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CoolClub.it
Il 29 novembre a Bari Coolclub e Zenzeroclub organizzano il concerto dei Blonde Redhead. Ecco che, insieme alla fiducia nei nostri mezzi, troviamo
l’occasione per parlare di un novembre che, mai come quest’anno, si presenta ricco di appuntamenti ed eventi. Guardandoci intorno ci siamo
resi conto di come la Puglia sia cresciuta in questo ultimo periodo nonostante le annose difficoltà. Realtà disseminate e resistenti sul territorio (non
parliamo, come chi ci conosce già sa, di retorica dell’intrattenimento, sagre, eventi populisti) portano avanti le loro coraggiose programmazioni
fatte di numeri non esorbitanti ma molto importanti e cominciano a collaborare fra di loro (la diffusione di Coolclub.it in tutta la regione ne è solo
una manifestazione). Nonostante i tagli alla cultura, il problema degli spazi, i costi di produzione, la scarsa risposta del territorio novembre sarà un
gran mese.
In apertura una piccola guida a quello che succederà e i ricordi e le impressioni su quello che recentemente c’è stato. Carlo Chicco (simbolo della
Puglia nel mondo) ci racconta dei suoi incontri all’interno del jet set rock, Valentina ha parlato con i Baustelle del loro nuovo album che, guarda
caso, si intitola la Malavita. Ecco tornare il giallo del giallo e ne trovi le tracce nella nostra rubrica dedicata al fumetto, nelle interviste a Franco
Limardi, Massimo Carlotto, nel racconto gentilmente concesso dagli amici di Blackmailmag. Poi, se proprio vuoi andare a fondo con le indagini,
scopri che un disco dei Blonde Redhead è dedicato a Pasolini, di cui ricorre il trentennale della morte e al quale abbiamo dedicato una pagina, che
un articolo è dedicato ai misteri e i limiti legali del file sharing, che ci sono le interviste a Garbo (il suo ultimo si intitola Gialloelettrico giusto per restare
in tema) e ai Nidi d’Arac, una retrospettiva su Stevie Wonder, i dischi della nuova onda del Brit pop, le rubriche dedicate alle piccole etichette
discografiche e alle case editrici, le nostre segnalazioni, le recensioni, gli appuntamenti.
Ancora quaranta pagine e ancora l’invito, aperto a tutti, a collaborare con noi.
Per proposte e informazioni basta scrivere a [email protected].
Buona Lettura
Osvaldo Piliego
CoolClub.it
Via De Jacobis 42 73100 Lecce
Telefono: 0832303707
e-mail: [email protected]
Sito: www.coolclub.it
Anno 2 Numero 20
novembre 2005
Iscritto al registro della stampa del
tribunale di Lecce il 15.01.2004 al
n.844
Direttore responsabile
Osvaldo Piliego
Collettivo redazionale
Dario Goffredo, Pierpaolo Lala,
C. Michele Pierri, Cesare Liaci,
Antonietta Rosato
Collaboratori:
Giancarlo Susanna, Valentina
Cataldo, Sergio Chiari, Davide
Castrignanò, Patrizio Longo, Antonio
Iovane, Rossano Astremo, Rita
Miglietta, Daniele Lala, Fulvio Totaro,
Federico Vaglio, Lorenzo Coppola,
Nicola Pace, Giacomo Rosato, Nino
D’Attis, Luca Greco, Luisa Cotardo,
Emanuele Carrafa, Francesco Lefons,
Camillo Fasulo, Federico Baglivi,
Lorenzo Donvito, Gianpaolo Chiriacò,
Livio Polini, Bob Sinisi, Eugenio Levi,
Nise No, Giancarlo Bruno, Davide
Ruffini, Loris Romano, Dario Quarta,
Carlo Chicco, Patrizio Longo, Anna
Puricella, Giancarlo Greco, Stefania
Azzollini, Silvia Visconti
Puglia (chi)ama Rock
4-5 Blonde
Redhead
7 La poesia nei
Jukebox
9 Keep Cool
30
Blackmailmag
31 Be Cool
Ringraziamo la redazione di
Blackmailmag.com
In copertina i Blonde Redhead
La foto di Cristina Donà qui a fianco
e quelle di pag. 7 sono di:
Viviana Martucci
Progetto grafico
dario
Impaginazione
Roberto “Demon” Pasanisi
Stampa
Lupo Editore - Copertino
Chiuso in redazione all’alba della
notte dei morti viventi (2 novembre
2005)
Per inserzioni pubblicitarie:
Cesare Liaci
T 3404649571
[email protected]
34 Pierpaolo
Pasolini
36
Appuntamenti
38 Fumetti
16 Not Moving
19 Adriano
Canzian
22 Stevie
Wonder
23 Coolibrì
28 Fernandel
29 Massimo
Carlotto
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Un autunno di concerti
CoolClub.it
La Puglia e molte altre regioni d’Italia, in particolare del Sud, sono accomunate dallo
stesso enorme problema, quello più grande e insormontabile, quello imprescindibile
e insuperabile. Non è il traffico, come sentenziava lo zio di Johnny Stecchino, un
traffico vorticoso, tentacolare, che mette famiglie contro famiglie, ma la mancanza
di spazi adeguati (e soprattutto poco costosi) per la musica live. È una questione che
abbiamo toccato molte volte sul nostro giornale e che, almeno per ora, non pare
destinata ad una soluzione duratura. Ma tra difficoltà economiche (la crisi tira su
tutti), tagli della finanziaria sugli spettacoli – cifre incredibili e ancora non confermate
-, tra proteste degli operatori del settore, regole della Siae che cambiano di continuo
– sfido chiunque a compilare i biglietti manuali e non uscire pazzo -, la stagione
live in Puglia avanza e soprattutto a Lecce e Bari avanza bene. Novembre ospita
numerosi eventi di rilievo nazionale e internazionale e sembra un buon viatico per la
nuova stagione. Staremo a vedere. Questi in sintesi alcuni degli appuntamenti inseriti
nelle principali rassegne. Molto altro si muove tra piccoli locali, pub, teatri, circoli
Arci e molti altri eventi sono segnalati nelle pagine 36 e 37. E speriamo di non aver
dimenticato nulla!
TimeZones - Bari
A novembre entra nel vivo la rassegna TimeZones (gli appuntamenti sono al
PalaMartino di Bari), della quale abbiamo già abbondantemente parlato nel numero
di ottobre, che quest’anno compie 20 anni. Dopo Alva Noto e Ryuichi Sakamoto, la
rassegna prosegue con Lydia Lunch e la sua band (sabato 5) e Domenico Lancellotti,
Moreno Veloso e Alexandre Passim (domenica 6. Venerdì 11 spazio a Mauro Pagani
e al violoncellista palermitano Giovanni Sollima. Sabato 12 sul palco Arto Lindsay,
compositore, cantante, chitarrista e produttore è una delle menti più geniali della
New York musicale degli ultimi 20 anni. Mercoledì 16 si esibiranno le Cocorosie,
gruppo formato dalle sorelle Sierra e Bianca Casady, uno dei fenomeni musicali
del momento. Gli ultimi due appuntamenti sono il 25 novembre con i Konki Duet,
un meraviglioso esempio di raffinatezza elettroacustica, e il 29 al Vallisa con Zeena
Parkins e Ikue Mori. Info www.timezones.it
La Provincia dell’Impero - Bari
L’associazione Provincia dell’Impero ospita una rassegna itinerante in vari locali di
Bari e provincia. Dopo l’esordio con Chris Leo e Langhorne slim, martedì 8 novembre
al Bohemien Jazz Club largo agli statunitensi Akron/family la nuova grande scoperta
della Young God, etichetta del geniale Michael Gira, leader degli storici Swans.
Domenica 13 al Target sul palco The hospitals (USA) mentre il 20 dal Giappone My
way my love, che saranno in concerto il giorno dopo al Circolo Arci Sotterranei di
Copertino (Le) che da anni si muove per la promozione e l’organizzazione di eventi.
Inoltre il primo venerdì di ogni mese al Target The sound hospital un luogo dove si
incontreranno arte, video, musicisti e dj nazionali ed esteri. Info provinciadellimpero@
infinito.it
ZenzeroClub - Bari
Altro luogo deputato per la musica dal vivo a Bari è Lo ZenzeroClub. Novembre si apre
(venerdì 4) con il concerto del cantautore romano Max Gazze e prosegue l’11 con
l’esibizione dei Namb, accompagnati in consolle da Madaski, fondatore degli Africa
Unite. Quello del gruppo è un synth-pop che strizza l’occhio al rock, farcito di elementi
e strumentazioni new wave. Venerdì 18 torna allo Zenzero nell’unica data pugliese
Morgan che presenterà i brani tratti da Non al denaro, non all’amore né al cielo,
l’album di De Andrè reinterpretrato dal leader dei Bluvertigo. La programmazione di
dicembre va avanti con Perturbazione (venerdì 2), Dj Gregory (sabato 3), Supersystem
(domenica 4) e Marco Parente (venerdì 9). Info www.zenzeroclub.it
Italians do it better - Lecce
Italians do it better è il titolo della rassegna organizzata da Coolclub e dedicata, come
il titolo tratto da una celebre frase che troneggiava anche sulle magliette indossate
da Madonna, alla musica italiana. Un percorso che parte al Candle di Lecce sabato
12 con il concerto di Numb e Madaski (il giorno prima a Bari). Venerdì 18 sul palco
dell’Istanbul Cafè i Super Elastic Bubble Plastic presenteranno The Swindler, esordio
discografico del trio mantovano. Un disco “d’amore e d’odio”, tra politica e relazioni
interpersonali, senza mezze misure. Partorito con l’urgenza del condannato. Un bel
esempio di indie rock’n’roll. Venerdì 25 al Candle unica data pugliese per il tour dei
Baustelle (vedi intervista a pagina 8). Sabato 3 dicembre a Squinzano appuntamenti
con i Perturbazione. Info www.coolclub.it
29 NOVEMBRE 2005 - B
Tutto comincia a New York all’inizio degli anni ’90, sono gli anni in cui
la Grande Mela ha il suono di gruppi come i Sonic Youth e Fugazi,
Pussy Galore, in cui il rumore e il ritmo della metropoli entrano
nella musica, la rabbia del punk, le atmosfere decadenti della
new wave, l’art-rock si fondono in nuove forme e stilemi musicali.
L’espressione della rabbia, l’arte nella musica, le tante influenze
e suoni che popolano l’america sono una sintesi dei decenni
passati e il ponte verso il suono che sarà tipico del decennio a
cavallo con il nuovo millennio. A Chicago c’erano l’hard-core e
i suoi derivati industrial e noise (su tutti i Nine inch nails), ma c’era
anche l’alternative pop dei Pixies, l’indie dei Pavement, la nuova
psichedelia newyorkese capitanata dai Mercury Rev, la Seattle
grunge che nasceva, la techno, e i primi passi del post rock
ad opera degli Slint. In questo ambiente nascono e crescono i
Blonde Redhead. Prendono il loro nome dal titolo di una canzone
dei Dna (band no-wave della scena newyorkese, guidata da
Arto Lindsay). Questo lascia presagire le influenze di quello che
in origine, parliamo del 93, era un quartetto. A Kazu (chitarra e
voce), Amedeo Pace (voce, chitarra) e Simone Pace (batteria)
si affiancava Maki Takahashi al basso. Con questa formazione
incideranno solo il loro primo mini album omonimo del 94.
L’alchimia italo-americano-giapponese è una formula che non
tarda a esplodere nel panorama indipendente americano.
Amedeo e Simone di origine italiana e cresciuti in Canada
hanno studiato jazz a Boston prima di arrivare a New York. Questo
imponente background permette loro di confrontarsi con la
scena della Grande Mela, attingendo a più livelli. Assorbono e
rielaborano il new jazz, il rock, il punk e il pop con la naturalezza
di chi è padrone della tecnica e ha voglia di sperimentare. Alla
simbiosi musicale dei gemelli Pace si aggiungerà presto Kazu
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Discografia
Blonde Redhead
Smells Like Records - 1994
È il loro primo album e come in tutti gli esordi il sapore è acerbo,
ma ha in sé, velati magari, tutti quelli che saranno gli elementi
della band. Prodotto da Steve Shelley, batterista dei Sonic
Youth, il disco è pieno di noise, di un’irruenza quasi punk ma ha
già anche trame e giochi vocali che presagiscono l’evoluzione.
Quella dolcezza che sembra in lotta con la ruvida violenza delle chitarre, creando
un’atmosfera musicale sempre tesa.
La mia vita violenta
Smells Like Records - 1995
Il loro secondo album vede assestarsi la formazione a tre. Questo
farà del basso uno strumento jolly a cui Amedeo e Kazu si
alterneranno. Oltre la matrice sonica sempre presente nel loro
sound, in questo album (dedicato a Pasolini) la ricerca musicale
si impreziosisce a partire dall’utilizzo di nuovi strumenti (sitar,
tastiere). Anche le ritmiche cominciano a intricarsi diventando struttura portante e
marchio distintivo del gruppo.
Fake Can Be Just As Good
Touch and Go - 1997
Cambio di etichetta ed ancora crescita per la band che matura e cresce fino quasi
ad esplodere. La produzione esaspera il lato distorto della band, fanno capolino le
prime tentazioni elettroniche, la presenza del bassista degli Unwound pompa tutto
ulteriormente. Forse il disco che segna il punto di rottura, la svolta della band, che
intraprenderà la strada della maturità. Un disco lancinante e sofferto.
BLOnDE REDHEAD In PUGLIA
Makino che con il suo stile inconfondibile, la sua voce sottile, i
suoi falsetti sarà il carattere e la caratteristica della band. Dopo
gli esordi immersi nel noise la band comincia a crescere ed ad
assumere una propria personalità musicale. Il clima sempre teso
delle composizioni, le strutture musicali che si disintegrano tra
chitarre e ritmiche che si rincorrono per poi correre a braccetto,
la sensualità, l’isteria, il caos sono solo alcune delle caratteristiche
dei Blonde Redhead. Con il passare degli anni e dei dischi le mille
sfaccettature del loro tessuto musicale cominciano a emergere
dal rumore per far affiorare la melodia. E si scopre la loro passione
per l’Italia, per Pasolini a cui dedicheranno un intero disco (La mia
vita Violenta), per il cinema e per la musica francese, le colonne
sonore. La tendenza ad addolcire i toni lascia trasparire la
complessità e la ricchezza delle loro composizioni, la ricchezza e
la particolarità degli arrangiamenti li sdogana da facili paragoni
e li incorona artefici di uno stile tutto loro. Mai uguali a se stessi
ma sempre in crescita e a tratti spiazzanti i Blonde Redhead non
si sono mai ripetuti riuscendo a mantenere comunque forte la
matrice musicale di partenza. Questa è la risultante di tre identità
musicali molto distinte e forti, ognuna preziosa e complementare
all’altra nel suo ruolo: il drumming aperto, vicino al jazz ma con
un orecchio rivolto al post rock di Simone, le timbriche di una
chitarra (quella di Amedeo) capace di ruggire, piangere, volare
e solleticare l’anima e la femminilità, la fragilità della voce di Kazu
che sa essere un sussurro o un grido lancinante e che con quella
di Amedeo sembra amoreggiare. Tutto questo e molto, molto di
più sono i Blonde Redhead.
Zenzero e Coolclub organizzano una delle due date italiane
di questo tour invernale dei Blonde Redhead. Inizio ore 22.30.
Ingresso 15 euro. Info prevendite 0832303707 – 080.503.45.80.
In an expression of the inexpressible
Touch and Go - 1998
Prodotto da Guy Picciotto dei Fugazi questo disco sembra distendere il magma
sonoro accumulato nei dischi precedenti. Tutti gli elementi sembrano calibrarsi tra
di loro ed emergere più nitidi. È qui che la passione per le colonne sonore comincia
ad emergere, che la maturità anagrafica e artistica affievolisce le sfuriate giovanili
diventando rumore controllato. Uno dei loro dischi migliori, un manifesto di fine
millennio.
Melody of Certain Damaged Lemons
Touch and Go - 2000
In questo disco i Blonde Redhead abbracciano definitivamente
la melodia, si può azzardare addirittura la definizione di pop per
alcuni elementi e soluzioni da sempre negli ascolti della band e
fino a questo momento coperti dai feedback, la costruzione dei
brani è ricca, malinconica, ipnotica. La preparazione, l’ulteriore,
a quello che i dischi a venire approfondiranno. L’inizio dei nuovi Blonde redhead e
anche l’apertura verso un pubblico più ampio.
Melodie Citronique
EP, Touch and Go - 2000
Una chicca per gli amanti della band che prende alcuni brani dell’album precedente
incidendoli in una nuova versione. In Particular diventa En Particulier interpretata in
francese da Kazu, Hated because great qualities si trasforma nella bellissima Odiata
per le sue virtù dove è sempre Kazu a cimentarsi con l’italiano. Nell’ep anche la cover
di Slogan di Gainsbourg e Chi è e non è inedito in italiano. Un omaggio a Francia e
Italia, paesi amati dai tre.
Misery Is A Butterfly
4AD - 2004
Ultimo lavoro in studio per i Blonde Redhead, cambio di etichetta
e completata metamorfosi verso nuovi territori sonori. Come un
bruco che diventa “farfalla”, la loro musica esce dal bozzolo
newyorkese per respirare il cielo d’Europa. Decadente, pieno
zeppo di riferimenti alle colonne sonore anni 70, quasi dreampop,
Misery is a butterfly è un volo a perdifiato verso paesaggi musicali possibili, un grande
disco.
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Soulwax
Moby
Chemical Brothers
Ed io tra di voi... Flippaut festival – Bologna 2005
di Carlo Chicco
Ho passato qualche minuto con un
sorriso di soddisfazione stampato
sul volto guardando il mio primo
pass/dj della storia! Non la solita
PRESS ma un artista! Sono quelle
cose che uno conserva solo per
vezzo, per ricordarsi che quel giorno
a “suonare”, se così possiamo
dire, c’ero anche io. Insomma, un
appuntamento importante con
un carnet di artisti interessante
Moby, Chemical Brothers, Prodigy,
Audioslave, Soulwax e giù di lì.
Quello che si svolge nei back stage
è sicuramente molto interessante,
soprattutto se ci sono artisti di fama
mondiale o quasi, scopri cose
che normalmente non si vedono:
la cantante dei BlackEyedPeas
che mangiava con disinvoltura
ogni pietanza con le mani o i Jet
che pasteggiavano una caprese
bevendo Vodka direttamente dalla
bottiglia (una per ciascuno! molto
rock’n’roll) o stringere la mano a
Morrissey!!!
In quest’occasione mi sono ritrovato,
come la tradizione vuole per gli
artisti (!!?), al buffet, che al Flippaut
è sempre molto interessante,
mangiando,
ma
soprattutto
bevendo vino o cose del genere con
una strana compagnia di “amici”!
Non quelli della porta accanto ma
“gli artisti”! Forse sarà stato il vino ad
agevolare le cose mentre i giornalisti
di turno scherzavano chiedendo chi
fosse l’originale (solo forse perché
abbiamo lo stesso taglio di capelli!!)
mi sono ritrovato a parlare con il
signor Richard Melville Hall, ovvero
Moby!
Una bella comitiva Moby, Chemical
Brothers e Soulwax! “non ti stanchi di
far girare i dischi? dovresti provare a
suonare qualche strumento come
faccio io..” introduce Moby, a me,
che in qualche modo cercavo di
sentirmi a mio agio facendo finta
di essere all’altezza della situazione
“in questo nuovo album ho suonato
praticamente tutti gli strumenti
tranne una batteria è come se
suonassi in una band ora, dal vivo
è un concerto e non uno pseudo
dj/set”. “Beh il nostro non è proprio
un dj set anche perché suoniamo
soprattutto
delle
macchine”
interviene Tom dei Chemical forse
risentito “ha l’impostazione del dj set
ma è un vero live che noi abbiamo
arricchito con video ed effetti
speciali” a questo punto io, che ho
continuato a comportarmi come se
loro fossero amici da sempre, chiedo
“ma le macchine vi danno anche
la possibilità di vivere il live con più
tranquillità, mi dicevi (non me lo hai
mai detto!!!) che avete molte tracce
programmate sulle quali interagite”
Tom “in verità sì, molti brani sono già
sui portatili o cose del genere e noi
ci giochiamo su!!! Forse sul palco
siamo un po’ più liberi” e questa
affermazione ha fatto sorridere
Moby compiaciuto come se avesse
scoperto un difetto nel collega,
ma questo non toglie sicuramente
il prestigio dei due fratellini chimici
(molto chimici!) che in studio
inventano sempre dei gioielli!! “Hai
un paio di nostri remix!!” aggiungono
Stephen e David dei Soulwax
nonché 2Manydjs “ultimamente le
nostre produzioni vanno sempre più
avvicinandosi ai nostri dj set, cosa
suonerai dopo?” che domanda!
“Beh chiudo con loro (indicando i
Chemical) penso a un po’ di electro
o cose del genere” ho risposto un
po’ distaccato ma agitato ed allora
ho iniziato a parlare dei dischi che
avevo in borsa e scoprire qualche
curiosità sulle produzioni come
un’ubriacata generale con James
Murphy della DFA e LCD Sound
System in occasione del singolo “daft
punk..” - “lui è un tipo in gamba, è
sempre al lavoro e in giro...nel privato
però è molto tranquillo anche se poi
quando beve…insomma anche noi
se beviamo diventiamo molesti!!!
Ora stiamo progettando di remixare
insieme un singolo dei Gorillaz
uscirà tra qualche mese credo
solo come promo poi vedremo”.
Qualche mese dopo al festival di
Arezzo Wave i Soulwax mi hanno
presentato a James Murphy come
un loro amico, un dj italiano molto
bravo! Mah sarà stato il vino...ci
scambiamo informazioni, i classici
convenevoli, loro mi dicono che
verranno a ballare al mio dj set
dopo il concerto dei Chemical ed io
prometto (come se questo fosse un
elemento fondamentale) di esserci
al loro che sarebbe partito alle 2 al
Link di Bologna. Alla fine parlo della
Puglia e del suo mare e poi dei posti
da visitare come i trulli o il salento..
“sono venuto spesso in Puglia dalle
parti di Alberobello (??!) si chiama
così? Perché ho degli amici.. mi
piace molto” afferma Moby con mio
stupore “a me piacerebbe venirci”
aggiunge David “mi ospiteresti?”
Alla fine ho promesso a tutti di
ospitarli in una ipotetica villa/trullo
pugliese e tutti con il fioretto di
adattarci alle abitudini alimentari di
Moby che sono un po’ complicate!
Dopo esserci scambiati indirizzi e
telefoni che forse non userò mai,
ci siamo salutati con pacche sulla
spalla come dei vecchi amici!
Nel treno di ritorno per Bari guardavo
le foto e continuavo a sorridere
chiedendomi se tutto ciò fosse
realmente accaduto! E se un giorno
riuscirò ad affittare una villa con loro!!
Immaginate i festini!! Ovviamente
siete tutti invitati!!!
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Amerigo Verardi e Miss Matilde Davoli- Federico Fiumani - Iain Matthews - Cristina Donà e Fededrico Fiumani
La poesia nei Jukeboxe - Galatina 29 ottobre 2005
di Osvaldo Piliego
Alla fine, sembra quasi un pretesto.
Quando siedi al tavolo del tuo
ristorantino di fiducia e parli di
orecchiette con le rape insieme
con Cristina Donà mentre Federico
Fiumani si lascia affascinare dalle
bellezze del luogo, ti convinci
che tutto questo ha un senso. Al
gigante Davide Sapienza sembra
andare bene solo l’antipasto ed
è tenero Giancarlo Susanna che
già a pochi minuti dal suo arrivo
cerca di moderare. La squadra
di Coolclub è contenta e tutti
attendiamo trepidanti l’arrivo di
Iain Matthews nel pomeriggio. Tutto
è pronto per la seconda edizione
di Giovani e...una manifestazione
che organizziamo ogni anno con
l’assessorato alle politiche giovanili
e al Centro Progetto Giovani del
Comune di Galatina, uno di quei
posti illuminati che sceglie di fare
cultura non solo con i tamburelli.
Quest’anno abbiamo deciso di
dedicarci al rapporto tra parole
e musica e insieme a Giancarlo
Susanna, quello che ormai mi
piace chiamare il patron della
manifestazione, abbiamo invitato
Davide Sapienza (ex giornalista
musicale ora romanziere), Cristina
Donà, Amerigo Verardi, Federico
Fiumani e Iain Matthews dei mitici
Fairport Convention. Il tempo è
titubante ma noi siamo sicuri che
sarà una serata da ricordare. Il
clima è già familiare, come una
rimpatriata tra amici che non si
vedono da tempo. E forse è questa
la cosa veramente importante.
Più delle parole, della musica e
dei concerti la cosa più bella è
l’incontro. Si parla con entusiasmo o
meno di dischi, “colleghi”, di amici
in comune, di passioni che ancora
bruciano e di altre ormai sopite.
Il pomeriggio scorre veloce tra
preparativi, aperitivi e l’incontro con
Iain e bella signora al seguito.
A Davide e Giancarlo il compito di
inaugurare la lunga serata. Insieme
a loro sul palco tutti gli ospiti,
come in salotto, a chiacchierare
sul peso delle parole, sul loro ruolo
all’interno delle canzoni, del debito
che la musica ha con la letteratura
e viceversa. Ognuno ha un suo
rapporto con le parole, i suoi gusti,
i suoi poeti di riferimento e dopo
poco la distanza scompare, la
tensione lascia il posto alla curiosità,
il cortile del palazzo della cultura si
riempie e comincia la musica.
È Amerigo Verardi il primo a salire
sul palco, a riscaldare e incantare
la gente (bellissimo il duetto con
Miss Matilde Davoli). L’energia di
un artista si vede quando è da solo
e Amerigo ne ha tanta che un po’
potrebbe pure vendersela. Tutti i set
sono rigorosamente (più o meno)
acustici: una chitarra, una voce
trenta minuti a testa. Ma poi, per
fortuna, la situazione sfugge di mano
un po’ a tutti. Fiumani sale sul palco
armato di Telecaster e inchioda alle
sedie i presenti, a oltranza, tra cavalli
di battaglia e chicche inedite tirate
fuori dal cassetto giusto per
l’occasione.
Il terzo a esibirsi è Iain
Matthews ed è incredibile,
semplicemente
incredibile.
Una delle voci più belle del
folk inglese ha letteralmente
rapito i presenti, li ha portati
a fare un giro negli anni 70, e
li ha riconsegnati a Galatina
dopo mezz’ora.
La più attesa e la più
applaudita
(secondo
la
personale classifica di Federico
Fiumani) è Cristina Donà.
