotti, tagliati in piccoli pezzi o tritati; inoltre, devono essere
eliminati le bucce, i semi e le parti filamentose o coriacee. L’uso di salse e creme può essere
utile per modificare la consistenza e la viscosità dei cibi.
Gruppo di Alimenti
Generalità
(a seconda della
tolleranza individuale)
Cereali e derivati
Carni
Pesci
Latte e yogurt
Formaggi
Uova
Verdure
Legumi
Patate
Frutta
Grassi
Dolci
Bevande
Alimenti Consigliati
Cibi soffici che non è necessario
frullare.
Alimenti Sconsigliati
Cibi secchi e croccanti, frutti freschi o
secchi, cibi crudi.
Pane morbido, cereali da prima
colazione, cereali, cialde, frittelle,
pasta.
Tutte le carni prive di legamenti e
filamenti ben cotte, rese tenere con
sughi e tritate; carne cruda in insalata;
prosciutto cotto ed insaccati cotti.
Tutti i tipi di pesce privati di lische,
pelle, coda, testa, ben cotti.
Latte e yogurt. Panna, burro, latte e
besciamella sono utilizzati per
aumentare la quota calorica se aggiunti
ad altre preparazioni.
Tutti i formaggi freschi e quelli a
consistenza cremosa. I formaggi
stagionati sono consigliati grattugiati,
aggiunti ad altre preparazioni.
Utili per preparare creme, flan o per
arricchire minestre.
Tutte le verdure senza buccia, semi e
filamenti, ben cotte. Tutte le verdure in
scatola e surgelate.
Tutti i tipi ben cotti e/o passati al
setaccio.
Previa cottura, passate al setaccio fino
ad ottenere una purea omogenea.
Tutta la frutta fresca, privata di semi,
della buccia, del torsolo, cotta o
passata. Succhi di frutta.
Olio, burro, panna.
Creme, budini, flan di frutta, frappè,
gelato, biscotti e torte morbidi,
merendine.
Seguire le indicazioni specifiche.
Le
bevande
possono
essere
eventualmente addensate.
Riso, cereali croccanti,
grissini, fiocchi d’avena.
Tutte le carni
filamentosa.
a
cracker,
consistenza
Pesci che non possono essere ben
privati di lische, pelle, coda e testa.
-
Tutte le verdure eccessivamente
filamentose, quali sedano, finocchi,
spinaci, etc.
Legumi interi.
Intere o a pezzi.
Frutta fresca con semi e bucce
grossolane,
frutta
secca,
frutta
essiccata, frutta cruda.
Caramelle dure, gomme da masticare,
cioccolato con nocciole intere, biscotti
con frutta secca, biscotti secchi.
Seguire le indicazioni specifiche.
Tabella Tratta da: A.V. - Guida ai Pasti della Giornata - Dieta di 3° e 4° livello per la disfagia - Novartis - Pag. 19.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
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Dieta di 4° Livello
Trova indicazione nei soggetti che possono assumere cibi facilmente masticabili e
che deglutiscono solidi e liquidi.
I cibi devono avere una consistenza morbida; inoltre, devono essere eliminate le
bucce, i semi e le parti filamentose o coriacee. L’uso di addensanti è occasionale.
Gruppo di Alimenti
Generalità
(a seconda della
tolleranza individuale)
Cereali e derivati
Carni
Pesci
Latte e yogurt
Formaggi
Uova
Verdure
Legumi
Patate
Frutta
Grassi
Dolci
Bevande
Alimenti Consigliati
Cibi morbidi non frullati, presentati
anche in piccoli pezzi o tritati.
Alimenti Sconsigliati
Cibi crudi, secchi, croccanti, fritti.
Pane morbido o leggermente tostato,
cracker, cereali da prima colazione,
cereali, frittelle, pasta, riso.
Tutte le carni prive di legamenti e
filamenti ben cotte; carne macinata;
prosciutto cotto ed insaccati cotti.
Tutti i tipi di pesce privati di lische,
pelle, coda, testa, ben cotti.
Latte e yogurt. Panna, burro, latte e
besciamella sono utilizzati per
aumentare la quota calorica se aggiunti
ad altre preparazioni.
Tutti i formaggi freschi e quelli a
consistenza cremosa. I formaggi
stagionati e semistagionati sono
consigliati grattugiati, aggiunti ad altre
preparazioni.
Utili per preparare creme, flan o per
arricchire minestre.
Tutte le verdure senza buccia, semi e
filamenti, ben cotte. Tutte le verdure in
scatola e surgelate.
Tutti i tipi ben cotti e/o passati al
setaccio.
Previa cottura, passate al setaccio fino
ad ottenere una purea omogenea.
Tutta la frutta fresca, privata di semi,
della buccia, del torsolo, cotta o
passata. Succo di frutta.
Olio, burro, panna.
Creme, budini, flan di frutta, frappè,
gelato, biscotti e torte morbidi,
merendine.
Seguire le indicazioni specifiche.
Preparati molto croccanti.
Tutte le carni
filamentosa.
a
consistenza
Pesci che non possono essere ben
privati di lische, pelle, coda e testa.
-
-
Tutte le verdure eccessivamente
filamentose, quali sedano, finocchi,
spinaci, etc.
Frutta fresca con semi e bucce
grossolane,
frutta
secca,
frutta
essiccata, frutta cruda.
Caramelle dure, gomme da masticare,
cioccolato con nocciole intere, biscotti
con frutta secca, biscotti secchi.
Seguire le indicazioni specifiche.
Tabella Tratta da: A.V. - Guida ai Pasti della Giornata - Dieta di 3° e 4° livello per la disfagia - Novartis - Pag. 57.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
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Cibi da evitare anche qualora si possono mangiare alimenti solidi
Anche qualora si possono mangiare alimenti solidi sono da evitare tutti gli alimenti
che si sbriciolano, che sono composti da piccoli pezzi, che hanno struttura fibrosa o
filamentosa.
Cereali e derivati: riso (bollito, risotto, insalata di riso, riso soffiato), mais dolce in
chicchi, pastina (in brodo), orzo (minestre), toast, cracker, grissini, biscotti secchi, fette
biscottate. Chicchi di riso o di orzo se ben cotti e riducibili in poltiglia possono essere
accettati.
Legumi: se interi, piselli, ceci, fagioli, lenticchie, fave, soia.
Uova: sode, fritte con pezzi di verdure.
Carne: tutti i tipi di carne asciutta e/o filamentosa, carne tritata, se non incorporata a purè
o a sugo denso, polpettone.
Verdure: minestre di verdure in pezzi, pomodori (anche in forma di sugo se non vengono
privati di buccia e semi), sedano (in nessun modo), cipolla (cotta o cruda tritata),
fagiolini verdi, verdure a foglia larga crude o cotte (spinaci, carciofi, etc.), patate (senza
condimento, fritte, a pezzetti).
Frutta: macedonia di frutta, noci, frutta secca, agrumi a spicchi, uva, kiwi, marmellata
con pezzi di buccia.
Dolci: torte o dolci asciutti e/o che si sbriciolano (es. torta margherita, pasta frolla, torta
paradiso, panettone, etc.).
Liquidi: alcolici
Quali consigli si possono dare per la preparazione e la presentazione dei cibi?
Vengono di seguito riportati alcuni consigli utili nella preparazione dei cibi da
proporre e servire al soggetto disfagico, ricordando sempre che la consistenza da
raggiungere è determinata dalla sua capacità deglutitoria.
Per modificare la consistenza dei cibi ed ottenere un composto con densità omogenea e
particelle di uguale dimensione è indispensabile utilizzare idoneamente un frullatore od
un omogeneizzatore.
Per assicurarsi che non siano presenti particelle solide o non uniformi bisogna sempre
passare i cibi frullati od omogeneizzati in un setaccio o in un colino.
Prima di essere frullati od omogeneizzati i cibi devono essere ben cotti fino a diventare
morbidi, devono essere tagliati a bocconcini piccoli ed ammorbiditi con sughi, salse,
maionese e condimenti. Cuocere la pasta oltre il tempo di cottura produce una maggiore
idratazione della stessa rendendola più viscosa (scivolosa).
Prima di essere frullata od omogeneizzata la carne deve essere ben cotta e tagliata in
piccoli pezzi (meglio se macinata); successivamente bisogna filtrare il composto ottenuto
per rimuovere eventuali frustoli. La carne può essere sostituita dal pesce o dal prosciutto,
servendosi di verdure cotte (carote o zucchine) per la frullatura.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
57
Nel somministrare cibi frullati od omogeneizzati, specialmente agli individui non
autosufficienti, bisogna valutare con attenzione la loro temperatura: temperature
eccessive causano scottature alla bocca. I cibi estremamente freddi sono spesso mal
tollerati
Il sapore dolce e quello salato sono esaltati quando gli alimenti vengono frullati. Inoltre,
alcuni condimenti che rendono normalmente i cibi più forti, possono essere intensificati
dalla frullatura. In genere, i cibi molto dolci non vengono tollerati per lunghi periodi di
tempo.
I liquidi eventualmente impiegati per diluire i cibi vanno aggiunti gradualmente, poco
per volta: un eccesso può modificare sia il sapore che la consistenza da raggiungere.
Per diluire i cibi, invece dell’acqua, per migliorarne il sapore ed il valore nutrizionale, è
preferibile utilizzare: latte, panna, succhi di frutta o di verdure, brodo, formaggi cremosi,
salsa di pomodoro, etc.
L’utilizzo del latte intero, rispetto quello scremato, migliora la consistenza dei cibi
frullati e ne aumenta le calorie quando non vi siano altre indicazioni terapeutiche da
seguire.
Se si adopera della gelatina per addensare i cibi, quando di preparano pietanze o creme a
base di kiwi, ananas, papaia e/o mango, bisogna cuocere brevemente a vapore la frutta o
versarvi sopra dell'acqua bollente, poiché crudi contengono un enzima che scompone le
proteine, rischiando di frammentare la gelatina. Una bustina di gelatina in polvere (9 gr)
corrisponde a 6 fogli di gelatina.
La gelatina in fogli (colla di pesce14), facilmente reperibile nei negozi di generi alimentari,
va ammorbidita in acqua fredda (3 minuti), lasciata gonfiare (2-3 minuti) ed estrarre la
gelatina gonfiata strizzandola delicatamente, la quale: a) per i liquidi (o composti) caldi
può essere mescolata direttamente ad essi finché non si scioglie completamente; b) per i
liquidi (o composti) freddi va prima sciolta in un contenitore a fiamma bassa (non deve mai
arrivare a bollire, altrimenti perde il suo effetto), aggiungendo appena sciolta solo alcuni
cucchiai del composto freddo e dopo mescolare tutto il resto del composto. Aggiungere
sempre il composto freddo alla gelatina e non viceversa. La gelatina può essere
facilmente sciolta anche nel forno a microonde, disponendola in una ciotola e lasciarla
liquefare per circa 10 secondi (max potenza), quindi procedere con la preparazione, nelle
stesse modalità esposte per sciogliere la gelatina nei piatti freddi.
Una gelatina alternativa di origine vegetale è l’agar-agar15 (nota anche come kanten), con
sapore tenue e molto nutriente (priva di calorie, ma ricca di minerali), non altera il sapore
naturale dei cibi. Nelle preparazioni richiede solo una breve cottura, ma un tempo più
lungo per la solidificazione (n. 1 ora a temperatura ambiente). Usata per preparazioni
salate non necessita di grandi quantità, per addensare dolci ne occorrono quantità
maggiori.
14
La colla di pesce o gelatina, utilizzata in cucina come addensante, è prodotta prevalentemente con cotenna
di maiale e ossa e cartilagini bovine. Del pesce, quindi è rimasto solo il nome, che deriva dal fatto che
originariamente si produceva in Russia, partendo dalle vesciche degli storioni.
