‘EUROPA E ITALIA La golden rule necessaria e il bonus per la ricerca.’ da ‘Il Sole 24 Ore’ del 21/04/2015 L’Europa, mentre cerca di risolvere la crisi greca, deve dedicarsi anche agli altri suoi 500 milioni di abitanti. E’ infatti fragile la crescita della EU (per il 2015 è previsto un 1,7% a fronte di un 3,5% degli USA) ; la disoccupazione è ancora alta (9,8% per il 2015 a fronte di un 5,4 degli USA). Questi divari sono stati rilevati anche nel G-20 economico di pochi giorni fa dal quale si rilevano due importanti messaggi per l’Europa: -la necessità di consolidare la crescita con investimenti e riforme strutturali -la necessità di vigilare sugli effetti di volatilità finanziaria e valutaria, derivanti da politiche monetarie divergenti. L’Europa , con tassi di interesse ai minimi storici e con l’euro debole sul dollaro, è in una congiuntura favorevole per il rilancio della crescita purché le politiche economiche spingano gli investimenti e le riforme per trasformare in ricostituenti reali gli effetti droga finanziari del Qe (Quantitative Easing). Europa: dalle regole all’economia. In Europa ci vogliono meno regole e più economia reale. Si pensi alla macchinosità del ‘semestre europeo’ per controllare e coordinare le politiche economiche del Paesi membri: entro aprile ogni paese presenta alle istituzioni europee il programma di stabilità e il piano nazionale di riforme; la Commissione e il Consiglio Europeo li esaminano ed entro giugno danno delle raccomandazioni agli stati membri per arrivare alle leggi di bilancio annuali: le richieste europee vincolanti riguardano il deficit e il rapporto debito/Pil. Le Istituzioni europee invece fanno troppo poco per dare forza e durata alla crescita dei Pil che richiede due scelte politiche per gli investimenti: quella di scorporare le spese per investimenti infrastrutturali nazionali certificati e cofinanziati dall’Europa dal calcolo del deficit; quella di fornire al Qe della Bce ampie quantità di obbligazioni emesse da istituzioni finanziarie europee (Bei e Fondo ESM) per convogliare risorse direttamente agli investimenti infrastrutturali europei. Queste scelte sono urgenti per completare la costruzione dell’Eurozona. Italia: dal politichese all’economia. In Italia ci vuole più economia per valutare il nostro Def2015 che entro fine aprile verrà inviato alle Istituzioni europee. Quest’anno partiamo meglio dei precedenti anche perché nel 2014 abbiamo avuto dei margini di flessibilità in base alle clausole europee di ‘eccezionali circostanze’ a causa della nostra recessione. Infatti il pareggio di bilancio strutturale è stato spostato al 2016 e nel Def2015 si ricorre alla clausola europea sulle ‘riforme i corso’ per spostarlo al 2017. Adesso il crollo dei tassi di interesse rende meno difficile il servizio del nostro debito pubblico ma non elimina la necessità di trovare risorse che andrebbero usate in due direzioni. Una è la riduzione della pressione fiscale che secondo il Def scenderebbe dal 43,1% del 2014 al 41,9% del 2018. La seconda direzione è la spinta agli investimenti sia potenziando la Nuova Sabatini, sia aumentando il credito di imposta per la tecnoscienza che coinvolge anche le qualificazioni giovanili. Tra il 2007 e il 2014 i nostri investimenti fissi lordi sono crollati del 30% : quindi la loro crescita, prefigurata dal Def con 1,1% nel 2015 e con il 3% nel 2017 e 2018, è molto debole. L’Italia in Europa. Il Def prefigura un incremento del nostro Pil dello 0,7% nel 2015 fino all’ 1,5% nei tre anni successivi, la disoccupazione scenderebbe dal 12,7% del 2014 al 10,9% del 2018 : è un risultato accettabile ma ancora sotto la media della Eurozona. Perciò vanno proseguite con selettività e rapidità le riforme strutturali per aumentare gli investimenti da cui deriva la nostra competitività. Per questo al nostro Governo va dato il tempo di operare in Italia e in Europa , rinviando il giudizio alla fine della legislatura del 2018. Nicolò Lipani 4° B A.F.M.