Per la prima volta in tutta la
serata, accompagnata dal
fastidioso chiacchericcio dei
presenti, piomba il silenzio ed è
Cristina, bravissima, simpatica,
romantica ad accompagnarci
con dolcezza verso la fine
di una serata speciale. A
rendere il tutto indimenticabile
un duetto inedito tra Cristina
e Federico sulle note di Le labbra
blu, brividi. Alla fine, merito delle
birre, della lingua sciolta di Davide,
della disponibilità di Iain o della
trascinante esuberanza di Federico,
di Giancarlo amico di tutti, la serata
finisce tra gli abbracci sinceri e gli
arrivederci.
Alla fine il pretesto è uno solo: l’amore
e la passione per la musica.
Davide Sapienza e Giancarlo Susanna
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La Malavita raccontata dai Baustelle
Intervista al cantante Francesco Bianconi
di Valentina Cataldo
Baustelle (parola tedesca da
pronunciare in assoluta libertà) è un gruppo con base a
Montepulciano, in provincia
di Siena. Un progetto, nato
nella seconda metà degli
anni ’90, che dopo la solita
trafila di demo arriva all’esordio discografico nel 2000
con Sussidiario illustrato della
giovinezza con la produzione
artistica di Amerigo Verardi.
Il disco guadagna importanti
riconoscimenti e suscita grande curiosità e apprezzamenti
fra pubblico ed addetti ai lavori per la sua (ri)costruzione
di quarant’anni di pop (dalla
canzone d’autore francese e
italiana, all’elettronica, dalla
new wave alle colonne sonore anni sessanta/settanta).
Dopo un cambio di etichetta
discografica (autoproduzione in partnership con BMG
Edizioni, distribuzione Venus)
nel 2003 arriva La moda del
lento che prosegue, ampliandolo e amplificandolo, il percorso intrapreso con il disco
precedente. Anche questa
volta Baustelle collabora con
Amerigo Verardi, in veste di
co-produttore artistico. Il 21
ottobre è uscito per Warner
Music Italy/Atlantic La Malavita. Il disco, come il titolo lascia
immaginare, raccoglie undici
canzoni-manifesto del male
di vivere. Più teso, rock e potente dei precedenti lavori, il
disco sintetizza con eleganza
italiana il wall of sound di Phil
Spector (un’orchestra d’archi
suona in sei pezzi), le colonne
sonore dei “poliziotteschi”,
Gainsbourg, la canzone d’autore italiana, il punk primordiale newyorkese di Modern
Lovers, Television, Blondie e
Ramones. Abbiamo parlato
dei Baustelle con il cantante
Francesco Bianconi.
Terzo album: La malavita.
Innanzitutto,
chi
è
il
destinatario di questo lavoro,
chi può ascoltare e capire
davvero il vostro messaggio?
Non so se abbiamo un
messaggio
“universale”.
Scriviamo canzoni. Vorremmo
che queste canzoni arrivassero
ed emozionassero più gente
possibile. Ecco perché non
viviamo assolutamente come
una costrizione il fatto di avere
firmato per una major.
Disco – dite - dal suono “100%
Baustelle”. Quali sono i vostri
tratti sonori imprescindibili? Su
cosa vi siete maggiormente
soffermati nella realizzazione
e produzione di questo disco?
Prima il suono e poi le parole..
Credo che la cosa bella
dei Baustelle sia quella di
risultare sempre identificabili
nonostante “i vestiti che
cambiano”. Potremmo fare
un disco reggae, e forse
potresti riconoscerci dentro
comunque un po’ di mondo
Baustelle. Per questo disco
volevamo, in partenza, un
suono hi-fi, potente, con meno
elettronica
programmata,
pieno di chitarre e orchestra: il
risultato è effettivamente così,
quindi oggi diciamo che La
Malavita è Baustelle al 100%. In
futuro, speriamo, ci saranno altre
idee, altre aspettative.
La malavita: “Non riconoscersi nel
modello dominante. Un omaggio a
chi a volte non ha esitato a mettere
la propria vita sul piatto per cercare
di averne un’altra”. È così facile
desiderare di avere un’altra vita, ma
quanto è difficile cambiarla?
La società occidentale fondata
sui consumi ha progressivamente
annullato tanti valori sacrali, l’amore
su tutti. L’unico amore puro rimasto
all’occidente liberalista e capitalista
è quello dei cani. Una società che
annulla i sentimenti e il sacro per
sostituirli con impulsi all’acquisto è
una società che si allontana dalla
felicità, nel senso più primitivo che
si può dare a questa parola. Per
questo l’uomo occidentale sogna
un’altra vita, per questo sogna di
andarsene. Ma questa è, appunto,
soltanto la possibilità di un sogno.
Teatro Storchi, Modena. Le città viste
dal basso. Due parole sulle città in
cui hai vissuto. Quanto è importante
l’ambiente che si ha intorno?
È molto importante. Se non
avessi avuto Milano intorno, non
ci sarebbero state molte delle
canzoni de La Malavita. Idem
per Montepulciano e la provincia
senese che hanno ispirato i due
dischi precedenti.
Come mai hai immaginato una storia
vista dall’altra parte, dalla cima di
un albero? Il Corvo Joe è il simbolo
perfetto di questa malavita?
Non ho immaginato tanto… Il Corvo
Joe esiste veramente, ai giardini di
via Palestro a Milano. Io l’ho solo
romanzato un po’. Mi piaceva
raccontare una storia dal punto di
vista di un “giudice” esterno alla
razza umana. Joe, che è brutto
e nero, fa il suo processo ai così
colorati esseri umani occidentali
e alle loro miserie. Vorrebbe tanto
condannarli ma alla fine li perdona.
In fondo, è un surrogato di Dio. Sì, mi
piace pensarlo come simbolo del
disco. Chissà se è ancora vivo.
Nuovo sito (costruito come i numeri
di un giornale), tante date. Qualcuno
ha detto “la tigre è ancora viva”...
Beh, sì, è un po’ come ci sentiamo
adesso. Nella nostra piccola storia,
questo è la prima volta in cui ci
sentiamo così compatti e affiatati.
La prima data è già passata, a
Cavriago. Come è stato
ritornare sul palco? Quali
sono state le prime, più forti,
emozioni? Il 25 novembre
sarete da noi, a Lecce, felici
di arrivare nel Sud?
A Cavriago è stato bellissimo,
grande accoglienza, locale
stracolmo, eravamo molto
emozionati. In tanti dopo il
concerto ci hanno detto che
non ci avevano mai sentiti
suonare così e noi ne siamo
stati felicissimi. Personalmente,
suonerei soltanto al sud e
Lecce è una città fantastica.
Sul sito si accenna già al
nuovo disco “che potrebbe
essere completamente altro”.
Già qualche idea?
Sì, molte. Ma potrebbero
cambiare e quindi non mi
sbilancio.
In ultimo, davvero non piangi
mai sugli amanti lasciati al
binario del treno?
Piango al momento, nel
ricordare non piango. E poi
più si invecchia e più il cuore
incartapecorisce. Leo Ferrè
diceva “Col tempo sai, non
ami più”.
Keep Cool
Neil Young
Prairie Wind
Reprise
di Lorenzo Donvito
Esiste modo e modo di parlare
di un musicista e del suo lavoro,
normalmente la giovane età
dell’artista porta ad essere un po’
meno esigenti, per il semplice fatto
di avere difficoltà nel calibrare il
giudizio (…non tutti sono dei Ryan
Adams in “crisi di iperprolificità”).
Diversamente succede quando si
ha che a che fare, per esempio,
con un Neil Young al suo
ventottesimo disco che ritorna
a Nashville, luogo che ha dato i
natali a uno dei lavori più famosi
della sua discografia. Stiamo
chiaramente parlando di Harvest
(1972), senza dimenticarci che la
capitale del Tennessee ha visto
nascere anche Cames A Time
(1978) e Harvest Moon (1992),
tutti dischi imperniati su un certo
tipo di ballate acustiche intimiste
e compagne tanto delle nostre
tristezze, quanto delle nostre più
profonde “incazzature”.
Ecco, se Neil Young fosse una collezione di vestiti lo presenteremo
come una collezione adatta a
tutte le stagioni della nostra esistenza e dei nostri umori.
A questo giro, tra un’aneurisma,
fortunatamente curato in tempo,
e l’ennesimo lutto, la morte del
padre, il “loner” dell’Ontario
sulla strada per Nashville si deve
essere ricordato di un disco
come This Note’s For You (1988).
E sicuramente molto ha fatto
l’incontro con Wayne Jackson
dei Memphis Horns, “vera anima”
degli arrangiamenti rhythm and
blues di questo disco. Sono tante
le cose che potrebbero essere
scritte e che sono state scritte su
un lavoro come Prairie Wind: tutto
e il contrario di tutto...
È vero che Here For You ricorda
From Hank To Hendrix; sì, certo,
This Old Guitar ha il riff uguale
a quello di Harvest Moon, ma
è
importante?
Ricordiamoci
che il “vecchio Neil” non può
assomigliare altro che a se stesso
e che certi azzardi, dal blues
nervoso di Prairie Wind al rhythm
and blues farcito di gospel e
country di No Wonder o di He Was
The King, se li possono permettere
in pochi. Se poi, per caso, avete
una decappottabile, un cappello
da cow boy e quando siete
depressi vi tirate su con un vecchio
lp di Sam & Dave, beh, Far From
Home è la vostra canzone.
In una recente intervista il
cantautore
canadese
ha
ricordato le parole che usava
dirgli suo padre, Scott Young,
noto giornalista sportivo: “Anche
se non ti va di scrivere, siediti e
fallo, tutto quello che esce va
bene, non ti preoccupare, scrivi
e basta. Poi un giorno, quando
penserai di non avere più niente
in testa, rileggerai le tue cose e
ti sorprenderai nel vedere quello
che invece hai. Non ci pensare,
non giudicare, solo fallo, siediti
e scrivi.” Che dire? ...Keep On
Rockin’...
Pop, Alternative, Metal, Elettronica, Lounge, Italiana, Indie
la musica secondo coolcub
KeepCool
10
Slugs
Bob Berdella Bizarre Bordello
Black Candy Records
Slugs, giunti al secondo
capitolo, sono la classica
mosca bianca. È un po’
come sentire certe cose
del grunge suonate con
l’asciuttezza di una garage
band o di una indie rock
band. Non so se fosse questo
lo scopo o l’ispirazione
della band, e poco mi
frega. Una cosa è certa:
Piaceranno agli orfani
dell’uno e ai tenaci seguaci
degli altri due. Esempi?
A profusione. Ed Gein è
una riuscita e allucinata
jam fra Jon Spencer Blues
Explosion, primi Pavement
e Pixies. Green River Killer,
una bizzarra ballata sospesa
fra mad season-memorie e
telluriche sferzate di batteria
(con tanto di scratches in
coda?!). Sand: evoluzioni di
sax e acide chitarre; Alice
in chains e Screaming trees
dietro l’angolo. The Day
They Put Down Land From
Hollywood e Love Part Two:
un Lanegan che si buca
ancora. Salix Dead Tree: lo
strumentale tutto evoluzioni
chitarristiche. “I’m just
another John Wayne, I’m
just a Citizen Kane” cantano
in I Could Have Been A
Contender. Una nota interna
alla copertina: “forse i serial
killers sono gli ultimi veri punk”.
Che dire? Seattle chiama,
l’inverno si preannuncia duro
e dopo aver fatto i compiti
ascolterete dischi come
questo. Tanto fuori piove.
(Sergio Chiari)
Honey For Petzi
Man’s rage for black ham
Gentlemen records
Gli Honey For Petzi sono
dediti a quello che io ormai
definisco “sudoku rock”
(come dite? Math-rock?
Mai sentito nominare).
Detto questo, non si può
affermare che il loro
sia un disco, ahemmm,
imprescindibile per il genere.
Soprattutto i primi quattro
pezzi potranno crogiolare le
orecchie degli avventori di
una mostra d’arte trendyminimale, ma nulla più.
Procedendo nell’ascolto
operano una parziale svolta
con la “reversata” Blakam,
grazie anche all’utilizzo
dell’elettronica, e con un
brano cantato come Trust
The Square, e il tutto si fa più
interessante. Salvo ritornare
poi, un po’ caparbiamente,
allo stimolante sound di cui
sopra, senza affrancarsene o
elaborarlo. Già, stimolante.
Del resto, dov’è che muniti
di penna e gomma aprite il
vostro libro “Sudoku”? Stiamo
parlando di una seduta di 42
minuti e fischia, però. (S.C.)
Clevis hat
Clevis hat
Arab sheep
Qualche fan della Bella
Union? Perchè questi Clevis
Grandaddy
Excerpts From the Diary
of Todd
V2
di Osvaldo Piliego
“È passato così tanto tempo
dall’ultimo disco, non volevamo
entrare a casa della gente senza
avvisare, l’ep è un po’ come
una telefonata per dire stiamo
arrivando”. Queste sono le parole
di Jason Lytle, leader della band,
che annunciano e presentano
questo prezioso ep in attesa della
nuova prova sulla lunga durata
dei Grandaddy. Risale al 2003
il bellissimo Sumday successore
dell’ineguagliabile The Sophtware
Slump, una lunga attesa prima del
nuovo episodio in musica della band
di Modesto, California, che arriverà
solo nel 2006. Un periodo di pausa
in cui la band di barbuti nonnini si è
spinta verso un’ulteriore evoluzione
del suono. Dopo aver ridisegnato
in parte l’estetica di un certo indie
pop sognante, psichedelico e
sghembo i Grandaddy sembrano
marcare ancora di più, con questo
ep, i loro tratti distintivi. E se il dolce
diventa dolcissimo, il forte è una
sventola che non ti aspetteresti.
L’elettronica minimale acquista
risalto e fa convivere pacificamente
tutto con la stessa leggerezza e
semplicità a cui la band ci ha da
sempre abituato. Sofisticati senza
che uno se ne accorga, riescono
anche in sette tracce a fare scuola
alla schiera di figlioletti sparsi un po’
in tutto il mondo. A natale i nonni
ci faranno un bel regalo, e noi non
vediamo l’ora.
Silver Jews
Tanglewood Numbers
Drag city records
Silver Jews è come una creatura
mutante con una grande testa. La
testa è quella di David Berman, tante
le forme che gli elementi succedutisi
all’interno del gruppo hanno dato
a questo progetto. Da Stephen
Malkums e Bob Nastanovich dei
Pavement all’eclettico folksinger
Will Oldham la lista è lunga come
gli ormai dieci anni di carriera. Il
tempo, come il vino, ci restituisce
un disco pieno di sapori intensi
dalla lunga permanenza e dal
retrogusto piacevolissimo. Senza
essere eclatante, questo nuovo
disco si compone di canzoni che si
discostano in parte dal minimalismo
low-fi del passato, per suonare più
complete e arrangiate del solito. La
voce sporca, bassa e profonda di
Berman fa di questo disco qualcosa di
terreno, cigolante, maschile come il
country di Jonnhy Cash, introspettivo
come l’alternative degli Smog, o
commovente come i Lambchop.
Moderno e classico al contempo,
senza sbavature ma slabbrato,
indolente Berman si perde e ci fa
perdere nelle sue ballate piene di
poesia e letteratura. Il confine, forse
il giusto compromesso, tra quello
che non si deve dimenticare e ciò
che c’è di nuovo e bello e non si può
ignorare. Fuori dal mercato, fuori dal
tempo, Tanglewood Numbers è un
disco che non vuole convincere
nessuno ma solo suonare e suonare
ancora. (O.P.)
Iron & Wine / Calexico
In the Reins
Touch and go
Quando due band o due artisti
collaborano le alchimie prodotte
sono sempre strane e spiazzanti.
È una questione di personalità
musicali, di predominanze ed
equilibri. Nel caso di Iron & Wine (al
secolo Sam Beam) e Calexico (band
di Tucson, Arizona, capitanata dal
duo Joe Burns-John Convertino) i
pianeti a confronto non sembrano
orbitare poi così distanti e l’incontro
è morbido, complementare. Iron
and Wine sembra aprire le finestre
della sua casa ai suoni pieni di
atmosfera, ariosi e desertici dei
Calexico. Questi ultimi sembrano
aver messo da parte gli speroni
per indossare comode pantofole.
Il disco è un continuo scambio, un
impreziosirsi di trame in cui le qualità
di entrambi vengono messe in
risalto sotto una nuova luce. Tra folk,
svisate jazz, Messico e tantissime
nuvole ci si perde in sette episodi
leggeri che volano via insieme a
una manciata di minuti di bellissima
musica. In questo episodio, che
secondo le dichiarazioni non resterà
isolato, le canzoni sono scritte da
Beam e interpretate e arricchite
dai Calexico, magari in un futuro
non lontano sarà il contrario.
Una cosa è certa, fan dell’una e
dell’altra fazione non resteranno
delusi, gli amanti delle belle canzoni
scopriranno due grandi artisti in un
colpo solo. (O.P.)
Hat cascano proprio a
fagiolo. Classicità pop da una
parte, modernità dall’altra
(che qui nella fattispecie si
esplica con un massiccio
uso del programming). Tenui
ballate autunnali, rumorose
il giusto, i cui referenti se li
spartiscono rispettivamente
Francia, Germania e
Inghilterra. E più di qualche
puntatina in Scozia. Pensate
agli Arab Strap (sì, senza la
voce di Aidan) a braccetto
con Gainsbourg: così lontani,
così vicini. Roba che di questi
tempi anche la Morr. (S.C.)
Echo and the bunnymen
Siberia
Cooking Vinyl
Three in one gentleman suit
Some new strategies
Blak candy records
Facile recensire dischi come
questo. È un po’ come
parlare agli aficionados,
che ne so, degli Smiths.
Esistono dischi che non
li scontenteranno, e
compreranno qualcosa che
gli si avvicini o che sia un
eventuale proseguimento o
evoluzione (ancora meglio)
del sound della band
prediletta. I Three In One
Gentleman Suit sono puro
Karate spleen-dore (dalle
parti di The Bed Is In The
Ocean). Ovviamente c’è
dell’altro: il divertissement di
Underwater, My Samba, le
evoluzioni basso/batteria di
Approach/Arrival. Ma c’è
anche la stessa compostezza
di quella band che riusciva
a trattenere le emozioni più
esplosive in un suono asciutto,
plumbeo, che sembrava
venire dall’hc per andare a
toccare chissà quali corde
del cuore. Prendere o
lasciare. (S.C.)
Gli Echo and the bunnymen
hanno un conto in sospeso con la
storia. Precursori negli anni ‘80 di
un genere che per alcuni sarebbe
diventato wave e per altri pop,
non ne hanno raccolto, almeno a
livello popolare, gli stessi consensi.
Ma Ian McCulloch e soci, autori di
pietre miliari della musica come il
fondamentale Crocodiles del 1980
non si sono arresi e dopo la recente
reunion continuano a suonare e
a fare dischi. La polvere non può
coprire le bellezze che una band
come questa ha sempre sfoggiato
con garbo, ma le può nascondere
o magari solamente appesantire un
po’. Non c’è la freschezza di quegli
anni incredibili in cui Ian insieme
a Julian Cope scriveva pagine
indelebili sul libro della musica. C’è
nostalgia, ci sono le canzoni, c’è
lo stile, ma tutto con un distacco
e una freddezza che sembrano
giustificare il titolo dell’album. La
chitarra di Will Sergeant, una delle
più belle che abbia suonato negli
anni 80, ha ancora in serbo lezioni
di stile un po’ per tutti, la voce di Ian
più pacata non ha perso fascino
ed eleganza, ma sembra mancare
ispirazione.
Nonostante
una
prova non brillante Echo and the
bunnymen rimangono una colonna
portante del suono inglese dagli
anni 80 in poi, pensateci ogni volta
che mettete su un cd di ventenni
con le magliette attillate. (O.P.)
The Others
The Others
Poptones
Tralasciando le storiacce che
circolano sulla band, amica
dei Libertines, mi soffermerei
sull’aspetto peculiare del
gruppo, l’essere il più lowfi della combriccola new
rock. A dispetto di quanto si
dica in giro, questi ragazzetti
di talento ne hanno, e
parecchio. Cialtroni, ambigui
figli della classe operaia,
creatori e promotori dei
“guerilla gigings” (concerti
improvvisati in treni della
metropolitana londinese o
in angoli oscuri del centro),
i The Others hanno saputo
come spostare su di se la luce
dei riflettori e i media inglesi
(che sono i più boccaloni del
mondo) sono caduti nella
loro rete. Dominic Masters,
il front man, è il sogno di
qualsiasi giornalista di un
tabloid britannico: amico di
Pete Doherty (ex Libertines
e fidanzato di Kate Moss),
legato sentimentalmente a un
transessuale al quale ha pure
dedicato un pezzo incluso
nell’album, Johan, e tossico
dichiarato (come esplicitato
in Psychovision). L’esordio del
gruppo è altrettanto rude,
poco calcolato, immediato
KeepCool
e politicamente orientato e
scorretto (vedi il loro primo
successo, This is for the poor,
ribattezzato “l’anatema punk
del momento”). Si direbbe
che navighino sulla stessa
rotta degli Art Brut, forse
ancora meno raffinati di
questi (si sente molto la puzza
di Sex Pistols e Stooges…), se
possibile.
Cardigans
Super extra gravity
Stockholm Universal
Tornano i Cardigans e lo
fanno con un disco ormai
lontano dagli esordi in salsa
pop vintage. Molto più vicino
al loro album Granturismo
(1998) la band sfodera il suo
lato più rock. Sembra si siano
ispirati ai Pixies e ai Sonic
Youth per la realizzazione di
questo Super extra gravity.
Il risultato è un sound alla
Garbage, un impatto più
aggressivo nei testi e anche
nell’immagine della bella
Nina Personn che mette in
soffitta gli abiti da brava
ragazza per proporsi più sexi
che mai. Un buon disco di un
gruppo capace di rinnovarsi
restando sempre sulla cresta
dell’onda.
Paul weller
As is now
V2
Per gli appassionati di
cultura mods, Paul Weller
è un’icona. A cominciare
dai Jam, passando per gli
Style Council fino ad arrivare
alla sua carriera solista si è
sempre contraddistinto per
stile. Quella deriva bianca del
soul, del r’n’blues, macchiato
di pop, punk e rock. Stagioni
musicali che lo hanno visto
in continua evoluzione, mai
uguale ma sempre fedele
a se stesso e alle sue radici.
Gli anni passano ma non
sembrano pesare sulle spalle
di Paul Weller che ci regala
un disco in cui gli elementi
rock dettati a gran voce
dalla sua chitarra sempre
graffiante si riposano a tratti
su ballate morbide cesellate
da preziosi arrangiamenti di
fiati. Ci sono, in questo disco,
tutte le sfaccettature della
sua personalità musicale,
miscelate con equilibrio e
maestria e suonate come
il rock comanda. Niente
orpelli ma eleganza, grinta,
maturità, passione dichiarata
per sonorità e soluzioni d’altri
tempi si sommano in As is
now. Se vi piacciono i più
giovani Ocean Color Scene,
se vi sono piaciuti Zutons e
Coral, fate un giro da queste
parti per vedere dove tutto
ebbe inizio. (O.P.)
Animal Collective
Feels
FatCat 2005
di Valentina Cataldo
Suoni campionati e trame
elettroniche si intricano e
mischiano ad armonie vocali
e ad una strumentazione
tradizionale per dar vita a
11
The Walkabouts
Acetylene
Glitterhouse
di Osvaldo Piliego
Acetilene: gas incolore, di odore
agliaceo, infiammabile, soggetto
a fenomeni di decomposizione e
polimerarizzazione. Non è tossico,
ma ha azione narcotica. Questa è
la definizione scientifica di quello
che è stato scelto come titolo
per l’ultimo disco dei Walkabouts.
Rappresentano, dagli anni 80
ormai, la faccia impegnata del
rock americano. Il loro rock a metà
strada tra il roots e derive più country
e folk, ha subito cambiamenti ed
evoluzioni restando però sempre
coerente. La voce ruvida e
sabbiosa di Chris Eckman e quella
più morbida di Carla Torgeson ci
hanno sempre regalato affreschi
crudi dell’America. Il sound del
nuovo album sembra corrispondere
al titolo: brucia nel suo essere quasi
punk rock old school, stordisce nel
suo essere violento ma allo stesso
tempo riflessivo. Si respira l’acre
odore dell’amarezza, rumoroso
senza sentire il peso e l’eredità
del grunge, che proprio a Seattle
(loro città natale) è cresciuto e
pasciuto. Diretto e tagliente nei testi
e negli arrangiamenti, senza fronzoli,
essenziale. Dopo episodi più morbidi
i Walkabouts tornano con un disco
che ne ricorda le origini: grezzo,
incazzato, politico.
Calla
Collisions
Beggars Banquet
di Federico Baglivi
Furono da queste parti salentine
nell’inverno di due anni fa, e non
ricordo per quale serissimo motivo
(doveva essere dannatamente
serio) non andai a vederli, ricordo
però bene l’amarezza per quella
mancanza. Tanto che da allora con
la regolare cadenza di almeno due
volte al mese visito la sezione tour
del loro sito, sperando un loro volo
transoceanico e una ricomparsa
da queste parti. Ma veniamo al
dunque: I Calla firmano con la
Beggars Banquet ed esce Collisions,
loro quarto album, prodotto da
Chris Zane come fu per Televised,
e missato da Victor Van Vught
(Nick Cave, PJ Harvey). Non c’è
che dire, è diverso dai precedenti.
Ora non voglio dire che i Calla
abbiano iniziato a fare no-wave
o glitch-pop, ma probabilmente
hanno risentito anche loro alla
grande di questo revival new-wave
che circola da un po’ di anni, con
il suo centro maggiore proprio
nella Grande mela. Un po’ meno
tristi di Televised, meno struggenti,
caratterizzati comunque da quelle
loro sonorità cristalline e spigolose
provenienti da chitarre sommerse.
Meno statici in definitiva e carichi di
calde atmosfere incalzanti, restano
inconfondibili nel loro sound anche
in questo album, undici tracce che
sembrano avere tanto il sapore
della svolta.
Constantines
Tournament of Hearts
Sub Pop
di Livio Polini
Attraverso il precedente Shine a
light, una perfetta espressione di
post punk contaminato, i Constantines, promettente quintetto di
Toronto, erano riusciti a farsi notare positivamente agli occhi dalla
stampa internazionale. Con il loro
nuovo e terzo album, Tournament
of hearts, decidono di fare le cose
in grande coinvolgendo nel progetto Jeff McMurrich (Sea Snakes,
Hidden Cameras, Picastro) e Fat
Bobby Matador (Oneida). Si intuisce
la voglia di rivolgersi ad un pubblico
più vasto, abbandonano infatti alcuni ornamenti sonori (forse non più
utili) donando così una percepibile
solidità e compattezza. Le sonorità
adesso sembrano prendere molta ispirazione dal rock del passato,
dalla tradizione classica, l’impatto
è decisamente buono,
sembra
di sentire un incontro tra Fugazi e
Springsteen che eccezionalmente
smettono di snobbarsi a vicenda.