15
Polisaccaride naturale ricavato dalle alghe rosse appartenenti a diversi generi, con un alto contenuto di
mucillagini (65%) ed arginato (sostanza gelatinosa)
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
58
Per aumentare le proteine e/o le calorie dei cibi serviti possono essere aggiunti: a)
formaggio grattugiato alle minestre, alle patate, alle pietanze e alle verdure (i formaggi
cremosi si sciolgono più facilmente); b) latte in polvere alle pietanze, alla purea di patate,
alle minestre, ai cereali cotti, ai dolci ed alle bevande a base di latte nelle quantità di 2
cucchiai da tavola per tazza; c) uova alle bevande a base di latte, alle pietanze e ai dolci;
d) burro di arachidi ai dolci o ai frappè; e) dosi extra di condimenti (anche con azione
lubrificante sul bolo alimentare); f) gelati, panna montata, zucchero, miele, marmellate,
sciroppi, succhi di frutta, etc..
Per minimizzare il rischio da tossinfezione da salmonella è consigliabile l’utilizzo di
uova congelate o pastorizzate, così come di sostituti dell’uovo.
Poiché i cibi frullati rappresentano un eccellente mezzo di coltura per la crescita dei
batteri, essi devono essere refrigerati o congelati nelle ore successive alla loro
preparazione o mantenuti ad una temperatura superiore ai 65°C. Le quantità eccedenti
possono essere conservate congelate in dosi equivalenti a quelle di un pasto o in adeguati
contenitori ricoperti di ghiaccio.
Se è permesso dai riabilitatori l’uso della cannuccia16, quelle in plastica con estremità
flessibile sono più comode da utilizzare e hanno diametro maggiore. Può essere utile
tagliare le cannucce alla base di 2-5 cm, poiché cannucce più corte richiedono minor
forza di suzione.
Servire il cibo in piccole porzioni e su piatti piccoli.
Per facilitare ed accelerare la preparazione del pasto, oltre agli alimenti naturali,
possono essere utilizzati alimenti destinati a fini medici speciali17 e/o integratori nutrizionali.
In commercio è possibile trovare pietanze, minestre e dolci in scatola, purea di patate
e di cereali istantanee, omogeneizzati e liofilizzati per la prima infanzia, integratori dietetici
specifici pronti per l’uso o da ricostituire.
16
Per ridurre il rischio di aspirazione è da evitare l’uso di cannucce o siringhe per la difficoltà di controllare il
flusso dei liquidi e semiliquidi.
17
Alimenti speciali per l’infanzia o a consistenza modificata (già pronti per l’uso o da ricostituire).
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
59
Bibliografia
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E. Comi - L’alimentazione nel malato oncologico. In E. Orsi, N. Musacchio - Nutrizione Clinica e
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J. K. Nelson, K. E. Moxness, M. D. Jensen, C. E. Gastineau - Dietologia. Il Manuale della Mayo
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S. Riso - Aspetti Nutrizionali. In Atti del Simposio Satellite Novartis “Disfagia … Cronica?” Riunione Monotematica S.I.N.P.E. - Torino, 16 novembre 2006.
O. Schindler, S. Raimondo - Linee guida sulla gestione del paziente disfagico adulto in foniatria e
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I. Springhetti, A. Palmo, R. Galletti - Alimentazione. In V. Noto - Manuale di Ausili e Cure del
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L. Triolo - Medicina per Operatori Sanitari - PICCIN Nuova Libraria S.p.A. - Pag. 363.
V.A. - Guida ai Pasti della Giornata - Dieta di 1°, 2°, 3° e 4° livello per la disfagia - Novartis.
V. A. - NeS Nutrizione & Salute, numero speciale di Disfagia - Novartis Consumer Health,
trimestrale d'informazione, Estate 2001.
V. A. - NeS Nutrizione & Salute, numero speciale di Disfagia - Novartis Consumer Health,
trimestrale d'informazione, Autunno 2001.
V. A. - NeS Nutrizione & Salute, numero speciale di Disfagia - Novartis Consumer Health,
trimestrale d'informazione, Inverno 2002.
V. A. - NeS Nutrizione & Salute, numero speciale di Disfagia - Novartis Consumer Health,
trimestrale d'informazione, Estate 2004.
S. Vaccaro - L’alimentazione nel bambino disabile: suggerimenti ed ausili utili - Meeting
Internazionale Milano Pediatria 2004 - CD-ROM Atti del Congresso.
S. Vaccaro - La Nutrizione Artificiale nei Pazienti Critici della Rianimazione e Terapia Intensiva Tesi di Laurea in Dietistica 2004 - Università degli Studi Federico II° di Napoli.
S. Vaccaro - “Dieta ipoproteica a consistenza modificata somministrata in corso di ospedalizzazione
in soggetti affetti da IRC con difficoltà alla masticazione” - Nutritional Therapy & Metabolism SINPE News - Wichtig Editore - Ottobre/Dicembre 2007 - Pag. 20.
G. Vannozzi, G. Leandro - Misure dietetiche aspecifiche e diete con modifica della consistenza. In G.
Vannozzi, G. Leandro - Lineamenti di Dietoterapia e Nutrizione Clinica - Febbraio 1998 - Il
Pensiero Scientifico Editore - Pagg. 117-121.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
60
LA RIABILITAZIONE DIETETICO-NUTRIZIONALE: SUPPORTO
NUTRIZIONALE ARTIFICIALE
William Giglioli
UO Lungodegenza - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia
La Nutrizione Artificiale si divide in due grandi branche. Una è la Nutrizione
Parenterale, che consiste nell’apporto di nutrimento nel sistema venoso, l’altra è la
Nutrizione Entrale, che si attua somministrando gli alimenti direttamente nel tubo
digerente.
La via da prediligere, se l’apparato digerente è funzionante, è quella Enterale essendo
una via più fisiologica e con meno possibilità di complicanze rispetto a quella Parenterale
(completezza della dieta, minori complicanze metaboliche, mantenimento del trofismo della
mucosa intestinale, mantenimento della secrezione biliare e pancreatica ). La Nutrizione
Enterale inoltre ha minori costi rispetto alla Nutrizione Parenterale.
Le principali controindicazione alla Nutrizione Entrale sono: ileo paralitico, diarrea
cronica, subocclusione intestinale, vomito ricorrente ed ischemia intestinale cronica.
Le vie di somministrazione della Nutrizione Entrale sono: Intubazione nasogastrica, Intubazione naso-duodeno/digiunale, Gastrostomia (Chirurgica o PEG),
Digiunostomia.
Fra i principali tipi di disfagia che possono necessitare di Nutrizione Entrale
possiamo ricordare: Disfagia Neurologica, Disfagia Oncologica, Disfagia Funzionale e
Disfagia da Mucosite.
La Disfagia Neurologica si può dividere in Disfagia Neurologica Acuta e Cronica.
Nella Disfagia Neurologica Acuta bisogna iniziare la Nutrizione Artificiale non oltre le 2472 ore, soprattutto se il paziente è malnutrito. Per le prime 3-4 settimane la via iniziale di
scelta è il Sondino Naso-Gastrico, mentre se la disfagia si protrae è consigliabile passare alla
Gastrostomia Endoscopica Percutanea (PEG).
Nella valutazione dell’Apporto Energetico è necessario calcolare il consumo
energetico basale o metabolismo basale (MB). La formula è quella di Harris-Benedict.
Una volta individuato il metabolismo basale, questo valore andrà moltiplicato per un
coefficiente relativo alle caratteristiche del Paziente. Se infatti il soggetto è deambulante si
moltiplicherà il MB per 1,37; se il soggetto invece starà solo seduto o allettato il MB verrà
moltiplicato per 1,1. Se, al contrario, è presente severa malnutrizione si dovrà arrivare
gradualmente ad una quantità calorica pari al MB moltiplicato per 1,7.
L’Apporto Proteico sarà 0,8-1,3 gr/Kg/die; non vi sono infatti indicazioni specifiche
per questa patologia e si comparano questi pazienti alla popolazione generale.
Di solito le miscele nutritive contengono in proporzioni armoniche elettroliti,
vitamine ed oligoelemmenti. E’ utile valutare spesso, come sempre quando si instaura la
Nutrizione Artificiale, alcuni importanti parametri: la potassiemia, il cloro, la natriemia, la
calcemia, la sideremia, il magnesio, la Vit. B12 e l’ac. folico.
L’apporto Idrico di riferimento è 30-35 ml/Kg/die. Bisogna ricordare che nelle
miscele per la Nutrizione Enterale l’acqua è circa 800 cc ogni 1000 cc della miscela stessa.
E’ sempre necessario valutare la possibilità di deglutire la saliva e verificare la presenza o
meno di ipertermia, sudorazione, diarrea, vomito e poliuria. In questi casi l’apporto di acqua
dovrà essere maggiore.
La Nutrizione Enterale verrà sospesa quando l’assunzione di alimenti per os diverrà
attuabile e coprirà il 75 % del fabbisogno nutrizionale.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
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La Disfagia Neurologica Cronica, quando instaurata, necessiterà dei medesimi
interventi nutrizionali di quella acuta..
Nella Disfagia Oncologica si dovrà iniziare la Nutrizione Artificiale in presenza di
malnutrizione o quando si ritiene che per 7–10 giorni l’assunzione calorica sarà
insufficiente. Nei Pazienti candidati a chemio-radioterapia è necessario iniziare la Nutrizione
Artificiale molto precocemente. Nelle neoplasie del distretto cervico-cefalico sottoposte a
radioterapia si instaura soventemente ipogeusia, mucosite, odinofagia, xerostomia, anoressia
e disosmia.
Quando è presente Disfagia da Mucosità è poco adatto il SNG mentre risulta più
idonea la PEG.
Nella Disfagia Oncologica si moltiplicherà il Metabolismo Basale per il coefficiente
1,3– ,5; oppure si potrà somministrerà, se il Pz è deambulante, un nutrimento di 30-35
Kcal/Kg di peso corporeo ideale, mentre la quota calorica dovrà essere 20-25 Kcal/ Kg di
peso corporeo ideale se il Paziente è allettato o non deambulante. L’apporto proteico sarà di
1,2-1,5 gr/ Kg di peso corporeo ideale e per quanto riguarda l’apporto idrico dovrà attestarsi
sui 30-35 cc/Kg di peso attuale.
La Disfagia Funzionale si può manifestare quando sono presenti disordini funzionali
gastrointestinali o disturbi motori delle alte vie digestive, oppure quando sono presenti
problemi psicologici - psichiatrici. In queste patologie si dovrà iniziare la Nutrizione
Artificiale quando l’assunzione di alimenti diminuirà del 20-30 % rispetto alla quantità
necessaria. Nelle Patologie Psicologiche Psichiatriche la decisione di iniziare la Nutrizione
Artificiale sarà molto delicata e dovrà essere iniziata solo in caso di stato nutrizionale molto
compromesso. La via enterale è sempre da preferirsi rispetto a quella parenterale.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
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SICUREZZA IGIENICA DEI CIBI A CONSISTENZA MODIFICATA
Maurizio Rosi
SIAN - Dipartimento di Sanità Pubblica - AUSL di Reggio Emilia
Alimentare un paziente con problemi di disfagia nelle strutture ospedaliere ed
assistenziali è un’attività che, seppure con le difficoltà e le complessità del caso, presenta
delle interessanti opportunità di intervento. Nelle tante linee di indirizzo per il trattamento
di questi pazienti si suggerisce, con possibili variabili a seconda della gravità, l’utilizzo di
una dieta rappresentata solo da cibi che possono essere masticati e deglutiti senza pericolo:
gli alimenti dovrebbero avere una consistenza cremosa, evitando cibi appiccicosi che
aderiscono al palato o cibi frammentati in piccoli pezzi che si disperdono nel cavo orale e
aumentano la possibilità di soffocamento.
Anche gli alimenti di consistenza liquida non sono indicati ed è bene siano resi più
densi utilizzando delle sostanze addensanti. Purtroppo il problema non si risolve con qualche
consiglio anche se appropriato. Il paziente disfagico è una persona che vive questo disturbo
con molto disagio, che tende ad alimentarsi e ad idratarsi in modo insufficiente e che ha
bisogno di ritrovare il piacere del mangiare, perciò occorrono alimenti appetitosi, attraenti,
adatti nella consistenza e batteriologicamente sicuri. Il senso del gusto in tutto il mondo
animale è uno dei più precoci e duraturi, il piacere generato dalla percezione del sapore
dell’alimento stimola e influenza il nostro comportamento sin dai primi momenti di vita, il
cibo è quasi sempre collegato al nostro vissuto, a partire dalla relazione affettiva e
alimentare con la madre, per arrivare alla ritualizzazione di tutti gli eventi più significativi.
