Patologia Generale Ezio Laconi Lezione 17 13 Novembre 2012

annuncio pubblicitario
Patologia Generale
Ezio Laconi
Lezione 17
13 Novembre 2012
Francesca Sarais
Questa diapositiva è un aggiunta a ciò che abbiamo visto la volta scorsa. Abbiamo un elenco di DAMPs cioè
Damage Associated Molecular Patterns (= Pattern Molecolari Associati a Danno) che legano recettori
dell’immunità innata, TLR in particolare ma non solo. Il rigetto cronico dei trapianti è legato al fatto che c’è
un danno lento del trapianto, quindi libera dei ligandi per questi recettori del danno, che sono soprattutto
TLR, che a loro volta innescano delle reazioni come liberazione di citochine, stimolazione dei linfociti TH
(soprattutto TH17 e TH 1) che a loro volta secernono citochine e alimentano la possibilità di un danno
immunologico a carico del trapianto.
Consideriamo quali sono le strategie per avere successo in un trapianto:
-
Immunosoppressive: la fanno da padrone in questo tipo di approccio terapeutico, con farmaci
steroidei che sono i cortisonici;
Ciclosporina: è un immunosoppressore più fine perché agisce più selettivamente sulla risposta
Rapamicina: agisce con meccanismo diverso al precedente ma è comunque selettivo;
Farmaci immunosoppressori tipici che hanno come bersaglio il ciclo cellulare: Azatioprina,
Metatrexate, Acido Micofenolico e altri, come la ciclofosfamide che ha come bersaglio la mitosi,
anche se anche questo è un ciclo genotossico, cioè blocca il ciclo cellulare anche in altre fasi. Questi
farmaci quindi bloccano la risposta immunitara perché impediscono alle cellule del sistema
immunitario di dividersi, ed essendo un sistema che funziona a ritmi molto sostenuti, i farmaci che
inibiscono il ciclo cellulare hanno come bersaglio d’elezione tra gli altri anche il midollo osseo e
quindi il sistema immunitario appunto (sia immunità innata che acquisita).
Gli organi che oggi si possono trapiantare sono numerosi: il rene è quello che si trapianta più spesso, ma si
possono trapiantare anche cuore, polmone, fegato, intestino, midollo osso (è un capitolo a sé perché si può
effettuare il trapianto di midollo trapiantando solo cellule).
Il trapianto di cellule in sostituzione al trapianto di un organo in toto è una strategia che si sta ancora
studiando e che finora ha avuto successi parziali.
Xenotrapianto: l’idea di poter utilizzare animali come donatori non è stata totalmente abbandonata, anzi si
stanno valutando strategie di ingegneria genetica di maiali transgenici per il DAF o il CD59; questi maiali
transgenici sarebbero utili per il complemento e la regolazione della sua attivazione: sono entrambe
proteine che controllano in maniera negativa l’attivazione del complemento sulle nostre cellule e sono
delle proteine che sono specie specifiche quindi la CD59 umana è diversa da quella del maiale. Quando
vengono trapiantati organi da un’altra specie di sicuro si legheranno gli anticorpi, che attiveranno il
complemento: se il CD59 è presente questa reazione può essere in parte controllata, se non è presente o
non è di quella specie non è possibile bloccare l’attivazione del complemento. Avere quindi dei maiali che
esprimono il CD59 umano a livello di tutti i tessuti può aiutarci a prendere gli organi dai maiali; è stato
provato su primati e si è osservato che questi organi sopravvivono invece di qualche giorno, qualche
settimana o pochi mesi, quindi la strada è ancora lunga.
Altra strategia è la costruzione dei maiali knocked-out, in cui viene abrogata cioè la funzione della galattosiltransferasi perché questo è uno dei motivi più immediati di rigetto degli organi perché è un enzima che
attacca dei gruppi galattosilici alle molecole di superficie delle cellule e questi gruppi vengono riconosciute
come non self dal sistema immunitario dei primati (compreso anche l’uomo) e si ha un rigetto immunitario
iperacuto, in questo caso entrano in gioco le IgM; se invece i maiali non esprimono questo enzima le sue
proteine di superficie sono più simili a quelle dei primati, anche in questo caso quindi la sopravvivenza è
decisamente migliorata però non è sufficiente per poter parlare di un possibile impiego clinico.
Un netto miglioramento invece si è compiuto sia sul piano della immunosoppressione che sul piano
nettamente tecnico ed il risultato è che la vita media dei trapianti sta aumentando. Nonostante l’aumento
del numero di trapianti effettuati a partire dalla fine degli anni ’60 fino alla fine del 2008, l’area che
rappresenta il numero di trapianti che sarebbero necessari, resta molto divario tra questi due valori; questo
anche perché le patologie renali (in questo caso) sono in aumento.