Sicuramente ci troviamo di fronte
ad un album vero, anche nei testi:
l’amore, le difficoltà sentimentali,
l’instabilità emotiva, i rapporti complessi, l’incomunicabilità, la ricerca
della verità. Un album intenso, viscerale, di storie reali, forse la prova
della maturità. Ma basterà questo
per consacrarli definitivamente? Lo
sapremo presto.
Broken Social Scene
Broken Social Scene
Arts & Crafts
di Livio Pollini
Siamo di fronte ad uno dei gruppi
più importanti della scena musicale
alternativa canadese. Nati da
un’idea di Kevin Drew e Brendan
Canning, i Broken Social Scene
rappresentano un progetto di
grande interesse, un incontro
di artisti provenienti da più parti
(Feist, Stars, The Apostle Of Hustle,
Silver Mt Zion,…). Con questa terza
attesissima prova i B.S.S. cercano
di mantenere (anche se è davvero
difficile) la qualità del precedente
indiscutibile capolavoro You Forgot
It In People. Giostre sonore di alta
sperimentazione, incontri e scontri
fra acustica, elettrica ed elettronica,
giochi di chitarre e batteria,
progressioni improvvise, fiati, sussurri,
canti storditi, questi sono solo alcuni
degli elementi che convivono e
stupiscono in quest’opera. Salvo
in piccoli momenti di indecisione,
l’album sembra scorrere fluente,
ben coordinato nei suoni e nelle
voci, dimostrando punte importanti
di qualità. Non è mai facile riuscire
a far convivere in un gruppo
personalità ed attitudini musicali
così diverse, ma queste diversità
anziché debolezza, si dimostrano
la vera qualità che caratterizza il
collettivo, che ci regala ancora una
volta una notevole espressione di
alt-rock contemporaneo.
Feels, sesto lavoro per la
squadra capeggiata da
Avey Tare. Più melodico
ed accessibile rispetto ai
precedenti, questo disco
non è comunque facilissimo
da capire. Sono necessari
diversi ascolti per notare ed
apprezzare quelle variazioni
di tempo, di toni, di ritmi che
rendono questo disco ricco
e denso. Si passa dall’aria
rarefatta e diluita del primo
pezzo agli accordi gioiosi e
veloci di Grass, il singolo di
quest’album, caratterizzato
dalle urla sfrenate di Avey
Tare e da una batteria sciolta
e potente. Bellissimo, per
l’aria sospesa che evoca e
per gli strumenti sovrapposti
che creano una piacevole
confusione, il terzo pezzo
dell’album. Poi la natura
del disco varia, si apre una
seconda fase, si ritorna ad
un tempo rallentato, ad
atmosfere più soffuse, si
ritorna agli strumenti classici,
all’arpa. Il più bel pezzo
del disco, è Banshee Beat,
con chitarre post rock che
si rincorrono, una base
elettronica che crea un
ritmo sostenuto ed una voce
dolcissima. Senza dubbio un
lavoro dalle mille sfumature,
ipnotico, gioioso, introspettivo
e a tratti malinconico. Per tutti
i gusti, gli umori, i momenti.
Fiona Apple
Extraordinary Machine
Epic/Sony
Dopo una lunga gestazione
e una prima versione
“sconfessata” finita nella
rete esce il terzo straordinario
album “riveduto e
corretto” di Fiona Apple.
Extraordinary Machine segna
il ritorno della cantautrice
americana a sei anni di
distanza dal precedente
When the Pawn… Un disco
sull’abbandono scritto dopo
la separazione – badando
ad un po’ di sano gossip
- dal regista Paul Thomas
Anderson (autore di
Boogie Nights e Magnolia).
Nonostante qualche
concessione alla Epic/Sony,
che pare ritenesse l’album
nella sua prima versione
troppo poco commerciale,
la Apple mantiene uno
standard altissimo con
ballate ben arrangiante, tutte
appoggiate sulla sua voce e
sul suo piano. O’ sailor, Please
please please e Not about
love sono brani notevoli.
Classe limpida e personalità
da vendere.
Paul Anka
Rock swings
Verve
Nel pieno revival dello swing
mascellone, uno dei suoi
padri riconosciuti, prende
il microfono in mano e
reinterpreta con l’orchestra i
grandi classici del rock. Smells
like teen spirits e Jump di Van
Hallen come non le avete
mai sentite.
KeepCool
12
Nine Black Alps
Everything is…
Island
Direttamente da Manchester
arriva a rivitalizzare le sorti del
rock ‘n’ roll l’album d’esordio
dei Nine Black Alps, quartetto
strapromettente capitanato
da Sam Forrest. Nella mente
tanta, tanta voglia di Nirvana.
Per loro si sono scomodati
paragoni con Buzzcocks,
Pixies e Foo Fighters e non
sono fuori luogo, occorre
dirlo. L’idea alla base sembra
quella di una sintesi tra i
“primi” Oasis e i Nirvana di
Nevermind – decisamente
azzeccata, visto come suona!
Di sicuro c’è la volontà, da
parte del gruppo, di riportare
in auge “antiche” istanze
grunge e di posizionarle in
un contesto indie. A noi basti
sapere che questo Everything
is… è una delle cose più
interessanti in circolazione
nel panorama del new
rock inglese. Indispensabile
e consigliatissimo a tutti i
rokkettari.
Maximo Park
A certain trigger
Warp
Con il loro primo album
conquistano il cuore di tutto
il paese e (ce lo auguriamo)
di tutta Europa. Davvero un
bellissimo lavoro indie questo
A certain trigger. Perché
di puro (art) rock ‘n’ roll si
tratta, ballabile e godibile
anche da ascoltare, con
chitarrone elettriche in primo
piano, piccoli e preziosi
inserti elettronici di tastiera e
lo splendido timbro vocale
di Paul Smith (che i più
accostano al compianto Ian
Curtis). I nostri, infatti, riescono
a confezionare canzoni indiepop micidiali tutte da ballare
(Postcard of a painting, All
over the shop soprattutto)
e per di più non banali,
realistiche e sincere nella loro
disarmante crudezza. Un po’
di retrologia va fatta: e allora
emergono prepotentemente
gli anni ’60 con l’organetto
e i coretti, la new wave e
forse una leggera ombra
di surf. Ma soprattutto
spicca il riferimento agli
Smiths. Dall’apripista Signal
and sign allo splendido
ultimo singolo Graffiti,
passando per la brillante
Going missing, The coast is
always changing e l’insolita
Acrobat (decisamente
diversa dalle altre canzoni
inserite nell’album, più
lunga e psichedelicamente
lenta) i Maximo Park ci
accompagnano per la
prima volta nel loro mondo
“senza miti” e ci parlano
un linguaggio che tutti noi
possiamo capire, quello
dolceamaro della vita di tutti
i giorni.
Brit pop revisited
a cura di Emanuele Carrafa
Brit pop è un’etichetta effimera come
tutte quelle usate per incasellare in
un genere la produzione artistica. La
musica è impalpabile e sfuggente,
sguiscia via dalle mani (e dalle
orecchie)
come
un’anguilla,
impossibile confezionarle un vestito
per quanto confortevole possa
essere. Di certo non è questo il
posto più giusto per filosofeggiare
sull’argomento, perciò ritorno a
bomba; si parlava di etichette, giusto?
Quella del brit pop accolse sotto di sé
un novero quasi sterminato di gruppi
più o meno famosi e rappresenta un
marchio registrato della musica anni
‘90. Le caratteristiche salienti erano
un rock leggero e ballabile, testi
poco impegnativi, appeal scazzato,
look decisamente alternativo ma di
tendenza. Insomma, artisticamente
parlando, niente di rivoluzionario. Ma
ebbe una eco mondiale, perché
ripropose lo spirito della “british
invasion” anni ‘60 segnato dalle
battaglie musicali di Beatles e Rolling
Stones. Tutto ebbe inizio, almeno
nella maniera più eclatante nel 199495 con Oasis e Blur. Il loro successo
fu (e rimane ancora) planetario. Nel
calderone finirono anche gruppi
come i Placebo, Suede (ora Tears),
Supergrass, Elastica, Stereophonics,
Tindersticks, tutti ancora più o meno
attivi. Ma il marchio brit pop, in quanto
moda, andò perdendo significato nel
tempo e finì per raccogliere sotto la
propria ala protettrice un po’ di tutto,
dai Radiohead alle Spice Girls. Ma
Bloc Party
Silent Alarm
V2 Record
Sono senza dubbio i caposcuola
della vendetta del brit pop targato
2000. Scoperti dai Franz Ferdinand
dopo appena un EP e un album
in studio hanno conquistato un
po’ tutti. Sul loro talento e le loro
possibilità future ci sono pochi
dubbi e chi li ha ascoltati dal
vivo se ne sarà reso conto. Sono
decisamente superiori alla media
e Silent alarm si candida ad essere
uno dei migliori prodotti dell’indie
rock anglosassone di quest’anno.
Vuoi perché hanno dalla loro un
cantante e front man come Kele
Okeleke capace di fondere in se il
fascino e il carisma di un Morrissey pur
mantenendo inalterata la propria
apprezzabilissima
personalità.
Vuoi perché sono stati capaci di
regalarci 13 pezzi da 90, dall’iniziale
Like eating glass (che conserva in se
tutta la ferocia tagliente dei peggiori
anni ’80, nella batteria serrata e nelle
chitarre sferraglianti) all’irresistibile
Banquet, uno dei migliori singoli
UK in assoluto, dal dark rivisitato in
chiave Joy Division di She’s hearing
voices e Prince of gas, fino a brani
“rallentati”, oscuri e a tratti ipnotici
come So here we are, Pioneers,
Plans e Compliments. L’animo più
pop prevale in pezzi come This
modern love. Indispensabile per
tutti i cultori dell’indie e per tutti
quelli che si strappano i capelli e si
scatenano in pista con la musica
degli anni ’80.
oggi? Oggi si assiste ad una nuova,
travolgente ondata di creatività
rock made in UK, grazie alla statura
artistica di gruppi come Bloc Party
e Kaiser Chief, tutti accomunati da
una fertile vena creativa e da un
approccio forse meno modaiolo dei
loro predecessori, ma più innovativo.
Per loro si è parlato di “new rock
movement” o di “vendetta del brit
pop”. Quello che conta è sapere
che questi artisti, tutti giovanissimi,
hanno cognizione di quello che è
stata la musica nel loro paese; hanno
fatto proprio un bagaglio culturale
prezioso (il punk, il dark e soprattutto
il pop) e sono riusciti a sintetizzare,
ciascuno in maniera originale, uno
stile proprio. E allora si pesca a piene
mani da un patrimonio che va dal
rock anni ’60 (Art Brut, Maximo Park) ai
Clash e ai primi U2 (gli ultimi Coldplay
per esempio), dai Sex Pistols (i Beat
Up e i The Others) fino ad arrivare a
Depeche Mode, Cure e New Order
(soprattutto Bravery ma anche i Bloc
Party). Chiaramente numerosissime
sono anche le altre fonti dagli
Stooges ai Nirvana tanto per dirne un
paio. L’elemento più importante resta
l’urgenza di comunicare che produce
i frutti migliori. E l’immediatezza,
la semplicità con cui questi artisti
dell’underground
riescono
a
esprimere le situazioni più disparate.
Brit pop revisited o new rock che sia,
vi forniamo un pretesto per ascoltare
alcuni album interessanti apparsi in
questo 2005.
Kaiser Chiefs
Employment
B-Unique
Employment garantisce 45 minuti
buoni di ottimo sapore pop in
salsa indie, con una spruzzatina di
elettronica e di tutto quello che
c’è nel mezzo. Anche qui si parla
di debutto per questo quartetto
di Leeds, che, purtroppo, ha
recentemente dichiarato di volersi
sciogliere dopo la pubblicazione
del
secondo
album
(trovata
pubblicitaria?). Con la produzione
di Stephen Street che infonde
tutta la sua magia nell’album e
con Graham Coxon che collabora
alla realizzazione di Saturday night,
è facile immaginare un qualche
nesso con la musica dei Blur
(che gli stessi Kaiser riconoscono
tranquillamente). Altre fonti che
potrebbero venire in mente sono i
Talking Heads, i Kinks, gli Yardbirds….
i Simple Minds! Employment si
presenta un po’ come un viaggio
all’interno del british pop, dalle
origini ai giorni nostri. Le canzoni sono
così perfettamente confezionate
e gradevoli da essere appiccicose
già dopo il primo ascolto (provare
per credere con Na na na na naa);
inutile cercare di liberarsene. Qui,
tra queste 12 tracce dalla melodia
trascinante, nei coretti punk e nei
testi brillanti c’è tutto quello che il
pop non è stato capace di proporre
negli ultimi anni - cosa sono canzoni
come I predict a riot e Everyday
I love you less and less altrimenti?
Imprescindibile.
Art Brut
Bang Bang rock & roll
Fierce Panda
Il diario di un ventenne
(Eddie Argos) che rimugina
- in prima persona e con un
linguaggio semplice come
i pensieri di un “everyman”
su un giorno qualunque - e
racconta di vecchie fiamme,
delle nuove, del suo fratellino,
dell’arte moderna, del suo
gruppo, degli altri gruppi,
della lira italiana e di Los
Angeles. Il tutto enfatizzato
da un entusiasmo inusitato ed
elevato al rango di anatema.
Così si potrebbe riassumere
semplicisticamente l’esordio
degli Art Brut, simpaticissimo
gruppo di South London.
Il punto di forza di questo
lavoro sta nella volontà di
“primitivizzare” il rock ‘n’ roll,
di lasciarlo involgere alla sua
forma più istintiva, più bruta
appunto – ha una spiccata
vena punk per capirci.
Non ci aspettiamo, perciò,
chissà quali testi. Stupisce
piacevolmente, invece, il
modo in cui questi ragazzi
riescono a riproporre e a far
sembrare roba fresca generi
abbastanza datati. E allora
lasciamoci brutalizzare dalle
loro canzoncine un po’
cazzone e senza pretese
e mandiamo al diavolo i
perbenisti che rifuggono dalla
leggerezza. E poi come si
fa a non lasciarsi travolgere
dall’allegria di un pezzo
come Moving to L.A.?
Athlete
Tourist
Parlophone EMI
Qui sembra non essersene
accorto nessuno, ma gli
Athlete hanno sfornato
uno dei dischi più belli usciti
nel 2005. A differenza di
quanto successo con Doves
e Idlewild, due gruppi che
dopo l’esordio promettevano
mari e monti e in parte hanno
disatteso l’appuntamento
con la storia, gli Athlete,
dopo lo splendido esordio
del 2003 con Vehicols
and animals, tornano con
questo Tourist più maturi e
commoventi che mai. La
parola d’ordine è malinconia,
sottolineata musicalmente
da una potente dose di
archi e piano, linee guida
dell’intero album – una vera
raccolta di torch songs. Facile
innamorarsi sulle note di una
Trading air o di una Street
map; e come non rimanere
incantati dall’eleganza di
brani come Wires. Scusate,
ma a volte è piacevole
sentirsi disgustosamente
romantici e sapere che c’è
chi ti capisce. Da questa
trappola melensa sfugge un
pezzo come Modern mafia,
decisamente più dinamico e
“allegro”.
KeepCool
Boards Of Canada
The Campfire Headphase
Warp
In questo nuovo terzo album il
complesso miscuglio di suoni
a cui ci aveva abituati il duo
scozzese (Mike Sandison e
Marcus Eoin) nel precedente
e mirabile Geogaddi
viene ora abbandonato
per lasciare spazio alla
semplicità e alla leggerezza,
non rinunciando per questo
all’eleganza che rimane
nota distintiva di tutta la loro
produzione. Suoni attenuati,
ritmi semplici per viaggi
ipnotici, atmosfere distese.
Certo, però, davvero non è
facile scordare gli album del
passato, caratterizzati da
ritmi ossessivi, da imprevedibili
attimi di bizzarria, da trovate
geniali, come non fare un
paragone. Da questo nuovo
lavoro forse molti come
me si sarebbero aspettati
un ulteriore evoluzione,
nuovi sperimentazioni, ma
il meglio probabilmente è
già stato dato. Fosse questo
il loro esordio ne parlerei
sicuramente in maniera
più entusiasta, infondo The
Campfire Headphase è
una buona espressione di
ambient elettronica, ma i
fantasmi ritornano, è tutta
colpa loro. E se la chiave
giusta per apprezzare meglio
quest’opera fosse quella
di pensare che ai Boards
Of Canada, come anche
ad altri è successo, a un
certo punto della carriera, è
venuta voglia di cambiare,
di provare nuove strade? In
bocca al lupo! (Livio Polini)
Winter beach disco
Winter beach disco
Maracaibo records
Pare una tendenza.
Ricordano gli ottimi Super
Elastic Bubble Plastic
(che presto saranno a
Lecce). Della serie, si può
suonare rock con foga
quasi “hardcore”? Si
può e funziona. Prova ne
siano questi sette spediti
brani dell’omonimo disco
di debutto dei valenti
Winter Beach Disco. Piace
l’attitudine progressiva di
Meet Me At The Cuba Libre
Tonight e Jesus Quintino, che
suona goth nell’attacco.
Impastate Fugazi, Danko
Jones, At The Drive In con un
po’ di sano ‘roll e sappiatemi
dire. Oppure compratevi
questo disco che fate prima.
(S.C.)
Adult
Gimme trouble
Thrill jockey
Come già avevano fatto
presagire nel precedente
ottimo lp, Anxiety always,
in brani come Glue your
eyelids together, gli Adult di
electroclashiano marasma
svoltano in un goth sound
che nella voce ricorda una
onnipresente Siouxsie e
nella musica, grazie anche
all’ausilio di un bassista in
13
Depeche Mode
Playing the angel
Mute records
di Emanuele Carrafa
A quattro anni dal successo
commerciale di Exciter, i Depeche
Mode
tornano
con
il
loro
undicesimo album in studio e, a
dire il vero, sono pochine le novità
da segnalare rispetto al passato.
Sembra che il trio dell’elettro stia
in guardia contro l’emergere di un
appeal più giovanile, più “dancey”,
e si senta in dovere di difendere
l’immagine di signori del dark
che finora ha coltivato. Gahan e
Gore, corpo e anima del gruppo
insieme all’anonimo Andy Fletcher,
non possono farci niente: le loro
oscure notti dell’anima producono
melodie
timidissime
rispetto
all’atonalità sepolcrale di un Nick
Cave. Il tentativo più eclatante in
questo senso è rappresentato da
John the Revelator, un blues degli
anni ‘30 con tanto di coro gospel,
blasfemo e trascinante “a la Bowie”
del periodo berlinese. Mark Bell,
già produttore di Bjork, passa qui
lo scettro a Ben Hiller, che si rivela
una buona alternativa, regalando
alla band sonorità decise e dilatate,
quasi industrial in alcuni tratti e
innescando sottopelle scariche
di suoni sintetici. Nel complesso
il suono risulta un mix di quello
degli album precedenti, da Some
great rewards a Songs of faith and
devotion, ma più elettronico. I testi
rimangono quelli a cui il gruppo ci
ha abituato da 24 anni a questa
parte, densi di “pain and suffering”
e solcati da un sottile sarcasmo
molto british. Di nuovo ci sono i tre
brani scritti da Dave Gahan e dal
suo team di autori (gli stessi con i
quali ha realizzato il suo primo lavoro
solista, il discreto Paper Monsters). Il
migliore fra questi - e forse il migliore
in assoluto di quest’album - è Suffer
well, oscuro e ballabile, che sembra
lanciarsi verso lo spazio siderale nelle
sue minuziose aperture elettroniche.
Martin Gore, da sempre autore
delle liriche del gruppo, continua
a lavorare da solo in brani
decisamente “depechemodiani”
come l’iniziale A pain that I’m used
to (tradizionalmente new wave,
fortemente anni ‘80) e il singolo
Precious, che attinge a piene mani
dal repertorio dei tre Depeche,
avvicinandosi
pericolosamente
a pezzi come Enjoy the silence e
Personal Jesus, completamente
elettronico e dal retrogusto pop.
Interessanti anche The sinner in me,
vicina al mood dei Massive Attack
di Mezzanine, la stralunata e quasi
crimsoniana Damaged people e
Lillian (unico brano salvabile di una
seconda parte del disco a dire il vero
un po’ loffia) che strizza l’occhietto
ai Franz Ferdinand. Alla fine questo
lavoro è la quintessenza del pop
elettronico e hi-tech dei Depeche,
forse un po’ più urgente rispetto alle
loro ultime produzioni; ma sono solo
i Depeche Mode che fanno del loro
meglio per sembrare loro stessi.
King Britt
This is…
V2 Music
di Bob Sinisi
“Vivevo a Philadelphia, ero sposato
con Peggy e avevamo una
bambina, Jennifer. (…) Nella zona
c’era un’atmosfera straordinaria:
fabbriche, fumo, ferrovie, tavole
calde, i personaggi più strani e le
notte più oscure. La gente aveva
intere storie incise sul viso, e io
potevo scorgere delle immagini
intensissime.
(…)
L’influenza
maggiore di tutta la mia vita derivò
da quella città. E si verificò proprio
al momento giusto. Vidi delle cose
che erano spaventose ma, più
ancora, emozionanti.” (Tratto da
Lynch Secondo Lynch – a cura di
Chris Rodley – Baldini & Castoldi).
Così anche il grande David
Lynch ha trascorso un periodo
significativo della sua vita, alcuni
decenni or sono, a Philadelphia.
Ora, nella speranza che la
situazione sociale sia migliorata
rispetto ad allora, dobbiamo
piacevolmente constatare come
dal punto di vista artistico esso sia
tuttora particolarmente ispiratore.
Prendiamo la musica: già negli anni
’70 artisti come come O’ Jays, Billy
Paul, Teddy Pendergrass, M.F.S.B.
onoravano Philly.
Terzo millennio: la città che
poggia sulla riva occidentale del
fiume Delaware risulta residenza
anagrafica di Jill Scott, Vikter
Duplaix, The Roots, Erykah Badu e
King Britt. Personaggi segnati da
modus operandi diversi, certo,
ma tutti efficaci rappresentanti
di quell’idea chiamata nu-soul,
originata dal felice connubio tra
la tradizione afroamericana e la
tecnologia. Prendiamo King Britt,
abile e talentuoso maneggiatore
digitale sin da quando, nei primi
anni 90, ricopriva il ruolo di deejay
nel gruppo hip hop Digable
Planets, noto in tutto il mondo per
l’attitudine ad inserire ambientazioni
marcatamente jazz nei pensieri
hip hop. Da allora si è sempre
cimentato con successo nell’attività
di
produttore
e
rivisitatore,
evidenziando
un
profondo
rispetto per il suono della sua città.
Propensione che emerge anche
nella nuova avventura discografica,
un episodio della collana This Is….
Nuova per modo di dire, visto che
in realtà è una sorta di bilancio della
sua attività, una breve storia delle
produzioni e dei remix, narrata in 2
cd. Il primo è un compendio delle
sue creazioni: celebri quelle a nome
Sylk 130, alias “autobiografico” con
il quale ha “raccontato”, in due
album, gli anni ’70 prima e gli ’80
poi. E ancora, con lo pseudonimo
Scuba, ha firmato canzoni per il
succitato
concittadino
Duplaix
nonché per Ivana Santilli. Il secondo
volume è invece dedicato ai remix:
spuntano tra gli altri quello operato
su Contemplation di Josh One,
quello su Tonight di H. Foundation
e la personale “reinterpretazione”
di Mister Britt di un classico del nujazz: Mwela Mwela dei Jazzanova.
The King Is Back… Link: http://www.
kingbritt.com
formazione, un perfetto
incrocio di quello che
furono con Resuscitation e i
Bauhaus di Kick in the eye, o
i Virgin Prunes di Baby turns
blue se preferite. Il risultato
è prevedibile, ma gustoso. È
novembre, mi pare. (S.C.)
Arpanet
Quantum Transposition
Rephlex
Arpanet: ovvero uno dei
progetti più ostici del sempre
prolifico Gerald Donald,
esatta metà dei primi,
fondamentali Drexciya,
e poi Japanese Telecom
(soprattutto), Intellitronic
e chissà quanti altri. E in
questo suo secondo cd, per
la Rephlex di Aphex twin si
produce in un altro gelido
sguardo nel buio del nostro
subconscio. Diciamo pure
che Arpanet sta a Japanese
Telecom (cioè a se stesso)
come un disco della World
serpent a Van Morrison.
Chi può capire capisca. Gli
altri sappiano che è fatto
di una electro onirica e
perversa, tuttavia luminosa e
brillante. Elegantissimo: non
mancatelo. (S.C.)
Chelonis R. Jones
Dislocated genius
Get Physical
Meglio conosciuto come
poeta e pittore: fino ad
oggi. Dopo aver militato
infatti in diverse band rock
dell’underground la sua voce
approda nei club. Di più, il
promettente artista a tutto
tondo si mette a smanettare
davanti al pc e ne viene fuori
un disco che è una BOMBA!
Frullate Prince, la roba della
Get Physical, il grande Tyrone
Palmer via Da Housecat e ci
sarete molto vicini. Comprare.
(S.C.)
Various
Cocoon compilation E
Cocoon recordings
Nuova Cocoon compilation
per la immarcescibile label
di Sven Vath. Spicca su tutto
il nuovo Dj Hell con Jack my
body: c’è la techno, c’è
l’electro, l’acid, il goth e
l’italo disco. Semplicemente
un dio. Cosa volete di
più? Beh, ci sono anche i
lanciatissimi fratelli Dahlback
con la ruvida Partymakers,
James Holden con la
morbida The Wheel, uno
squillante Gabriel Ananda,
ma soprattutto un certo
signor Dj Hell. Cosa volete di
più?!! (S.C.)
Felix da housecat
Tweak!
Rude photo
Una marcetta incalzante,
taglio jacky brutale, filtri
chitarrosi, una voce femminile
che richiama Missy Elliot o
qualche cicalona della acid
più commercial di tanti,
troppi anni fa. Un vero rocker!
(S.C.)
Open Voice:
Toni Braxton
Libra
Edel
Dopo il numero 0 di ottobre,
consideriamo
questo
di
novembre come il numero 1
della rubrica FreeSoul. Dopo
aver avviato il nostro percorso
nel
numero
precedente,
possiamo
ora
inoltrarci
nell’affascinante
mondo
della black music. Beh, per
cominciare una notizia sul re
del Crunk Lil Jon che sta per
rescindere il contratto con la
TVT records: sembra sia stato
maltrattato nella promozione
del suo ultimo lavoro Crunk
Juice e che abbia già preso
contatti con la Jive.
Esce, a due mesi dalla morte,
un tributo musicale dedicato
al grande Luther Vandross nel
quale star della musica r’&’b e
pop intonano i vecchi grandi
successi di Luther con versioni
di tutto rispetto. Tra i nomi
spiccano Mary J Blige, Usher,
Beyonce, Alicia Keys etc.