Così il consumo dell’alimento viene ad assumere un significato ben più profondo di
un semplice apporto di nutrienti: il cibo diventa un canale di relazione con esterno del
paziente che ha capacità percettive compromesse, può essere un efficace strumento per
migliorare il tono dell’umore attraverso il piacere gustastivo ed evocando il ricordo positivo.
Differenziare il consumo dei vari alimenti a seconda delle ore della giornata o del calendario
in base agli usi consolidati dal contesto culturale, può favorire il mantenimento della
scansione temporale del giorno, delle settimane, delle stagioni, del succedersi delle festività
religiose e tradizionali. Il cibo è un elemento fondamentale per l’equilibrio fisico e psichico
dell’organismo umano, perciò anche per l’alimentazione del paziente disfagico è necessario
ricercare prodotti e metodi di somministrazione che possano garantire per quanto possibile
tutti gli effetti positivi sopra ricordati.
Quindi si deve garantire un prodotto di consistenza adeguata, sicuro, in modo
assolvere i bisogni nutrizionali, gradevole da soddisfare l’utente, variato nelle scelte a
fronte molto spesso di risorse modeste. Un obiettivo forse ambizioso al cui raggiungimento
possono concorrere diverse professionalità il nutrizionista, l’igienista, il cuoco l‘economo.
Intanto possiamo approfondire gli aspetti di igiene della ristorazione cercando di
evidenziare i rischi, ma anche le possibili opportunità.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
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Come si è detto occorre proporre un menù con ricca offerta di sapori, colori, profumi
diversi nella giornata e nelle settimane cercando di utilizzare tutti i prodotti che il mercato
offre nonché la professionalità e la fantasia del cuoco ci possono mettere a disposizione:
alimenti destinati ad alimentazione particolare (ex DLgs 111/92);
alimenti preconfezionati convenzionali con caratteristiche adatte all’utilizzo;
cibi prodotti appositamente presso la cucina della struttura.
Per tutti possiamo assicurare la sicurezza batteriologica utilizzando i criteri del
sistema HACCP (Hazard Analysis Critical Control Point) ovvero un sistema di
autocontrollo che, analizzando i possibili pericoli e stabilendo misure di controllo del
rischio, previene l'insorgere di problemi sanitari legati all’alimento.
Il sistema venne ideato negli anni sessanta negli Stati Uniti con l'intento di assicurare
che gli alimenti forniti agli astronauti della NASA non avessero alcun effetto negativo sulla
salute che potesse mettere a rischio missioni nello spazio.
L’HACCP è stato introdotto in Europa nel 1993 con la direttiva 43/93/CEE (recepita
in Italia con il decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 155), che prevede l'obbligo di
applicazione del protocollo HACCP per tutti gli operatori a qualsiasi livello della catena
produttiva alimentare. Questa normativa è stata sostituita nel 2006 dal regolamento
852/2004.
I punti fondamentali del sistema dell’HACCP sono identificabili in sette principi:
1. Individuazione dei pericoli ed analisi del rischio
2. Individuazione dei CCP (punti di controllo critici)
3. Definizione dei Limiti Critici
4. Definizione delle attività di monitoraggio
5. Definizione delle azioni correttive
6. Definizione delle attività di verifica
7. Gestione della documentazione
Il sistema si integra perfettamente con i processi di accreditamento e certificazioni
ISO 9001- 2000.
Senza addentrarci approfonditamente nelle modalità di applicazione del sistema, già
da tempo utilizzate nella produzione alimentare, possiamo ipotizzare per i prodotti per
disfagici i punti di maggior rischio. Queste ipotesi devo essere intese come un semplice
suggerimento per i necessari approfondimenti da effettuarsi direttamente nel contesto
produttivo o di somministrazione all’atto della definizione del piano di autocontrollo.
Il prodotto industriale destinato ad una alimentazione particolare e da utilizzarsi
tal quale o previo eventuale riscaldamento, è di norma un prodotto sterilizzato o stabilizzato
ad esempio con l’utilizzo combinato di un trattamento termico, riduzione dell’attività
dell’acqua, con l’abbassamento del PH o con l’utilizzo di additivi chimici. Il rischio
batteriologico è rappresentato dalla possibile contaminazione intervenuta dopo l’apertura
del prodotto e dalla inadeguata conservazione successiva. Val la pena ricordare che tutti i
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
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prodotti sterilizzati o come si usa chiamarli abitualmente “a lunga conservazione” una volta
aperti vanno conservati a temperatura inferiore a + 4 °C così come i prodotti deperibili.
I tempi di somministrazione a volte per problemi organizzativi, più spesso per le difficoltà
tipiche del paziente, possono prolungarsi nella giornata con possibilità che questi alimenti
rimangano alcune ore non protetti e a temperatura ambiente con possibile sviluppo batterico.
La maggior parte dei batteri non raggiunge in poche ore una carica infettante significativa
per un adulto sano, ma rischiosa per un paziente debilitato con immunità compromessa.
Fra i prodotti convenzionali preconfezionati adatti all’alimentazione del disfagico,
troviamo in commercio prodotti “a lunga conservazione” per i quali valgono le stesse
considerazioni sopra esposte, prodotti cosioddetti “freschi”, per lo più pastorizzati, che
devono essere mantenuti a temperatura di refrigerazione sia durante le fasi di stoccaggio e
servizio, sia dopo l’apertura della confezione, prodotti surgelati da rigenerare mediante
riscaldamento che vanno conservati a temperatura negativa di - 18°C nelle fasi di
stoccaggio.
Per cibi prodotti appositamente presso la cucina della struttura occorre rispettare
i principi del sistema HACCP come per tutti gli alimenti prodotti, un possibile elemento di
rischio aggiuntivo è rappresentato dall’uso di attrezzi che frantumano e omogenizzano i cibi.
Queste fasi meritano particolare attenzione per due motivi:
sono effettuate quando il prodotto è già cotto e non subirà più processi di risanamento
prima del consumo;
si utilizzano strumenti non sempre facilmente sanabili che, quando non perfettamente
gestiti, possono essere veicolo di contaminazione crociata.
Queste difficoltà non devono impensierire, ma spingere ad un’attenta analisi delle
fasi del processo per individuare compiutamente i pericoli, certi che esistono sempre
soluzioni che consentono il controllo dei rischi a garanzia della salute del malato.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
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LA DISFAGIA NEUROGENA: L’APPROCCIO RIABILITATIVO
Valentina Stigliano
U.O. M.F.R. - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia
Il Fisiatra è il medico che si occupa della diagnosi, terapia e riabilitazione della
disabilità, intesa come limitazione della funzione neuromotoria e cognitivo-emotiva. La sua
principale caratteristica è il lavoro multidisciplinare in TEAM volto al recupero
dell’autonomia dell’individuo sfruttandone le sue capacità residue. Il TEAM, incentrato sui
bisogni del paziente, è costituito da diverse figure professionali comprendenti il Medico
Fisiatra, l’IP, il FT, il logopedista, l’assistente sociale, l’ota/oss, il tecnico ortopedico, dal
confronto tra le quali nasce la condivisione del progetto riabilitativo e degli interventi da
attuare, mirati ad un training diretto del deficit e delle ripercussioni funzionali dello stesso.
La nostra Unità Operativa accoglie prevalentemente pazienti affetti da esiti di Stroke
in fase acuta, attraverso un iter di trasferimento dai reparti di Neurologia e Medicina Interna.
Lo stroke, ischemico o emorragico, è una patologia ad origine vascolare che si
manifesta clinicamente con i segni e i sintomi dovuti ad una lesione cerebrale focale, com’è
la disfagia. Questa, definita come la perdita di capacità di convogliare i cibi dalla bocca
all’esofago, in genere tende ad avere una buona risoluzione nella prima settimana dopo
l’evento acuto e la sua persistenza è correlata ad una maggiore mortalità e morbilità per
malnutrizione e complicanze respiratorie, specie nell’anziano. Le sue complicanze più
temibili sono infatti l’aspirazione tracheo-bronchiale, la malnutrizione, la disidratazione, la
polmonite ab-ingestis che può risultare fatale. I problemi di deglutizione nel paziente con
ictus sono causati da:
• Alterazioni del tono: ipertono-ipotono della muscolatura del viso, bocca e collo del lato
plegico;
• Alterazioni della sensibilità: ipoestesia-anestesia del viso e interno della bocca del lato
plegico;
• Perdita di movimento selettivo: il paziente colpito da ictus può muovere le labbra, le
guance e la lingua solo in schemi globali stereotipati.
Quando il paziente giunge in MFR, il riconoscimento della problematica rappresenta
il primo passo per la gestione clinica, di fondamentale importanza perché da essa dipende
l’efficacia della presa in carico per la prevenzione delle suddette complicanze.
Il team costituito dal fisiatra, dall’IP e dalla logopedista effettua la valutazione al
letto del paziente, mediante l’utilizzo di protocolli valutativi standardizzati, la redazione di
schede per l’informazione e la comunicazione, il colloquio tra operatori ed utilizzatori,
pazienti e loro familiari.
Si inizia con approfondite anamnesi ed esame obiettivo aventi ad oggetto:
• condizioni neuropsicologiche (livello di coscienza, attenzione e concentrazione,
livello comunicativo);
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
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•
•
•
valutazione morfodinamica degli organi coinvolti nella deglutizione, delle prassie
bucco-facciali, della sensibilità, dei riflessi normali e patologici, mediante apertura e
chiusura della bocca, motilità della lingua, capacità di mantenere la posizione seduta;
condizioni respiratorie, disfonia e tosse volontaria, eventuale presenza di cannula e
sue caratteristiche;
stato nutrizionale e modalità di nutrizione: orale, se in atto, autonoma, supervisionata,
indipendente di solidi/liquidi o semisolidi; presenza di SNG o PEG.
I test di alimentazione analizzano prevalentemente le fasi orale e faringea. Per la fase
orale si analizzano le abilità di suzione e masticazione. Per la fase faringea si eseguono
prove con alimenti di consistenza diversa: liquidi (water swallow test) e semisolidi. In base a
questa valutazione si decidono la via di nutrizione del paziente, le modalità di nutrizione e di
follow-up e infine la necessità di un programma riabilitativo. Altri strumenti a nostra
disposizione per il riconoscimento della disfagia comprendono anche la videofluoroscopia,
la FEES o esame videoendoscopico delle vie aeree e digestive superiori con prove di
deglutizione. Una recente revisione della letteratura indica che la combinazione di approcci
di screening e diagnostici dà risultati superiori rispetto all’applicazione di uno solo di questi.
La prima scelta consiste nella nutrizione orale attraverso una dieta di consistenza
adeguata. La nutrizione enterale (NE) è indicata quando la nutrizione per os è insufficiente
o non sicura, in presenza di una normale funzione gastrointestinale. La scelta della via
d’accesso deriva dalla durata presunta del supporto nutrizionale: il SNG per periodi di tempo
non superiori alle 3-4 settimane, la PEG per durate maggiori. È buona norma che il paziente
venga periodicamente rivalutato in modo da stabilire se vi sono miglioramenti o
peggioramenti che richiedono un cambiamento nella modalità di assunzione degli alimenti.
Da qui nasce la necessità e l’importanza del lavoro in team, dove ciascuna figura
professionale, ognuna con le sue competenze, coopera per un unico obiettivo in comune: il
paziente. L’infermiera quindi si occupa dell’igiene orale e si assicura che il paziente si nutra
a sufficienza; la fisioterapista mette il paziente in condizione di potersi alimentare usando se
necessario degli ausili e si occupa della sua abilità a muoversi al fine di fargli acquisire la
capacità di stare seduto correttamente; la logopedista lavora col paziente mediante
l’assunzione di posture e l’impiego di manovre di compenso, la modificazione delle
caratteristiche reologiche (ossia la consistenza, grado di coesione, omogeneità, volume,
scivolosità, temperatura, colore e sapore, appetibilità) degli alimenti, esercizi di stimolazione
sensoriale con rinforzo motorio. Inoltre sia il paziente e i suoi familiari sia il care-giver
devono essere opportunamente informati e istruiti su alcuni comportamenti a valenza
preventiva, che devono accompagnare il momento dell’alimentazione.
