Persinsala Teatro
Francesco Chiaro
novembre 30, 2016
Al Teatro Stabile di Napoli va in scena Natale in casa Cupiello di Antonio
Latella, testo di Eduardo De Filippo. «Pate bello ca ‘mmano me
tiene/tieneme astritto e nun me lassà/ca pe’ ‘na penna d’auciello
grifone/fratemo è stato nu traditore/e m’ha acciso e m’ha ammazzato/dint’
‘a nu fuosso m’ha menato».
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In questa riflessione non si parlerà di Eduardo De Filippo perché il
drammaturgo, regista, attore, sceneggiatore e senatore a vita non era
presente sul palco del Teatro San Ferdinando di Napoli. Se poi si considera
che la pièce, voluta dal Teatro di Roma in occasione del trentennale della
morte del sopracitato, è entrata in fase gestazionale nella mente di
Antonio Latella, pluripremiato attore e regista contemporaneo, senza
alcuna conoscenza previa del testo eduardiano («Sì, perché è proprio
partendo così che sono riuscito a non farmi condizionare dal testo e da
quello che lui ne faceva»), questa considerazione sembra alquanto ben
fondata. Il confronto con un mostro sacro, infatti, non è mai un duello ad
armi pari. C’è da tener conto dell’eredità – spesso e volentieri impossibile
da onorare –, del lascito nell’immaginario collettivo e, soprattutto,
dell’affetto del pubblico. Questo misurarsi con un classico è indubbiamente
difficile, ma tra il modernizzare e il soffocare un padre per poi ricoprirlo di
un ortaggio a foglie verdi non meglio definito, c’è un mare interpretativo
sconfinato che sommerge il pubblico e lo pone di fronte a un pretesto per
fare sfoggio di un cervello pensante (che, però, dipinge il moderno con un
paio di uomini in tacchi e spacco vertiginoso e una donna bionica).
Non si parlerà di Eduardo De Filippo perché Latella mette in scena le sue
didascalie, qui cantilenanti e sproporzionate, per riempire tutto lo spazio
tolto alla scenografia (e colmare un horror vacui contenutistico figlio di un
barocco deprivato della propria essenza: l’eccesso calibrato), per
mantenere almeno una parvenza dello humor del testo originale (giacché
la regia lo vieta per diktat interpretativo, visto che la «stella cometa non
porta nessuna buona notizia, non mi interessano i buoni sentimenti») o,
forse, soltanto per snervare e compiacersi della propria, estenuante,
fastidiosità. La decostruzione, probabilmente volta a spiegare
l’ingarbugliata lettura fatalistica del testo, impone quindi di spogliare la
scena di tutti quei contenuti “inutili” che fanno da corollario
imprescindibile a una parabola di vita decadente sì, ma col sorriso in
bocca, smorzando così la possa partenopea tutta incentrata sulla beffa
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tragicomica. La decontestualizzazione che ne consegue (operazione
spesso e volentieri felice, a patto che il testo sia poi ricontestualizzato in
un altroquando perlomeno identificabile), però, priva la casa dei Cupiello di
quelle fondamenta sociopolitiche che legavano a filo doppio il testo al
popolo che sbeffeggiava, tramutando il Natale eduardiano in una banale
sperimentazione dei limiti registici.
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Perché trasformando il nostalgico, fanciullesco Lucariello in un meschino
ometto uscito fuori più da una caliginosa penna vittoriana che da
un’arguta disamina dei nostri tempi come quella del fu De Filippo, Latella
mette in scena una dittatura dei sognatori (presente nell’originale, ma con
toni decisamente meno tirannici) in cui a ogni parola, gesto e accento
(grave, acuto, circonflesso o pleonastico che sia) del kapò famiglia
corrisponde uno spasmo, un «colpe e’ revolvere» che stende e vince tutti,
rammentando quel sempre attuale fantasma del Natale passato. Il
realismo spesso associato a Eduardo cede il posto a un simbolismo
esasperato ed esasperante che costringe i bravissimi attori a indossare la
camicia di forza imposta loro dalle scelte drammaturgiche, ritrovandosi a
diventare delle frenetiche allegorie umane. Prendiamo ad esempio la voce
di Eduardo che risuona a più riprese ed esorta (in primis se stesso) a fare
quel benedetto presepe, sconcertando i personaggetti in cerca non di un
autore (visto che lo zelante regista si è già arrogato anche questo titolo),
bensì di una spiegazione circa l’irruzione della carrozza brechtiana di
Madre Coraggio nella loro pièce. O il napoletanissimo sfarzo tapino di una
borghesia costretta a vendersi pure le scarpe per tirare a campare che si
riduce simbolicamente a gigantesche oche, caproni e maiali presepiali che
razzolano, brevi manu umana, sul palcoscenico con movimenti lubrici nella
loro corpulenza.
Perché aggiungendo poi una singolar tenzone a colpi di stupro (che
strappa un applauso compiaciuto ai più, per qualche motivo), un momento
“rock” – che permette al pubblico piacente e saccente di crogiolarsi nella
propria fissazione autoreferenziale di avere sempre ragione –, canti più o
meno popolari (spaziando dall’Auciello Grifone alla Calunnia
rossiniana), una scimmietta abbastanza ridicola e decisamente
indiscriminata e una nenia da prefiche che sconquassa le battute del terzo
atto (unica rilettura forse davvero interessante) il demiurgo, a differenza di
Grotowski, non ne vuole sapere di smetterla con l’autoassoluzione per
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qualsiasi opera d’ingegno messa in scena ed esegue in definitiva un lavoro
autoriale sul testo, accomiatandosi per sempre dall’originale. La cazzimma
latelliana, però, non molla la greppia eduardesca, giacché quello che
potrebbe benissimo definirsi teatro sperimentale (per quanto anacronistico
oramai sia il termine) non vuole, un po’ come Tommasino, recidere il
cordone ombelicale e mollare il seno di mammà, rimanendo nel porto
sicuro (?) del “regia di” in cui il Teatro di Roma l’aveva relegato e
diventando, in ultima analisi, un esperimento di teatro di regia non
riuscito.
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Non si parlerà di Eduardo De Filippo perché con il suo Natale in casa
Cupiello Latella suscita tutte le emozioni possibili e immaginabili (facendo
scappare, indignati e fumanti di rabbia, non pochi presenti), ma non riesce
mai, mai, a muovere a compassione. E senza empatia, che Natale è?
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Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Stabile di Napoli – San Ferdinando
piazza Eduardo De Filippo 20 – Napoli
dal 16 al 27 novembre 2016
Natale in casa Cupiello
di Eduardo De Filippo
regia Antonio Latella
con Francesco Manetti, Monica Piseddu, Lino Musella, Valentina Acca, Francesco Villano, Michelangelo
Dalisi, Leandro Amato, Giuseppe Lanino, Maurizio Rippa, Annibale Pavone, Emilio Vacca, Alessandra Borgia
drammaturga del progetto Linda Dalisi
scene Simone Mannino e Simona D’Amico
costumi Fabio Sonnino
luci Simone De Angelis
musiche Franco Visioli
assistenti alla regia Brunella Giolivo, Irene Di Lelio
assistente alla regia nella prima edizione Michele Mele
produzione Teatro di Roma
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