Slim Shady, Marshall Mathers,
EM ai più noto come Eminem,
è stato ricoverato in una
clinica di Detroit per abuso
di psicofarmaci. Per finire,
arrivando in Italia, i Sottotono
si
sono
definitivamente
sciolti (se qualcuno non lo
sapesse ancora) e sia Fish
che Tormento hanno già in
commercio i loro due lavori
da solista.
Qui di seguito troverete la
prima puntata di una nuova
rubrica dedicata alla storia
della black music dalla
nascita del rap fino ad oggi.
Dimenticavo,
Freesoul
è
soprattutto un programma
musicale che va in onda tutti
i giorni su Radioerre di Foggia.
Per ascoltarlo on line www.
radioerre.com
A 33 anni suonati Toni torna con un
nuovo lavoro pieno di sensualità
e sonorità soul-groove. Please, il
primo estratto è una traccia che
trascina ma che alla lunga stanca
un po’. Finita l’esperienza con il
talent scout Babyface, ormai Toni
è grande e sa vedersela da sola.
Ma con tutto il rispetto per questa
grande trascinatrice di ballad
strappalacrime (tutti sicuramente
ricordano un-break my heart), il suo
lavoro non è altro che un prodotto
simile a tanti altri. Comunque anche
col passare degli anni la Braxton
rimane sulla breccia solo per le
major e per i soldi guadagnati e non
per la vera passione musicale.
History Of Black:
Alla fine degli anni ’70, nelle
strade dei ghetti americani,
germoglia una nuova cultura.
I suoi profeti raccontano in
rime cadenzate la miseria,
la rabbia o la gioia del
sottoproletariato nero. I dj e
i rapper diventano supereroi
dei quartieri neri di New YorkBronx, Brooklin, Queens e
gettano le basi per la neo
nata generazione hip hop.
1° puntata.
Siamo nel luglio del 1976, nel
cuore di un quartiere ghetto,
che solo negli Stati Uniti puoi
trovare. In mezzo ad una
apocalisse urbana fatta di
case popolari abbandonate
a se stesse da un governo
che prende in giro la povera
gente (il cosiddetto sogno
americano, non lontano da
quello che nella Nostra Italia
avviene oggi). Tra strade
piene di passanti, molte idee,
pochi soldi, le comunità nere
preparavano uno dei tanti
block-party (festa rionale).
Il principio era semplice: si
bloccava una strada alle
2 estremità, ci si allacciava
abusivamente al lampione
dell’angolo per luci e corrente,
Free Soul
di Eugenio Levi
14
Guru
Version 7.0: The Street Scriptures
7 Grand Records IC
Marques Houston
Naked
Universal
E’ stato paragonato nientemeno
che al nuovo Al B Sure per i suoi
suoni soffici, solo che per avvicinarsi
ad una delle più grandi voci del
passato bisogna farne di strada.
Anche questo come quello di sopra
è un lavoro senza né cuore né parte,
senza originalità. Si diversificano solo
il singolo Sex With You con Young
Rome e O Clock con Joe Budden
con toni più animati e street-style.
Urban e ballad si alternano
in
questo lavoro poco curato nei testi
e nelle musiche. Da ascoltare in
camera da letto con luci soffuse e
fuoco (per chi può) nel camino.
Sounds Of Blackness
Unity
Slr Records
e,
facendo
pagare
un
piccolo contributo alla gente
di quartiere, ci si divertiva a
ballare in strada. All’arrivo
del dj di turno (personaggio
chiave della notte di strada)
con la sua valigetta piena di
vinili 12” (12 pollici, i vecchi
mix grandi quanto un Lp ma
con una sola canzone in
varie versioni)a cui venivano
staccate le etichette per
creare un po’ di suspance,
iniziava la notte nelle strade
con le sue vibrazioni.
Il Master of Ceremonies (ora
chiamato solo MC), e cioè
il conduttore, l’animatore,
quello che trovava le rime sui
brani suonati, accompagnava
i dj e incoraggiava la folla a
ballare. In discoteca e sulle FM
dell’epoca imperversava la
disco-music, ma per le strade
di Manhattan qualcosa di
nuovo stava nascendo: il Rap.
L’Mc accortosi che il pubblico
di strada cominciava ad
essere interessato ai break
con effetto ritmico che
accompagnavano i dischi,
imparò a conoscere questo
nuovo beat nudo e crudo. La
missione era compiuta. Il Dj
aveva trovato una spalla nel
Mc per poter mischiare (ora si
dice miscelare) più beat, per
tenere in sospeso il pubblico,
così da far lavorare la voce del
Mc che di lì a poco sarebbe
diventato un rapper.
Hit List album Ottobre:
Ennesimo lavoro da solista per
l’ex Gangstarr Guru sempre più
distaccato da Dj Premier, dopo i
tanti lavori per la Jazzmatazz che
lo hanno contraddistinto dagli altri
rapper per il flow molto vicino al
jazz, facendosi aiutare tra l’altro
anche da grandi maestri del
genere come Mile Davis (postumo),
Me Shell Ndgeocello, etc. Ora ci
riprova con un lavoro tutto nuovo
dedicato questa volta all’hip hop
street. 19 tracce che raccontano la
vita vissuta nei vicoli delle strade (da
qui il titolo). La produzione è affidata
a Solar, un nome sconosciuto
nell’ambiente, ma che lui sostiene
essere il futuro del genere.
Comunque, per avere la sicurezza
che il lavoro potesse vendere, ha
ospitato grandi nomi alla sua corte.
Le featuring sono affidate a gente
come Talib Kweli, B-Real, Jaguar
Wright e Styles P. Nel contesto il
lavoro scorre lento e deciso nelle
basi, ma noi tutti speriamo un giorno
che i 2 ex Gangstarr e cioè Guru e Dj
Premier possano regalarci un nuovo
bellissimo lavoro da tramandare ai
posteri.
Sono tornati a distanza di ben otto
lunghissimi anni. Ma chi? Si, proprio i
Sounds of Blackness, gruppo gospelr’&’b composto da 40 coristi + 20
strumentisti afro-americani. Come
non avete mai sentito parlare
dei S.O.B.? Ebbene è arrivato il
momento di imparare a conoscerli
un po’. Questo gruppo è l’immagine
dell’r’&’b
contemporaneo
e
passato, poiché riassume in poche
tracce quello che è veramente il
Soul e cioè la musica dell’anima.
Loro, tra l’altro, impreziosiscono
questo termine con delle metriche
di voce da spaccare il cuore, con
interventi in contralto al bacio e voci
soliste da strabiliare. Gospel e r’&’b
qui si uniscono come un solo suono,
come se 2 anime si intrecciano fino
alla fusione.
1. Twista, The Day After
2. Trina, Glamorest Life
3. Three 6 Mafia, Most Known
Unknown
4. Kirk Franklin, Hero
5. Young Jeezy, Let’s Get It:
Thug Motivation 101
6.
Kanye
West,
Late
Registration
7. Lil’ Kim, The Naked Truth
8. Toni Braxton, Libra
9. Sean Paul, The Trinity
10. Dwele, Some Kinda...
News Album Novembre:
Ol Dirty Bastard – A Son Unique
16/11
Busta Rhymes – The Big Band
06/11
Krs One – The Lost Album
30/11
Joe Budden – The Growth
09/11
Juvenile – Reality Check
09/11
2 Pac – Poetry & Music vol.2
02/11
DMX – Here We Go Again
11/11
Mashonda – January Joy
03/11
Jentina – Misterious 01/11
Goapele – Change It All 04/11
KeepCool
Biomechanical
The Empires Of The Worlds
Earache/Self
Animata da un eclettismo
musicale quanto mai
singolare, una nuova
inquietante creatura dagli
spazi profondi si appresta
a muovere per colpire.
Biomechanical è Il suo nome.
Nuovo album per loro:
The Empires Of The Worlds.
Techno-Cyber Metal con
Biomechanical. Se il debutto
Eight Moons, licenziato nel
2003, delineava già i tratti di
una band fuori dagli schemi,
The Empires Of The Worlds
va ancora oltre. Le undici
tracce qui in analisi sono la
manifestazione tangibile di
una miscela sonora spesso
non proprio d’immediata
fruizione. L’ascolto dell’album
suggerisce la volontà, da
parte del gruppo, di creare
un ponte ideale tra le
sfumature maggiormente
aggressive del metal e
l’incarnazione più classica
del genere, il tutto filtrato
da una vena fortemente
psycho-progressive.
Volendo azzardare alcuni
termini di paragone o, più
precisamente, segnalare
alcuni dei referenti cui la
formazione albionica guarda
con maggior attenzione,
allora acts quali Pantera,
Judas Priest, Voivod,
Nevermore e, limitatamente
alle linee vocali, anche
Queensryche e Iron Maiden,
risultano essere i punti di
riferimento più credibili.
Cambi di tempo, stacchi
improvvisi, chitarre articolate
e dissonanti, linee vocali
graffianti o, a seconda dei
contesti, più melodiche, si
incastrano coerentemente
negli oltre cinquanta minuti
di durata dell’album,
raggiungendo l’apice nella
conclusiva Absolution,
brano in cui follie metal e
visioni fantascientifiche si
fondono in una maestosa
colonna sonora per scenari
apocalittici. Cos’altro
aggiungere? Se vi ritenete
ascoltatori audaci ed esigenti
troverete pane per i vostri
denti! (Camillo Fasulo)
In Tormentata Quiete
In Tormentata Quiete
Dawn of Sadness
Gli In Tormentata quiete
arrivano al tanto sospirato
debutto da professionisti,
autori di un melodic blackmetal dalle molteplici
sfaccettature. Possiamo
ascoltare atmosfere
goticheggianti, sferzate
chitarristiche cariche di odio
e rancore. Non manca una
forte vena melodica che
emerge grazie all’utilizzo
di chitarre acustiche dal
forte sapore folk, che, a mio
avviso, è uno dei loro punti
di forza. L’uso massiccio di
chitarre acustiche ha l’effetto
di rendere assolutamente più
vario l’impianto delle estese
composizioni. Un’altra novità
15
The Vision Bleak
Carpathia-a Drammatic Poem
Prophecy/Audioglobe
di Nicola Pace
Dopo aver sconvolto la vita degli
horror-metal fan di tutta Europa ed
aver fissato con il precedente The
death ship has a new captan le
coordinate di quello che dovrebbe
essere realmente gothic-metal,
torna il duo più horror del momento,
la coppia Swardof-Kostanz, ossia
The Vision Bleak. Il pericolo che il
risultato delle nuove composizioni
potesse seguire la formula del
precedente album e continuare a
godere di quel successo era forte,
fortunatamente questo pericolo è
stato scongiurato. Carpathia trova
la sua ispirazione nella letteratura
horror e in quella gotica. Il tema
portante dell’opera, nella fattispecie
un concept, è il destino che influenza
gli avvenimenti della vita. È la storia
del viaggio svolto dal protagonista,
verso la città Carpathia, dove ha
ereditato un’antica residenza di
famiglia, ma ignora il male e le
peripezie che dovrà affrontare.
Musicalmente è orientato verso
un riffing più heavy, con meno
arrangiamenti rock e dark e con un
gusto melodico sempre eccezionale
grazie anche all’operato in primo
piano della Shadow Orchestra,
un gruppo di musicisti che con i
propri strumenti classici aiuta a
disegnare le architetture lugubri
delle
composizioni.
Possiamo
ascoltare una produzione massiccia
e potente in cui tutti gli strumenti
hanno un ruolo incisivo. La voce di
Van Der Graaf Generator
Present
Virgin/Carisma
A trent’anni dall’ultima esibizione
live, i V.D.G.G tornano insieme, nella
loro più celebre formazione, autrice
di alcuni tra i più grandi classici
progressivi degli anni settanta.
Trovatisi insieme in una villa per
una settimana di prove, utilizzando
il
vecchio
equipaggiamento
strumentale, hanno cercato di
ritrovare l’alchimia che avvolgeva
la band nel passato. Incredibile ma
quella riunione rilassata tra vecchi
amici che si sono divertiti a jammare
insieme, si è tramutata in Present,
doppio album in studio. Il primo CD
contiene dei brani molto scarni,
frutto di una semplice jam ancora
da strutturare e perfezionare. Non
possiamo parlare di progressive,
ma di piccole cellule musicali, che
avrebbero meritato di germinare
meglio, dato il loro valore. Il secondo
CD, ci propone dieci tracce di
improvvisazione
strumentale
avvolte, come nel primo disco, in un
ambiente oscuro misto ad escursioni
jazzate. In definitiva il disco non è
completamente riuscito, se si pensa
ad una band che ha fatto la storia
del rock progressivo. Comunque fa
ben sperare per il futuro, se ce ne
sarà uno. Personalmente penso che
al di là della critica che si possa fare,
un disco debba essere giudicato
dal singolo ascoltatore secondo il
suo personalissimo gusto; vi auguro
quindi un ascolto rilassato e senza
pregiudizi. (Nicola Pace)
Kostanz, autore anche delle parti di
batteria, si discosta dal precedente
stile troppo devoto ai Sister of
Mercy, diventando più greve e
meno baritonale, ma molto più
teatrale, entrando così meglio nelle
trame della vicenda raccontata e
spingendosi fino allo scream, nelle
parti più concitate. Altra novità
un sinfonismo determinante, ricco
di corni, violini i quali disegnano
momenti epici e palpitanti. Splendida
Kututulu, in cui fra ritmiche tribali e
percussioni vengono recitati versi di
Lovercraft tratti dal Necronomicon e
in Cursed of Arabia, dove l’incedere
strumentale
è
costruito
sugli
arabeschi di un liuto mediorientale.
Vi consiglio vivamente di ascoltarlo
e vi proibisco categoricamente
di scaricarlo, sarebbe un vero
peccato, visto che gli ingredienti
per il suo successo ci sono tutti.
Vi auguro un buon viaggio nei
meandri oscuri di questo dannato
poema drammatico.
Paradise Lost
Paradise Lost
BMG/GUN
Gruppo particolare quello degli
inglesi Paradise Lost, band dalle
molteplici sfaccettature, ma capace
di creare e mantenere con il tempo
un marchio di fabbrica, un tipico
suono che li contraddistingue fra
centinaia di gruppi, malgrado la loro
evoluzione che li ha portati su territori
lontani dal classico heavy metal. Il
disco in questione non è diretto e
non è di facile metabolizzazione
come i passati Believe in nothing
e Symbol of life, molto devoti
all’elettronica darkeggiante dei
conterranei
Depeche
Mode.
L’omonimo
Paradise
Lost
sa
miscelare in maniera equilibrata
ed originale la wave anni ottanta
con l’heavy metal old school. In
un certo senso i nostri frenano
la loro evoluzione sperimentale
per optare verso una involuzione
stilistica, svolta che riconquisterà
il pubblico più conservatore. Se
escludiamo la depechemodiana
Forever
After,
accostabile
ai
tre lavori precedenti, l’album è
intriso di una pesante, oscura ed
atmosferica intensità sonora che ti
accarezza fino a farti accapponare
la pelle. È proprio questo che sanno
fare i Paradise Lost: portarti nel loro
paradiso perduto, avvolgerti nella
loro tristezza per poi farti rinascere
a nuova vita. Insomma il loro ritorno
sulle scene è di indubbio valore.
(Nicola Pace)
è l’uso del basso slappato
(penalizzato però dalla
produzione) nelle parti più
infuriate, tipo di esecuzione
assolutamente estranea
al genere. Un plauso per
l’uso delle quattro voci,
rispettivamente una in growl,
una in scream ed infine le
clean vocals femminile e
maschile, ben miscelate
e mai invasive. Decisivo il
cantato in italiano, che trovo
eccezionale applicato a
questo genere. Spero che
questo album sia il primo
passo di un processo di
maturazione che possa
portarli lontano. Proposta
valida nella sua totalità,
eccezion fatta per le clean
vocals maschili da rivedere
e dalla produzione che
non riesce a giustificare
composizioni molto articolate,
le quali necessiterebbero di
maggiore cristallinità.
(Nicola Pace)
Musica
indipendente
liberamente scaricabile da
internet
di Matteo Serra - mat@pazlab.
net
Molto
spesso
le
zone
periferiche del nostro bel
paese sono quelle che più di
tutte riescono a promuovere
iniziative davvero innovative.
In un’ottica di condivisione e
promozione, noi di RadioPAZ
in
collaborazione
con
CoolClub, stiamo portando
avanti un progetto dedicato
ad una nuova forma di
promozione delle idee e della
creatività. Sul nostro sito è
possibile ascoltare o scaricare
liberamente brani musicali
di gruppi emergenti pugliesi
e non; con un semplice
sistema
di
“commento”
viene data la possibilità agli
utenti-ascoltatori di recensire,
commentare
o
criticare
liberamente (e senza censure)
ciò che si è ascoltato. Tutti
i gruppi emergenti saranno
poi introdotti a una licenza
Creative Commons al fine di
far conoscere da subito alle
band che esistono possibilità
diverse di produrre contenuti
e soprattutto di condividerli.
Una volta ricevuto il vostro
CD, demo, o mini album,
la redazione di RadioPAZ
provvederà a metterlo online liberamente scaricabile o
ascoltabile sul sito della radio
e sarà aperta la fase della
“Condivisione dei pareri”. Per
maggiori info www.radiopaz.
it.
KeepCool
Il ritorno dei Not Moving
16
di Postman Ultrachic
George Clinton
How Late Do U Have 2 B B 4 U
R Absent?
The C Kunspyruhzy
Lo stregone è tornato!
Dopo quasi dieci anni di
assenza da uno studio
di registrazione e con un
titolo che più strampalato
non si può, Geroge Clinton
ritorna più funkadelico che
mai. Una carriera lunga
50 anni che lo ha visto
sempre all’avanguardia sia
come musicista, sia come
compositore che come
produttore (fu lui a lanciare
i Red Hot Chili Peppers).
Il collettivo che ha riunito
per questa avventura è
spaventoso, ha ritrovato
i vecchi componenti
(scoprendone di nuovi)
dei Parliament/Funkadelic
e tutta la P-Funk All Stars,
un carrozzone bizzarro e
fiabesco che riunisce più di 50
(!) artisti, che solo a citarli ci
si imbarazza un po’… Prince
e Billy Preston (ricordate il
tastierista in Get Back dei
Beatles?), Bobby Womack e il
magico gnomo delle tastiere
Bernie Worrell. Il disco è un
doppio che racchiude i tanti
volti della musica di Clinton,
si va da ballate bellissime e
romantiche come U Can
Depend On Me o Saddest
Day, alle quali molto devono
notevoli artisti come Lauren
Hill o Erikah Badu, a torridi
ritmi funk accompagnati da
bassi spaccawoofer e fiati
scatenati in Something Stank,
dalle atmosfere minimali e
geometriche costruite con
righello e metronomo dall’ex
“artista un tempo noto come
Prince”, agli arrangiamenti
orientali della Gypsy Woman
firmata da Curtis Mayfield. Un
disco da ascoltare tutto di un
fiato e che alla fine di fiato ne
lascerà ben poco! Lunga vita
alla Mothership Connection
e lunga vita allo stregone!
(Giancarlo Bruno)
Un cd e un dvd in tiratura limitata
(solo mille copie) per ripercorrere
i 25 anni di storia del gruppo che
ha maggiormente influenzato la
scena punk-garage-wave italiana.
Un tour che riporterà in giro la band
a molti anni di distanza dall’ultima
esibizione live. Tornano i Not Moving,
il gruppo italiano forse più famoso
in Europa negli anni ’80 ispirato a
Cramps, X, Gun Club ed influenzato
dalla psichedelia dei 60’S (13 Floor
Elevator, Seed), dal surf e dal punk
di stampo newyorkese (Patti Smith,
Dead Boys, Real Kids). Live in the 80’s
box è un’antologia che parte dagli
esordi per farci riascoltare le canzoni
e le atmosfere di quegli anni; oltre a
brani già editi (ma introvabili dato
un catalogo di dischi tutto esaurito)
conterrà alcune canzoni mai inserite
nei loro precedenti album. Nel dvd
sono presenti stralci di interviste
a giornalisti, tra i quali Federico
Guglielmi
(Mucchio),
Claudio
Sorge e Luca Frazzi (Rumore), e
musicisti come Gianni Maroccolo
(Litfiba/CSI/PGR/Marlene
Kuntz),
Cristiano Godano (Marlene Kuntz),
Mauro Giovanardi (La Crus), Oskar
(Statuto), e altre personalità che
ruotano attorno al mondo della
musica. Abbiamo discusso della
nuova uscita discografica con
il batterista Tony Face e con la
cantante Rita “Lilith” Oberti.
Come mai avete deciso di rimettervi
nuovamente in discussione?
T: Perchè ci piacciono le sfide anche
se talvolta fini a se stesse, anche se,
come in questo caso, non c’era
dietro un preciso progetto artistico
se non quello di promuovere il CD
dvd live. Personalmente non ci ho
pensato più di tanto, l’ho fatto e
basta, perchè mi andava.
L Perchè Tony mi ha stressato
dalla mattina alla sera con questa
faccenda e mi ha preso per
sfinimento e ha trasformato un
gioco in una partita. Io sono sempre
molto curiosa...
I nuovi Not moving sono destinati a
durare nel tempo?
T + L NO !!
T Non avrebbe senso e sinceramente
non interessa in questo momento
a nessuno di noi riproporre i Not
Moving nel tempo. Questa reunion
ha un senso solo perchè limitata
ad un paio di mesi di concerti. Ciò
non esclude che in futuro si possa
comunque collaborare ad altri
progetti
Trovo perfetta la soluzione di
allegare un dvd al concerto live.
Com’è nato il progetto del dvd?
T + L Dall’idea che i Not moving
erano soprattutto un band dal
vivo che in studio ha sempre reso
poco. Per cui accoppiare una
buona registrazione live con ottime
immagini era l’ideale per rendere
giustizia alla storia del gruppo.
Per rendere il tutto più veritiero
abbiamo raccolto anche un po’ di
testimonianze in giro per l’Italia tra
volti noti e meno noti che furono
testimoni dell’epoca
Nei vostri live oltre ai pezzi storici,
portate anche nuovo materiale?
L
Non proprio anche se molti
pezzi che non sono mai stati
particolarmente in luce nelle scalette
degli 80’s sono stati riesumati, oltre
all’aggiunta di un’inedita versione
di Venus in furs.
T Molti brani sono stati anche un
po’ riarrangiati. Tutti suoniamo (e
cantiamo) in maniera radicalmente
diversa rispetto a venti anni fa. Ad
esempio il furore hardcore di alcuni brani veloci, che aveva senso ai
tempi, è stato corretto in versioni più
consone alla sensibilità che abbiamo oggi.
Il pubblico come rispondeva alle
vostre proposte?
L A volte era entusiasta, altre ostile,
mai indifferente. E questo è un merito che ci riconosciamo. Comunque
noi non eravamo mai né carne né
pesce. Eravamo troppo o troppo
poco per tutti, troppo diversi da tutto, perchè abbiamo sempre fatto
del rock’n’roll diretto e senza filtri.
Per un po’ ho pensato di essere fuori
tempo, sempre troppo in anticipo o
in ritardo o comunque mai nel posto
giusto. Poi ho incominciato ad inorgoglirmi di questa cosa che è diventata un valore aggiunto.
T Erano tempi assolutamente non
comparabili ai nostri giorni. Ora
tutti sono abituati ad ogni tipo
di spettacolo, MTV ha livellato e
omologato ogni cosa, tutto, grazie
ad internet, è alla portata di tutti,
non c’è più l’ingenuità degli 80’s.
Non è un discorso nostalgico, solo
un dato di fatto. Il tipo di reazione
che poteva esserci ai tempi era
assolutamente spontaneo, mai
mediato e per questo, spesso più
violento, nel bene e nel male.
Come è cambiata la scena italiana
in questi ultimi 20 anni?
T In generale mi sembra che si sia
persa la spontaneità nell’approccio
alla musica. Ora si mira alla major, al
contratto, a MTV, allora si suonava
per il gusto di farlo o si credeva
fermamente di farlo in nome della
sovversione, del cambiamento
radicale di un sistema, delle cose,
anche grazie alla musica e ad uno
stile di vita ad essa correlato. In
ogni caso adesso c’è una scena
professionale che potenzialmente
può fornire ad un gruppo tutti i mezzi
necessari (radio, tv, internet, locali,
riviste, agenzie, decine di etichette
di tutti i generi) per emergere e
questo è solo un bene.
L Quando ho iniziato avevo 16
anni, non sapevo nulla, fare
un disco era una tappa
importantissima,
era
un
avvenimento determinante
per un gruppo “rock”, e
vivevo questa cosa con
stupore, ingenuità e la vedevo
come una lotta quotidiana
per proseguire su questa
strada. Probabilmente per un
sedicenne di oggi è altrettanto
importante, ma quello che
è cambiato è il mercato, i
mezzi e l’idea generale di
essere in un gruppo. I media
hanno passato l’idea che al
giorno d’oggi si debba essere
necessariamente qualcuno
per esistere e questo passa
anche attraverso il suonare
in un gruppo. In questo modo
la spontaneità e anche la
ricerca passano in secondo
piano. In ogni caso non riesco
ad essere obiettiva adesso,
dopo 25 anni.
Come guardi l’interesse nei
confronti degli anni 80?
T Una cosa schifosamente
commerciale, costruita ad
uso e consumo del mercato.
Chissenefrega degli anni 80
o 70 o 60 o 50??? Io adoro
gli anni 60, ma anche in quel
periodo è uscita una valanga
di cazzate sia in senso artistico
che politico, che sociale,
pur a fianco di capolavori
che hanno cambiato la
nostra vita e di uno stile
inimitabile che continuo ad
amare incondizionatamente.
Ascoltare gruppi che rifanno
il verso a Cure, Joy Division,
Talking Heads mi fa solo
tristezza, mi fa invece rabbia
tutto questo hype intorno
ad un periodo che non è
che abbia lasciato un gran
ricordo. Ho recentemente
bruciato una cinquantina di
vecchi New Musical Express
della metà degli anni 80 e a
parte qualche rara eccezione
erano letteralmente pieni di
vera spazzatura.
L Per chi li ha vissuti è un
momento di ricordo e viene
ricondotto a una fase della
propria vita eccitante, piena
di scoperte e di prospettive.
Può
essere
utile
come
ricerca e per non disperdere
un patrimonio comunque
interessante in mezzo a tante
schifezze.
L’importante
è
ricordarsi che il tempo avanza
e che è meglio non guardarsi
troppo indietro (Not Moving
inclusi). Gli anni 80 non erano
meglio di adesso.
KeepCool
Giuliano Palma & The Bluebeaters
Long Playing
V2 records
di Skacco
Capolavoro!!! E non esagero!