In questi pazienti è indispensabile adottare modalità di comportamento clinicoassistenziale il più uniforme, meticoloso e condiviso possibile, in modo da ridurre l’impatto
medico-sociale. I reparti di post-acuzie che accolgono pazienti disfagici, rappresentano la
sede elettiva per monitorare l’impatto assistenziale della disfagia. Si potrà iniziare un
progetto più ampio di educazione e formazione del personale e dei familiari per uniformare
l’approccio e ridurre le pericolose complicanze di tale patologia.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
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RIABILITAZIONE LOGOPEDICA DEL PAZIENTE DISFAGICO
Immacolata Fusaro
U.O. M.F.R. - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia
La Riabilitazione della disfagia, e in particolare quella neurogena, si basa su
un’attenta valutazione clinica e strumentale che ci consente di ottenere non solo un
inquadramento globale e un apprezzamento della gravità sintomatica, ma anche una
caratteristica clinica esaustiva del soggetto disfagico e del suo contesto esistenziale, allo
scopo di poter disporre di tutti gli elementi necessari per la stesura di un adeguato progetto
che ci porti al raggiungimento di obiettivi ragionevoli a breve e medio termine mediante un
programma di interventi multidisciplinari.
Prima di affrontare più in specifico le tecniche riabilitative, bisognerebbe soffermarsi
su una parte fondamentale del percorso riabilitativo che è rappresentata dal paziente
disfagico e dai familiari.
Negli ultimi anni, il ruolo svolto dal familiare, sia dal punto di vista relazionale ed
emotivo che assistenziale (mancanza di autonomia), ha acquisito un’importanza cruciale. La
famiglia è a tutti gli effetti parte integrante del team riabilitativo.
Il familiare o care-givers, per quanto motivati, si ritrovano in condizioni
oggettivamente difficoltose, sia dal punto di vista pratico, sia dal punto di vista umano,
quindi il logopedista deve essere estremamente chiaro, esaustivo e semplice nelle
informazioni che fornisce e negli addestramenti attraverso un approccio il più sereno
possibile. Bisogna essere altresì sicuri nel comunicare le istruzioni sul controllo della
situazione, in modo da creare nei familiari il corretto convincimento che le situazioni di
rischio esistono e vanno conosciute, ma sono nello stesso tempo controllabili e gestibili.
E’ molto importante considerare il paziente come un individuo non isolato, ma che
fa parte di un sistema, cioè in stretto rapporto, oltre che con se stesso, con le altre persone,
con il mondo esterno e con la salute/vita; appartenente ad un ambiente con le sue abitudini e
culture che sempre più spesso sono molto diverse; quindi la necessità di attuare un
approccio globale al paziente in quanto persona e basando il rapporto paziente\operatore
sanitario sulla centralità del paziente; dovrebbe essere, o almeno in parte, il protagonista
della sua riabilitazione e della sua vita, e che in maniera più o meno consapevole può fare
delle scelte a favore o contro il proprio recupero: è per questo che è importante che egli e\o i
familiari siano sempre sufficientemente informati e d’accordo con le proposte riabilitative.
Affinché, quanto sopra esposto, possa generare stimoli sufficienti ed efficaci per il
miglioramento del lavoro quotidiano, occorrerà porsi degli obiettivi riabilitativi specifici
raggiungibili attraverso il proporre mete semplici, graduate, a valenza emotivo-relazionale e
di gradimento (per es. partendo dai gusti preferiti), comprensibili e condivisibili dal paziente
anche se minimamente responsivo, che richiedono sempre un minimo di accettazione e
partecipazione attiva del paziente, realistiche e contestualizzate nel suo vissuto.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
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Dopo aver definito gli obiettivi si passerà ad individuare le strategie o i compensi, gli
strumenti, i metodi, e i tempi per raggiungerli, con il coinvolgimento dei familiari. Questo
tipo di approccio, che inizialmente potrebbe risultare faticoso, permette una sempre
maggiore chiarezza, appropriatezza e trasparenza nel nostro lavoro; lavorare in un gruppo o
in un team interprofessionale significa passare da una suddivisione di compiti specifici ad
una condivisione dei compiti per il raggiungimento di obiettivi comuni e un confronto
interdisciplinare può stimolare e produrre maggiori stimoli verso innovazioni, conoscenze e
riflessioni. E’ importante riuscire ad avere diversi o più punti di vista sul paziente e sulle sue
disabilità, instaurare approcci riabilitativi differenziati, verificare comportamenti diversi del
paziente con i diversi operatori in quanto ci definisce l’outcome come il risultato
complessivo di tutti gli interventi riabilitativi, e non, di tutte le figure professionali che
ruotano intorno al malato.
Riassumendo, per una migliore riuscita degli interventi riabilitativi è fondamentale
quindi un tipo di intervento multiprofessionale e multidisciplinare, a largo spettro, per
competenze e professionalità, tutte estremamente necessarie per aiutare il paziente a
superare il duro impatto psicologico ed emotivo con la patologia. La disfagia soprattutto
quella neurogena, con i disagi che comporta, rappresenta una situazione altamente
invalidante per il paziente che deve affrontare già tutta una serie di sofferenze causate dalla
sindrome neurologica. In tali condizioni è indispensabile un sostegno adeguato in grado di
favorire e migliorare soprattutto il livello di consapevolezza del paziente e il ripristino delle
funzioni deficitarie.
Nella riabilitazione del paziente disfagico, le comuni strategie terapeutiche
comprendono sia l’ottimizzazione del comportamento alimentare, sia la modifica selettiva
dei meccanismi di deglutizione mediante cambiamenti posturali di testa e collo con il giusto
utilizzo della forza di gravità, per facilitare il decorso del bolo, nonché di tecniche
deglutitorie mirate al rinforzo dei muscoli oro-faringei, per il miglioramento della velocità e
escursione dei movimenti necessari ad una efficace deglutizione.
Durante il training riabilitativo bisogna tenere conto di alcuni fattori relativi al
paziente:
• Le sue esigenze nutrizionali e cercare di mantenere un adeguato apporto nutrizionale per
prevenire o correggere un’eventuale malnutrizione;
• Le sue preferenze alimentari nei limiti consentiti, cercando di proporre cibi invitanti,
curati nella presentazione ed adeguati ai gusti del paziente, associandoli a programmi
alimentari giornalieri equilibrati;
• Il suo grado di autonomia alimentare;
• Il luogo in cui viene somministrato il pasto;
• Il suo livello di sicurezza alimentare scegliendo adeguatamente le idonee consistenze
degli alimenti per evitare rischi di aspirazione.
Il progetto riabilitativo si basa sulla combinazione di vari elementi che spaziano dalla
esatta definizione del deficit, l’indicazione del trattamento individuale fino alla scelta delle
tecniche più appropriate; deve inoltre tenere conto di una serie di altre considerazioni
derivanti dalla tipologia del malato, dall’uso di farmaci, dalle funzioni cognitive del
paziente, dai fenomeni di affaticamento, dal contesto ambientale, dall’attuazione di misure
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
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di emergenza per eventuale soffocamento (Manovra di Heimlich), la fondamentale
collaborazione attiva dei care-givers quale figura di riferimento per l’assistenza del malato
nel lungo periodo. Il tutto si deve svolgere in un setting terapeutico che deve avere delle
caratteristiche ben definite; deve incentrarsi soprattutto sulla relazione tra operatorepaziente-familiare mirando ad una alleanza terapeutica in cui bisogna saper ascoltare,
accogliere e riconoscere i bisogni del paziente ma anche del familiare.
L’ambiente deve essere tranquillo, illuminato e non rumoroso privo per quanto è
possibile di troppi elementi distraenti; i tempi, i modi e gli strumenti devono essere il più
possibili ottimizzati e adeguati al paziente che si ha di fronte.
In letteratura possiamo ormai trovare una concordanza in merito all’iter terapeutico
che si segue per il trattamento logopedico del paziente con disfagia, il quale prevede come
obiettivo terapeutico una deglutizione fisiologica, cioè una deglutizione che si avvicini il più
possibile alla normalità oppure una deglutizione funzionale, caratterizzata invece da una
maggior durata e da maggiori limitazioni dietetiche e posturali, nonché da un piano di
trattamento logopedico individuale che prevede un programma suddiviso in tre aree di
intervento: “generale, aspecifica e specifica”.
Per “area generale” si intende un approccio logopedico che si caratterizza in un
approccio globale (olistico) nel senso di stimolare il paziente in maniera multimodale, in
modo da facilitarne l’interazione con l’ambiente: miglioramento della consapevolezza del
paziente relativamente al proprio corpo e alle proprie condizioni cliniche, controllo del capo
e del tronco, incremento funzionale della sua memoria di lavoro e delle sue capacità
attentive. Molto importanti risultano le sue capacità comunicative e relazionali soprattutto
nelle fasi iniziali in quanto il paziente entra in contatto con tante figure di riferimento quali il
personale di assistenza, gli infermieri, i logopedisti, i fisioterapisti, i dietisti, i medici
specialisti e gli stessi familiari. In questa area si istruiscono i pazienti e i familiari a delle
norme comportamentali generali:
Mangiare lentamente senza distrazioni e pensando solo a quello che si sta facendo;
Assumere bocconi non troppo grandi e non introdurre in bocca niente altro se non si è
deglutito il boccone precedente;
Emettere 2-3 colpi di tosse volontaria seguiti da atti deglutitori a vuoto ad intervalli
regolari per eliminare residui di cibo in gola;
Assumere liquidi solo se permesso e solo quando non ci sono residui di cibo in bocca a
sorsi singoli dal bicchiere oppure utilizzando il cucchiaio o la cannuccia a seconda delle
indicazioni;
Parlare solo dopo aver terminato il pasto.
Per “area aspecifica” si intendono le tecniche logopediche che tendono a stimolare i
deficit di sensibilità degli organi deputati alla ricezione, masticazione e controllo del bolo,
con interventi proporzionati alla tipologia sindromica e alla gravità delle condizioni in cui si
trova il paziente. Si tratta di esercizi che mirano alla stimolazione delle aree anatomiche che
hanno perso la loro specifica funzionalità in modo attivo e passivo:
Stimolazione vibro-tattile di labbra, lingua, palato e guance;
Escursione, stiramento e protrusione delle labbra;
Escursione laterale e rotazione della mandibola;
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
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Protrusione, stiramento e di contro-resistenza della lingua graduati in forza, velocità e
precisione;
Esercizi per migliorare la chiusura della rima glottica;
Per “area specifica” si intende una riabilitazione logopedica che prevede tre classi di
intervento:
1. Le metodiche di compenso cioè particolari manovre di deglutizione e posture facilitanti
che tendono a modificare il meccanismo della deglutizione senza eliminarne la causa di
malfunzionamento. L’obiettivo è quello di rendere possibile il transito oro-faringeo del
bolo ed una deglutizione senza inalazioni attraverso le vie aeree. Il paziente deve avere
necessariamente il controllo volontario, anche se parziale, sui movimenti coinvolti nella
deglutizione e competenze cognitive necessarie per comprendere ed eseguire le manovre
proposte.
Le posture facilitanti sono:
flessione anteriore del capo: mento sullo sterno (in caso di riflesso deglutitorio
ritardato, incompetenza glottica, sposta la base della lingua indietro e allarga le
vallecole e facilita il ribaltamento epiglittico);
flessione laterale del capo;
rotazione laterale del capo verso il lato sano (tale posizione aumenta l’apertura
del SES e facilita il transito del bolo dall’emifaringe mobile);
rotazione del capo verso il lato leso ( paralisi faringea unilaterale restringendo
l’emifaringe ipomobile deviandone il bolo verso il lato sano);
estensione del capo, ed eventualmente anche del tronco (facilita la caduta del
cibo verso il basso ma può essere pericolosa se non associata alla manovra di
deglutizione sovraglottica);
decubito laterale (si riduce il rischio di inalazione non essendoci la caduta
gravitazionale verso il basso).
