Merchandising and licensing to improve brand equity. The

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Merchandising and licensing to improve brand
equity. The coca-cola case
Fabio Albanese∗
1. Marca e patrimonio di marca
2. Licensing and brand management
2.1 Licensing e Brand Equity
3. Il merchandising e brand management
3.1 Merchandising e Brand Equity
3.2 Merchandising del distributore e del produttore
4. Il caso coca-cola
4.1 The Coca-Cola Licensing
4.2 The Coca-Cola Merchandising
La sezione 4) è stata disponibile on-line fino al giorno 16/05/2001. E' ora
disponibile solo sulla versione cartacea della rivista "Symphonya",
Emerging Issues in Management (vedi "Subscription" nel menù di
Symphonya)
∗
Amministratore Delegato Coca-Cola Italia.
Edited by: ISTEI - Istituto di Economia d'Impresa
Università degli Studi di Milano - Bicocca
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1. Marca e patrimonio di marca
Cosa accomuna, Coca-Cola (il brand più famoso al mondo) Levi’s, Harley
Davidson, Disney, Kodak, Marlboro, Mc Donald’s? Perché, da sempre tutti
raccomandano di "diffidare delle imitazioni"? In sostanza, in cosa consiste
l’essere "Marca"?
La risposta a tutte queste domande è semplice: oggi un fattore critico di
successo di un'azienda è la marca, e questo concetto trova conferma nella
tendenza delle grandi aziende ad assumere una visione di marketing innovativa,
incentrata su un preciso punto di forza: il "total brand management". La qualità
del prodotto diviene quindi condizione necessaria, ma non più sufficiente.
È evidente che la qualità intrinseca del prodotto resta la "conditio sine qua non"
per la sua accettazione presso i consumatori. Non esistono strategie di Marketing,
merchandising o licensing che possano supplire alla mancanza di qualità del
prodotto.
Tutto ruota intorno all’assunto che la notorietà della marca, in un mercato
sempre più caratterizzato da una tendenziale omogeneità dei prodotti, può
risultare il vero fattore discriminante d’acquisto. In primo luogo, la marca
comunica una serie di valori ad essa associati nel tempo che ne costituiscono il
patrimonio (Brand Equity). Certo, non c’è nulla di più immateriale di un brand, a
parte le sue rappresentazioni grafiche, ma la marca non può funzionare senza un
costante riferimento alla realtà fisicamente sperimentata dagli individui, al mondo
dei prodotti e delle loro prestazioni. Proprio perché articola dei valori, la marca è
costantemente immersa nel contesto sociale, economico e umano del suo tempo e
si mostra particolarmente reattiva ai fenomeni simbolici e socioculturali che
attraversano e definiscono tale contesto.
Infatti in un mercato come quello odierno, caratterizzato da un eccesso di
offerta strutturale, da una forte competitività in ogni settore, da una sempre più
agguerrita concorrenza e da una elevata imitabilità sia dei prodotti che delle
strategie di mercato, la Marca, insieme ai valori di cui si fa portatrice, si presenta
come vero fattore competitivo critico (Total Brand Management).
Per superare il muro di indifferenza o di difesa percettiva degli acquirenti
potenziali è necessario che ogni azienda sviluppi un'azione di comunicazione
integrata, nella quale, affiancati a strumenti di impatto come la pubblicità, siano
presenti metodologie di comunicazione differenti.
Tra queste le promozioni aziendali (attraverso le quali si raggiungono obiettivi
di aumento dei volumi di vendita nel breve periodo), il merchandising (essenziale
per richiamare i valori della marca sul punto vendita), il licensing (che ha lo
scopo di trasmettere il patrimonio di marca anche a pubblici e a settori di mercato
altrimenti difficilmente raggiungibili) e le sponsorizzazioni (che evidenziano i
valori della marca mediante l'abbinamento dell'azienda a manifestazioni ed eventi
ad elevato coinvolgimento).
Questi strumenti di comunicazione, ognuno in modo diverso, concorrono alla
costruzione e alla difesa della "Brand Equity"; la qualità del prodotto è una
condizione imprescindibile, ma non sufficiente.