I Bluebeaters ci presentano
ben 22 tracce (ecco il perché
del titolo Long Playing),
tutte ovviamente cover,
rielaborate nel loro stile più
genuino: ritmi in levare, tanto
cuore e tanta tecnica (e
l’accostamento ska/tecnica
è sempre più raro). Rispetto
al suo predecessore in studio
The Album, questo LP presta
maggiore attenzione ad
altri generi, primo tra tutti il
rock. Ed ecco che, saltando
da una traccia all’altra, ti
ritrovi da Messico e Nuvole di
Paolo Conte/Enzo Jannacci
a Jump di Van Halen, dai
Queen di You’re my best
friend alle Charlie’s Angel, da
Love me Forever di Coxsone
Dodd a Jealous Guy di John
Lennon. Insomma che dire,
riescono ad amalgamare
cose che storicamente non
hanno niente in comune,
grazie alla loro creatività.
Si perchè, nonostante sia
fondamentalmente una
cover band, serve esperienza
e maturità artistica nel
rielaborare completamente
l’accompagnamento di una
canzone, rendendo ballabile
anche ciò che ballabile
non è, con eleganza e
disinvoltura. Una conferma,
nel caso ce ne fosse il
bisogno, che le idee non
mancano. In poche parole,
un album tutto da scoprire
nonostante tutto già sentito
molti anni fa. Potere dei
Bluebeaters!
Fabrizio Coppola
Una vita nuova
Novunque/Self
Dopo l’esordio di un paio di
anni fa con La superficie delle
cose il cantautore milanese
torna con Una vita nuova
nel quale racconta con
forza espressiva e intensità
musicale la città dei navigli.
Non a caso il cd parte proprio
con un esplicito riferimento
geografico e sentimentale
(“Milano dieci di mattina,
un buco nero dentro al
cuore”) di Tutto resta uguale
e prosegue con La città
che muore (manifesto di
amore/odio) e Il cielo su
Milano. Un rock semplice e
diretto ma non graffiante
proprio per questo gli episodi
migliori sembrano i brani più
folk e blues (Cerco ancora
te, Non mi aspetto niente,
Dove l’acqua muore, Una
piccola fiamma e l’amaro
ricordo della canzone di
chiusura 1973). I riferimenti
musicali e letterari sono
abbastanza chiari (e palesati
dallo stesso autore) da Bob
Dylan a Bruce Springsteen
da Raymond Carver ad
Ernest Hemingway, forse per
quel modo “semplice” di
raccontare storie “normali”.
Coppola tratteggia infatti
molti personaggi ispirati alla
17
Roberto Angelini /
Rodrigo D’Erasmo
Pong Moon. Sognando
Nick Drake
Storie di note / Opm
Dal tormentone Gattomatto a Nick
Drake il salto è mortale e carpiato.
Eppure Roberto Angelini, qui in
coppia con il violinista Rodrigo
D’Erasmo
(già
Nidi
D’Arac),
impressiona per la sua riproposizione
del cantautore inglese morto a
26 anni nel novembre del 1974.
Pong Moon. Sognando Nick Drake
è un tributo d’amore, devoto e a
tratti “didascalico” (per fortuna
aggiungiamo noi). Le riproposizioni
delle canzoni sono pressoché
identiche
alle
originali,
con
arrangiamenti scarni ed essenziali.
Angelini sorprende per tecnica
chitarrista e somiglianza di voce
(pur non avendo lo stesso timbro
dell’originale). Nove esibizioni, tratte
dai tre lp realizzati in vita da Drake,
intense e delicate che riportano
in scena uno dei cantautori più
influenti degli ultimi quarant’anni e
il padre spirituale del new acoustic
movement. Pong Moon ripropone
anche la celebre copertina di Pink
Moon (uscito nel 1972) con una
variazione fatta al pongo, materiale
del quale Angelini è un maestro
indiscusso. La cosa più difficile in
operazioni di questo genere è
mantenere intatte le atmosfere. La
coppia Angelini/D’Erasmo ci riesce
appieno. Non resta che chiudere
gli occhi e pensare che Drake sia
ancora con noi. (P.L.)
Baustelle
La malavita
Atlantic 2005
di Valentina Cataldo
Atteso e desiderato come si
attende e si desidera una cosa
importante, esce finalmente nei
negozi il terzo disco dei Baustelle
(vedi intervista pag. 6). Undici pezzi
“vestiti di scuro”, undici storie che le
melodie rendono meno dolorose,
raffinati racconti noir che uno dopo
l’altro e tutti insieme compongono
un puzzle che disegna la vita, La
malavita. Malavita non nel senso
letterale del termine, non la mafia il
crimine la violenza, non solo quello.
La malavita è una vita altra rispetto
a quella vissuta nella norma, è la
guerra senza bombe che molti
vivono dentro sé stessi, è il sapore
di tempi che non sono più ed
erano migliori, è il vedere le cose
da un’altra prospettiva - il Corvo
Joe che osserva e schernisce la
gente ne è il simbolo - è il reagire,
ognuno a proprio modo. I Baustelle
ritornano più ironici, più disillusi, più
riflessivi mettendo un po’da parte
gli sfoghi giovanili dell’esordio e il
lento elegante dolore della Moda,
ci sbattono in faccia scene tratte
da questa vita malata, in tutto il loro
romanticismo di sempre. Un lavoro
dal suono “100% Baustelle” - come
è stato definito - riconoscibile sin
dall’attacco. Chitarre più presenti
rispetto al passato ed accurate
orchestrazioni per un risultato più
rock, per un disco che è pienamente
esasperatamente loro in ogni nota,
in ogni parola.
Alessandro Grazian
Caduto
Macaco Records
Trovarobato
Coraggioso è il primo aggettivo che
mi viene in mente ascoltando questo
esordio discografico di Alessandro
Grazian. Padovano ventottenne
dopo numerose esperienze in
band rock ha deciso da circa
cinque anni di scrivere e cantare
le sue composizioni imbracciando
una chitarra acustica. Per testi,
musiche e arrangiamenti (ai quali
collaborano il fiatista dei Mariposa
Enrico Gabrielli, che nel cd suona
clarinetto,
flauto,
melodica,
glockenspiel, e il violoncellista
Giambattista Tornielli), Caduto è
sicuramente uno dei lavori meno
semplici uscito in Italia negli ultimi
anni. Se Novizio e Prosopografie
sembrano filastrocche per bambini,
Ottima (che sembra ispirata dalla
canzone popolare) Serenata, Via
(divertente e divertita chiusura),
Ammenda e Oggi hanno vinto
loro colpiscono per la ricchezza
di sfumature musicali, Caduto e
Santa Sala sono delicate. Canzoni
comunque semplici e dirette (anche
se a volte Grazian gioca un po’
troppo con le parole) sorrette da
una musica spesso drammatica e
intensa, soprattutto quando sorretta
da un andamento orchestrale.
Come detto un esordio difficile ma
riuscito. (P.L.)
Gianmaria Testa
Extra-Muros
Le Chant Du Monde/I.R.D.
di Lorenzo Donvito
Extra-Muros è un lavoro che risale al
1996 ma soltanto ora arriva in Italia e
in tutto il resto del mondo. La carriera
di Gianmaria Testa inizia infatti
in Francia, dove oltre al disco in
questione è stato pubblicato anche
il suo primo lavoro, Montgolfieres
(1995). Proprio in seguito alla
pubblicazione di Extra-Muros per
la Warner francese e grazie ad
un esibizione all’Olympia di Pargi,
qualcosa è cambiato: anche qui,
“nella nostra italietta”, ci siamo infatti
accorti del cantautore, nonché
capostazione(!!), di Cuneo. Il giusto
riconoscimento quindi è arrivato, un
po’ in ritardo, ma è arrivato, tanto
che dal primo novembre questo
chitarrista dalla voce profonda e
calda toccherà per la prima volta
il suolo statunitense per una serie
di concerti. La ristampa del suo
secondo lavoro è sicuramente una
buona occasione per riscoprire
o scoprire, per chi ancora non
lo conoscesse, lo stile asciutto e
semplice di queste ballate in cui
la tradizione cantautoriale italiana
viene contaminata dal jazz (Un’Altra
Città), andandosi a mescolar con
impasti sonori vicini a certi primi
lavori di un tipo americano dalla
voce terribilmente “catramosa” dal
nome di Tom Waits (ascoltate per
credere Il Mio Gallo o Joking Lady).
“cronaca” come senzatetto,
ragazzine in fuga, tutti
coloro che vogliono Una
vita nuova ma narra anche
molto in prima persona. Info
www.fabrizio-coppola.net
(Scipione).
Cesare Basile
Fratello Gentile
Mescal
In attesa del nuovo album
Hellequin Song (in uscita il
13 gennaio) Cesare Basile
presenta Fratello Gentile. Un
singolo che oltre alla difficile
title track presenta due cover
(Baby Blue di Gene Vincent
e I need some money di
J.Lee Hooker) e due inediti
Gonzaga (una ballata
d’amore) e la strumentale
15%. Dopo Gran Cavalera
Elettrica c’è grande attesa
per Hellequin Song. Il disco,
che è stato missato da
Marco Tagliola e John Parish
all’Esagono Recording Studi,
vede la collaborazione di
Hugo Race (True Spirits ed
ex- Bad Seeds), Marcello
Caudullo, Marcello Sorge,
Giorgia Poli, Michela Manfroi,
Roberta Castoldi, Marta
Collica (Sepiatone), Kris
Reichert, Jean Marc Butty
(P.J.Harvey - Venus), Stef
Kamil Carlens (ex-dEUS ora
leader dei belgi Zita Swoon),
Enzo Mirone, Lorenzo Corti e
Manuel Agnelli (Afterhours).
Info www.cesarebasile.com
Piccolo gruppo intimo (Pi.gr.i)
Non esistono grandi artisti ma
solo piccoli imbroglioni
Autoprodotto
Arrivano da Cosenza i
quattro matti del Piccolo
gruppo intimo. Non esistono
grandi artisti ma solo piccoli
imbroglioni è il loro primo
lavoro (autoprodotto). Punk
adolescenziale, o qualcosa
del genere, con un richiamo
abbastanza diretto ai nordici
Tre allegri ragazzi morti,
molto orecchiabile e che
resta facilmente in testa.
Ironici e generazionalmente
autoironici (Andrew
Calabrese è uscito dal
gruppo e Alternativa),
divertenti e spensierati,
solari e freschi il calabresi
imbroccano ritornelli da
stampare nella memoria
(Diritto Privato, Mariavittoria,
Distante, Agrodolce). La
mia preferita è la “canzone/
cantiere” 30+16n (forse
perché almeno per un
momento ricorda Ivan
Graziani). Bella anche
l’idea della copertina con
un richiamo diretto alla
famosa banana dei Velvet
Underground. Pi.gr.i solo di
nome (carino il manifesto
anche i pigri nel loro piccolo
fanno sport che sfocia nel
pezzo più tranquillo del cd),
interessanti di fatto.
Ivan Segreto
Fidate Correnti
Sony Bmg
Passa un solo anno
dall’esordio di Porta Vagnu
KeepCool
18
e Ivan Segreto torna con
Fidate Correnti. Affiancato
per genere e linee melodiche
al calabrese Sergio
Cammariere, il siciliano
Segreto ha il merito di
aver raggiunto il successo
senza passare da Sanremo.
Fidate correnti è un buon
lavoro, forse un po’ ripetitivo
e accartocciato su se
stesso a lungo andare, nel
quale Segreto mantiene
il giusto equilibrio tra la
ricercatezza dei suoni
e degli arrangiamenti e
l’immediatezza compositiva.
Zoldester
Se
Cadaveri & Papere
Nulla da eccepire. Questo
esordio dei neonati Zoldester
è accattivante e delicato
allo stesso tempo. Il progetto
nasce dall’incontro delle idee
musicali e artistiche di Fabrizio
Panza e Francesco De
Napoli entrambi in passato
nella rock band barese
Quarta Parete. Nel 2004 i
due si esibiscono al Festival
“Sovversioni” di Perugina
con un reading per chitarra
e televisore, La coscienza
del se (‘) – in un periodo
ipotetico. Un Se mantenuto
come titolo a questo lavoro
che scivola via con un rock
intelligente, con una valida
alternanza tra suoni acustici
ed elettici, ma mai sopra le
righe sempre calibrato sulla
voce di Panza. Tra i nove
brani citiamo il convincente
Guai, il blues di Attraverso,
l’arrangiamento di archi di
Dicevo di si, l’andamento
lento di Arrendevole, il
girotondo di Ninna nanna
della fine, il testo “minimale”
di Si avvicina il cielo, il coretto
di Girate la luna. Ultima nota:
Se è stato registrato e missato
da Paolo Mauri, un ingegnere
del suono che ha lavorato
con Afterhours, Prozac+, La
Crus, Cristina Donà, Marco
Parente, Sottotono. E si sente.
Info: www.zoldester.com
Evagarde
Treminuti41
Alternative musicali
Il pop rock salentino gode di
ottima salute e i Negramaro
sembrano essere solo la
punta di un movimento che
è destinato, probabilmente,
a venir fuori. Lo testimonia
questo Treminuti41 degli
Evagarde. Dopo il cambio
di formazione e l’ingresso
nel gruppo della nuova
cantante/chitarrista Sophie,
il sestetto sfodera un lavoro
di tutto rispetto. Il suono c’è,
gli arrangiamenti sono ben
calibrati e non mancano
neanche le canzoni
“radiofoniche”. Quasi, Non
sento il vento, Ozio totale
molto in stile Cristina Donà,
Bordel (sonorità più rock e
testo in francese), Niente
di importante solo per
citarne alcune (e in ordine
di apparizione) sono tutti
possibili singoli. Interessanti
Tracy Chapman
Where You Live
Warner
di Cosimo Farma
Arrangiamenti delicati, dal gusto
sobrio, testi densi di riflessioni
(politiche, esistenziali, affettive), un
gruppo di musicisti straordinari, in
grado di affiancare una presenza
imponente
e
fragile
senza
tarparne le ali, i tempi giusti per
la composizione, la produzione, il
confezionamento, e quella voce che
riempie ogni spazio, che si infila negli
interstizi lasciati consapevolmente
vuoti dagli strumentisti, che ti
sussurra all’orecchio, ti sorprende
alle spalle, ti investe le ginocchia.
Tutto questo è Where You Live,
un disco estatico, per cura dei
particolari e forza complessiva.
Tracy Chapman abbandona gli
emisferi più meditabondi delle
ultime produzioni e ritrova il bisogno
affermativo delle sue realizzazioni
più belle: l’urgenza di Talkin’ Bout
A Revolution, il particolare legame
con la tradizione di Crossroads, la
ricercatezza timbrica di The Rape
Of The World. La grande carica
di Change, il primo singolo, si
ingigantisce di ascolto in ascolto, e
vibra di un’espressività che rinuncia
al sospiro per farsi enorme. E la
robustezza che caratterizza il brano
d’apertura si ritrova nell’intero disco,
anche laddove le risorse timbriche
sono ridotte all’osso, come in
Don’t Well e Be And Be Not Afraid.
Il contributo di Flea, l’eccentrico
bassista dei Red Hot Chili Peppers,
The Metronomes
Ciao fred!
Velut Luna
di Giancarlo Bruno
É un disco fresco e allegro quello
dei Metronomes. Ciao Fred è un
tributo al mitico Fred Buscaglione,
gangster dal whisky facile e
dall’anima che continua a pulsare
puro ritmo swing. Il cd ripercorre un
repertorio non originalissimo (sono
inseriti, tra gli altri, standard della
canzone italiana come Carina o
Buonasera Signorina), ma lo fa con
una spensieratezza che sembra non
potersi incastrare con la perfezione
delle esecuzioni, impeccabili e
ben registrate; la mancanza di
un basso/contrabbasso consente
di poter ascoltare stupiti le linee
armoniche create della mano
sinistra del pianista Carlo Piccoli che
sostituisce tale strumento eliminato
per scelta. Il drumming percussivo e
instancabile del batterista Stefano
Fedato tramortisce e non lascia
scampo alle incertezze. Infine
Francesco Michelin, front man e
cantante carismatico, riempie tutto
con la sua voce lucida, precisa,
teatrale, e ci accompagna in
questo mondo di vestiti gessati e
sigarette fumate a metà. Lodevole
la scelta di inserire quattro
omaggi alla musica napoletana
del compianto maestro e amico
Renato Carosone. Cosa? Un gruppo
di veneti da jazz club che canta in
napoletano Pigliate ‘na pastiglia?
Si! Questi sono i Metronomes…
imprevedibili e scatenati, romantici
ed elegantissimi.
poi, assicura ulteriore solidità. E così
ogni cosa è al proprio posto: le parole
che la cantautrice afroamericana
seleziona con la cura e l’attenzione
di una studiosa si incastonano nella
mente, e con pochi, sapienti colpi
riesce a far risplendere la profondità
dei testi e l’intensità dell’esecuzione.
Dall’accusa istituzionale di America
alle liriche profonde di Talk To You,
dal livore di 3,000 Miles al peso
inquieto di Love’s Proof, Where You
Live risplende di gran luce; nessuna
ombra, nessuna smagliatura in
un tessuto prezioso perché sottile
ma anche resistente all’usura del
tempo. Una raffinatezza rara e
discreta quella della Chapman, che
al suo settimo lavoro non ha perso
la voglia di far musica tenendosi
però al di fuori dai meccanismi
opprimenti dello show business. Gli
artisti americani, in particolare quelli
neri, hanno sempre vissuto il conflitto
interiore di chi vuol mantenere
estremo controllo sulla propria
creatività (“di chi vuole l’ultima
parola”, per dirla in gergo), ma che
contemporaneamente aspira al
successo planetario. La Chapman,
sebbene abbia incontrato la fama
sin dal primissimo album, ha sempre
risolto nella maniera più efficace
questo tipo di problema: lo lascia
agli altri e, col riserbo del saggio,
parla con la sua arte.
Les Anarchistes
La musica nelle
strade
Storie di note/Suonimusic
Titolo non poteva essere più
emblematico. La musica nelle
strade segna, a tre anni di distanza
dal fortunato esordio Figli di origine
oscura, il ritorno dei Les Anarchistes.
Il gruppo di Carrara che trae
ispirazione (e brani) da Leo Ferré e
dalla tradizione popolare dimostra
ancora una volta abilità musicale
e reale impegno politico. Quindici
canzoni e un libretto allegato (con
due capitoli La società disciplinare
e La biopolitica del campo) per
mettere al centro dell’attenzione
la biopolitica. Le storie raccontate
spaziano dall’anarchico morto per
uccidere l’imperatore asburgico di
Inno a Oberdan all’antifranchismo
spagnolo di A Las Barricadas, dal
ricordo di Sacco e Vanzetti ai
bombardamenti umanitari della
Nato di Il Maggio di Belgrado (solo
per citare alcuni titoli). Tra gli ospiti
Giovanna Marini, Moni Ovadia,
Erri De Luca, la Compagnia della
Fortezza di Volterra, Steve Conte
(già musicista per Willy De Ville,
Paul Simon, Maceo Parker), Piero
Milesi, Il Parto delle Nuvole Pesanti,
Petra Magoni, il senegalese Ibrahim
Sampou, e tanti altri ancora. Un
lavoro interessante che si muove
abilmente tra folk ed elettronica
ma che ha il difetto di essere un
po’ troppo lungo (più di settanta
minuti di musica ribelle sono tanti) e
di perdersi per strada. Forse troppo
logorroico per essere incisivo.
anche le ballate più soft
(seppur distanti tra loro)
come Vento di scirocco, Ti
prego no, Ritorno da te e
il reading elettronico finale
Per sempre. Un album in
linea con la tradizione rockmelodica italiana, molto
orecchiabile, mai troppo
scontato e soprattutto molto
ben suonato. E di questi
tempi è già una buona cosa.
www.evagarde.it
Marta sui tubi
C’è gente che deve dormire
Eclectic circus /V2
Il secondo cd del duo
siciliano era atteso da molti.
Soprattutto perché l’esordio
di due anni fa con Muscoli
e dei era piaciuto per
innovazione e semplicità di
esecuzione. La prima novità
è rappresentata dall’ingresso
stabile, al fianco dei cantanti
Giovanni Gulino (synth) e
Carmelo Pipitone (chitarra),
del batterista Ivan Paolini. Ma
sono sempre i suoni acustici
ad essere protagonisti (c’è
spazio anche per un brano
strumentale) con qualche
ospite qui e là tra piano,
violoncello e clarinetto. Via
Dante (con la presenza di
Paolo Benvegnù e di uno
strepitoso e ironico Bobby
Solo), Perché non pesi
niente (con il suo intreccio
di voci), L’abbandono, La
tua argenteria (con una finta
radiofonica finale alla Tony
Tammaro che introduce la
cover dei Beatles Tomorrow
never Knows) sono canzoni
quasi perfette che svariano
tra arpeggi, voci narranti, folk
tradizionale, cantautorato
italiano. Il punto debole del
terzetto è quella a volte
esagerata ostentatezza
della voce, che ricorda
un po’ Demetrio Stratos, in
alcuni brani come Cenere
(canzone ben costruita
tra chitarra e clarinetto), Ti
mento o L’amaro amore(che
sa un po’ di Quintorigo).
Ma sembrano solo incidenti
di un percorso prezioso e
articolato. (P.L.)
Northpole
Northpole
I dischi de l’amico immaginario
Si può fare pop-rock in Italia
senza subire una lobotomia
prima di entrare in studio o
far finta di essere giovani?
Ad ascoltare i Northpole
sembrerebbe proprio di si.
Senza essere forzatamente rock,
senza urlare ma con l’eleganza
di chi non ha bisogno di
convincere nessuno i Northpole
confezionano un disco in cui
parole, musica, arrangiamenti,
produzione, artwork addirittura,
sono messi insieme con tale gusto
che non cambieresti una virgola.
Il fascino dell’indie, la passione
del migliore Battisti, l’eleganza di
Benvegnù, un piede nel presente
e uno nel passato. Chitarre
cristalline e arrangiamenti di violini
(a cura di Fabio De Min dei Non
voglio che Clara) fanno il tutto un
po’ anni 70, e non dispiace.
KeepCool
h 24.00, Adriano e il Barone
sono pronti nel camerino
dello Zenzero truccati e svestiti
come si deve per presentare
il live set di Pornography.
Il
Barone,
impeccabile,
siede accanto ad Adriano
Canzian e indossa reggicalze
e parigine nere su tacchi a
spillo per scarpine a punta di
vernice n 43. Una giacca gli
copre il torace nudo e il volto
impentrabile è nascosto da
una maschera sadomaso le
cui fessure svelano pupille e
baffi.
Claudia: Pornography, parlare
sulla pornografia in maniera
critica adottando però un
punto di vista soft-pornografico
mi è sembrato un approccio
non solo efficace contro il
bigottismo
eterosessuale
ma anche volto a sgretolare
la logica binaria maschile/
femminile. Ti va di descrivere
l’operazione attuata con il tuo
disco, Pornography?
Adriano: È partito tutto dal
primo singolo Macho Boy:
un mio carissimo amico e
collaboratore una sera mi
esponeva in generale i suoi
gusti, dalla moda alla musica,
fino alle sue preferenze sessuali
senza nessun tipo di censura,
quindi parlava di dimensioni
di c****, come del colore
degli occhi degli uomini che
gli piacciono... io la trovai
una cosa molto divertente
anche perchè non era fatta
per scioccare ma era proprio
lui che spontaneamente mi
diceva tutto quello che gli
piaceva, io l’ho registrato
con un microfonino e la notte
stessa ci ho lavorato su ed è
nata Macho Boy che poi non
ho più toccato dopo quella
notte. Da lì si è aperto un
filone che per me si è rivelato
estremamente interessante,
in quanto la pornografia o
comunque il sesso è un tema
che esiste da sempre e che
viene sfruttato dagli artisti; fra
l’altro ero stufo dell’ipocrisia
che circola in Italia in certi
ambiti, e quindi mi dicevo,
ma com’è possibile vai
in un’edicola trovi riviste
pornografiche dove vedi
cani che si accoppiano con
preti e cose di questo genere
e poi fai una canzone dove
c’è la parola c**** e la gente
rimane scandalizzata...vabè...
ho incontrato dj Hell che era
particolarmente
disposto
ad abbracciare questa mia
idea e abbiamo deciso di
impostare tutto l’album con
il Konzept della sessualità e
della pornografia. Sessualità
intesa al cento per cento,
nel senso, ok io sono gay,
ma chi se ne frega, se fossi
stato etero avrei parlato
di donne...[N.d.I. a questo
punto cerca un’ispirazione
lanciando uno sguardo alla
giovane fotografa]...di tette...
era
tutto
estremamente
ironico, qualcuno ha pensato
che fosse molto serio, del tipo,
ah questo fa pornografia, in
realtà era tutta una presa
in giro. Anche l’artwork
Adriano Canzian,
simpaticamente volgare
19
Intervista di Claudia Attimonelli
Foto di Francesca Savino
all’interno del disco, lì ci sono scene
pornografiche nelle quali tutti i
personaggi hanno la mia faccia
[N.d.I. sorride sornione]. Il sesso è
presente in maniera massiccia da
internet a qualsiasi altro mezzo di
comunicazione, solo che la gente
è ipocrita, non ne parla o fa finta
che non esista..e quindi ho voluto
fare questa cosa esagerata, sia
musicalmente che visivamente,
per vedere le reazioni, non avevo
in mente una precisa presa di
posizione, ho fatto quello che mi
andava di fare, volevo essere
volgare...simpaticamente volgare,
c’è chi l’ha giudicato osceno e chi
l’ha letto come una cosa ironica..
C. Quale effetto intendi suscitare nel
pubblico durante i tuoi live in cui
sei affiancato dalle performance
di miss love and the poison? Dato
che mi sembra che gli artisti che
ti affiancano, siano, ad esempio,
portatori
di
una
corporeità
fortemente critica, quasi punk,
oltre che hard, non ammiccante
ma antagonista, ancora tesa a
sgretolare lo stereotipo eterosessuale
della corporeità...
A. Si...esatto, e anche a sgretolare
quella che è la concezione
dell’animazione, io sono fortemente
attratto dalle cose che si contrastano,
quindi l’idea di avere delle persone
che proponessero un’esibizione non
comune per me era la ciliegina sulla
torta, rappresentava esattamente
quello che io mi sento, cioè una via
di mezzo tra un punk e qualcuno
che ama le cose belle, patinate,
glamour...il punk e il glamour.