Le manovre facilitanti sono:
manovra di Mendelsson costituita da un prolungata elevazione ioidea dopo la
deglutizione, per 2-3 secondi manualmente o facendo eseguire il suono “ch”
muto, in caso di insufficiente apertura del SES che porta ad un insufficiente
svuotamento dei seni piriformi;
manovra di deglutizione sovraglottica costituita da un respiro profondo, apnea,
deglutizione,espirazione forzata, deglutizione in caso di una ritardata o
insufficiente chiusura glottica evidenziata anche da una disfagia predeglutitoria;
manovra di deglutizione super-sopraglottica eseguita attraverso un respiro
profondo, apnea, Valsalva durante la deglutizione, espirazione forzata,
deglutizione, nei casi in cui le corde vocali non si adducono completamente;
deglutizione forzata per diminuita forza muscolare della lingua;
chiusura del naso durante la deglutizione per insufficiente chiusura del velo
pendulo.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
71
2. Le tecniche rieducative attentamente adattate a seconda dei segni clinici e strumentali,
rivolte al miglioramento del deficit neuromuscolare o sensoriale e sono:
Stimolazioni sensoriali del cavo orale e peri-buccale (gustative, olfattive,
termiche, tattili, visive, dolorifiche, acustiche);
Evocazione del riflesso di deglutizione.
3. I provvedimenti adattativi alla dieta e alle precauzioni comportamentali. Consistono in
provvedimenti ed accorgimenti utili a favorire e\o migliorare l’atto della deglutizione. In
questo ambito sono molto importanti le indicazioni date ai familiari o caregivers (cercare
di farlo mangiare seduto o il più possibile a 45°, non parlare mentre mangia, bere liquidi
alla fine del pasto, rispetto dei tempi esecutivi per alimentarsi del paziente, igiene orale,
ecc.).
Quanto fino ora esposto va collocato e inserito in modo selettivo all’interno di ogni
trattamento riabilitativo logopedico individuale a seconda se ci troviamo di fronte ad un
paziente con diagnosi di disfagia grave (o alterazione della vigilanza e della collaborazione e
le indicazioni sono “niente per os”), disfagia media (alimentazione mista entrale e per os)
oppure di disfagia lieve (alimentazione per os con limitazioni e modificazioni).
Il trattamento riabilitativo per diagnosi di DISFAGIA GRAVE consiste
sinteticamente in:
- Stimolazione dei tempi di attenzione, di esplorazione ambientale ed emotive;
- Stimolazione della sensibilità peri-buccale e orale termica, tattile, vibratorie;
- Trattamento neuromotorio con massaggi e prassie bucco-facciali;
- Evocazione del riflesso della deglutizione;
- Gestione delle secrezioni (se portatore di cannula tracheostomica);
- Counseling e informazioni ai familiari;
- Monitoraggio della situazione e successiva programmazione del percorso più idoneo in
caso di miglioramento.
Il trattamento riabilitativo per diagnosi di DISFAGIA MEDIA consiste in:
- Stimolazioni attive e passive (come nel precedente trattamento);
- Gestione delle secrezioni;
- Osservazione dei tentativi di deglutizione con acquagel oppure, su indicazione del
foniatra, con alimenti tipo mousse o omogeneizzati;
- Counseling ai familiari\caregivers;
- Consulenza del dietista per le consistenze degli alimenti;
- Eventuali verifiche con esami strumentali (VFS, FEES);
- Monitoraggio della situazione e successiva programmazione del percorso più idoneo in
caso di miglioramento.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
72
Il trattamento riabilitativo per diagnosi di DISFAGIA LIEVE consiste in:
- Impiego di posture facilitanti (seduto, capo flesso anteriormente, ecc.)
- Consulenza del dietista per provvedimenti dietetici come la consistenza (semi-solida,
tritata, morbida, ecc.) uso degli addensanti e\o diluenti (brodo), tipologia di dieta a
seconda di patologie remote del paziente (diabete, ipertensione, ecc.), consigli su
temperatura e sapore degli alimenti;
- Tecniche di deglutizione con utilizzo delle manovre di Mendelsson, sopraglottica, supersopraglottica,ecc.
- Counseling al paziente, familiari e\o caregivers con consegna di materiale informativo.
Se ci troviamo, invece, di fronte ad un paziente che alla valutazione non ha mostrato
nessun segno patologico e nessuna alterazione della deglutizione, sarà possibile farlo
alimentare con una dieta libera, si richiederà una consulenza del dietista se sarà necessario e
comunque si effettuerà un couseling al paziente, ai familiari e\o ai caregivers.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
73
LA PIANIFICAZIONE INFERMIERISTICA AL PAZIENTE ADULTO AFFETTO
DA ALTERAZIONI DELLA DEGLUTIZIONE
Maura Rovatti
U.O. Lungodegenza - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia
La disfagia è un disturbo della deglutizione ad esordio spesso subdolo, che rende
difficoltoso o impossibile il transito dei liquidi o del cibo dalla bocca all’esofago; colpisce
frequentemente la popolazione anziana con percentuali che raggiungono il 40% tra coloro
che vivono in residenze protette. E’ presente nella normale evoluzione del processo di
invecchiamento in circa il 20% della popolazione dopo i 50 anni, ma aumenta sensibilmente
fra i soggetti istituzionalizzati, fra i portatori di esiti chirurgici della bocca e del collo o di
patologie neurologiche. Si stima esservi una frequenza del 20-40% nella popolazione con
ictus cerebrale e Morbo di Parkinson.
Essa può essere causata da diversi fattori, alcuni dei quali transitori, quando il
disturbo persiste può rappresentare il sintomo di patologie sistemiche o essere una
alterazione specifica dell’orofaringe; più frequentemente risulta da una alterata funzionalità
della lingua e/o del faringe, anche se può essere causata da alterazioni strutturali del cavo
orale (edema post-intubazione, stenosi laringee, tumori dell’ipofaringe…). Nella maggior
parte dei casi è conseguente a patologia o a decadimento neurologico con conseguente
limitazione delle abilità dei pazienti a cooperare alla valutazione e alla terapia, viene in
differenti protocolli di valutazione della disfagia prevista una attenta valutazione dello stato
cognitivo della persona e si consiglia di effettuare una misurazione con scale di valutazione
dedicate come il Mini Mental Status Exame.
Le conseguenze della disfagia nell’anziano sono molteplici: ab-ingestis,
infiammazioni polmonari, malnutrizione, didisdratazione che vanno a sommarsi ad uno stato
di salute già fragile e precario.
Spesso il disturbo si manifesta in presenza di caratteristiche tipiche della senilità
quali ridotta mobilità delle strutture orali e faringee, scarsa salivazione, problemi di
dentatura.
Individuare e riconoscere precocemente tali sintomi è di primaria importanza per la
salute e il benessere dell’anziano; spesso è sufficiente rivedere il piano alimentare con alcuni
semplici accorgimenti che approfondiremo in seguito per scongiurare le principali
complicanze della disfagia.
“L’identificazione precoce e la richiesta di consulenza sono essenziali. Il ruolo
dell’infermiere, in questo processo, è di osservare, valutare, monitorare e riferire. Per una
precoce identificazione dei problemi di deglutizione sono necessari la conoscenza dei fattori
di rischio e i segni della disfagia, insieme con l’osservazione delle abitudini nell’assunzione
di cibi/bevande, la dieta e i segni di una adeguata idratazione e nutrizione.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
74
Un individuo a rischio di avere problemi di deglutizione deve essere segnalato ad un
medico o logopedista per ulteriori valutazioni. Per evitare rischio di aspirazioni, l’assunzione
orale deve essere negata fino a che non si intraprenda la valutazione specialistica.”
Identificazione e gestione della disfagia nell’adulto con compromissione
neurologica,The Joanna Briggs Institute, 2000.
Infermieri qualificati possono essere istruiti ad eseguire uno screening valutativo
per la deglutizione al fine di identificare i segni e sintomi di disfagia, sono stati sviluppati
strumenti di screening per aiutare gli infermieri nella loro valutazione e includono i seguenti
punti:
Livello di coscienza e vigilanza;
Consapevolezza, orientamento, memoria, livello attentivo e impulsività;
Terapia farmacologia;
Forza, movimento e simmetria dei muscoli facciali, lingua e muscoli orali;
Sensibilità orale e facciale;
Qualità della voce e del linguaggio;
Riflesso della tosse, presenza e/o forza della tosse volontaria;
Risposta deglutitoria e abilità nell’eseguire la deglutizione volontaria (per facilitare la
valutazione del movmento laringeo e il tempo impegnato per deglutire, mettere due dita
sopra e due sotto la cartilagine tiroidea);
Storia dei problemi di deglutizione;
Dieta attuale.
Ci sono evidenze contrastanti riguardo la valutazione del riflesso del vomito,
tuttavia; ci sono evidenze per suggerire che la presenza di tale riflesso non è connessa con le
abilità della persona di deglutire con sicurezza.
E’ importante ricordare che quelli che aspirano non sempre presentano segni clinici
di disfagia.(livello IV).
Alcuni sintomi possono dare utili informazioni circa la presenza o assenza di
aspirazioni, possono definirsi buoni predittori isolati la fonazione umida (qualità della voce
bagnata rauca)la ridotta elevazione laringea, la tosse volontaria, qualità della voce anomale,
la febbre, il livello di coscienza basso, l’età avanzata.
Sono bassi predittori isolati il “Gag reflex”, i disordini comunicativi, la tosse, le
radiazioni toraciche, un buon livello di coscienza, la giovane età, la sede di lesione, la
soggettiva negazione di malattia.
Indicano bassa probabilità di aspirazione:un buon livello di coscienza, tosse
volontaria normale e assenza di tosse con somministrazione di un cucchiaio di 5ml di acqua.
Indicano alta probabilità di aspirazione la qualità della voce umida e rauca e debole
“gag reflex”, una ridotta sensazione faringea e tosse o variazione della qualità della voce
bevendo 50 ml di acqua, stroke bilaterale e un peggioramento della tosse volontaria.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
75
Molti autori ricordano che l’effettiva valutazione della disfagia richiede l’approccio
di un team multidisciplinare di cui l’infermiere è un membro integrante (livello III e IV).
All’interno di un team il ruolo dell’infermiere è di :
• Assicurarsi che sostanza, consistenza e tipo di cibo e liquidi siano forniti come
prescritto;
• Assicurarsi che l’alimentazione sia intrapresa in accordo con le tecniche specifiche
raccomandate o insegnate dal logopedista o dal medico;
• Assicurarsi che i farmaci siano somministrati con sicurezza;
• Monitorare l’assunzione orale ed assicurare un adeguato livello di idratazione e
nutrizione, l’utilizzo di un diario alimentare in questi casi è altamente raccomandato
dalla letteratura di riferimento;
• Assicurarsi che tutti i membri dell’equipe siano consapevoli del livello di rischio e che
vengano utilizzate tecniche di alimentazione specifiche.
DIAGNOSI INFERMIERISTICA (NANDA 2005-2006)
COMPROMISSIONE DELLA DEGLUTIZIONE.
Definizione:anormale funzionamento del meccanismo della deglutizione associato a deficit
strutturali o funzionali orali, faringei o esofagei.
Caratteristiche definenti:
compromissione della fase faringea:alterata posizione della testa, inadeguato
sollevamento della laringe, rifiuto del cibo, febbre che non ha una spiegazione,
deglutizione ritardata, infezioni polmonari ricorrenti, voce gorgogliante, reflusso nasale,
soffocamento, tosse o conati di vomito, deglutizioni multiple, anormalità della fase
faringea.
Compromissione della fase esofagea: bruciore di stomaco o dolore epigastrico, alito
acido, irritabilità che non ha spiegazione intorno all’orario dei pasti, vomito sul
guanciale, “ruminare”, rigurgito di materiale gastrico o eruttazioni umide, bruxismo,
tosse o risvegli notturni, iperestensione della testa, inarcamento durante o dopo i pasti,
rifiuto del cibo, ematemesi, vomito.
Compromissione della fase orale: mancata azione della lingua a formare il bolo, suzione
debole, incompleta chiusura delle labbra, cibo spinto fuori dalla bocca, rallentata
formazione del bolo, cibo che cade dalla bocca, prematuro ingresso del bolo, reflusso
nasale, incapacità di liberare il cavo orale, lunghi pasti con scarso consumo di alimenti,
tosse, soffocamento, conati.