I prodotti o i servizi devono essere a priori di ottimo livello, tecnologicamente
innovativi ed in continua evoluzione, per soddisfare i sempre nuovi bisogni dei
consumatori; ma questo oggigiorno non basta più. Lo studio della concorrenza, la
grande capacità di reperire informazioni a livello mondiale, il continuo
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monitoraggio dei trend di mercato, le tecnologie di scomposizione e di analisi dei
prodotti, hanno reso immediatamente riproducibile o avvicinabile qualsiasi
offerta, rendendo vulnerabile la quota di mercato conquistata da una azienda.
Il successo di un prodotto si gioca, quindi, su altri livelli, su una serie di
valenze che rendono desiderabile non tanto il prodotto di per sé, quanto l'offerta
composta dalla marca e dal prodotto.
Il patrimonio di marca non è altro che questo insieme di valenze che
rappresentano il plusvalore insito in una determinata offerta aziendale: il vero ago
della "bilancia concorrenziale". Questo insieme di valori, associati al prodotto da
parte dei consumatori potenziali, deve essere "costruito" in coerenza con il
posizionamento della marca; devono, quindi, essere valori condivisi dal pubblico
al quale ci si riferisce ed evidenziare quel rapporto privilegiato instaurato con i
consumatori. Solo in questo modo l'azienda potrà sfruttare un vantaggio
competitivo nei confronti dei concorrenti che le permetterà di estraniarsi da una
"price competition" al ribasso.
Una delle metodologie che permettono di rafforzare la "Brand Equity" di un
prodotto è certamente quella di accrescere e mantenerne la sua notorietà.
Possiamo definire la notorietà come la capacità di un potenziale acquirente di
identificare una marca in modo sufficientemente dettagliato per proporla,
sceglierla o utilizzarla (1).
La notorietà di un prodotto può essere distinta in: "notorietà ricordo", per la
quale il bisogno precede e conduce alla marca (ho bisogno di un certo tipo di
prodotto, acquisto la marca A); "notorietà riconoscimento", in cui la marca
precede e conduce al bisogno (riconosco la marca A e mi rendo conto di aver
bisogno di quel tipo di prodotto). La notorietà-ricordo si misura con la notorietà
spontanea; la notorietà-riconoscimento con la notorietà indotta o qualificata.
Si parla di notorietà spontanea quando la domanda posta non fa riferimento ad
alcuna marca, e di notorietà indotta, quando viene mostrata una lista di marche e
chiesto di evidenziare quelle conosciute.
L'obiettivo della comunicazione integrata è, al tempo stesso, di creare e
mantenere la notorietà-riconoscimento, ossia agevolare il riconoscimento della
marca in fase di acquisto o addirittura condurre l'acquirente a rendersi conto
dell'esistenza del bisogno, e di creare e mantenere la notorietà-ricordo, in modo
che la marca venga ricordata prima della fase d'acquisto, cosicché ritorni
spontaneamente alla mente nel momento in cui si manifesta il bisogno (2).
Questi due obiettivi vengono perseguiti utilizzando diversi strumenti di
comunicazione: il primo si baserà su elementi visivi (merchandising e packaging
in particolare), mentre per il secondo verranno sfruttate le occasioni per ripetere il
nome della marca associandola al servizio di base (tramite il licensing per
esempio).
2. Licensing and brand management
La marca viene percepita tramite la sua capacità di comunicare il proprio
valore; non esiste un valore di marca fatto di sola pubblicità o notorietà o
disponibilità del brand. Il patrimonio di marca è dato dalla capacità di comunicare
sempre i propri valori presso ogni tipologia di pubblico.
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Un marchio supportato da una forte pubblicità, incapace però di trasmettere gli
stessi valori a 360°, ossia in ogni situazione nella quale l'azienda viene in contatto
con il proprio pubblico, non costruirà mai una forte Brand Equity.
Tutto comunica: il packaging, la capacità dei manager nelle relazioni con i
clienti, il dialogo con le comunità locali, l'impegno nel sociale, la professionalità
dei propri venditori, i propri mezzi di trasporto, le attrezzature nei punti vendita,
il materiale di merchandising, ecc.; la chiave del successo di una marca risiede
quindi nella capacità di integrare tutte le sfaccettature con cui l'azienda comunica
i suoi valori, sfruttandone, nel migliore dei modi, le specificità di ognuna.