L’animazione classica: il belloccio,
la belloccia che ballano su un
cubo o appoggiati a un palo mi
ha sempre fatto ridere, la trovo una
cosa comica..a me piace mostrare
artisticamente e visivamente i lati
più oscuri delle persone, quindi mi
piacciono performer che non sono
perfetti, anzi...che hanno difetti fisici,
che hanno la pancia [N.d.I. indica il
Barone, muto e fedele al suo fianco...
quest’uomo ha visto cose...] e
cicatrici impressionanti, mescolando
questo aspetto ad un’attitudine,
un look, o un momento musicale
glamour; tutto ciò per spezzare
la noiosissima tendenza che c’è
sopratutto in Italia di concepire
nei club, il dj che arriva lì con la
magliettina grigia, pallido, mette sù
i dischi che mettono tutti e lì vicino
c’è la bella ragazza con reggiseno
e mutandine che balla e basta...la
trovo una cosa...vecchia...
C. Quindi secondo te questa
potrebbe essere anche una maniera
per evitare di cavalcare l’onda che
sta commercializzando l’uso del
fetish e del sadomaso nei club,
rendendolo plastificato e svilendo
anche il suo potenziale critico e
crossgender?
A. Non seguo assolutamente
le tendenze musicali, non per
snobismo e non credo neanche
che sia un difetto bensì un pregio. Lo
faccio per non farmi condizionare
musicalmente e artisticamente...
qualcuno ha parlato del mio stile
come precursore di un nuovo
genere, pornoacido...non so cosa
vada adesso, anche quando vado
a Berlino, a Madrid, a Parigi evito
di andare nei locali cool, perchè
inconsciamente penserei, ah, vedi
sta andando questo, quindi forse
dovrei...no, di conseguenza compro
pochissima musica, quasi sempre
sono atti di fede nei confronti di artisti
o di label che seguo da sempre, non
mi preoccupo della commerciabilità
dei pezzi, non mi preoccupo della
gente che ho davanti quando
propongo lo spettacolo e finchè
troverò qualcuno che mi pubblica e
mi fa lavorare è bene, altrimenti un
giorno cambierò lavoro.
C. Il Gender è una performance,
così nelle teorie di genere; il
genere è cioè uno stato mutevole
dell’individuo, che si ridefinisce
ogni volta e senza dover essere
catalogato come eteresessuale
o omosessuale. Dal tuo punto di
vista, in che cosa questo approccio
può intervenire sulle relazioni di
potere tra i generi, e nello specifico
credi che le tue performance
siano un modo per illustrare come
liberarsi dalla gabbia delle identità
precostituite?
A. Si, sicuramente, si, ti faccio un
esempio pratico. Quando ho
iniziato sono stato resident
per due anni ogni primo
sabato del mese a Milano in
un club, anzi in una specie di
bettola, discopub, a ingresso
gratuito come ne trovi chessò
a Londra, a Francoforte...ho
voluto incominciare a lavorare
lì perchè mi sembrava il posto
più adatto per il tipo di arte
che presentavo che non era
adatta per i grandi club. Allo
stesso tempo mi son reso conto
di un cambiamento rispetto
alle prime esibizioni: i ragazzi di
20 anni, etero, che non hanno
vissuto gli anni Ottanta ma
che conoscono solo l’House,
sono rimasti all’inizio fleshati e
poi sono diventati miei grandi
fan. Addirittura venivano tutti
i sabato, etero convinti ripeto,
e, quando io suonavo miei
pezzi tipo blow job erano lì a
cantare <succhiami il c****,
pompino>, e cose di questo
genere. Per me è stata una
cosa bellissima, vabè sono
parole del c**** però, vedere
che questi ragazzi sono andati
al di là del loro orientamento
sessuale,
abbracciando
semplicemente la mia onda
artistica, l’ho trovata una
cosa
anche
socialmente
importante.
C.
Date
le
tue
belle
collaborazioni con il mondo
della moda e delle arti visuali,
penso alla stilista americana
Holly Krueger [N.d.I. sorride
sornione, pensando “caspita
questa ne sa più del mio
agente” e vi assicuro che è
l’espressione più gratificante
che
un’intervistato
possa
avere], credi che il legame con
la moda e, dunque, l’interesse
delle fashion theories, possa
essere un ulteriore sponda per
praticare un discorso intorno
alla corporeità vista come
performance?
A. Si, assolutamente. In realtà
tranne alcune eccezioni tipo
Versace e Givency che hanno
preso delle mie tracce e le
hanno piazzate in compilation
etc., con Holly Krueger,
invece, ho fatto un lavoro
più specifico, cioè costruivo
proprio delle colonne sonore
per i suoi show a 360 gradi,
che comprendevano diverse
forme espressive d’arte: attori,
musicisti, stilisti, coreografi,
scenografi...sicuramente
in
quel caso la mia musica si
sposava bene con il concetto
del corpo che sfila e del vestito
che lo ricopre..
Si ringraziano, Adriano e il
Barone per la disponibilità
all’ascolto e ciò che ci hanno
fatto ascoltare.
Si ringrazia Lab080 per quello
che ci farà ascoltare.
La versione video a cura di Vito
Cascella dell’intervista sarà on
line su www.adrianocanzian.
com
KeepCool
20
IL SALTO NELL’INDIE
Seconda tappa del nostro
viaggio alla scoperta del
panorama
indipendente
italiano, questo mese è il
turno di Arab Sheep, etichetta
Friuliana che ci ha conquistato
per l’eleganza estetica e
musicale delle sue produzioni.
Ci racconti un po’ la vostra
storia?
L’Arab Sheep nasce come la
maggior parte delle piccole
realtà indie. Con gente che fa
musica scontenta di rimanere
nel solito agglomerato locale
fatto di musicisti che vanno
ad ascoltare altri musicisti, a
rotazione. Gente scontenta
che decide di smettere di
essere scontenta e di darsi da
fare.
Tutto è nato intorno al
primo progetto, i Lefty Lucy,
attorno al quale si riunivano
gran parte delle menti ma
più che altro dovremmo
dire delle braccia dell’Arab
Sheep, intorno all’anno duevolte-mille ci siamo trovati
ad affrontare la spinosa
questione della produzione
di un disco, questione che
si riassume in una semplice
domanda: Qui prodest? A chi
giova? Eppure (questa è stata
la riflessione fondamentale)
non solo l’ambiente friulano
è ricco e stimolante dal punto
di vista della produzione
musicale e sarebbe pronto
per farsi apprezzare anche
fuori dai confini regionali
(qualche esempio lo hanno
dato nostri conterranei come
il Musiche Furlane Fuarte e la
Riot Maker). Mancava una
forma da dare a tutte queste
cose. Ed un coordinamento,
che è poi la cosa più difficile.
Da qui l’idea di fondare
un’associazione
culturale,
cosa
che
effettivamente
avviene nel 2004.
Il secondo gruppo che cresce
nel gregge sono i Clevis Hat, è
però con il disco di Francesca
Luzzi che siamo finalmente
riusciti a rodare l’impianto
Arab Sheep in maniera
convincente e produttiva ed
a sentirci pronti per pensare
ad altri progetti.
Quale è l’indirizzo artistico,
se uno ce n’è, della vostra
etichetta?
Non
c’è
assolutamente.
Lo
scopo
della
nostra
associazione è alla fine dare
una testimonianza di piccole-grandi
cose che altrimenti verrebbero
ignorate o spazzate via.
Certo, ci sono delle condizioni
determinanti: prima tra tutte,
diffidiamo di chi suona perché
gli piace l’idea di far parte del
grande circo e non perché abbia
effettivamente qualcosa da dire.
Ultimamente va di moda questa
espressione: sentire l’urgenza di
scrivere e fare musica. Che è molto
teatrale, come cosa da dire...
però è vera: la musica è passione,
parola che nella lingua dei tempi di
Asterix aveva anche un’accezione
negativa, “sofferenza”. In questo
senso… noi cerchiamo persone che
stanno male se non scrivono e non
suonano, perché dentro di sé sanno
che non suono buoni a fare altro e
che quello devono fare!
Che tipo di diffusione ha il vostro
materiale, come si può trovare,
acquistare?
Finora abbiamo contato solo sui
negozi underground, gli unici aperti
alla vendita di materiale proveniente
da distributori... singoli! Ovviamente,
c’è anche il discorso della vendita
on-line, che funziona sempre,
ma purtroppo solo con chi ama
“cercarsi” la musica da ascoltare e
spende tempo a spulciare in rete tra
le novità inedite.
Vi considerate fuori dal mercato o
parte di un circuito?
Al momento in realtà niente di
tutto ciò, ancora ci sentiamo un
po’ come delle matricole che si
stanno avventurando nel campus.
Ma sicuramente, se riuscissimo a
mettere in atto anche solo parte di
quello che abbiamo in testa, sarei
per la seconda opzione: produrre la
propria musica e farla conoscere al
pubblico (tramite internet, le riviste
di musica e quant’altro), suonare
in giro per l’Italia, aprire contatti e
collaborazioni con altre persone del
circuito... penso siano gli obiettivi di
tutte le realtà indipendenti italiane,
che paradossalmente dimostrano
maggiore lungimiranza e a volte
incontrano anche più fortuna di tanti
operatori del mercato discografico
tradizionale.
Quale è il vostro parere sui colleghi
e sulla scena indie più in generale,
in Italia?
Negli ultimi anni la scena indie sta
risvegliando molto interesse, ma
la cosa veramente nuova è che
fa molto più rumore di una volta:
qualcuno dice che è perché la
musica di mercato è in crisi perciò
si comincia a guardare in basso, per
cercare il nuovo o semplicemente
qualcosa che funziona senza
bisogno di soldini da investire. Sta di
fatto che anche in Italia finalmente
la scena indipendente ha una sua
dignità.
Una
sensazione
che
talvolta
abbiamo provato anche sulla nostra
pelle: due settimane fa’ siamo stati
ospiti a Radio Uno e… ci siamo
innanzitutto meravigliati del fatto
che anche una radio di stato avesse
sentito l’eco delle piccole produzioni
FR Luzzi
e comunque stupiti dell’interesse di
un “colosso istituzionale” verso la
musica indipendente. Credo che
il merito stia nell’impegno di chi
in tutti questi anni, anche sotto la
prospettiva del “guadagno zero”, si
è messo in gioco.
Parlare di “colleghi” forse è un po’
troppo, e non per falsa modestia
ma perché ci sentiamo veramente
ai
primi
passi...
comunque
apprezziamo molto la linea d’azione
di etichette come la Wallace
Records o la Snowdonia, a loro va
il merito di aver sempre puntato su
un’originalità che non è fine a sé
stessa.
Ci parli un
produzioni?
po’
delle
vostre
I “padri pellegrini” della nostra
associazione sono i Lefty Lucy: la
scrittura e l’impatto richiamano
l’arietta
scozzese
(Delgados,
Belle&Sebastian)
ed
il
post-rock
americano,
stanno
a
metà
tra
acustico
ed
elettrico.
Seguono
la
parabola
della canzone d’autore
italiana
riscrivendola
a modo loro, per una
perfetta
commistione
tra cantautorato e suoni
ricercati.
Poi ci sono i Clevis Hat,
costola del braccio sonico
di Marco (tastierista dei
Lefty nonché tra i padri
fondatori dell’Arab Sheep).
Qui siamo sul fronte
dell’indie-rock elettronico
ad alto potere evocativo,
quasi “cinematografico”.
Un quadro di fotogrammi
metropolitani con sfondo
vagamente noìr.
Fiore all’occhiello dell’Arab
Sheep: miss FR Luzzi, la
degna risposta italiana
alla campagna Quiet
is the new loud dei Re
Della Convenienza. Voce
scarna e delicata per
una manciata di canzoni
dotate di un naturale
gusto per la misura e di
leggerezza
solare,
tra
l’indie-pop ed il folk con un
pizzico di bossanova.
Ultima novità in anticipazione: i Belladonna, un
progetto vagamente etichettabile nello scaffale del garage con sprazzi di psichedelia.
“I Braniac”, “il fuzz nelle sue
applicazioni” ed “l’universo
come muro di suono” sono
le materie d’esame della
“school of rock” di questo geniale progetto. Se ne vedranno delle belle, insomma...
E cosa altro ti piace, se c’è, in
Italia?
Ci piacciono tante cose...
qualche
nome:
Cristina
Donà, gli Offlaga Disco Pax
(con cui Gaetano ha spesso
a che fare), i Perturbazione,
o ancora... Zen Circus e i
Midwest. Da poco abbiamo
scoperto anche i bravissimi
Studio Davoli (Records Kick).
Che altro? I friulanissimi e
pigrissimi Prorastar!
Clevis Hat
KeepCool
Gialloelettrico
Garbo,
l’autore
di
una
canzone
indelebile
nella
storia del pop italiano come
A Berlino pubblica il secondo
capitolo della trilogia a colori
nonché
quattordicesimo
album del suo percorso
artistico. Fra nostalgie rock e
riflessioni sull’uomo del nostro
tempo Garbo si racconta.
Come ti sei avvicinato alla
musica d’ispirazione poprock, fenomeno che oggi trova
mille differenti sfaccettature?
Innanzi tutto l’ispirazione nasce dal bisogno personale
di produrre musica al di là di
come la si possa etichettare.
Ho attraversato in questi ultimi
vent’anni la mia musica sperimentando diversi modi di realizzarla fino ad arrivare all’ultimo lavoro Gialloelettrico che
tutto sommato, nonostante
un discreto lavoro di ricerca
sonora, non è altro che un album di pure “pop songs”.
“Evoluzione e tecnologia” uno
fra i temi che hanno catturato
la tua attenzione. Una società
techno-dipendente?
Per quanto mi riguarda l’uso
della tecnologia applicata
alla musica mi ha permesso
di ampliare notevolmente
i miei orizzonti creativi, ma
allo stesso tempo credo che
sia solo uno strumento non
in grado di sostituire il gesto
creativo che può nascere solo
dalla mente e dalla sensibilità
di un artista. Quindi non mi
auguro una società technodipendente, ma una società
in cui la tecnologia dipende
dall’uomo.
Come definisci la collaborazione che hai avuto con Franco Battiato?
Decisamente importante ed
educativa. In occasione di
quel lungo tour dove feci da
supporto a Battiato nel 1981,
anno in cui esordivo con
l’album A Berlino...va bene,
imparai molte cose circa la
mia musica e le strade che
poi avrei percorso e imparai
molto anche rispetto il mio
rapporto con il palcoscenico.
Nel 1995 pubblichi Fuori per
sempre un lavoro introspettivo
che evidenzia la solitudine del
nostro tempo e rivolge il proprio sguardo allo spiritualismo.
In cosa credi?
Credo di avere una profonda
spiritualità anche se non ho
21
Intervista a Garbo
di Patrizio Longo
mai tentato di dargli un nome.
Fuori per sempre nasce in pieni
anni ’90... anni che hanno vista
la fine dei grandi movimenti dei
decenni precedenti, anni in cui
creativamente mi sono sentito un
po’ più solo e introspettivo.
Dalla tua interessante discografia
a quale lavoro sei particolarmente
legato e per quale motivo?
Indubbiamente A Berlino...va bene
come già citavo rappresenta il mio
esordio e l’inizio di questo lungo
viaggio, ma credo in verità che ogni
tappa, ogni album che mi sono
regalato e ho ceduto ad altri è stato
per me un importante momento di
crescita.
Cosa è cambiato oggi dal Garbo di
Fotografie del 1984?
Tanto dentro di me, nel mio modo
di sentire la mia personalità, di
pensare, di approcciarmi a ciò
che mi circonda, di comunicare e
tanto è cambiato il mondo che ci
circonda. Oggi l’uomo vive questo
tempo in modo inevitabilmente
diverso rispetto vent’anni fa, proprio
perchè i temi di questa epoca sono
spesso nuovi.
Parlando
di
background
se
dovessimo curiosare nella tua
discoteca privata quali dischi
troveremmo?
Direi un po’ di tutto. Dalla classica
all’elettronica più sperimentale,
dalla musica più easy al pop rock
più “colto”. È certo però, come
puoi immaginare, che la mia
formazione musicale affonda le sue
radici in certo pop rock di matrice
anglosassone che arriva dagli anni
’70.
Nel tuo sito internet c’è una sezione
chiamata MP3 (In costruzione).
Cosa pensi di Internet del “file
sharing”. Sei favorevole alla libera
distribuzione della musica in rete ?
Internet permette una rapida e
grande diffusione del messaggio
che vogliamo dare di noi stessi,
quindi è un grande strumento di
comunicazione globale. Penso
però che la distribuzione di musica
in rete vada in qualche modo
regolamentata e questo per tutelare
il diritto d’autore e il lavoro di chi
opera in un settore così importante
per la cultura.
Cosa è il Garbo Lab. Il tuo personale
laboratorio?
E un posto in cui io e chi collabora
con me può depositare progetti
e idee che possono e potranno
servirci e che un giorno, in futuro,
potremmo rileggere per capire
che strade abbiamo percorso in
passato. (www.patriziolongo.com)
Intervista con Alessandro
Coppola dei Nidi D’Arac
di Patrizio Longo
Un’alternativa alla
musica italiana nel mondo
Il nuovo lavoro discografico St.
Rocco’s Rave vede i Nidi d’Arac alla
ricerca di emozioni provenienti dalla
cultura folk del Sud-Italia. Sempre
attenti alle diverse sfaccettature
che il mediterraneo offre. In questo
progetto ampio spazio viene
riconosciuto all’elettronica che
fa da collante a ritmi ripetitivi. Un
drum ed un carisma tipico della
pizzica alla base della realizzazione.
Abbiamo intervistato il cantante
e leader del gruppo, Alessandro
Coppola.
Voglia di esserci e di comunicare.
Quale il messaggio che Nidi d’Arac
vogliono diffondere?
La Pizzica è un fenomeno che
in questo momento trova sul
territorio nazionale ampio
riscontro,grazie anche al fatto
che diverse sono le sagre e
le manifestazioni a carattere
locale che hanno portato lo
stesso alla ribalta. La scelta di
rivolgere la vostra attenzione
a questo fenomeno da cosa è
stata scaturita?
La nostra attenzione è nata
diversi anni fa e, quindi, prima
che il tutto arrivasse all’apice
del
consenso
nazionale.
Abbiamo iniziato a metà
degli anni 90, la nostra è
Prima di tutto c’è il bisogno di
raccontare al mondo di una
tradizione musicale, quella del Sud
Italia, che è viva e che, attraverso
aggiornate
formule
estetiche
(magari le nostre), vuole comunicare
i suoi valori, insieme, di modernità e
universalità. C’è inoltre la necessità
di creare un’alternativa concreta
alla musica italiana nel modo.
Rispetto alla precedenti realizzazioni
cosa è cambiato in questo nuovo
lavoro?
Il messaggio, nel nuovo album, è
più chiaro, più accessibile, quindi
probabilmente potrebbe uscire
dalla nicchia di musica della
quale facciamo parte, della quale
comunque siamo orgogliosi.
Nel mondo di oggi risulta difficile
parlare di generi definiti, il vostro
come lo definireste? Elettronico,
folk, alternativo?
Oramai penso che la definizione del
nostro progetto possa avere diverse
sfumature a seconda dei brani,
quello che è certo è che siamo in
ambito world music da qualche
anno e che sinceramente mi fa
piacere far parte di un “mondo”
dove la diversità viene premiata.
Parlando
di
background
se
dovessimo curiosare nella vostra
discoteca privata quali dischi
troveremmo ?
Degli esempi: da Clash a Paolo
Conte , da Chemical Brothers a
Les Negresses Vertes, da Massive
Attack a Mano Negra, da Prodigy
ad Almamegretta, da Bill Laswell
ad Ucci (il gruppo storico della
tradizione salentina).
stata un’esigenza: scavare
nella tradizione per scoprire
la nostra identità artistica (e
non solo).
Quanto la cultura popolare
della Pizzica a vostro giudizio
è stata musa ispiratrice di
fenomeni come le sonorità
che si ascoltano durante i
Rave?
Per scoprire le affinità tra
techno e musica tradizionale
del Salento, bisognerebbe fare
un salto indietro ed analizzare
le caratteristiche della società
rurale (per molti aspetti
definita tribale). Considerando
la sua struttura percussiva,
ipnotica e ripetitiva, sono
molti punti in comune della
techno con la musica tribale,
quindi tradizionale. Esistono
delle teorie antropologiche
che spiegano tutto questo
in maniera più approfondita;
quello che facciamo noi, è
citare queste teorie attraverso
la musica.
La musica come media?
Quale messaggio trasmettono
i Nidi d’Arac con questo
lavoro?
Sicuramente essere fieri delle
proprie radici ed avere un
grande
entusiasmo
nello
scoprire altre radici, credere
in un’alternativa di fronte
all’appiattimento (dovuto alla
globalizzazione) delle culture
e, allo stesso tempo, avere
fiducia nel futuro.
(www.patriziolongo.com)
KeepCool
22
Stevie Wonder.
La piccola meraviglia di Detroit
di Gianpaolo Chiriacò
Berry Gordy era poco più che
ventenne quando iniziò la sua
attività di commerciante di
dischi. In breve tempo passò a
scrivere canzoni e a produrre
artisti, e nel giro di pochi anni
creò la casa discografica che
più di ogni altra segnò il futuro
della black music: la Motown.
La sua abilità accentratrice,
il suo intuito nel riconoscere il
talento musicale e, non ultima,
la sua ambizione gli permisero
di realizzare la versione nera
del tipico sogno americano:
partito con ottocento dollari
(o seicento, la leggenda è
sempre poco chiara riguardo
ai dettagli), Gordy mise su
un’azienda che si dimostrò
capace di competere con le più
importanti major, inanellando
una
serie
impressionante
di
successi.
Quando
un
bambinetto di dodici anni,
smilzo e non vedente, si presentò
negli studi della Motown, il
verdetto di Gordy e dei suoi
uomini fu unanime: il piccolo
aveva un futuro. Little Stevie
Wonder, questo il nome che
gli appiopparono, proveniva
dal ghetto di Detroit, cieco
per
colpa
dell’incubatrice
guasta in cui fu messo appena
nato. Malgrado l’handicap,
Steveland (il nome di battesimo)
crebbe sereno e vispo come un
bimbo normale, tant’è che Lula
doveva spesso cercarlo per
ore tra le strade del quartiere
nero per poi bastonarlo a
dovere una volta ritrovato. Ma
fu sempre Lula, sua madre, a
indirizzarlo verso la musica: gli
ascolti alla radio, i primi esercizi
con l’armonica giocattolo, con
batterie residuate, rivelarono
presto il talento innato e gli
permisero di crescere privo
di complessi perché tutti
riconobbero in lui un enfant
prodige da coccolare.
In questa realtà intervenne
quel geniale marpione di
Gordy. La sua idea fu sfruttare
l’immagine di un bimbo cieco, il
coinvolgimento del suo
canto, la brillantezza e
il virtuosismo della sua
armonica, per creare
subito un parallelo con
il genio del soul, Ray
Charles, e conquistare
così l’intero pubblico
americano. Il primo
45 giri, Call It Pretty
Music
(1962),
non
rappresentò un vero
successo, tuttavia non
passò troppo tempo e
l’energia travolgente
di Fingertips (1963)
raggiunse
il
primo
posto nelle classifiche
americane. Da quel
momento
Stevie
divenne una star; i suoi
dischi erano attesi e
acquistati da una folla
di persone, attratta
dalla forza e dalla
gioia vitale di quella
voce. Il piccolo era
precoce oltre ogni
dire:
passeggiava
tra gli studi della sua
casa
discografica
imparando a suonare
qualsiasi strumento gli
capitasse a tiro e nel
contempo maturava
la volontà di esprimersi
completamente,
di
allontanarsi dai canoni
Motown per realizzare
qualcosa di proprio.
I microsolchi che incise tra la fine
degli anni Sessanta e l’inizio degli
anni Settanta portano già il marchio
della volontà di cambiamento e del
nuovo fermento afroamericano:
l’invasione del funk, il mood
innovativo di What’s Going On
(Marvin Gaye, 1971), di There’s A
Riot Goin’ On (Sly & The Family Stone,
1971). Stevie accennava i primi passi
di un’evoluzione significativa: We
Can Work It Out è così intriso di ritmo
e sudore che basta confrontarla
con l’originale beatlesiano per
capire qual è la differenza tra la
musica nera e quella bianca.
Il cambiamento decisivo, però, arrivo
con la maggiore
età.
Deciso
a
prendere in mano
la
situazione,
Stevie,
compiuti
i
ventun’anni,
impose
le
sue
condizioni: “o mi
si lascia fare ciò
che voglio o me
ne vado”. Gordy,
messo alle strette,
non poté far altro
che accettare, e
così Stevie si dedicò
alla creazione e
alla registrazione di
una serie di album
che
rimangono
tuttora
nella
storia. Canzoni di
valore
assoluto,
in cui Stevie fa
semplicemente
tutto: realizza le
musiche, i testi,
Il periodo d’oro di Stevie
Wonder:
Music Of My Mind
Tamla Motown
(1972)
Una ricerca sonora forsennata.
Lasciati i locali della Motown,
Stevie peregrina fra gli studi di
registrazione più importanti del
periodo, sperperando 250,000
dollari. Il risultato è un disco
non ancora eccezionale ma
intenso (Keep On Running)
e imprevedibile (come nel
trattamento vocale di Sweet
Little Girl).
Talking Book
Tamla Motown
(1972)
Si apre con la celebre You
Are The Sunshine Of My Life
ma raggiunge la vetta nella
seconda facciata: l’accusa
di ipocrisia in Big Brother, le
quiete strutture di Blame It On
The Sun e Lookin’ For Another
Pure Love (con Jeff Beck alla
chitarra), e la coda finale di I
Believe fanno del disco un vero
capolavoro.
gli arrangiamenti, e suona ogni
strumento (o quasi). Sono dischi il
cui senso profondo è la spiritualità
e l’amore (verso la musica, le
donne, l’umanità) ma la veste è di
un’originalità inavvicinabile, una
sintesi di tutti i suoni e i generi che si
fronteggiavano in quegli anni gloriosi.
Finito il periodo d’oro, Stevie perse
lo smalto dei primi LP; le sue qualità
vocali e strumentali continuarono a
risplendere ma la creatività faceva
difetto. Tuttavia, gli anni Ottanta
consacrarono il suo genio: quello
che lui aveva realizzato divenne il
modello per qualsiasi esperimento
di pop sofisticato, dai Toto a Sting.
Gli anni Novanta, poi, lo hanno visto
come la tipica icona che ritorna sulle
scene per “rinnovare” i palinsesti delle
trasmissioni televisive o le proposte
delle agenzie di spettacolo; ma
c’è ancora una quantità infinita di
cantanti r’n’b o nu soul che mirano
alla sua voce quando si lanciano
in pavidi e leziosissimi virtuosismi.
In queste settimane, a dieci anni
di distanza dal suo penultimo
disco, Conversation Peace, Stevie
Wonder ha dato alla luce il nuovo
frutto delle sue doti, A Time 2 Love.
