21 - § 9 Il teatro: Eduardo De Filippo, Dario Fo

21 - § 9
Il teatro: Eduardo De Filippo, Dario Fo
Dal teatro dialettale napoletano di ricca tradizione deriva Eduardo De Filippo (Napoli, 19001984) che, dopo avere recitato in compagnie dialettali e di avanspettacolo, cominciò a scrivere
e rappresentare farse: Edoardo Scarpetta, Antonio Perito, Raffaele Viviani sono i suoi
predecessori. Farsa da commedia dell'arte e crepuscolarismo di De Filippo (che nel 1930
aveva costituito coi fratelli Peppino e Titina una compagnia teatrale) vengono toccati dalla
ventata di Pirandello che serve ad approfondire la psicologia dei personaggi e a creare
l'unione del tragico e del comico. Il grottesco verrà fuori dal dolore nel De Filippo del
dopoguerra, neorealista populista felice nell'imprimere il taglio della semplicità alle scene, nel
divulgare messaggi di speranza, stati d'animo di disagio storico diventati simbolici di un'Italia
in cerca di rimedi, di una Napoli dalla saggia infelicità (Napoli milionaria!, Questi fantasmi,
Filumena Marturano, De Pretore Vincenzo, Il sindaco del rione Sanità etc.). Dal 1944 ha
costituito la compagnia Il teatro di Eduardo della quale è stato direttore e attore geniale fino
alla morte.
«Fenomeno sociale e politico» è il personaggio Dario Fo col suo teatro d'avanguardia e
politico, contestatore del teatro borghese. Fo è nato nel 1926 a San Giano in Valtravaglia
(Varese), ha studiato architettura, scenografia, incontrandosi con la cultura popolare.
L'architettura delle chiese romaniche gli fa comprendere l'attività «di semplici scalpellini, di
semplici operai e muratori, ignoranti e analfabeti [...], la forza creatrice di coloro che sono
stati sempre definiti i "semplici" e gli "ignoranti", che sono sempre stati i "paria" della cultura
ufficiale». Dopo avere recitato alla radio, in spettacoli di rivista, aver fatto l'attore di cinema
(in Lo svitato di Lizzani) passa al teatro di gestione nuova, impegnata, subendo censure,
querele, arresti, processi etc. , diventando attore popolare «totale» (creatore, interprete,
regista, servendosi in modo geniale di tecniche millenarie, dai ritrovati della commedia latina
al mistero medievale, alla farsa, alle marionette, al circo).
Con la compagnia La Comune e con la collaborazione della moglie Franca Rame gli
spettacoli di Fo sono entrati nelle fabbriche e nelle università occupate, nelle case del popolo,
nelle cooperative, hanno sorretto veglie di protesta in tende, stadi, palazzi dello sport etc. Nel
1953 allestisce Il dito nell'occhio, satira della rivista americana «Kolossal», nel 1954 Sani da
legare, parodia di motivi della vita di un giorno di una città, ma dal 1959 si ha l'uso geniale
dei mezzi della tradizione comica teatrale nelle commedie Gli arcangeli non giocano a flipper
(1959) satira della burocrazia statale, Aveva due pistole con gli occhi bianchi e neri (1960)
satira della proprietà privata, Chi ruba un piede è fortunato amore (1961) satira della
speculazione edilizia. Alla parentesi brechtiana di Isabella, tre caravelle e un cacciaballe
(1963) seguono Settimo: ruba un po' meno (1964) denuncia del sistema di potere economicopolitico, La signora è da buttare (1967) contro l'imperialismo americano.
Gli anni della contestazione giovanile vedono Fo in linea col movimento e critico nei
confronti della sinistra ufficiale. Eccezionale è diventata la capacità di Fo di cogliere il nesso
di tecnica teatrale e fine politico in Ci ragiono e canto (1966), canti popolari sulla vita
dell'uomo dalla nascita al giudizio universale, in L'operaio conosce 300 parole, il padrone
mille, per questo è lui il padrone (1969), e negli spettacoli che nascono da situazioni politiche
Morte accidentale di un anarchico, Fedayn, Guerra di popolo in Cile, Non si paga, non si
paga etc.
Fo riesce a collegarsi con le masse portando in scena «un passato attaccato alle radici del
popolo». Egli non vuole divertire ma istruire e animare, perciò non vuole la catarsi: «Noi non
vogliamo liberare nella indignazione la gente che viene. Noi vogliamo che la rabbia stia
dentro, resti dentro e non si liberi, e che diventi operante con lucidità nel momento in cui ci
troviamo, e portarlo alla lotta». Il Mistero buffo è lo spettacolo dell'invenzione, in una «koiné»
dialettale padana, di fatti collegati con il potere ecclesiastico nel Medioevo. Nelle commedie
bisogna ricordare le canzoni, solitamente satiriche contro il potere ma anche contro la
sventatezza di chi esalta il vizio della secolare fatuità come nella Canzone degli Italioti:
Se ci dicon: quello ruba, quello truffa, quello frega,
noi alziamo la spalluccia e da idioti sorridiam.
Perché siamo gli italioti, razza antica indo-fenicia,
siam felici, siam contenti del cervello che teniam.