Passiamo quindi ad analizzare una tecnica di marketing che negli ultimi anni ha
subito una grande evoluzione nel suo ruolo all'interno delle strategie di
comunicazione nelle grandi aziende, soprattutto di estrazione Nord-americana:il
licensing.
Possiamo definire il licensing come un’attività commerciale che consiste nella
cessione temporanea a terzi di un diritto all’uso di un nome, di un’immagine, di
un marchio, di un logotipo depositato legalmente e proteggibile da un punto di
vista giuridico. Tale diritto, previo corrispettivo pagamento di una royalty, può
essere ceduto a fabbricanti di prodotti, a fornitori di servizi, oppure ad aziende
che desiderino farne un uso pubblicitario o promozionale.
I primi esempi di utilizzo del licensing risalgono ai primi del '900 relativamente
a personaggi dei fumetti come Buster Brown; possiamo però individuare nei
personaggi di Walt Disney (Michey Mouse tra tutti) e in quelli della serie di
Peanuts (Snoopy e Charlie Brown) i veri artefici del consolidamento e dello
sviluppo su scala mondiale di questa tecnica. La vera e propria esplosione del
licensing si verifica negli anni 1970 e 1980 con una notevole crescita quantitativa
e con una triplice evoluzione di natura professionale, concettuale e geografica.
Il licensing fa riferimento, in realtà, a due fenomeni diversi, difficilmente
inquadrabili in una definizione comune. Si parla di corporate licensing nel caso di
società (corporation) che, avendo conseguito nel tempo una certa notorietà per un
proprio marchio che ha contraddistinto e contraddistingue alcuni suoi prodotti,
decide di concederlo in licenza per categorie di prodotti del tutto diversi da quelli
consueti. Ne sono esempi ben distinguibili e chiari, tra gli altri, gli accendini
marchiati Ferrari, con tanto di cavallino giallo su sfondo rosso, e i teli da mare
Coca-Cola).
Si parla invece di character licensing quando ci troviamo di fronte ad un
licensing che viene posto in essere da chi (attore, cantante, campione dello sport e
così via) è di per sé un personaggio (character) ovvero (in qualità di scrittore,
artista, disegnatore, drammaturgo, regista) ha creato un personaggio e ne concede
l’immagine o il nome affinché vengano apposti su prodotti destinati alla vendita.
Alla seconda ipotesi (character) piuttosto che alla prima (corporate) vanno
ricondotte tutte quelle attività che prendono spunto da un’istituzione (una società
sportiva, un’università, e così via) o anche da un evento (le Olimpiadi, una
mostra, un concerto).
2.1 Licensing e Brand Equity
Ogni anno sono migliaia le aziende che trovano nel licensing un valido
strumento di marketing che permette di rafforzare l’immagine globale del proprio
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prodotto-servizio anche con riferimento a segmenti di pubblico che altrimenti non
avrebbero mai potuto raggiungere.
Il grande vantaggio di questa tecnica, per molti versi innovativa, soprattutto
nell’utilizzo strategico che ne viene fatto, non è tanto quello della percezione di
una royalty più o meno consistente, quanto quello di essere presenti con il proprio
marchio in settori di mercato altrimenti irraggiungibili. In tutto questo delicato
processo di gestione del marchio e della sua immagine, un aspetto fondamentale è
certamente quello della scelta del partner e delle categorie merceologiche in cui
essere presenti; queste ultime devono possedere una forte affinità con il brand e
con i valori ad esso associati.
E' già difficile gestire in modo efficiente tutti gli strumenti di comunicazione
integrata a disposizione dell'azienda; messaggi di per sé validi, ma non coerenti
fra loro e non inseriti in una strategia univocamente condotta, possono recare
gravi danni all’immagine di un prodotto o di un’azienda.
Queste difficoltà, unite ai rischi che ne derivano, si ingigantiscono nel
momento in cui la gestione del marchio viene inderogabilmente demandata ad
un’altra azienda. Infatti se l’azienda (licenziatario) che usufruisce del diritto di
apporre il marchio di un’altra azienda (licenziante) sui propri articoli, lo utilizza
su prodotti di bassa qualità o si rende partecipe di scandali, l’immagine del
marchio subirà un danno difficilmente rimediabile in quanto non direttamente
causato dall’azienda licenziante.