Un lavoro nel suo complesso un po’
stantio, eppure qualche pepita
d’oro si può sempre ritrovare: So
What The Fuss e l’omonimo A Time
2 Love sono fulgidi esempi della sua
fantasia di autore e di interprete. In
essi risuona forte, e chiaro come un
tempo, il messaggio della sua arte:
“Being physically blind is no crime,
but being spiritually blind is a serious
handicap”.
Innervisions
Tamla Motown
(1973)
Le visioni non sono solo interiori,
ma diventano psichedeliche
in Too High, caustiche in
Higher Ground. Diventano
uno strumento di riflessione
sulle condizioni dell’umanità
in Jesus Children Of America
e nella bellissima Living For
The City. Inarrivabile il potere
simbolico delle immagini di
copertina.
Fulfillingness’
First Finale
Tamla Motown
(1974)
Un grave incidente automobilistico, cui sopravvive miracolosamente, e una nuova storia
d’amore sono le iniezioni di
pacatezza e calma che caratterizzano questo disco. La
perizia nel delineare il suono
di ogni brano è ormai al limite
della perfezione.
Songs In The Key
Of Life
Tamla Motown
(1976)
È il White Album della musica
afroamericana. Ogni pezzo è
uno scrigno di melodia, ritmo,
gusto, stile: Village Ghetto
Land, Sir Duke, Pastime
Paradise, Black Man, As
per citarne alcuni. L’apice
indiscusso.
Coolibrì
Gli autori:
Niccolò Ammaniti è nato a
Roma. Da Fango
(1996) a Ti prendo
e ti porto via
(2000) a Io non ho
paura (2001), che
sfiora il milione di
copie vendute,
i suoi libri sono
tradotti in 44 lingue.
Capitoli 10 e 27.
Alèxandros Assonitis è nato ad
Atene nel 1959. È
considerato uno
dei più importanti
scrittori della sua
generazione. Vive
e lavora nella
capitale greca.
Capitoli 7 e 23.
Feride Cicekoðlu è nata nel
1951.
Accesa
oppositrice
del
regime
turco,
ha
trascorso
diverso tempo in
prigione. Insegna
in
un’università
privata di Istanbul.
Capitoli 2 e 17.
Juan Manuel de Prada è
uno dei migliori
scrittori spagnoli
contemporanei.
Le sue opere
sono pubblicate
in
Italia
dalle
Edizioni e/o.
Capitoli 16 e 25.
Lena Divani è autrice di saggi
di
argomento
giuridico. Il suo
esordio letterario
risale al 1995. In
Italia i suo romanzi
sono pubblicati
da Crocetti.
Capitoli 5 e 20.
Michel Faber è nato in Olanda
ed è cresciuto
in
Australia.
Attualmente
vive in Scozia.
Pubblicato
in
Italia
da Stile
libero, è tradotto
in 29 lingue.
Capitoli 4 e 22.
Aris Fioretos è nato a
G ö t e b o r g ,
in
Svezia,
nel
1960, autore di
diversi
romanzi
e racconti, si
è laureato alle
università di Yale
e Stoccolma.
Capitoli 12 e 24.
Arthur Japin è nato in Olanda
nel 1956. Attore di
teatro e cinema,
sceneggiatore
e autore di testi
teatrali. Il suo
primo romanzo,
Il nero dal cuore
bianco è stato tradotto da
Guanda (2000).
Capitoli 9 e 15.
Narrativa, Noir, Giallo, Italiana, Sperimentale
la letteratura secondo coolcub
AA. VV.
Il mio nome è nessuno
Einaudi Stile libero
C’è un filo rosso che lega
indissolubilmente le grandi rivoluzioni
dell’America Latina, il movimento
riformista
cecoslovacco
della
Primavera di Praga, la resistenza
greca contro i colonnelli, i movimenti
rivoluzionari europei degli anni
settanta fino ad arrivare ai nostri
giorni, al movimento contro la
globalizzazione. C’è bisogno, inutile
nasconderlo,
di
riscoprire
una
mitografia che va riportata alla
originale purezza, che va ripulita
dagli strati di polvere che le si sono
depositati addosso, che va staccata
dalle magliette e dagli adesivi e
va riportata alla sua originale forza
dirompente e creativa.
Può essere letto così questo Il mio
nome è nessuno (titolo originale Global
novel che nella versione italiana
diventa il sottotitolo), romanzo scritto
a più mani, da 14 scrittori di tutto il
mondo e appartenenti a generazioni
diverse. L’idea nasce ad Atene,
durante le Olimpiadi, e il progetto
viene finanziato dal Ministero Greco
per la Cultura, una di quelle cose che
fa piacere sapere ogni tanto. L’Italia è
rappresentata da Niccolò Ammaniti.
Il funzionamento del libro è molto
semplice. 14 scrittori per 28 capitoli,
due a testa, il primo capitolo, l’incipit,
viene estratto a sorte. Ne viene fuori
una sorta di Odissea contemporanea,
un viaggio alla riscoperta delle radici,
alla ricerca di una verità nascosta da
vent’anni. Forse non il capolavoro del
secolo, ma certamente un libro, oltre
che bello da leggere, interessante,
per la varietà di mondi e di stili e di
paesaggi e personaggi che affronta
e mostra.
Cosa sarebbe successo se Hugo
Almendros, una sorta di Che Guevara,
rivoluzionario di un fantomatico Paese
del Centroamerica non fosse morto
e fosse invece sbarcato in Europa a
guidare i movimenti del ’68, del ’77,
la rivoluzione dei fiori in Portogallo,
la resistenza greca, se avesse
combattuto di fianco a Dubcek e
Havel? Se si fosse nascosto lui dietro
i passamontagna della guerriglia
condotta
dal
Subcomandante
Marcos?
La vicenda del libro è molto
semplice: Maria Teresa Almendros,
figlia del grande rivoluzionario Hugo,
scomparso vent’anni prima, è
innamorata del giovane Juan Marino,
figlio del presidente Salaberry, ex
rivoluzionario amico di Hugo e ora
sanguinoso e temuto dittatore.
Salaberry pone una condizione alle
nozze, Maria Teresa dovrà riportare
in patria il leggendario Hugo
Almendros.
E qui comincia il viaggio a ritroso
nel tempo e in giro per il mondo
della giovane donna alla ricerca
delle tracce lasciate da suo padre
nel passaggio da un Paese all’altro,
da una stagione all’altra, da una
rivoluzione all’altra.
Etgar Keret è nato a Tel Aviv
nel 1967. Tra i
suoi
romanzi
pubblicati
in
Italia
dalle
Edizioni
e/o
ricordiamo
P i z z e r i a
Kamikaze
(2003) e Io sono lui (2005).
Capitoli 13 e 26.
Yasmina
Khadra
è
lo
pseudonimo
dietro il quale
si cela un ex
ufficiale
dello
Stato maggiore
algerino,
che
solo dopo avere
abbandonato
l’esercito ha potuto rivelare
la sua identità. Il suo Morituri è
stato pubblicato in Italia dalle
Edizioni e/o nel 1998.
Capitoli 3 e 19.
Pavel Kohout è nato a Praga
nel 1928. Dal
1956 scrive per il
cinema, il teatro
e la televisione.
Consigliere
del presidente
Vàclav Havel,
i suoi romanzi
sono tradotti in italiano da
Fazi.
Capitoli 8 e 14.
Ingo Schulze è nato a Dresda
nel
1962.
Ha
esordito
nel
1995
con
33
attimi di felicità
(Mondadori
2001). Vive a
Berlino.
Capitoli 11 e 21.
Antonio Skármeta è nato nel
1940 in Cile, che
ha abbandonato
nel
1973
in
seguito al colpo
di Stato, per farvi
ritorno nel 1989.
Suo il celebre
romanzo
Il
postino di Neruda. Dal 2000
è ambasciatore del Cile in
Germania.
Capitoli 1 e 18.
Ghiorgos Skourtis è nato nel
1940. Considerato
uno dei maggiori
drammaturghi
g
r
e
c
i
contemporanei,
vive e lavora ad
Atene.
Capitoli 6 e 28.
pagina
a cura di
Dario Goffredo
Coolibrì
24
Christopher Coake
Siamo Nei Guai
Guanda
Il dualismo amore-morte
gioca da sempre un ruolo
centrale nella tradizione
artistica e letteraria; non fa
eccezione l’esordio editoriale
di Christopher Coake,
scrittore statunitense il cui stile
narrativo non ha tardato a
riscuotere ampi consensi tra
critica e colleghi, uno fra tutti
l’ormai blasonatissimo Nick
Hornby. Siamo nei guai è una
raccolta di racconti; storie,
personaggi e ambientazioni
differenti, legati però
indissolubilmente da un unico
filo conduttore costituito dalla
continua lotta tra la morte
e l’amore per il sopravvento
sulle vicende umane, una
battaglia senza tregua in cui il
confine tra vittoria e sconfitta
è spesso labile e indefinibile.
La morte come fine di
ogni speranza, progressivo
deterioramento, solitudine
estrema, termometro
impietoso dello scorrere
inesorabile del tempo,
che riporta l’uomo alla
consapevolezza della sua
caducità e ne soggioga ogni
pensiero e azione in nome
della paura. L’amore come
unica via di scampo, attimo
di fugace immortalità, di
fronte al quale ogni cosa
acquista un senso. In un
universo dominato da queste
due forze, che si alternano
in perfetto equilibrio tra
sfondo e primo piano, si
svolgono le vicende dei
vari personaggi, personaggi
anche molto diversi tra loro
ma tutti ugualmente in grado
di suscitare un profondo
senso di immedesimazione.
In tale contesto il più bieco
dei tradimenti appare di
una purezza disarmante e la
scelta di vivere una continua
sfida con la morte sembra
l’unica via percorribile. Coake
si muove con sorprendente
abilità, facendo uso di
diverse tecniche narrative,
destreggiandosi tra il
racconto e il romanzo breve,
utilizzando indifferentemente
la voce narrante e il
racconto in prima persona.
L’accuratezza dei particolari
nella descrizione dei momenti
che precedono e seguono la
morte e la profondità con cui
l’autore sviscera l’emozione
sorprendente e trascinante
della nascita dell’amore
rendono questo libro
altamente sconsigliabile a chi
soffre di attacchi d’ansia e di
pene d’amore.
Giacomo Rosato
Preethi Nair
100 sfumature di bianco
Polillo Editore
La trentaquattrenne indiana
ma trapiantata in Inghilterra
Preethi Nair torna con un
romanzo interessante. In 100
sfumature di bianco Nalini ha
lasciato un villaggio dell’India
per seguire il marito Raul a
Londra con i loro
Michel Houellebecq
La possibilità di un’isola
Bompiani
di Antonio Iovane
C’è la scena in cui il protagonista
(Daniel 1) e Isabelle si lasciano.
Lei aspetta il taxi fuori dalla villa
dell’ex amante. E mentre aspetta,
nell’imbarazzo delle dolorose frasi di
circostanza che tutti prima o poi si
rassegnano a conoscere, dice: “Oh,
la vita passerà in fretta”. È uno dei
momenti narrativi che hanno fatto
di Houellebecq il narratore che è.
Ma sono anche il suo grande limite.
Per questo geniale francese gli
uomini sono animali soli e bugiardi
mossi dal solo istinto sessuale. E
“quando l’amore fisico sparisce,
sparisce tutto; un’irritazione cupa,
senza profondità, viene a riempire la
serie dei giorni”. Vabbè, tocca starci.
Del resto è una chiave di lettura che
vanta padri numerosi e autorevoli.
Ma nessuno si sognerebbe mai di
camparci di rendita, senza una
buona storia. E finora Houellebecq
aveva sempre avuto tra le mani
buone storie. La sua filosofia era
egregiamente inserita nel contesto
storico delle comuni anni ‘70
delle Particelle elementari; era
superba nella contemporaneità
dei turismi sessuali e del terrorismo
del riuscitissimo Piattaforma, con
quella miracolosa scena finale.
Poi questo contestato scrittore
francese pensa di avere un’idea:
uomini clonati e svuotati dell’istinto
sessuale che dal futuro leggono le
memorie del loro predecessore.
Così Houellebecq alterna il piano
di Daniel1 a quelli di Daniel24 e
Daniel25. Il risultato? La noia ci ha
sopraffatti e sconfitti. Daniel1 è un
comico patetico e provocatore. I
suoi spettacoli sono Si preferiscono
le troione palestinesi o Mangiami la
striscia di Gaza (mio grosso colono
ebreo), e a chi conosce le vicende
extraletterarie dell’autore - a
processo per i suoi attacchi all’Islam
- tutto tornerà. Ma anche quello
del comico triste, che concede
solo qualche tiepido sorriso, è un
tema stantio e prevedibile. Fanno
più ridere Daniel24 e Daniel25,
coi loro commenti imbarazzanti
mentre leggono le vicende del
loro predecessore, tipo: Oh, questo
doveva essere l’amore.
Insomma, un libro ambizioso, spesso
imbrigliato in tecnicismi e pieno di
presunzione; ma quello che non
perdoniamo a Houellebeq è di voler
raccontare il futuro in modo così
sgangherato e privo di ironia, con
quelle ambiziose quaranta pagine
finali che ci farebbero confessare
qualsiasi omicidio, se lette da un
qualsiasi commissario di polizia. No,
davvero, una tortura. Ma che ti è
successo, Houellebecq? Perché ti
fissi sugli elohimiti (i raeliani del futuro)
inventando, udite udite, un futuro in
cui saremo tutti clonati. Ma non è
più interessante la nostra epoca?
Oh, sì, lo è. E infatti gli unici momenti
di felicità del libro sono proprio qui.
Nel tempo presente dell’infelicità.
Witold Gombrowicz
Pornografia
Universale Economica Feltrinelli
di Anna Puricella
Circa due anni fa sono entrata in una
delle librerie storiche di Lecce, mi sono
messa in coda ed ho aspettato con
un po’ di impazienza il mio turno. Ero
da poco tornata dal mio Erasmus in
Polonia, e non vedevo l’ora di avere tra
le mani quello che molti (anche Alias)
avevano definito “il capolavoro della
letteratura del Novecento”, opera di
uno scrittore polacco. Mi sono quindi
avvicinata alla proprietaria della
libreria senza vergogna per quello
che stavo per chiederle, anzi sicura di
avere la sua approvazione per la mia
scelta sofisticata. “Vorrei una copia
di Pornografia di Gombrowicz”, ho
detto a voce alta. Poi è successo tutto
in un attimo: il suo sopracciglio destro
si è sollevato, gli occhialetti sono scesi
accusatori lungo il naso, lo sguardo ha
oscillato tra l’indagatore e lo schifato.
“Ma signorina, che libri legge?”
Sono uscita dalla libreria indignata,
pensando che per me pornografico
è il solito polpettone di Natale di Boldi
e De Sica che lei certo va a vedere,
non un testo osannato dal mondo
intero. Che poi è inconcepibile che
una libraia non sia informata, questo
è pornografico, ho pensato.
Ho pazientato per circa un anno.
Ogni tanto pensavo alla figuraccia
rimediata in quella libreria. Pornografia
non si trovava, è in ristampa, dicevano,
ma dall’ultima ristampa erano passati
quasi trent’anni, e io pensavo che
questo era davvero pornografico.
Poi ho visto il film, diretto da un regista
polacco e ignorato al
Festival del Cinema di
Venezia 2003, un vero
capolavoro. Dove di pornografico,
nel modo in cui comunemente
si utilizza il termine, non c’è nulla.
La pornografia, nel libro come nel
film, è nei gesti, nello sfiorarsi degli
sguardi, nella mente di due uomini
di mezz’età che per fuggire dalla
noia di un soggiorno in campagna
costruiscono una realtà inesistente e
conducono tutti gli altri abitanti della
villa, in un continuo gioco di sospetti
e presunte corrispondenze, ad
accettare quella realtà come l’unica
possibile. Il progetto dei due uomini
sta nel far cadere in una trappola
amorosa due adolescenti, Carlo ed
Enrichetta, del tutto indifferenti l’uno
all’altra. Ed è qui la pornografia, nella
morbosità dei pensieri degli adulti,
nella estrema bellezza della gioventù
e nell’equazione, alla base del
pensiero di Gombrowicz, Giovinezza
= Inferiorità, Giovinezza = Bellezza, e
quindi Bellezza = Inferiorità. Il lettore si
ritrova così spesso incapace di capire
se quello che legge avviene nel
mondo reale o nei pensieri deviati dei
due uomini. Quest’estate, finalmente,
ho appreso con gioia che il libro
era rientrato nel catalogo Feltrinelli,
insieme alle altre opere dello stesso
autore. E l’ho comprato. Ma non
sono andata mica nella stessa libreria
di due anni fa.
due figli, Satchin e Maya,
ma nel cuore conserva i
colori e i profumi della sua
terra, la magia delle spezie
e delle tradizioni millenarie.
I suoi bambini, invece,
affascinati dalle novità del
mondo occidentale, dagli
hamburger di McDonald’s e
dalla televisione, desiderano
solo integrarsi nella nuova,
eccitante realtà londinese.
Neil Strauss
The Game
Canongate
Ma è proprio vero che “la
regola dell’amico non sbaglia
mai”? GQ lo venera come
un credente la Bibbia, il
Sunday Times lo considera
come la solita serie di luoghi
comuni che mette in guardia
le donne dall’evitare certi
uomini, più che di cadergli
tra le braccia. Si piazza
comunque al secondo
posto della classifica di
vendite dopo solo quindici
giorni dall’uscita, The Game,
il libro che promette un
cambiamento radicale
nella vita dell’uomo medio,
o meglio dello sfigato che
non acchiappa mai. Parola
dell’autore (noto anche con
l’originalissimo alter-ego di
Style), giornalista al seguito
di band come i Motley
Crue e Marylin Manson e,
per sua stessa ammissione,
poco attraente, calvo e
anche abbastanza basso.
Eppure… Eppure la sua vita è
cambiata quando gli è stata
commissionata un’indagine al
seguito del cosiddetti “pickup artists” (o “esperti nell’arte
del cuccare”), una comunità
operante soprattutto sul
Web, che col passare del
tempo ha elaborato delle
dettagliate teorie (spesso
frutto di dura, sudata pratica)
fino a scoprire la giusta
“combinazione per schiudere
il cuore – e le gambe – di
qualsiasi donna”. Seguendo i
suggerimenti di Mystery, Rick
H, David D’Angelo e numerosi
altri maestri dell’amore,
mandando a memoria i loro
precetti ed applicandoli in
ogni occasione, Strauss si
è trasformato in uno degli
uomini più desiderati del
momento. Perché, a quanto
pare, una donna non bada
all’incipiente calvizie quando
le ci si avvicina con un
certo savoir-faire, facendole
capire di desiderarla, ma
allo stesso tempo di avere
tutte le qualità per farsi
desiderare. “Due passi avanti
ed uno indietro”, è quello
che fondamentalmente
Style pensa ogni volta che
si avvicina al bancone di
un bar di Los Angeles per
beccare il fatidico momento
in cui una supermodella
ha appena consumato il
suo drink e alza gli occhi
dal bicchiere per volgerli
attorno a sé. La verità è
che, capelli a parte, Strauss
resta comunque un uomo
attraente. Sfido io un laido
Coolibrì
sessantenne soprappeso,
magari con la forfora ed i
peli che fuoriescono dalle
orecchie a comportarsi allo
stesso modo e garantire
di aver ottenuto lo stesso
risultato.
Mordecai Richler
La versione di Barney
Adelphi di Massimo La Fronza
“Non so raccontare una
storia senza distorcerla. Per
dirla tutta, sono un contaballe
nato. Ma del resto cos’altro
è uno scrittore, anche se
alle prime armi come me?”.
Evitando di raccontare
l’irracontabile, mi limiterò a
fornire tracce appena visibili
tra macchie di Macallan e
ceneri di Montecristo n°4. La
divagante storia della ‘vita
dissipata’ di Barney Panofsky
mette in imbarazzo l’esistenza
di chiunque ne entri in
contatto, lasciandogli attorno
una pregnante sensazione di
smemoratezza. Impossibile,
parlando di questo libro, non
abbandonarsi al gusto della
digressione. George Withman,
personaggio molto più che
secondario, per esempio, è
ancora oggi a Parigi nella sua
libreria, di fronte Notre Dame,
‘Shakespeare & Co.’ (per due
ore di lavoro al giorno potete
anche dormirci dentro). Alla
fine del libro ci si arriva con
due certezze e un dubbio.
La prima certezza è che
Panofsky abbia scritto una
lettera anche per me nella
quale il sedicente Presidente
della Fondazione Autori Ebrei
che Subiscono Recensioni
da Giovani Illetterati
ringrazia per l’interesse e
chiede un contributo di
sostentamento per scrittori
canadesi sconosciuti che
vogliono restare tali. La
seconda certezza è che alle
Olimpiadi Invernali di Torino
2006 farò il tifo per Jose
Theodore, Sheldon Souray e
Michael Ryder, i tre giocatori
di hockey dei Montreal
Canadiens che militano
nella nazionale canadese.
Il dubbio: “Com’è che si
chiama quell’arnese per
versare la minestra?”
Andrea Bocconi
La tartaruga di Gauguin
Guanda – 2005
Il tema dei viaggi continua
ad essere al centro della
narrazione di Andrea
Bocconi. Dopo il successo di
Viaggiare e non partire e Il
giro del mondo in aspettativa
lo scrittore e psicoterapeuta
toscano torna con un volume
di racconti. La tartaruga di
Gauguin è una raccolta di
storie ambientate tra est e
ovest, tra Italia e resto del
mondo. Guardando gambe,
che ci consegna un punto di
vista molto particolare, quello
di un uomo menomato e
costretto a guardare tutti dal
basso, apre il sipario su una
serie di personaggi a dir poco
singolari: un gangster
25
Guglielmo Pispisa
Città perfetta
Einaudi
di Rossano Astremo
Guglielmo Pispisa, uno dei membri
dell’ensamble narrativo Kai Zen, non
è nuovo alla fantascienza sui generis.
Già nel suo esordio, Multiplo (Corso
Bacchilega
Editore)
esplorava
questo terreno letterario eterodosso
e ricco di opportunità in un iperbolico
crescendo di situazioni surreali. Una
piccola azienda di software viene
venduta alla Morgan Holding,
enorme corporation. Il gruppo di
amici che formano la Simpliciter
crede di poter portare dentro la
Morgan le proprie idee. E la Morgan
deve riuscire a vendere al pubblico
il suo più grande investimento, non
solo immobiliare: la mirabolante
Città Perfetta. Una trama fitta e
avventurosa, sullo sfondo di scenari
che riguardano tutti: la rivoluzione
che diventa conformismo, il lavoro
come creatività o schiavitù, la
sfida perenne della ribellione
individuale. I protagonisti sono dei
nerds, vagamente disadattati, che
si ritrovano a fronteggiare una realtà
molto più grossa di loro. In un mondo
in cui la rivoluzione non è altro che
marketing e prodotto l’unica forma di
dissenso possibile è quella dell’uomo
in rivolta. Non si tratta di ideologie o
prese di posizione politico sociali ma
di qualcosa di molto più profondo,
quel tipo di rivolta che ha a che fare
con l’essenza stessa dell’individuo,
che a che fare con la dignità di
fronte all’assurdo.
Paolo Di Stefano
Aiutami tu
Feltrinelli
di Giancarlo Greco
Quella di Pietro è un’adolescenza
torbida, carica di quel senso di
assoluto che distorce e ingigantisce
ogni cosa: avvenimenti, emozioni,
sentimenti, sogni, delusioni. I suoi
affetti familiari sono devastati dalla
separazione dei genitori, occupati più
a star dietro alle loro proprie infelicità
che alla vita dei figli. Così la quotidiana
esistenza di Pietro, tredicenne
primo della classe perennemente
preso in giro dai compagni, non
trova altro sfogo se non la scrittura:
centosessantaquattro
lettere
indirizzate a Marianna, una donna
adulta che conosce appena ma che
elegge a suo unico interlocutore. Ma
Marianna non risponde mai alle sue
lettere; sfugge a Pietro come al lettore
fino a scomparire, a diventare mero
pretesto per continuare a scrivere.
Questa è la realtà come appare
dagli occhi di un adolescente: fate
e demoni, paure e speranze come
in una fiaba moderna. E questo è
Aiutami tu, ultimo bel romanzo di
Paolo di Stefano, scrittore e giornalista
del Corriere. Un romanzo originale e
felice nello stile, che diviene notevole
nel modo con cui l’autore riesce a
dar voce al soffocato grido di dolore
di Pietro costruendo un linguaggio
verosimile a cui viene affidato
totalmente il compito di tratteggiare
la psicologia del protagonista, la
sua sorprendente maturità, la sua
inettitudine, le sue comprensibili e
tenere ingenuità.
Massimo Carlotto,
Marco Videtta
Nordest
Edizioni E/O
Questa volta di nero
più che la storia c’è
l’ambientazione.
Un Nordest che non
la scia spazio alla speranza. Che
brucia tutto, dai rapporti familiari,
alla morale, ai rifiuti tossici. Una
illegalità diffusa che non ha nulla da
invidiare alle illegalità più tristemente
famose come la mafia o la camorra.
Un’insaziabile voglia di arricchimento
che non si ferma di fronte a nulla e
nessuno. Questo è il ritratto, severo,
del Nordest italiano che viene fuori
dall’ultima fatica letteraria di Massimo
Carlotto. Nordest scritto a quattro
mani con Marco Videtta, pubblicato
da E/O, come gli altri romanzi di
Carlotto, non è solo la storia di un
delitto. È la storia di una generazione,
quella degli imprenditori veneti che
negli ultimi anni hanno creato quel
cosiddetto miracolo economico del
Nordest che gli autori ci mostrano
costruito sulla corruzione, la truffa,
la collusione con la malavita e reati
anche peggiori. Per raccontare
questa vicenda viene scelta la forma
della saga familiare. Tutto ruota
attorno alle tre grandi famiglie di
un piccolo paese del Veneto, alle
fortune alterne e agli imperi da queste
costruiti, agli illeciti mascherati da
tutela dell’ambiente e da politiche
filantropiche, il tutto condite con le
solite, piccole e meschine, storie di
corna, sesso e invidia
che non guastano mai.
Vincenzo Cerami
L’incontro
Mondadori
di Fulvio Totaro
C’è un professore, stanco dei suoi
allievi e colleghi, che sparisce dalla
circolazione. C’è una crittografia,
un gioco bizzarro pubblicato su
una rivista di enigmistica, che
forse è l’unica traccia per trovare
l’accademico. C’è Lud un giovane
universitario che, solo per il gusto del
gioco, prova a risolvere l’indovinello.
Ma chi è il vero protagonista
dell’ultimo libro Vincenzo Cerami?
Chi troverà cosa alla fine del
romanzo?