OBIETTIVO
La persona riferirà una migliorata capacità di deglutire (Indicatori: la persona e/o i
familiari descriveranno i fattori causali se conosciuti, le motivazioni e la procedura del
trattamento);
Controllo dell’aspirazione, stato della deglutizione (NOC).
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
76
INTERVENTI INFERMIERISTICI VOLTI AL MANTENIMENTO
DELL’ALIMENTAZIONE E IDRATAZIONE PER VIA ORALE.
Interventi generali
Precauzioni nei confronti dell’aspirazione, trattamento della deglutizione, sorveglianza,
ricorso agli altri operatori e servizi,posizionamento (NOC).
Accertare la presenza dei fattori eziologici o contribuenti: paralisi o paresi muscolare,
compromissione meccanica delle strutture orofaringee, alterazione della consapevolezza o
delle capacità cognitive.
Ridurre la possibilità di aspirazione:
prima del pasto accertarsi che la persona sia adeguatamente sveglia e ricettiva, sia capace
di controllare la bocca, abbia il riflesso della tosse e quello faringeo;
sistemare la persona nel modo corretto, avendo cura di mantenere tale posizione da 1015 minuti prima del pasto e 10-15 minuti dopo;
dare indicazioni affinché la persona mantenga l’attenzione sul compito fino a quando
non ha terminato la deglutizione di ogni boccone, (“faccia un respiro, porti il cibo al
centro della lingua, alzi la lingua fino al palato, deglutisca, tossisca”);
mantenere la corretta igiene orale;
iniziare con piccole quantità e poi progredire lentamente non appena la persona si
dimostra in grado di gestire ciascun stadio (pezzetti di ghiaccio, contagocce parzialmente
riempito d’acqua, succo al posto dell’acqua,1/2 cucchiaino di cibo semisolido, 1
cucchiaino di cibo semisolido, purea o alimenti preconfezionati per bambini, ½ craker,
dieta morbida, dieta regolare;
se la persona ha subito un ictus sistemare gli alimenti sul retro della lingua e dalla parte
del viso che può controllare.
Dare inizio all’educazione alla salute e fornire i riferimenti indicati:
insegnare esercizi di rafforzamento (Grober, 1984) per labbra e muscolatura del viso
(alternare un aggrgrottamento delle ciglia ad un ampio sorriso a labbrachiuse, gonfiare le
guance e trattenere, soffiare fuori l’aria a labbra socchiuse, pronunciare u, m, b, p, v,
succhiare forte un lecca-lecca) per la lingua (leccare un lecca-lecca, spingere la punta della
lingua contro il palato e il pavimento della bocca, contare i denti con la lingua, pronunciare
la la la, ta ta ta, d, n, z, s.
L’RNAO nelle linee guida pubblicate nel 1997 per la gestione del paziente con
stroke definisce alcune raccomandazioni sulla gestione del paziente disfagico:
Un piano riabilitativo documentato o un piano di modificazione alimentare dovrebbe
essere concordato con e comunicato al paziente, ai curatori e a tutti i membri del team
assistenziale. (grado C)
La documentazione sullo stato nutrizionale e di assunzione di liquidi dovrebbe essere
riportata quotidianamente nella cartella clinica e in quella infermieristica e regolarmente
aggiornate. (grado C)
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
77
Infermieri e medici dovrebbero ricevere una opportuna educazione sulla identificazione
della disfagia, sulla prognosi e possibili complicanze. (grado B)
Lo staff di cucina dovrebbe ricevere informazioni e formazione per essere in grado di
apprezzare l’importanza della consistenza specifica dei cibi e di riprodurli con i
supplementi nutrizionali richiesti. (grado B)
Il Joanna Briggs Institute nella linea guida del 2000 sul paziente adulto disfagico
classifica gli interventi infermieristici raccomandati in:considerazioni prima del pasto,
posizionamento, dieta, tecniche per alimentare, farmaci, monitoraggio dopo l’alimentazione
e istruzioni al gruppo e alla famiglia.
Considerazioni prima del pasto:
L’igiene orale può stimolare la salivazione e il gusto.
Assicurare un ambiente tranquillo e piacevole senza distrazioni.
Controllare che l’individuo sia vigile e reattivo, ben riposato e senza dolore.
Se presente xerostomia provare a dare cibi agri o acidi prima dei pasti per stimolare la
produzione di saliva.
Se le secrezioni orali dense sono un problema dare enzimi proteolitici, ad esempio la
papaia prima dei pasti.
Posizionamento:
La letteratura suggerisce che il paziente sia seduto in posizione eretta con la flessione
dell’anca e del ginocchio ad angolo di 90°, piedi appoggiati orizzontalmente sul pavimento o
su un sostegno, tronco e testa in linea mediana, testa leggermente flessa col mento in
giù;possono essere necessari dei sostegni per la testa e per il tronco, se costretto a letto, usare
un’elevata posizione di Fowler con testa e collo appoggiati e il collo leggermente flesso, se
la testa è instabile una mano del caregiver può sostenere la fronte (sconsigliato il collare
cervicale che può impedire la deglutizione).
Dieta:
La sicurezza nella deglutizione può essere aumentata usando liquidi più densi e una dieta
semisolida con sostanza omogenea (cibo che mantenga e formi facilmente il bolo e che
non si disperda nella cavità orale).
L’uso di un bolo con caratteristiche sensoriali aumentate, come temperatura, aroma e
sapore forte (per esempio cibi freddi, dolci o acidi) possono stimolare una migliore
deglutizione. (E’ importante che non vengano usati cibi freddi se l’individuo ha riflessi
ipertonici).
Una dieta con calorie e valore nutritivo elevati è essenziale per compensare la ridotta
assunzione di alimenti e l’ulteriore sforzo fisico necessario per mangiare e bere.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
78
Alimenti da evitare:
Cibi e liquidi a temperature estreme.
Liquidi molto fluidi.
Latte (può contribuire ad una eccessiva produzione di muco).
Prodotti che si fondono in bocca fino a diventare liquidi (frammenti di ghiaccio, alcuni
prodotti gelatinosi,gelato).
Cibi contenenti consistenze miste, come per esempio, la combinazione di consistenze
diverse come si trova nelle zuppe vegetali (cibi solidi e liquidi insieme).
Cibi secchi e friabili.
Cibi che si frammentano in tante piccole unità (per esempio, riso, pani secchi).
Cibi filamentosi.
Cibi che richiedono una lunga masticazione.
Cibi con semi.
Cibi che impastano la bocca (p.e. burro di arachidi, banane, pane bianco morbido).
Tecniche per alimentare:
La persona che dà da mangiare dovrebbe stare a sedere allo stesso livello, o più in basso,
degli occhi di chi mangia.
Evitare di chiedere all’individuo di parlare mentre mangia.
Dare da mezzo a un cucchiaino da tè di cibo solido oppure circa 10-15ml di liquidi alla
volta.
Se l’individuo ha paralisi unilaterale,posizionare il cibo nel lato della bocca non colpita.
Evitare di toccare i denti o di posizionare il cibo troppo indietro nella bocca.
Permettere un tempo adeguato per alimentarsi.
Incoraggiare la tosse dopo la deglutizione.
L’alternanza di liquidi e solidi può aiutare a pulire la gola.
Il terapista occupazionale o il logopedista possono fornire gli strumenti adatti (come una
scodella modificata per prevenire l’estensione del collo).
Tecniche speciali di deglutizione possono essere raccomandate dal logopedista o dal
medico specialista.
Se l’affaticamento è un problema (specialmente nelle malattie neuro degenerative), può
essere molto efficace fare 6 piccoli pasti al giorno e/o fare il pasto principale all’inizio
del giorno.
Controllare se c’è qualche residuo di cibo trattenuto in fondo alla bocca.
Farmaci:
Per coloro che hanno una malattia come il Morbo di Parkinson o la miastenia gravis, è
importante che i farmaci siano loro somministrati in orari tali da raggiungere il picco di
azione durante i pasti. La somministrazione sicura dei farmaci è essenziale. Consultare un
farmacista sul metodo più appropriato per somministrare il farmaco (non tutte le compresse
possono essere schiacciate senza correre rischi), usando posizione, tecnica di alimentazione
e consistenza appropriate.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
79
Interventi specifici relativi all’individuo con trauma cranico o demenza:
La stimolazione multisensoriale prima dei pasti può migliorare la vigilanza.
Orientare l’individuo nell’ambiente circostante.
Predisporre un ambiente tranquillo per mangiare, senza interruzioni.
Utilizzare rinforzi verbali e visivi e/o incitamenti ripetuti.
Rimuovere cibi/utensili inutili, per evitare distrazioni.
Offrire piccole quantità di cibo per volta.
Se l’individuo ha difficoltà a concentrarsi, ci potrebbe essere bisogno di pasti più piccoli
e più frequenti (fino a 6 al giorno).
Se ci sono riflessi ipertonici possono essere usate diete per la desensibilizzazione orale.
Per i pazienti con un deficit di memoria preparare delle indicazioni scritte sulla
consistenza e quantità del cibo, e sulle tecniche di alimentazione.
Dopo l’alimentazione:
Controllare che non siano presenti residui di cibo e provvedere all’igiene orale.
Mantenere l’individuo alzato approssimativamente dai 30 ai 60 minuti.
Monitoraggio:
Controllare la quantità di cibo e liquidi ingeriti dal paziente e il peso per riconoscere
segni di malnutrizione o disidratazione.
Monitorare i rumori respiratori e la temperatura corporea per identificare segni di
aspirazione.
Rivalutare regolarmente l’abilità nella deglutizione.
Specifici interventi per ridurre il rischio di aspirazione:
Monitorare l’effetto di farmaci tranquillanti, antiepilettici, psicotropi e neurolettici.
Evitare l’utilizzo di cannucce o siringhe per la difficoltà a controllare la quantità e il
flusso di liquidi.
Non lasciare il paziente solo durante i pasti.
Non intraprendere l’alimentazione orale dopo la rimozione di una cannula endotracheale
prima che sia intrapresa la valutazione della deglutizione.
Aspirare le secrezioni in eccesso.
Mantenere l’attrezzatura appropriata al trattamento d’emergenza del soffocamento a
portata di mano.
Riportiamo infine alcuni segni e sintomi predittori di insorgenza di aspirazioni
tracheali che l’infermiere deve monitorare costantemente al fine di rilevare tempestivamente
la complicanza insorta:
comparsa di colpi di tosse anche leggera dopo o entro 2-3 minuti dalla alimentazione.
comparsa di velatura di voce o raucedine dopo deglutizione del boccone.
fuoriuscita di liquido o cibo dal naso.
presenza di febbre, anche se non elevata (37,5°-38°)
aumento della salivazione.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
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presenza di catarro.
nel paziente tracheostomizzato controllare che durante la deglutizione la cannula sia
chiusa, dopo l’alimentazione aspirare e controllare il secreto, se segni di aspirazione
sospendere l’alimentazione ed eseguire rivalutazione specialistica.
Bibliografia
Nanda diagnosi infermieristiche, definizione e classificazione 2005-2006, c. calamandrei, casa editrice
ambrosiana, milano, 2006.
Identificazione e gestione infermieristica della disfagia in individui con compromissione neurologica, best
practice, vol.4, issue 2, 2000 issn 1329-1874( trad: l.modena.)
The cochrane library, issue 2, 2001 , bath.pmw, smithard dg:intervention for dysphagia in acute stroke.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
81
LA RIABILITAZIONE INFERMIERISTICA: PAZIENTI STOMIZZATI
Casoni Lina
Centro Riabilitazione Stomizzati - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova Reggio Emilia
La realizzazione di un programma di Nutrizione Artificiale indirizzato ad un paziente
con difficoltà alla deglutizione prevede tecniche di somministrazione alimentare adeguate a
garantire il miglior effetto terapeutico con il minor rischio di complicanze ed il massimo
confort per il Paziente.
In sostanza il sistema deve essere in grado di garantire:
• Massima accettabilità possibile da parte del paziente
• Possibile reversibilità
• Economicità
• Minimo impegno assistenziale
L’assistenza Infermieristica al Paziente a cui è stata appena impianta una PEG
comporta da parte dell’Infermiera Stomaterapista:
• Informazioni generali allo stomizzato o al suo care-giver
• Valutazione alimentare da parte del Medico Nutrizionista
• Gestione della PEG ed addestramento dello stomizzato o del care-giver in collaborazione
con il Servizio Infermieristico Domiciliare.