Relativamente a quest’ultimo rischio, il licensing può essere accomunato ad
un’altra tecnica di marketing ovvero la sponsorizzazione; in questo caso il nome
dell’azienda viene legato ad eventi o manifestazioni che per loro natura sono
oggetto di interesse da parte del pubblico o dei media.
La scelta del partner, dell'evento o dell'articolo sponsorizzati è determinante per
la buona riuscita dell’intera campagna di comunicazione; lo sponsor di una
squadra di calcio di Serie A che non ottiene buoni risultati in campionato o
addirittura retrocede in Serie B, non avrà certo rafforzato la propria immagine,
nello stesso modo in cui una licenza di marchio concessa a prodotti che di per sé
non sono in linea con i valori espressi dal marchio indeboliranno notevolmente la
Brand Equity.
Al contrario ci sono esempi in cui un felice "matrimonio" tra una marca ed un
suo testimonial (anche in questo caso il nome del prodotto viene legato
all’immagine e alle gesta di un personaggio famoso) ha portato enormi benefici
sia dal punto di vista dell’immagine che del fatturato; il caso più evidente è
quello dell’accordo tra la famosa società leader nel settore dell’abbigliamento
sportivo (Nike) e colui che ormai è considerato il più grande giocatore di basket
di tutti i tempi (Micheal Jordan).
Quindi nelle sponsorizzazioni (o in accordi più complessi tra le parti, come è il
caso dei testimonials) e nel licensing la scelta del partner è fondamentale per la
buona riuscita dell’operazione. Studi, ricerche, professionalità ed un continuo
monitoraggio sono requisiti indispensabili, ma spesso non sufficienti e non di
rado i risultati sono legati ad eventi casuali e fortunosi. Una dose di rischio è
sempre presente in queste operazioni; ad esempio legare il proprio nome a
campioni indiscussi dello sport, ma sicuramente meno campioni nella vita
privata, comporta un ritorno di immagine negativa per l’azienda: per avere
successo non basta far parlare di sé.
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Per quanto riguarda il licensing, l’analisi si sposta sulla scelta del partner
commerciale; è necessario che l’azienda a cui si concede il diritto ad usare il
proprio marchio sia seria, tratti prodotti di qualità ed aggiunga valore al marchio
stesso. La missione del licensing è proprio quella di rafforzare la Brand Equity e
di difenderla dal logorio inevitabile del tempo, e proprio in questo senso si sta
muovendo uno dei fenomeni di maggior successo del momento: "l'Azienda Spice
Girls", che grazie ad accattivanti e al tempo stesso aggressive azioni di marketing
sta facendo di una band musicale un vero e proprio fenomeno "cult", vendendo la
propria immagine insieme alla musica.
Come si desume dal successo di queste operazioni e dal proliferare delle stesse,
il licensing sta diventando uno strumento fondamentale di marketing strategico,
non solo di difesa e di rafforzamento della Brand Equity, ma anche di espansione
commerciale. Per l’impresa concedente, i vantaggi, oltre a quelli finanziari
(royalty), da un punto di vista comunicativo sono:
- aumento della notorietà senza costi aggiuntivi, anzi ricavandone profitti
(ricordo cumulato). Sarà poi compito dei licenziatari investire le necessarie
risorse affinché possano trarre vantaggi da questa operazione;
- possibilità di raggiungere un target più ampio, in quanto lo sfruttamento
avviene in settori diversi da quello di origine (effetto pubblicitario di ritorno);
- possibilità di raggiungere un target internazionale, quando tale sfruttamento
avvenga in paesi diversi da quello del titolare.
I vantaggi per l’impresa concessionaria sono invece legati alla notorietà, al
potenziale di richiamo, alla credibilità preesistenti nel marchio sfruttato che si
ripercuotono suoi nuovi prodotti. Occorre quindi meno tempo per far conoscere il
prodotto e di conseguenza sono necessari minori investimenti pubblicitari.
3. Il merchandising e brand management
Un'altra tecnica fondamentale nella valorizzazione della Brand Equity è il
merchandising, ossia l'insieme delle attività poste in essere dall'azienda
produttrice e/o dal trade, atto alla realizzazione di un'efficiente ed efficace
presentazione dei prodotti nel punto vendita.