Un’altra curva di sopravvivenza dei trapianti negli U.S.A. di cuore e polmone. I numeri in verde
rappresentano i donatori viventi per quanto riguarda il rene e il fegato ovviamente. Risaputo è che si può
donare un rene mantenendone solo uno, è una pratica che non comporta rischi elevati. Per il fegato invece
è stata messa appunto la tecnica del cosiddetto “split liver”, da un unico fegato addirittura si possono fare
due trapianti, oppure da un donatore vivente si può prendere una porzione di fegato e trapiantarla su un
unico ricevente. I donatori viventi sono ovviamente molto più numerosi, ma in genere sono anche dei
parenti quindi persone fortemente motivate a donare una parte dei loro organi per salvare la vita del
proprio caro; per questo motivo si sta premendo affinché le conoscenze siano sviluppate molto in questa
direzione. Trattandosi di familiari è anche probabile che ci sia compatibilità, il fegato oltretutto è un organo
in cui la compatibilità è meno difficile per ragioni in parte ancora sconosciute quindi è molto probabile che
ci sia compatibilità da un parente vivente, il problema è che invece il trapianto di fegato presenta dei rischi
piuttosto elevati: prelevare il 50% del fegato comporta il rischio di mortalità dell’1% del donatore, che è
molto alta, soprattutto dal punto di vista etico perché spesso il parente insiste per il trapianto, tendendo ad
eccedere nella richiesta nei confronti del chirurgo (la decisione comunque viene presa dal comitato etico)
quindi nonostante potrebbe essere una buona prassi, c’è una certa resistenza per via di questo rischio,
sebbene l’efficacia sia provata, soprattutto se l’organo viene donato da un vivente.
Percentuali di sopravvivenza dell’organo dopo trapianto di rene .
Per quanto riguarda il fegato, se ci fossero più organi disponibili, le indicazioni per il trapianto e l’approccio
terapeutico potrebbero essere più avanzati. Si è osservato che trapiantando il fegato per neoplasia del
fegato, le probabilità di successo sono uguali a quelle per qualunque altra patologia epatica quindi il fatto
che la motivazione del trapianto sia una neoplasia (ovviamente se limitata al fegato) non inficia le
probabilità di successo del trapianto. Questo trapianto viene effettuato soprattutto quando la neoplasia è
piccola perché l’indicazione al trapianto viene limitata dal fatto che non ci sono molti organi da trapiantare
a disposizione, quindi si trapiantano solo quelli che hanno buone probabilità di riuscita.
AUTOIMMUNITÀ
L’autoimmunità deve essere introdotta attraverso il tema della tolleranza immunologica, di cui abbiamo già
parlato l’anno scorso ma che rivediamo brevemente.
Stato di tolleranza immunologica: stato di non responsività specifico per un particolare antigene. Quindi il
nostro sistema immunitario è tollerante, o dovrebbe esserlo, nei confronti di tutti i nostri antigeni, quelli
cioè che riconosce come self. La tolleranza al self è acquisita durante lo sviluppo, non è ereditata. Il nostro
sistema immunitario quindi si sviluppa insieme a noi, è qualcosa in divenire, così come il fenomeno della
tolleranza, che non è un fenomeno dato una volta per sempre; questo implica che noi possiamo diventare
tolleranti anche ad antigeni a cui inizialmente non lo eravamo, così come si può verificare il contrario cioè
che non tolleriamo più un antigene nei confronti del quale eravamo precedentemente tolleranti. Questa
forse è la ragione per cui noi esprimiamo continuamente gli antigeni self: per ricordare al nostro sistema
immunitario la nostra identità, che è quindi qualcosa che va affermata nel tempo. Il fatto che il sistema
immunitario sia così plastico ci permette di accettare come self anche qualcosa che prima consideravamo
non-self quindi non siamo completamente chiusi nei confronti di novità che possono arrivare dall’esterno.
Non è noto come avvenga questo cambiamento del sistema immunitario nei confronti del non-self.
L’evidenza che la tolleranza al self è acquisita durante lo sviluppo e non è ereditata è emersa a seguito dello
sviluppo degli animali transgenici, che sono animali nei quali viene inserito a livello dello sviluppo germinale
un gene che non appartiene a quella specie (tecnica usata in particolare nei topi), chiaramente infatti un
gene umano non è normalmente presente nel topo. In questo caso no ci sarà risposta immunitaria da parte
del topo nei confronti di quel gene, che verrà acquisito e diventerà parte della sua identità, come self.
È necessario che noi diventiamo tolleranti riguardo ai nostri antigeni self perché produciamo linfociti con
una specificità di recettori generata in maniera random, questo implica che inevitabilmente in questa
generazione random generiamo recettori per geni self, questo rende necessario che noi diventiamo
tolleranti nei confronti dei nostri stessi antigeni. Dobbiamo riconoscere gli antigeni self e non reagire contro
di essi. Meccanismi attraverso cui si diventa tolleranti verso i propri antigeni self:
-
Meccanismo centrale che avviene attraverso delezione clonale che avviene a livello di midollo
osseo e di timo;
Meccanismo periferico nel corso del quale possiamo inattivare e regolare l’attività di linfociti
autoreattivi.