MANUTENZIONE DELLA PEG:
• Utilizzare sempre le miscele nutritive in commercio, come da consiglio del medico
Nutrizionista
• Introdurre farmaci solo in forma liquida, evitando così l’ostruzione della PEG
• Effettuare frequenti lavaggi per impedire l’ostruzione della PEG
• In caso si riscontrasse la necessità di provvedere ad una sostituzione della PEG,
normalmente non la si effettua prima di 15 gg dal primo impianto
• Gestione quotidiana con controlli accurati
• Non pinzare mai la PEG, se non con il morsetto in dotazione.
ADDESTRAMENTO E MANOVRE DELL’INFERMIERE NELL’ASSISTENZA DEL
PORTATORE DI PEG
Procurarsi il materiale occorrente:
• Guanti monouso
• Carta
• Acqua e sapone liquido
• Garza tagliata a y
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
82
PROCEDURA
• Pulizia delle mani (applicazione dei guanti)
• Sospensione dell’alimentazione, controllo del ristagno gastrico
• Rimozione della precedente medicazione, controllo dell’aspetto della stessa e quindi
della cute
• Pulizia della cute
• Controllo della posizione della sonda
• Controllo della pervietà
• Ripristino della medicazione
• Ripristino dell’alimentazione.
MANUTENZIONE DELLA SONDA GASTROSTOMICA DI SOSTITUZIONE:
Sovrapponibile alla manutenzione della PEG, unica differenza, la sonda
gastrostomica di sostituzione è ancorata all’interno dello stomaco con un dispositivo di
bloccaggio cuffiato come quello di un catetere vescicole tipo Foley con 8 cc di Acqua per
preparazioni iniettabili, da rinnovare ogni 10-15 gg.
Dopo un adeguato addestramento, anche questa manovra può essere effettuata dal
care-giver.
GESTIONE DOMICILIARE
Le informazioni fornite ai portatori di PEG, di cui è previsto il ritorno in struttura
protetta, sono diverse rispetto alle informazioni fornite a quei pazienti che fanno ritorno al
loro domicilio.
La gestione domiciliare prevede l’addestramento alle manovre di gestione all’uso
della PEG da parte del paziente o del care-giver e, da parte dell’infermiera sul territorio,
della corretta preparazione dell’alimentazione da infondere e della gestione della pompa
infusiva.
Al paziente vengono poi forniti i vari contatti telefonici, in caso di necessità.
Viene stilato il programma dei controlli: di gestione, nutrizionali e per la sostituzione
della PEG.
FOLLOW-UP
Il Follow-up proposto ai portatori di stomia è nutrizionale, relativo all’aspetto dei
controlli nutrizionali, e con lo stesso accesso, controllo di gestione.
In caso di necessità il paziente viene indirizzato al controllo strumentale in
Endoscopia Digestiva.
COMPLICANZE NELLA GESTIONE DELLA PEG
Possono essere:
1) OPERATIVE
2) MECCANICHE
3) NUTRIZIONALI
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
83
OPERATIVE
Relative ad una scorretta gestione del punto d’inserzione della sonda.
Dopo la stabilizzazione lo stoma va gestito con una pulizia quotidiana, con acqua e sapone,
salvo diverse problematiche cutanee, nessun disinfettante, nessuna medicazione a piatto.
In alcuni casi, a seguito di un rallentato svuotamento gastrico si può avere una secrezione
abbondante di materiale gastrico che fuoriesce dal punto d’inserzione della PEG.
In questa situazione purtroppo, se non trattato adeguatamente, si rischia la
contaminazione ed infezione dell’accesso nutrizionale.
Sarà compito del Medico eventualmente far effettuare un tampone colturale nella zona per
controllare che non si instauri un’infezione.
MECCANICHE
L’ostruzione della sonda è una delle complicanze più frequenti, spesso causata dalla
coagulazione della miscela nutrizionale o da insufficienti lavaggi, oppure da
somministrazioni di farmaci non perfettamente diluiti o polverizzati.
Per risolvere la situazione si può provvedere con un lavaggio di acqua minerale
naturale tiepida oppure Sodio Bicarbonato 8,4%.
Non è consigliato l’uso di bevande a base di Cola, succo di ananas o altre bevande
dolcificate o gassate che possono contribuire alla deneturalizzazione delle proteine presenti
nelle miscele nutrizionali.
Anche un frequente e ricorrente inginocchiamento della sonda o l’alterazione
strutturale della stessa può contribuire all’ostruzione del dispositivo.
Per quei pazienti che fanno un’alimentazione mista, integrando l’alimentazione per
bocca con l’alimentazione artificiale entrale, a volte si possono scegliere soluzioni
alternative, infondendo l’alimento es. di notte.
NUTRIZIONALI
La diarrea è tra la causa principale di una velocità eccessiva d’infusione di
somministrazione o la contaminazione della miscela o della linea d’infusione.
Nausea e vomito sono fattori importanti di rischio per la polmonite ab-ingestis,
attenzione alla velocità d’infusione di somministrazione dell’alimentazione.
La stipsi, spesso presente in soggetti a lungo allettati.
Sono tutti problemi del paziente che dobbiamo imparare a gestire unitamente al medico.
COMPLICANZE PSICOLOGICHE
Vari sono i fattori che contribuiscono all’adattamento alla nuova condizione:
La nostra vita è scandita da ritmi regolati socialmente, i pasti, i tempi del lavoro, del
riposo, ecc.
Anche all’interno del nucleo familiare, la vita si concentra sulle attività legate alla
preparazione e al consumo dei pasti.
Molti degli incontri sociali si svolgono a tavola.
Tutto questo viene molto limitato se c’è un problema legato all’alimentazione, e
quindi dal punto di vista sociale lo stomizzato si sente un escluso o comunque un diverso.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
84
Inoltre il portatore di PEG mal sopporta questa sonda che quotidianamente gli
ricorda la sua malattia e la sua impossibilità ad alimentarsi.
I pazienti con PEG, affetti da patologie tumorali hanno subito un intervento molto
demolitivo, faticano ad alimentarsi, in associazione hanno fatto, o fanno una terapia radiante,
hanno quindi anche difficoltà di adattamento alla malattia.
Lo stomizzato associa la sonda a tutto questo: una cosa in più da rimuovere
rapidamente.
Bibliografia
1.
2.
3.
Sidoli O. Nursing del paziente in Nutrizione Entrale Domiciliare. RINPE 2003, Anno 21(2):71- 77
Linee Guida SINPE per la nutrizione artificiale ospedaliera 2002 “Evidence-Based Nursing in
Nutrizione Artificiale” RINFE 2002(aggiornamento2003); 20S5:37-43
Sidoli O. Differenti aspetti della gestione infermieristica nella nutrizione entrale (NE) e nella
nutrizione parenterale (NP)
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
85
IL FOLLOW-UP NUTRIZIONALE NEL PAZIENTE DISFAGICO
Mazzocchi Angela
AUSL RE. Coordinatore G.I.N.A.
La diagnosi e la terapia della disfagia coinvolgono importanti aspetti nutrizionali
poiché questa condizione si associa frequentemente a disidratazione, carenze nutrizionali,
calo ponderale. La disfagia può conseguire a patologie neurologiche, neoplastiche,
degenerative . Può presentare un esordio acuto, oppure lento e progressivo; il trattamento
nutrizionale del paziente disfagico ed il suo monitoraggio saranno condizionati dalla
modalità di presentazione
Il piano nutrizionale deve essere approntato ed adeguato alla evoluzione clinica, in
stretta collaborazione con il logopedista; deve tendere a favorire una alimentazione per os il
più varia e naturale possibile mantenendo nel contempo un basso rischio di aspirazione.
Quando non è ancora possibile la rialimentazione per os (patologie “acute”) o
quando non è più possibile coprire i fabbisogni calorico/proteici con la sola alimentazione
per os (malattie cronico-dgenerative o neoplastiche), occorre prendere in esame la
opportunità di instaurare una Nutrizione Artificiale (NA).
L’indicazione alla NA da proseguirsi nel tempo a domicilio (NAD) viene posta su
base clinica, di adeguatezza ambientale, senza trascurare le implicazioni etiche “del
mantenere in vita un malato per un tempo superiore alla storia naturale della malattia”. Vi è
in corso un ampio dibattito sulla scelta di nutrire artificialmente pazienti affetti da patologie
prive di possibilità di guarigione. Va sottolineato tuttavia che l’età e la patologia di base non
costituiscono di per sé una controindicazione alla NAD.
Il follow-up del paziente disfagico deve garantire l’efficacia e la sicurezza del
trattamento al di fuori dell’ambiente ospedaliero, occorre pertanto che il paziente trattato al
domicilio presenti un quadro clinico stabile e che vi siano idonee condizioni socioambientali per attuare la NAD
Se queste condizioni non sussistono, il trattamento nutrizionale sarà erogato in
Strutture Sanitarie o Residenziali adeguate.
Il Piano di monitoraggio del paziente al domicilio prevede una stretta collaborazione
tra il medico di medicina generale (MMG)/pediatra di libera scelta (PdLS) ed il team
nutrizionale che è responsabile del percorso diagnostico-terapeutico nutrizionale.
Fondamentale in questo passaggio di informazioni è il Servizio Infermieristico
Domiciliare (SID), molto attivo nella nostra provincia e regione.
Con cadenza prefissata o su richiesta del MMG/PdLS, il team è in grado di attuare
una valutazione clinico-strumentale per indagare il rischio di aspirazione del paziente,
potenziali bisogni di modificazioni dietetiche o di approcci alternativi all’alimentazione.
Questa modalità di follow-up, qualificata e specializzata per il disfagico, si avvale delle
competenze del logopedista, esperto nella gestione della disfagia orofaringea, e della dietista
che fornisce il raccordo tra nutrizione orale e nutrizione artificiale.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
86
Queste consulenze vengono effettuate in ambulatorio (raramente al domicilio) o, per
i casi più complessi,in regime di DH o di ricovero ordinario. Viene rilasciata una breve
relazione che contiene istruzioni sul posizionamento/modalità di assistenza, sui consigli
dietetici e nutrizionali, sulle modificazioni dietetiche e sull’uso di compensi. Queste
relazioni sono conservate nella cartella nutrizionale del paziente, strumento necessario per il
corretto monitoraggio del paziente, prevista dalle linee Guida per l’accreditamento dei centri
di Nutrizione Artificiale Domiciliare
Nella cartella, devono essere riportati tutti i parametri di valutazione utilizzati per
l’identificazione dello stato di nutrizione del paziente, le notizie utili per favorirgli una
appropriata alimentazione (compresa l’autonomia e la capacità di masticazione e di
deglutizione), tutte le procedure attuate per l’impostazione delle terapie dietetiche e di
nutrizione artificiale, dei relativi accessi, della loro gestione e monitoraggio.
E’ nella cartella nutrizionale che vanno conservati il consenso informato del malato
(che testimonia l’accettazione del trattamento prescritto), il modulo che attesta l’efficacia del
programma di addestramento alla gestione della NAD (firmato dal paziente), il modulo di
idoneità ambientale alla NAD (che il SID ha compilato prima dell’inizio del trattamento
nutrizionale domiciliare).
La cartella nutrizionale deve essere compilata dai vari componenti dei team
nutrizionali, secondo le rispettive competenze; deve essere conservata nella sede del team o
comunque in una sede identificabile; essa costituisce un atto pubblico che permette la
valutazione anche a posteriori del corretto comportamento diagnostico-terapeutico.
In sintesi è necessario rivalutare il paziente disfagico con cadenza periodica, stabilita
in base alla criticità delle condizioni cliniche ed alla instabilità del quadro metabolico.