Naturalmente i valori comunicati in questo modo devono essere coerenti con
tutte le altre attività di marketing ed in sinergia con tutti i messaggi veicolati
mediante i diversi mezzi di comunicazione, e "costanti" nel tempo affinché
possano radicare il patrimonio di marca.
Compariamo ad esempio il merchandising con le sales promotion, dal
momento che queste due tecniche spesso vengono utilizzate congiuntamente sul
punto vendita. Entrambe hanno come fine ultimo quello di aumentare i volumi di
vendita. Le promozioni tuttavia sono attività che per loro natura devono essere
limitate nel tempo affinché non producano effetti distorti nella percezione del
valore del prodotto da parte del consumatore e non ne svalutino l’immagine. Il
merchandising, al contrario, trova proprio nella continuità uno dei suoi punti di
forza.
Quindi le promozioni devono essere viste come uno strumento di breve
periodo, anche se spesso ripetuto a intervalli di tempo, avente lo scopo di far
percepire alla clientela un valore aggiunto costituito dalla possibilità, confinata in
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uno specifico periodo di tempo, di acquistare un prodotto con vantaggi di prezzo.
Il merchandising invece deve rafforzarne l’immagine e facilitare la
comunicazione dei valori legati alla marca. Per questo motivo deve essere
coerente nel tempo e nello spazio, deve saper raggiungere il "consumatore
obiettivo" nel momento più delicato, ossia quando in lui si sviluppa la decisione
d’acquisto, e nel modo più appropriato, quindi trasmettendo gli stessi segnali che
le altre tecniche comunicative avevano in precedenza sottolineato e che in seguito
continueranno ad evidenziare.
Pur essendo a volte finalizzato proprio a mettere in risalto sotto l’aspetto visivo
le promozioni, il merchandising assume particolare importanza per queste ultime
poiché unisce all’obiettivo di indirizzare il consumatore all’acquisto o alla prova
del prodotto, quello di comunicare i valori dell’azienda e salvaguardare la "Brand
Equity" (3).
La marca ha, da tempo, lasciato alle spalle il ruolo originario di mera
identificazione della produzione così come l'iniziale equivalenza tra la sua
visibilità/notorietà e il successo commerciale. In periodi più recenti ha elaborato
significati atti a qualificare la sua produzione. Attributi unici e distintivi, rilevanti
per il consumatore, facilmente riconoscibili.
3.1 Merchandising e Brand Equity
Una grande azienda moderna non può fare a meno di inserire nella propria
strategia di comunicazione una pianificazione precisa di utilizzo nel punto
vendita di tutti quegli strumenti che richiamino i simboli e i valori già trasmessi
al consumatore. Il bombardamento pubblicitario a cui il consumatore è
sottoposto, ha reso l’efficacia dei messaggi veicolati molto meno incisiva; pur
rimanendo uno strumento fondamentale, la pubblicità ormai non è più quindi
sufficiente per indirizzare la scelta dell'acquirente verso un determinato prodotto
al momento dell’acquisto.
Le attività sul punto vendita possono considerarsi quindi come l’atto finale del
dialogo iniziato sui media tra prodotto e consumatore, sono "l’ombrello sotto cui
il consumatore trova un riparo sicuro e accogliente dalla pioggia di informazioni
e messaggi che bersagliandolo quotidianamente, crea in lui una confusione
inevitabile". Ritrovare al momento della scelta, tra prodotti sempre più simili e
sempre più largamente riproducibili, una marca non solo conosciuta, ma che nel
tempo sia riuscita a stabilire un rapporto di piena fiducia, è rassicurante.