Questi meccanismi prevedono la inattivazione, la delezione, l’inibizione e la soppressione di risposta del
sistema immunitario. Molto probabilmente la continua espressione dell’antigene serve per mantenere
questo stato di tolleranza nel tempo. Se smettiamo di produrre un antigene, nei confronti di quell’antigene
il sistema immunitario dimentica la sua non reattività, la sua tolleranza.
Questo schema lo abbiamo visto l’anno scorso: la tolleranza centrale viene innescata attraverso i due
meccanismi di selezione positiva e di selezione negativa; inizialmente c’è il riconoscimento dell’MHC da
parte dei linfociti che esprimono sia CD4 che Cd8 (sono doppi positivi) e questo avviene a livello della
corticale del Timo, successivamente i linfociti diventano CD4 positivi o CD8 positivi ed avviene in questa
fase la selezione negativa, vengono cioè deleti tutti i linfociti T che riconoscono fortemente gli antigeni che
vengono presentati a livello timico attraverso quel fenomeno che si descrive come sintesi promiscua degli
antigeni (a livello timico) in cui si presentano un gran numero di antigeni periferici, e i linfociti che risultano
molto affini col complesso MHC+Ag periferici verranno deleti. Passano quindi il filtro di questa selezione
solo quelli che non hanno affinità elevata, sugli altri verrà indotta la morte cellulare.
Ricordate che l’ampiezza del repertorio di TCR è data dall’MHC, questo significa che quanti TCR io mando in
periferia (che hanno passato il filtro nel Timo) dipende da MHC cioè da quali sono le molecole attraverso
cui io presento l’antigene. Questo è importante perché a questo livello possono nascere delle patologie
autoimmuni. Vedremo infatti che gran parte delle patologie autoimmuni sono legate agli aplotipi MHC o
HLA. Supponete di avere un repertorio di molecole MHC che non siano in grado di presentare un
particolare antigene self (può succedere)perché non in grado di legarlo, la conseguenza è che non sono in
grado di presentare l’antigene al momento della selezione negativa quindi i linfociti autoreattivi non
riceveranno il segnale di morte cellulare perché quell’antigene non è stato presentato in maniera adeguata,
quindi io avrò in periferia linfociti T potenzialmente reattivi. Questo è uno dei possibili motivi da cui può
scaturire autoimmunità, è l’esempio più diretto ma forse è quello meno frequente. Ci sono tante altre
possibilità che è necessario avere ben presente le interazioni a tutti i livelli che poi andranno a determinare
l’interazione tra TCR e complesso MHC-Ag; vuol dire che se si vuole eliminare il linfocita T autoreattivo,
questo deve reagire in maniera energica col complessa MHC-Ag, se per caso non reagisce in maniera
energica perché magari c’è qualche tappa della via di trasduzione del segnale che non funziona
perfettamente, quel linfocita non riceverà il segnale di morte cellulare quindi potrebbe passare in periferia.
Paradossalmente qui un linfocita che funziona di meno, per quanto riguarda la sua interazione col
complesso MHC-Ag, può essere un pericolo, paradossalmente perché funzionando di meno si pensa che
non possa reagire dando iperimmunità, invece sorpassa la selezione negativa anche se non dovrebbe.
Come vengono selezionati i linfociti:
Vedete uno schema in cui nelle ascisse troviamo l’avidità del legame TCR –MHC+Ag e nelle ordinate il
numero di linfociti che vengono selezionati: vedete che la prima parte della curva è piatta cioè se l’affinità è
bassa i linfociti vengono eliminati e questa è la selezione positiva perché ci deve essere segnale in seguito
all’interazione tra TCR e MHC-Ag, può infatti essere un linfocita che non riconosce neppure MHC. Poi
vengono selezionati tramite selezione negativa tutti quei linfociti che invece hanno una avidità molto
elevata per gli antigeni self (presentati dal complesso MHC). A livello timico quindi ciò che viene selezionato
positivamente sono i linfociti che hanno una affinità media per il complesso MHC-Ag. Abbiamo però un
dato in più rispetto all’anno scorso: c’è una fetta molto ristretta di linfociti T che sono molto vicini ad avere
un’affinità elevata e quindi ad essere selezionati negativamente, ma che non raggiungono una soglia
sufficiente perché la selezione avvenga realmente, questi passano in periferia come linfociti T regolatori
(CD25 positivi) che hanno la funzione di inibire la risposta immunitaria e guarda caso sono quelli più affini
agli antigeni self. Quindi i linfociti con avidità maggiore per Ag self diventano linfociti T regolatori, è
interessante che i linfociti che sarebbero più a rischio di dare patologia autoimmune, in periferia diventano
inibitori quindi è una doppia protezione contro l’autoimmunità. Nel momento in cui questi linfociti
dovessero reagire con Ag self in periferia, questa interazione implicherà l’inibizione della risposta
immunitaria.
Scarica