Questo follow-up ha la finalità di prevenire/curare le complicanze della NA, di
verificare l’ efficacia del trattamento instaurato, di valutare la qualità della vita dell’assistito
che è strettamente dipendente dalla malattia di base e dalla terapia in corso.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
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PROGETTO DISFAGIA: dall’OSPEDALE al TERRITORIO (e viceversa)
Angela Miriam Campani, Licia Notari
Ospedale S. Anna Castelnovo né Monti AUSL di Reggio Emilia
Risulta difficile parlare del follow-up al domicilio di un paziente disfagico a rischio
di malnutrizione senza prima accennare al percorso di presa in carico multidisciplinare che
avviene durante il ricovero in ospedale, dove ha inizio il monitoraggio, la riabilitazione e
l’educazione sanitaria che proseguirà, oltre la dimissione, al domicilio o nelle strutture del
territorio.
L’operato del Team logopedico/nutrizionale è stato inserito in un percorso che si fa
totalmente carico del paziente con disturbi della deglutizione, e dei suoi familiari e/o care
giver, e che si articola in varie tappe, iniziando dall’individuazione precoce di eventuali
turbe disfagiche mediante test di screening ad opera del personale infermieristico.
PERCORSO A: paziente che risulta essere negativo al test.
• Inizia alimentazione per os;
• Prima valutazione del rischio di malnutrizione da parte del personale infermieristico
(tramite semplice osservazione introiti e test MNA che consente di individuare il rischio
di malnutrizione):
• Assenza di rischio, il paziente si alimenta per os a sufficienza:
o non necessita di nessuna valutazione da parte del team;
• Presenza di rischio, il paziente si ipoalimenta:
o Segnalazione al Medico dell’unità operativa (UO);
o profilo PNAD (indici ematici necessari per valutazione stato nutrizionale);
o attivazione del Team Nutrizionale e monitoraggio introiti con diario
alimentare di 1 settimana.
Il TEAM nutrizionale effettua la valutazione dello stato nutrizionale del paziente,
definisce i fabbisogni e l’introito alimentare. In base ai dati raccolti il TEAM da indicazioni
al supporto orale con integratori, o alla nutrizione artificiale (NA) se necessario.
PERCORSO B: paziente che risulta essere positivo al test.
• Segnalazione al Medico dell’unità operativa (U.O.)
o Attivazione consulenza logopedica
Valutazione logopedica del deficit, mediante appositi protocolli
valutativi.
Presa in carico riabilitativa.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
88
B 1: Paziente che non può assumere alimenti per os (punteggio alla Dysphagia Outcome
and Severity Scale 1 e 2):
• Segnalazione al Medico UO tramite relazione della valutazione;
• Attivazione del Team Nutrizionale e profilo ematico PNAD.
B 2: Paziente che può assumere alimenti per os (punteggio alla Dysphagia Outcome and
Severità Scale 3 e 4):
• Co-gestione del paziente con il personale del reparto, con continuo passaggio di
informazioni, attraverso apposita modulistica, rispetto alla consistenza dei cibi e
liquidi permessi.
• Richiesta pasto adattato
• Prima valutazione del rischio di malnutrizione da parte del personale
infermieristico (tramite semplice osservazione introiti e test MNA che consente di
individuare il rischio di malnutrizione)
o
Assenza di rischio il paziente si alimenta per os a sufficienza:
non necessita di nessuna valutazione da parte del team;
o
Presenza di rischio, il paziente si ipoalimenta:
segnalazione al Medico dell’Unità Operativa (UO);
profilo PNAD;
attivazione del Team Nutrizionale e monitoraggio introiti con
diario alimentare di 1 settimana.
Il TEAM nutrizionale effettua la valutazione dello stato nutrizionale del paziente,
definisce i fabbisogni e l’introito alimentare del paziente. In base ai dati raccolti il TEAM da
indicazioni al supporto orale con integratori, o alla NA, definendo anche la via di accesso.
In previsione della dimissione il percorso riabilitativo prevede l’educazione dei
parenti, e/o care giver, alla corretta gestione del deficit disfagico, in stretta collaborazione tra
la logopedista ed il personale infermieristico, soprattutto nel caso di rientro al domicilio.
Viene inoltre fornito un opuscolo illustrato contenente consigli utili, quale promemoria
dell’addestramento ricevuto.
A questo proposito il gruppo logopediste-dietiste dell’azienda sta lavorando per
arricchire l’opuscolo aggiungendo ai consigli utili, indicazioni alimentari personalizzate al
grado di disfagia del paziente. L’idea è di integrare con ricette, dal primo piatto al dolce, per
ogni grado di disfagia.
Nel caso di trasferimento in RSA vengono passate le consegne al personale
infermieristico, i pazienti vengono seguiti dalla logopedista fino a quando non vengono
dimessi o si considera concluso il progetto riabilitativo.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
89
Il paziente dimesso può quindi a questo punto seguire tre percorsi differenti:
1. RIENTRO AL DOMICILIO (sono in genere i pazienti con minor problematiche
cliniche)
• lettera di dimissione al curante.
• Monitoraggio logopedico (eventuale svezzamento) con contatti con i familiari
e/o visite programmate con cadenze concordate.
• Monitoraggio calo ponderale, se significativo:
o Segnalazione al medico di medicina di base (MMG)
o Attivazione TEAM nutrizionale (previa raccolta diario alimentare e
esami ematici PNAD)
Se il paziente è gia stato preso in carico dal TEAM nutrizionale durante la degenza e
dimesso con un supporto nutrizionale orale (integratore), o con NA, viene rivalutato
automaticamente dal TEAM nutrizionale sul domicilio o ambulatorialmente, con scadenza
di 1-3-6 mesi.
2. RIENTRO AL DOMICILIO SEGUITI DAL S.I.D.
• lettera di dimissione al curante.
• consegne al personale infermieristico che effettua il monitoraggio:
o segni clinici relativi alla disfagia: se peggiora attivazione logopedista
o calo ponderale, introiti alimentari (test MNA); se significativo
peggioramento:
Segnalazione al MMG
Attivazione TEAM nutrizionale (previa raccolta diario alimentare
e esami ematici PNAD)
Se il paziente è gia stato preso in carico dal TEAM nutrizionale durante la degenza e
dimesso con un supporto nutrizionale orale (integratori), o con NA, viene rivalutato
automaticamente dal TEAM nutrizionale sul domicilio o ambulatorialmente, con scadenza
di 1-3-6 mesi.
3. INSERIMENTO IN STRUTTURA
• lettera di dimissione al curante.
• consegne al personale infermieristico che effettua il monitoraggio:
o segni clinici relativi alla disfagia: se peggiora attivazione logopedista
o calo ponderale, introiti alimentari (test MNA): se significativo
peggioramento:
- Segnalazione al MMG
- Attivazione TEAM nutrizionale (previa raccolta diario alimentare e
esami ematici PNAD)
Se il paziente è gia stato preso in carico dal TEAM nutrizionale durante la degenza e
dimesso con un supporto nutrizionale orale (integratore), o con NA, viene rivalutato
automaticamente dal TEAM nutrizionale in struttura.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
90
Data la notevole estensione territoriale e le scarse risorse in termini di personale
risulta evidente che il monitoraggio dei pazienti disfagici a rischio di malnutrizione sul
territorio non potrebbe essere così capillare se non si avvalesse della preziosa, indispensabile
collaborazione delle colleghe infermiere che già vi operano. La stretta interazione fra tali
figure con logopedista e dietista nasce probabilmente da una comune visione del “bisogno”
dei pazienti, ed è stata facilitata dalla scelta di chiamare logopedista, capo sala del S.I.D. e
capo sala delle Case Protette a far parte del Team Nutrizionale, affiancando i più classici
“attori” quali farmacista, medico nutrizionista e dietista. L’abitudine a lavorare in stretta
collaborazione ha reso possibile anche la bidirezionalità del percorso, così che gli specialisti
possano essere attivati, dal MMG e/o dalle capo sala del territorio, ad effettuare consulenze
domiciliari od in casa protetta, anche per pazienti non conosciuti ai Servizi, che possono
essere valutati e gestiti al loro domicilio, ma anche essere ricoverati quando le condizioni
cliniche lo richiedono.
Aggiungiamo infine che:
l’operato del logopedista segue le linee guida sulla gestione del paziente disfagico
adulto (Consensus Conference 2007)
la modulistica usata dalle logopediste del Dipartimento di Riabilitazione (protocolli
valutativi, scale di valutazione, consegne al personale, ecc.) è stata concordata e
condivisa dal gruppo ed è di uso comune in tutti i presidi ospedalieri dell’Azienda.
U. S. L.;
il monitoraggio post-dimissione dei segni clinici disfagici avviene mediante apposita
“scheda di segnalazione” concordata con il personale infermieristico;
per l’individuazione del rischio di malnutrizione viene utilizzato il test MNA
riconosciuto dalle linee guida SINPE;
l’attività del TEAM nutrizionale in ospedale e sul territorio è definita da protocolli
riconosciuti a livello aziendale e formulati sulle basi di linee guida SINPE;
Il buon funzionamento di tale percorso è stato garantito dal profondo rapporto di
collaborazione con il personale dei reparti e del territorio, iniziato con la
condivisione del percorso stesso e con un progetto di formazione, che ha riguardato
tutto il personale, infermieristico ed assistenziale, delle U.O. di: Medicina e
Lungodegenza, Ortopedia, Chirurgia, ed inoltre S.I.D. , R.S.A. e Case Protette
convenzionate. Senza questo, forse, non saremmo qui.
La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo
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L’IMPEGNO DEL SERVIZIO DIETETICO OSPEDALIERO VERSO I PAZIENTI
DISFAGICI: ALIMENTAZIONE A CONSISTENZA MODIFICATA
Salvatore Vaccaro
Servizio Dietetico - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia
Il Servizio Dietetico Ospedaliero dell’Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia è
particolarmente sensibile alla valutazione dei fabbisogni nutritivi delle diverse tipologie di pazienti e
si fa garante del miglioramento continuo della qualità della ristorazione ospedaliera. Nell’ultimo
biennio (2006/2007), le attività del Servizio Dietetico sono state riorganizzate, rivalutando le
prestazioni che i professionisti sanitari di ambito dietetico-nutrizionale possono garantire ai degenti
assistiti nelle diverse U.U.O.O.
Tra le varie attività svolte, diverse sono state rivolte proprio ai soggetti affetti da disfagia,
quali ad esempio:
•
Rivalutazione dei pasti a consistenza modificata (ampliata la scelta dei cibi, migliorata la
composizione bromatologia e la parte organolettica, informate le U.O. sulle possibili scelte e sulle
indicazioni dietetico-terapeutiche dei pasti semiliquidi, semisolidi e frullati, etc.);
•
Rivalutazione delle diete speciali a consistenza modificata (migliorate le caratteristiche
organolettiche, le diete speciali disfagia 1-2-3-4, le diete speciali tritate, etc.);
•
Ampliamento delle attrezzature in cucina per eseguire la modifica della consistenza (acquisto
omogeneizzatori di maggiore portata rispetto a quello in dotazione, etc.);
•
Formazione del personale della cucina (corso di formazione/aggiornamento per operatori addetti alla
cucina dietetica sulla disfagia e sulla modifica della consistenza dei cibi);
•
Valutazione di diversi prodotti dietetici a consistenza modificata destinati a fini medici speciali
(organizzate giornate di lavoro in cui sono stati invitati tutti i coordinatori e le logopediste per testare
diversi prodotti dietetici, forniti campioni omaggio di prodotti da testare con i degenti disfaici, etc.);
•
Predisposizione di una pagina Intranet riportante le caratteristiche, le indicazioni, etc. dei
prodotti su citati (Percorso: Servizio Dietetico, Dietetico Ospedaliero, Alimenti Destinati a Fini Medici
Speciali, Alimentazione a Consistenza Modificata);
•
Predisposizione di una scheda per la richiesta dei prodotti speciali a consistenza modificata
(Percorso: Servizio Dietetico, Modulistica, Richiesta Alimenti Destinati a Fini Medici Speciali);
•
Predisposizione di un Registro per la rintracciabilità ed il monitoraggio dei campioni dietetici
omaggio all’interno dell’ASMN;
•
Etc.
Pasti a Consistenza Modificata allestiti in Cucina (Pranzo+Cena)
Semiliquida
Semisolida
Frullata
Totale
1.002
4.156
2003
5.158
5.138
13.237
2004
18.375
4.430
12.228
9.650
2005
26.308
2.719
8.089
20.531
2006
31.339
2.291
4.832
26.651
2007
33.774
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