Il merchandising tende a rafforzare questo senso di fiducia, evidenziando, nella
confusione dello scaffale, l’ultimo e il più importante dei messaggi: "Noi siamo
qui, eccoci", come se fosse il prodotto a ritrovare il consumatore. Affinché questo
accada il merchandising deve assolvere a determinati compiti, tra i quali i
principali sono:
- Richiamare e ripetere i temi più importanti utilizzati nelle campagne
pubblicizzate sui mezzi di comunicazione, in modo da far riaffiorare, nel
momento in cui più facilmente scattano gli impulsi di acquisto nella mente del
consumatore, quanto comunicatogli precedentemente sul prodotto e sui valori
ad esso associati;
- Enfatizzare l’immagine visiva del prodotto che metta in risalto, insieme al
packaging, eventuali colori ed elementi fisici peculiari dell’azienda (un’enorme
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macchia di colore rosso su uno scaffale, una piramide di lattine o un frigorifero
personalizzato, non solo sono facilmente identificabili in mezzo agli altri
prodotti esposti, ma spesso determinano un acquisto non pianificato in
precedenza da parte del consumatore);
- Attirare l’attenzione sullo specifico prodotto, rendendo unico, differente ed
immediatamente riconoscibile lo spazio assegnatogli; per questo è necessario
utilizzare materiali espositivi particolari ed una "mise en avant" migliore di
quella dei concorrenti
Una buona e costante azione di merchandising porta con sé una serie di
vantaggi quali la costruzione e il rafforzamento dell’immagine della marca del
prodotto e dell’azienda stessa, il raggiungimento di un maggior numero di
consumatori-utilizzatori, il conseguimento dell’obiettivo cliente e dell’obiettivo
zona.
Un’altra caratteristica peculiare del merchandising, è infatti la sua spiccata
flessibilità, che consente di segmentare geograficamente le iniziative in un’ottica
di micro-marketing, permettendo di adattare alle differenti realtà locali, punto
vendita per punto vendita, un unico messaggio espresso nelle più svariate forme,
nonché di differenziare tali attività a seconda del canale distributivo utilizzato e
di conseguenza del pubblico a cui ci si vuole rivolgere; un frigorifero che dà
un’idea di freschezza è molto efficace per esempio in un centro sportivo, in una
palestra o in un bar sulla spiaggia, mentre una costruzione di lattine o di bottiglie
è più indicato in un grande magazzino.
In questo campo il produttore può, con consigli, opuscoli, guide operative, se
non addirittura con personale specializzato (merchandiser) aiutare il gestore del
punto vendita nell’approntare nella maniera più efficace le attività di
merchandising. Si ottiene così la soddisfazione del rivenditore (importante
affinché i prodotti vengano sempre tenuti con una particolare cura), un
conseguente rafforzamento del legame tra gestore e prodotto e quindi un
miglioramento nei rapporti con l’azienda, nonché la sicurezza di mantenere nel
tempo la presenza delle proprie strutture di comunicazione nel punto vendita,
anche in caso di cambiamento di gestione.
Infatti se le iniziative intraprese all’interno del punto vendita vengono
preparate, curate ed aggiornate non solo con buon gusto, ma con l’intento
strategico di caratterizzare il locale in modo da renderlo accogliente e sereno, un
luogo nel quale l’incontro tra prodotto e consumatore avvenga il più
razionalmente e spontaneamente possibile, l’obiettivo conseguibile è molteplice:
da un lato un aumento delle vendite e un conseguente aumento della rotazione
degli scaffali, dall’altro la fidelizzazione della clientela non solo all’insegna del
negozio, ma anche alla marca che con le sue iniziative finirebbe per
caratterizzarlo in modo univoco.
Il successo di un intervento di merchandising dipende da alcuni condizioni
logistiche e strategiche che di volta in volta il produttore o il distributore si
troveranno ad affrontare, non sempre con obiettivi comuni o con metodologie
opportunamente concordate. Queste condizioni che spaziano dal lay-out del
punto vendita, all’ingombro dei materiali utilizzati nelle attività svolte, possono
essere raggruppati nelle seguenti quattro macro-categorie:
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Il punto di vendita: l’ambiente fisico in cui viene esposto il prodotto e in cui il
consumatore-utilizzatore effettuerà la sua scelta d’acquisto. Come è facile
immaginare, le tecniche di merchandising si devono collocare e sviluppare
nell’ambito delle problematiche generali del punto vendita. I progetti di tali
attività quindi considerano alcuni elementi-base da cui non possono prescindere,
come il lay-out del negozio e la disposizione del magazzino, eventuali
attrezzature già presenti sul luogo, la disposizione delle scaffalature, il
posizionamento del proprio prodotto sulle stesse, il flusso della clientela
all’interno del locale, la posizione di eventuali punti strategici (ad esempio la
cassa), la rotazione del prodotto e dei suoi concorrenti. L’obiettivo è quello di
collocare le strutture di richiamo nelle posizioni più in vista, facendo in modo che
non siano di ingombro ai consumatori e nello stesso tempo che siano
immediatamente riconducibili al prodotto stesso.
Lo spazio di vendita: il prodotto deve occupare uno spazio in cui poter
sviluppare un'adeguata redditività; sarà quindi essenziale verificare che il
prodotto, a causa di una eccessiva voluminosità o di una scarsa adattabilità allo
spazio assegnatogli, non venga messo in disparte dal distributore, perdendo in tal
modo la possibilità di apparire all’occhio del consumatore proprio nel momento
in cui la sua visibilità aiuterebbe a generare l’impulso d’acquisto. Riguardo a
quest’ultimo aspetto, si noti come, per il successo di qualsiasi azione, siano
necessarie specifiche sinergie con le altre variabili di marketing. In questo caso
elemento indispensabile al conseguimento di un buon posizionamento sugli
scaffali è il packaging (4).
La confezione è il primo elemento determinante di quella che viene definita
"attrazione d’acquisto"; alcuni studiosi, esasperando questa concezione,
affermano che sarebbero addirittura gli oggetti e la loro presentazione a
"comperare" il consumatore e non viceversa. Questa enfatizzazione
dell’importanza della presenza del prodotto e della marca, sottolinea un punto
cruciale della strategia di vendita delle aziende: la prima cosa è "esserci", nel
punto giusto e con la "personalità" adeguata. Il packaging è inoltre una variabile
importante per la sua adattabilità allo spazio espositivo, per la facilità di
stoccaggio e di imballaggio nei magazzini, per il trasporto, la movimentazione,
l’esposizione e il riassortimento dei prodotti stessi; tutti questi elementi invisibili
al momento dell’acquisto, giocano un ruolo decisivo nella gestione dei rapporti
tra azienda produttrice e struttura distributrice. Ogni azione di merchandising o di
promozione sul punto vendita, deve considerare le caratteristiche della
confezione ed evidenziarne i punti forza, esaltandone l’effetto comunicativo (per
esempio un voluminoso contenitore con la forma di una bottiglia di Coca-Cola
contenente numerose bottiglie della bevanda potrebbe essere una buona
attuazione della sinergia packaging-merchandising).
L’assortimento: un unico prodotto, di norma, non attira in modo sufficiente
l'attenzione del consumatore-utilizzatore; al contrario, una gamma di prodotti,
oltre che richiamare maggiormente l’attenzione, presenta in maniera più marcata
l’immagine dell’azienda produttrice e nello stesso tempo rende più gradevole ed
uniforme la scaffalatura, apportando notevoli vantaggi anche al distributore.
Fondamentale è anche il riassortimento dei prodotti, in quanto la presenza di
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poche unità sul lineare, anche se determinata da un buon successo del prodotto o
della sua presentazione, scoraggia gli acquisti successivi. Il merchandising ha
quindi anche il compito di evidenziare, tramite adeguati contenitori ed
attrezzature specifiche, l’intera gamma di prodotti, creando macchie di colori o
costruendo con essi disposizioni più o meno bizzarre, ma attraenti, che pongano il
prodotto al centro dell’attenzione. Anche in questo caso, i messaggi veicolati,
devono essere in linea con i valori che la marca ha deciso di trasmettere in tempi
precedenti.
L’animazione: il punto di vendita è il luogo dove il cliente si lascia talvolta
influenzare da quanto gli sta attorno e si convince a effettuare l’atto di acquisto di
prodotti di una specifica marca; le tecniche di animazione dovranno suscitare la
simpatia del consumatore e al tempo stesso risultare molto sobrie affinché lo
spazio riservato al prodotto, congiuntamente alle attività di merchandising ad
esso collegate, pongano la base per un acquisto fiducioso e spontaneo da parte
della clientela ed aiutino a rafforzare l’immagine di marca nella mente del
consumatore.
3.2 Merchandising del distributore e del produttore
Il continuo aumento del numero e delle quote di mercato dei punti vendita a
libero servizio, nonché della superficie media degli stessi, sta creando un
crescente interesse, da parte delle aziende distributrici, nei confronti delle
problematiche di merchandising, che in passato ha rappresentato solo un
elemento marginale nel contesto delle variabili della comunicazione.
Il processo di modernizzazione dell’attività distributiva ha implicato infatti una
modifica radicale dei servizi offerti, spesso con l’adozione dei metodi e delle
tecniche di marketing sviluppate con successo dalle imprese industriali (per
esempio trasformando alcuni servizi che venivano pagati perché effettuati dal
personale dipendente, in servizi che non si pagano perché effettuati dal
consumatore/acquirente, attraverso il self-service).
L'attuale struttura competitiva è profondamente mutata: le imprese commerciali
sono costrette ad attuare politiche di marketing differenziato, segmentando il
mercato e utilizzando tutte le variabili del marketing mix in modo coordinato e
coerente.
In questo ambito le attività di merchandising assumono un’importanza
fondamentale nella gestione delle strategie delle imprese operanti nel settore della
distribuzione organizzata. Il tentativo, tuttora in corso, di passare da servizi
commerciali scarsamente differenziati a politiche intese a dare identità specifica
alle diverse insegne, porta a rivalutare tutte quelle variabili che consentono di
caratterizzare e di rendere riconoscibile il punto vendita.
Lay-out merceologico e delle attrezzature, display dei prodotti e assegnazione
dello spazio alle singole referenze, attività promozionali e di animazione; le
diverse leve che si riassumono nel termine merchandising sono sempre più
strettamente finalizzate al raggiungimento di risultati che non è più possibile
riassumere rispetto a parametri di efficienza definibili univocamente. Se infatti i
modelli di punto vendita si differenziano, sia per rendere chiaramente
identificabile la formula distributiva adottata, sia per caratterizzarne
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l’appartenenza ad una data insegna, tale efficienza può essere misurata solo se
sono definiti con precisione gli obiettivi di mercato perseguiti dall’impresa.
Anche l’industria è stata molto attiva sul fronte del merchandising, spesso
ricorrendo per prima all’utilizzo tecniche di presentazione dei propri prodotti e di
strumenti informatici per ottimizzarne la gestione nei punti vendita. In particolare
l’industria di marca ha visto in questi strumenti un modo di valutare le modalità
con cui viene assegnato lo spazio ai propri prodotti, in termini sia qualitativi che
quantitativi. In questo senso, mentre il distributore è spesso interessato soprattutto
all’utilizzo delle leve di merchandising che più incidono sul complessivo assetto
del punto vendita (lay-out merceologico e delle attrezzature), l’industria
privilegia quelle che permettono un migliore controllo dell’assegnazione dello
spazio alle referenze. Questa diversa priorità nell’uso del merchandising è
talvolta alla base dei conflitti che sorgono tra le parti. L’accresciuta rilevanza del
merchandising per il distributore ha un’immediata conseguenza sull’industria. Il
maggior controllo esercitato sui punti vendita e sui modi in cui essi appaiono alla
clientela condizionano infatti la possibilità da parte della produzione di
raggiungere gli obiettivi che si è data. Gli obiettivi del distributore sono incentrati
anzitutto sull’assortimento che intende proporre al consumatore, mentre quelli
dell’industria sono assai più mirati ai singoli prodotti in portafoglio, per rendere
compatibili le due logiche sono necessarie forme di intervento coordinate.
Note
(1) Jean-Jacques Lambin, Marketing, McGraw-Hill, Cap.4, pag. 103.
(2) Silvio M. Brondoni, Comunicazione, risorse invisibili e strategia competitiva d’impresa, in
Silvio M. Brondoni (ed.), La comunicazione d’impresa, Sinergie, n. 43-44, May-December, 1997,
pagg. 3-35.
(3) Tesi di laurea di Buratti Igor "Merchandising e Licensing nella valorizzazione della Brand
Equity", 1999, Università degli Studi di Milano – Bicocca.
(4) Con packaging si intende l’attività volta allo studio, alla progettazione e alla realizzazione della
confezione di un prodotto che lo protegga e lo "vesta" in modo appropriato, consentendogli di
raggiungere il consumatore e di comunicargli , insieme agli altri elementi del mix comunicazionale, di
essere la giusta risposta ai suoi bisogni.
(5) Si parla di "Rottura di Stock" quando il consumatore, pur cercando il prodotto sullo scaffale,
non lo trova perché questo è momentaneamente finito e non è stato ancora riassortito.
Edited by: ISTEI - Istituto di Economia d'Impresa
Università degli Studi di Milano - Bicocca
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