Mentre
cresce
la
tensione per un incontro sempre
incerto e rimandato ogni volta al
capitolo successivo, il giovane Lud,
alle prese con il suo rompicapo,
non può non confrontare la fredda
bidimensionalità
dell’enigmistica
con la durezza, a volte l’indecenza
dell’esistenza vera. Attraverso una
crittografia Lud conosce per la prima
volta, alcuni frammenti dolorosi della
storia d’Italia e due figure importanti
nella storia personale e professionale
dell’autore: Attilio Bertolucci e Pier
Paolo Pasolini. I percorsi previsti
dal gioco, scoprirà presto Lud, non
sono pura geometria, ma una serie
di tappe dentro un’idea della vita.
Così, attraverso l’enigmistica che
è insieme fredda e leggera, Lud
brucia le tappe del suo percorso
di formazione e trova significati
nuovi della non-storia d’amore che
accompagna la sua ricerca.
di professione in un hotel di
Singapore, un bambino poco
loquace le cui prime parole
sono “frigorifero, assimatico,
penalty, culo e fax”, un
Maestro nepalese che sta
per lasciare l’ultimo dei suoi
corpi, un pazzo che a Bali
cammina per i campi di riso
alla ricerca di sacchetti di
plastica con cui fare aquiloni,
uno strano elfo che compare
sulle spiagge della Turchia,
un “presunto” Dio che lascia
in giro appunti. La raccolta
si chiude con il racconto
che dà il titolo e che narra
la storia della “fuga” di
un professore di storia
dell’arte dal suo matrimonio
preannunciato e si mette sulle
tracce dell’amato Gauguin
in Polinesia. Infine si torna
in Italia a Forte dei Marmi,
invasa dai turisti (Pedroso).
Francesco Niccolini
Racconti Civili, d’amore e di
guerra
Manni – 2005
Dalla Via crucis laica contro
l’attentato agli Uffizi al Porto
di Marghera infestato da
Montedison ed Enichem di
Tutto in una bottiglia, dal
ricordo di Pierpaolo Pasolini
di Sogni dismessi ad un
omaggio a Franco Martone,
una vittima della mafia
meno nota, in Uomo morto
che cammina: in Racconti
Civili, d’amore e di guerra
Francesco Nicolini ci delinea
un brutto pezzo d’Italia, forse
quello meno nobile. L’autore
è noto al grande pubblico
per aver collaborato
con Marco Paolini
all’adattamento televisivo
dello spettacolo Vajont 9
ottobre ’63 che sconvolse
gli italiani nell’anniversario
della tragedia che costò
la vita a migliaia di abitanti
dei paesi vicini alla diga.
Sempre con l’attore veneto
ha scritto Il milione, Appunti
foresti, Parlamento chimico
(tutti per la trasmissione
Report) e il libro Teatro Civico.
Completano l’opera L’ombra
della Torre e Il Segreto del
barbiere. Come si legge nella
quarta di copertina: “Storie
di uomini e di città. Uomini
che quelle storie hanno
vissuto, provocato o subito.
Citta’ che di quelle storie
sono state trama e sfondo,
spesso silenzioso, sofferente,
per poi diventare fantasmi di
se stesse, dismesse, stravolte:
Bagnoli, Porto Marghera,
Babilonia, Firenze, Foggia”.
Un libro che ti fa incazzare e
ti fa maledire di vivere in Italia
(Scipione).
Florent Latrive
Sul buon uso della pirateria
DeriveApprodi
di Giancarlo Bruno
Vi siete mai chiesti cosa
sarebbe successo se Pitagora
avesse brevettato il suo
famoso teorema? Vi siete
mai chiesti come potrebbe
crescere economicamente e
Coolibrì
26
culturalmente un continente
come l’Africa se i brevetti
sui farmaci contro l’Aids
fossero, almeno in parte,
sbloccati e i medicinali
fossero venduti a prezzi più
bassi? Il libro di Floret Latrive
racconta l’universo dei
copyrights (dalla medicina
alla musica, dal teatro al
cinema), la privatizzazione
selvaggia delle idee e i veri
e propri furti a danno delle
tradizioni popolari e di noi
tutti; il capitalismo, secondo
l’autore “si è precipitato
verso una nuova frontiera:
la conquista dell’intangibile,
l’appropriazione
dell’impalpabile”. Il libro
scorre via liscio e rende l’idea
degli argomenti trattati senza
la necessità di particolari
conoscenze informatiche o
giuridiche e si spinge oltre la
semplice descrizione dei fatti,
cercando di scavare in fondo
alle cause che generano
“battaglie” combattute a
colpi di avvocati. Il campo
più battuto da Latrive è
quello del file sharing su
internet; tanti spunti sui quali
riflettere, tanti quesiti ai quali
cercare di rispondere, ma
non molte soluzioni concrete
da parte dell’autore, che
forse confida troppo nella
buona fede e nei puri principi
dei downloader e lascia un
po’ troppo spesso “soli” e a
tasche vuote gli autori delle
opere che, non potendo
contare su un aiuto concreto
da parte delle istituzioni,
costruiscono la propria
carriera con i guadagni
derivanti dalle vendite.
AA.VV.
Il volo del calabrone
Giulio Perrone Editore
È da poco uscito Il volo
del calabrone, antologia
di poesia contemporanea
curata da “Gli Ammutinati”
per i tipi della Giulio Perrone
Editore di Roma. Presenti nel
volume i seguenti autori:
I dolori del giovane Paz!
Coniglio editore
Chi è Andrea Pazienza? Il genio della matita e del pennello? Il tossico
sempre alla ricerca di una dose per
sentirsi meglio? L’amico che tutti
avrebbero voluto? L’uomo emotivo fantasioso che era sempre pronto a farti ridere fuggendo via subito
dopo? L’unico fumettista che poteva permettersi di chiedere un assegno prima di poggiare la matita
sul foglio? Andrea Pazienza è tutto
questo e molto molto di più! A differenza di molti autori che nascono
e muoiono col fumetto, Pazienza è
un continuatore della grande tradizione pittorica europea. Dietro di lui
c’è il nostro Rinascimento, ma anche la Pop-Art e Disney. Paz era un
confusionario che impastava tutto
e lo rovesciava sulla carta con l’occhio del narratore. È uno degli autori di fumetti più conosciuti e amati,
sono in molti a millantare una stretta amicizia con l’illustratore dello
smarrimento di una generazione,
quella del ‘77, persa tra la guerriglia e l’eroina. Questo libro raccoglie le dichiarazioni di una serie di
persone che lo hanno conosciuto
bene; Jacopo Fo, Filippo Scozzari,
Claudio Lolli, Vincenzo Sparagna,
Bifo, Roberto Vecchioni, Marina
Comandini e tanti altri personaggi
che raccontano la loro verità sul
grande Paz. Verità a volte scomode, sbronze comuni in improbabili
Jean-Bernard Pouy
Spinoza Incula Hegel
Castelvecchi
Un testo completato nel 1979 e
pubblicato per
la prima volta in
Francia nel 1983
dietro la spinta
di Daniel Pennac
ed altri giovani intellettuali parigini.
Contemporaneo
all’uscita
nelle
sale di Mad Max,
accusato ingiustamente di plagio, immutato nel linguaggio come afferma lo stesso autore
nella prefazione all’edizione italiana,
Spinoza Incula Hegel rappresenta un
ottimo romanzo da leggere tutto d’un
fiato. Attuale e dissacrante, colmo di
richiami a nomi illustri della letteratura,
descrive il pensiero filosofico come una
guerra tra bande ben schierate. Sulle
ombre del Maggio ‘68, come nel migliore filone cinematografico cyber-punk, si
affrontano, su moto di grossa cilindrata
per le strade di una Parigi futura, zombie neo-punk, gang cripto-staliniste e
numerosi paladini della filosofia pronti
ad uccidere per difendere la propria
scuola filosofica degli Spinoziani e degli Hegeliani. Efferata e beffarda satira
del mondo culturale francese, grido
di speranza e di vitalità gettato come
un sasso contro le barricate dell’intellighenzia, questo romanzo di guerriglia
metropolitana da anni è un cult puro
della gauche francese.
osterie,
scopate
svogliate
per
riempire
il tempo,
b u c h i
stupefacenti
su
arti
esili come matite, amore, amicizia,
sogni e realtà che in alcuni casi
si uniscono. Dalle parole di Marina Comandini sposa di Pazienza
leggiamo “...Per me, da sempre,
il capolavoro di Andrea è Pompeo, è il racconto universale di un
disagio esistenziale, in particolare quello dell’artista. Il fatto che si
parli di eroina è marginale, lui non
ci ha scritto la sua morte, parlava
anzi della sua vita.” Marginale ma
importante, è giusto parlare dell’eroina, perchè è una tragedia
personale che non può essere scissa dall’uomo, non c’era un Jekyll e
un Hide, ma un’unica vita vissuta
intensissimamente. Andrea diceva
che i fumetti potevano arrivare a
tutti e che invece i quadri finivano
nei salotti dei farmacisti. Se Paz vedesse quello che i critici e gli editori
stanno facendo adesso con le sue
opere cosa farebbe secondo voi?
Dall’eroina si esce, dalla mediocrità no.
Marco Gigliotti
Sexy Kids Dario erotico degli
adolescenti italiani
Castelvecchi
Un libro che nessun genitore vorrebbe vedere sul
comodino
del
proprio figlio o
figlia, un viaggio
attraverso l’intimità e l’erotismo
adolescenziale,
non una guida
alla
scoperta
della libido bensì
l’esperienza raccontata della normale evoluzione dei
corpi e delle menti. Da Torino a Vignacastrisi alle prese con la tanto sofferta
verginità, con i centimetri che non sono
quelli giusti, con le defaiance da condom e con lo schifo della saliva del proprio partner. Alla sua prima esperienza
editoriale, il giovanissimo autore, racchiude sotto forma di intervista aperta,
le storie vere di venticinque teen-ager
italiani. Utilizzando come filo conduttore
il sesso, scivola negli aspetti più disparati del mondo degli adolescenti, da una
testimonianza all’altra si viene sballottati in giro per l’Italia, tra paesini e città,
tra spiagge e montagne, al seguito di
ragazzi e ragazze che si arrabattano in
tutti i modi per raggiungere i loro obiettivi, per vincere le loro paure, per esternare la voglia di affetto e comprensione. Alla ricerca di un qualcosa che sia
vero e vitale: più vero di un videogioco,
di un sms, di internet.
Dome Bulfaro, Matteo
Danieli, Florinda Fusco, Luigi
Nacci, Luciano Pagano, Furio
Pillan, Christian Sinicco, Sara
Ventroni. La postfazione del
volume è scritta da Gabriele
Frasca, la copertina è di
Ugo Pierri. La presentazione
ufficiale è prevista a Trieste
per la prima settimana di
dicembre, seguiranno le altre
presentazioni in tutta Italia.
Vertigine 6 – Politicamente
Scorretto
Periodico di scrittura e critica
letteraria
Politicamente Scorretto offre
il suo punto di vista sull’Italia
d’oggi, e non solo, e lo fa
raccogliendo l’intervento
di dodici autori, Giordano
Meacci, Luciano Pagano,
Flavio Santi, Gianluca Morozzi,
Laura Pugno, Cristiano de
Majo, Elisabetta Liguori,
Andrea Inglese, Sergio Rotino,
Davide Bregola, Elio Paoloni,
Gianluca Gigliozzi. All’interno
testi in grado di proiettare il
naso al di fuori del proprio
condominio di riferimento,
testi in grado di “aggredire”
il reale, di smascherarlo
attraverso procedure formali
differenti. Personaggi reali
che dominano il nostro
immaginario collettivo,
come il Presidente del
Consiglio, Benedetto XVI,
Bob Dylan, Saddam Hussein,
si mescolano a trame fittizie
dando vita a reality show
impensabili, omicidi utopistici,
crisi familiari irreversibili. Per
tutte le informazioni visitare
il blog http://vertigine.
clarence.com o scrivere a
[email protected].
Pierfrancesco Majorino
Dopo i lampi vengono gli
abeti
peQuod
di Rossano Astremo
Pierfrancesco Majorino è il
giovane segretario dei Ds
milanesi. Con Dopo i lampi
vengono gli abeti dà vita
ad un esordio narrativo
davvero notevole. Il nucleo
centrale della narrazione
è determinato dalla
confessione che il detenuto
Riccardo Filippucci, detto
Jason, fa alla psicologa
Pinardi prima del suo
ennesimo processo d’accusa,
dal quale emerge la mente di
un uomo costretto a scavare
nei meandri della propria
memoria in un estenuante
corpo a corpo tra i ricordi
immersi nella coscienza.
C’è un’unica via d’uscita:
la morte imposta a chi non
riesce più a trovare le fila di
un’anima persa alla ricerca
di una verità inesistente. Un
libro che senza ombra di
cinismo o facile ironia apre
riflessioni sulla stratificazioni
dei sentimenti umani e sulla
deriva esistenziale di una
generazione in crisi d’identità,
vissuta dal protagonista
rinchiuso in prigione in attesa
di un processo per omicidio.
Nel silenzio della cella ripensa
Coolibrì
al passato, all’infanzia,
all’adolescenza, a emozioni,
scelte, amori e rimpianti di
tutta una vita. Nonostante
l´introspezione psicologica,
però, Majorino non perde mai
di vista la realtà. E attraverso
l´esperienza individuale,
s´interroga sui cambiamenti
sociali degli ultimi decenni,
sulla memoria condivisa dei
trentenni, sui propri legami e
sulle radici culturali.
Antonio Moresco
Zio Demostene. Vita di
randagi
Effigie
di Rossano Astremo
Lo zio Demostene, ritratto
in copertina, disertore,
comunista ed esule, con il suo
volto scarnificato e tipizzato
da un paio di baffi lucidi e
ben leccati lungo l’estremità,
assomiglia tremendamente
al nipote scrittore, a
quell’Antonio Moresco che
ha violentato a tal punto la
nostra immacolata prosa,
che essa non potrà più rifarsi
una verginità. In quest’ultima
fatica letteraria di Antonio
Moresco, Zio Demostene.
Vita di randagi, edita da
Effigie, si passano in rassegna
le esistenze ai margini dei
familiari più vicini allo scrittore
mantovano. Non si rievoca e
ricostruisce, quindi, solamente
la vita dello zio Demostene,
ma anche quella del nonno
Antonio, autodidatta
esaltato, del padre militare,
reduce dalla guerra d’Africa
e da un campo di prigionia
in India, della madre,
ragazza affamata in cerca
di un posto da servetta,
che bussa alla porta di una
villa di nobili presso i quali
resterà per tutta la vita,
del cugino Ferdinando,
abbandonato dalla madre
naturale di fronte alla porta
dei nonni ed emigrato in
Brasile, e di altre vicende
familiari accomunate da
un destino di randagismo
e di diaspora. Con questa
rievocazione di un’epoca
che non è più, Moresco
aggiunge un ulteriore tassello
alla costruzione della sua
personale ricerca sul tempo
narrato.
Jack London
Pronto soccorso per scrittori
esordienti
Minimum fax
“Leggi il meglio, e soltanto
il meglio. Non finire un
racconto solo perché lo
hai cominciato. Ricorda
che sei uno scrittore, per
prima cosa, per ultima cosa
e per sempre”. È solo uno
dei consigli contenuto nel
Pronto soccorso per scrittori
esordienti di Jack London
uscito nella collana Filigrana
di Minimum fax che ha già
ospitato analoghi volumi di
Checov, Miller, Carter, La
Capria, La Porta. Il volume
raccoglie una selezione di
lettere, articoli apparsi su
riviste e brani tratti da romanzi
27
John Dos Passos
Davanti alla sedia elettrica
Edizioni Spartaco
di Dario Goffredo
Here’s to you Nicola and Bart
Rest forever here in our hearts
The last and final moment is yours
That agony is your triumph!
(Joan Baez/Ennio Morricone)
Le parole in corsivo sono il testo di una
celebre canzone di Joan Baez ed Ennio
Morricone, dedicata a Nicola Sacco e
Bartolomeo Vanzetti. La storia di Nicola
Sacco e Bartolomeo Vanzetti è una di
quelle Storie che tutti, universalmente,
conoscono, e che molti, come chi
scrive, si portano stretta nel cuore e
nel cervello. Una di quelle storie che
quando la conosci, ti segna a lungo,
indelebile, come il simbolo che i due
amici italiani rappresentano.
I due anarchici italiani (immortalati per
il grande schermo dall’indimenticato
Gian Maria Volontè e da Riccardo
Cucciolla nel film del 1971 diretto da
Giuliano Montaldo e di cui ora Mediaset
sta mandando in onda un remake in
forma di sceneggiato tv), furono uccisi
dal governo americano la notte tra il 22
e il 23 agosto 1927, in quanto accusati
di terrorismo.
Si trattava in realtà di una vera e propria
crociata contro il pericolo comunista
e anarchico rappresentato dagli
immigrati e dal nascituro movimento
operaio.
Nel 1921 si costituì il Comitato SaccoVanzetti per la difesa dei due anarchici
italiani e la mobilitazione coinvolse
tutto il mondo democratico, non solo
gli intellettuali e i militanti radicali, ma
anche uomini dalle idee moderate.
John Dos Passos, dopo aver ricostruito
Franco Limardi
Anche una sola lacrima
Marsilio Black
di Daniele Lala
Un bel libro che
si
legge
tutto
d’un
fiato.
La
storia si snoda
con l’inesorabile
progressione di un
meccanismo che,
una volta messo
in moto, procede
implacabile fino
a stritolare nei suoi
ingranaggi
gli
stessi che l’hanno
azionato. In primis il protagonista, Lorenzo
Madralta; nascosto dietro una coltre di
fredda indifferenza verso tutto e tutti, e
di efficienza con cui espleta il suo lavoro
(capo della sicurezza di un supermercato
di una cittadina di provincia) c’è il
bisogno disperato di un mondo migliore,
sotto altri cieli dove si stendono mari
più azzurri e spiagge più bianche. Ci si
accorge così che dietro tanto cinismo
c’è un sognatore che non sopporta
più una realtà divenuta asfissiante.
Nell’illusione di poter raggiungere quei
mari e quelle spiagge, spinto dalla
giovane donna che poterebbe essere
il suo amore tanto atteso, si lascia
coinvolgere in piano criminoso che
dovrebbe concludersi senza imprevisti
e senza sangue. Ma qualcosa sembra
andare storto…. sembra… e subito la
vicenda acquista violenza e gli eventi
tendono verso l’inevitabile rovina dei
coinvolti, con imprevedibili colpi di scena
e fino all’inaspettata conclusione, resa
ancor più triste dal tono sofferente con
cui l’io narrante racconta la vicenda.
le
vicende
processuali,
aver smontato i
capi di accusa e
aver raccontato
il suo incontro
con i due uomini
in carcere, rilanciava l’appello per
salvarli. Accusava i giudici di essersi
mossi in un clima di furore ideologico
talmente cieco da identificare la
giustizia con la difesa a oltranza, anche
per mezzo di prove false, delle istituzioni
e della stessa “americanità” contro
“i rossi”, “i fannulloni” (ovvero coloro
che scioperavano per conquistare
diritti), “gli stranieri”. La mistificazione
era tanto evidente che se il movimento
di un’opinione pubblica libera da
pregiudizi fosse stato sconfitto, se quei
due uomini venivano davvero uccisi, la
colpa sarebbe ricaduta su tutti: nessuno
avrebbe potuto giustificare il proprio
silenzio dicendo di non aver saputo.
Questo libretto è la traduzione, per la
prima volta in italiano, del suo pamphlet
Facing the chair del 1926, raccolta
degli articoli pubblicati da Dos Passos in
quegli anni apparsi sulla rivista radical
New Masses.
Un libro, amaro duro e lucido, che
rispecchia perfettamente l’atmosfera
di quel periodo e celebra in maniera
del tutto dovuta uno dei miti immortali
del secolo scorso. Her’s to you Nicola
and Bart.GG
AA.VV.
Salentu - Agenda 2006
Manni
Scandire i giorni
al ritmo del racconto. Ritrovare
di
domenica
in
domenica
la
prosecuzione di una storia
che inizia e finisce nello stesso
mese. L’agenda
Salentu
della
Manni torna in
libreria nel 2006
per il secondo anno consecutivo con la
formula tipica dei diari/agenda corredati da testi, barzellette, massime della
saggezza popolare. Qui lo scritto è rappresentato da racconti sul Salento che
delineano una terra piena di ricchezze
e di contraddizioni, seria e ironica, austera e divertita. Il Salento viene raccontato attraverso le storie inedite di
dodici autori dell’aria salentina nel senso più ampio del termine. Provengono
da Lecce, Brindisi e Taranto gli scrittori,
attori e giornalisti che si sono cimentati
nei brevi componimenti (le domeniche
sono solo quattro o cinque al mese):
Marta Ampolo, Cosimo Argentina, Renata Asquer, Ippolito Chiarello, Rosalba
Conserva, Azzurra De Razza, Antonio Errico, Francesco Lanzo, Elisabeta Liguori,
Maddalena Mongiò, Elio Paoloni, Antonio Prete. La novità di quest’anno è
rappresentata dalla cartonatura della
copertina rossa (che ospita il geco), dal
laccetto di seta come segnalibro e dall’aspetto grafico più essenziale. (P.L.)
dai quali emerge
un prontuario nel quale
London sintetizza la difficile
arte di scrivere, pubblicare
e guadagnarsi da vivere
scrivendo. London (18761916) è una delle figure più
singolari della letteratura
americana del primo
Novecento, ed è autore di
numerosi romanzi come Il
richiamo della foresta (1903),
Zanna Bianca (1906), Il tallone
di ferro (1908) e Martin Eden
(1909).
Francesca Celi
Alice chi?
Bevivino
Apro la prima pagina e
per un attimo penso ad
una parodia di Jovanotti,
il motivetto che ha
rimbombato (sob!) per
un’intera estate nella mia
testa. Superato il primo
momento di stordimento
e dopo essermi convinta
di non soffrire di manie di
persecuzione comincio a
chiedermi il perché di un libro
simile. Provo a spiegarmi:
scrittura gradevole e ironica,
a tratti accattivante, con
strizzata d’occhio a vari
clichè generazionali, che
purtroppo ultimamente sono
un po’ abusati, sul filone
Bridget Jones. Aliche chi?,
romanzo di esordio della
ventottenne Francesca Celi,
racconta la storia di Alice,
copywriter in cerca di lavoro
in una Bologna studentesca.
Libro perfetto da portare in
spiaggia tra una chiacchiera
sulla Lecciso ed un torneo di
Sudoko, mi rammarico solo
di averlo letto mentre già
iniziavano a cedere le prime
foglie. (Silvia Visconti)
Vincenzo Camerino
Nelle utopie del Sud e del cinema
Icaro
Che cosa è il cinema del Sud,
ammesso che esista, e quali
sarebbero le sue prerogative
ed eventualmente le sue
prospettive? A questa e ad
altre domande tenta di dare
una risposta il nuovo libro di
Vincenzo Camerino, docente
presso l’Unviersità di Lecce,
che grazie ad una prosa ricca
di spunti e riflessioni analizza
con lucidità un cinema
sempre sul punto di esplodere,
ma che nutre un bisogno
primario di comprendere
prima le radici dal quale
nasce, in uno scenario
saturo di contraddizioni e
di speranze. Durante un
percorso interessante e
avventuroso, Camerino
passa da Marx a Winspeare,
senza dimenticare politica
e imprese, vero volano di un
possibile movimento. Fra le
righe la costante ricerca di
una critica aspra ed assieme
affettuosa e propositiva
ad una terra che sembra
amare profondamente. Con
l’augurio che fare cinema al
sud non sia più, come recita
il titolo, soltanto un’utopia.
(Michele Pierri)
Coolibrì
28
Fernandel
via Col di Lana, 23
48100 Ravenna
Tel./Fax 0544 401290
Redazione
Giorgio Pozzi Direttore
editoriale
Elena Battista Ufficio stampa
Elisa de Portu Segreteria di
Redazione
Collane
La rivista
Un trimestrale nato nel
1994 che ospita racconti,
recensioni e interviste
nell’ambito della narrativa
italiana.
Fernandel
La collana della casa editrice
dedicata alla narrativa.
Illustorie. Racconti a fumetti
Curata dall’illustratore
Gianluca Costantini, non solo
comunica con le parole, ma
anche con le immagini. I libri
di “Illustorie” sono luoghi in cui
si intrecciano illustrazione e
scrittura, in cui segno grafico
e parola si fondono per
raccontare il tempo in cui
viviamo.
Laboratorio Fernandel
Uno spazio in cui i temi
della scrittura e della lettura
vengono approfonditi
attraverso progetti
legati al territorio e alla
sperimentazione narrativa.
Per esempio i libri di Giulio
mozzi dedicati alla didattica:
Lezioni di scrittura (2001)
e Parole private dette in
pubblico (2002).
LA PASSIONE DI SCOPRIRE NUOVI AUTORI
Paolo Nori, Gianluca Morozzi, Grazia
Verasani, Piersandro Pallavicini sono
solo alcuni degli scrittori partiti dalla
scuderia Fernandel e approdati in
case editrici più grandi e blasonate.
La casa editrice di Ravenna, fondata
dieci anni fa da Giorgio Pozzi, ha
maturato una grande esperienza
nel campo della narrativa italiana
diventando in pochi anni un punto
di riferimento soprattutto per gli
scrittori più giovani. Non si tratta,
per quel poco che ho conosciuto
gli usi e i costumi di Pozzi e di Elena
“La redazione” Battista, di una
casualità. Molti giovani autori sanno
che a Fernandel i libri vengono letti,
discussi e che la pubblicazione
giunge solo per reali meriti letterari.
“Non credo che il sogno di un piccolo
editore sia quello di porsi come
editore di servizio nei confronti della
grande industria; non è il mio sogno,
almeno”, sottolinea il direttore
editoriale. “Non lavoro a Fernandel
semplicemente per fare scouting
nei confronti dei grandi gruppi:
in realtà è capitato che il nostro
lavoro si incrociasse con l’attività di
altri editori più importanti, e questo
indubbiamente porta un prestigio
dovuto ai numeri che i grandi editori
possono produrre. D’altra parte mi
fa molto piacere quando autori che
hanno esordito con Fernandel hanno
poi l’occasione di pubblicare con
editori più importanti. Mi fa piacere
per loro, perché hanno fra le mani
un’opportunità davvero importante,
in grado di dar loro una visibilità che
è fuori dalla mia portata”. Gianluca
Morozzi, ad esempio, dopo l’esordio
fernandelliano ha iniziato una vita
da “bigamo”. La sua prolificità
letteraria consente la pubblicazione
contemporanea di romanzi per
Guanda e per Fernandel. La
poliedrica Grazia Verasani (attrice,
cantante, scrittrice) dopo L’amore
è un bar sempre aperto, Fuck
me mon amour e Tracce del tuo
passaggio nel 2004 ha pubblicato
per Mondadori Quo vadis baby che
è diventato anche un film diretto
da Gabriele Salvatores. Paolo Nori
dopo Le cose non sono le cose è
approdato in casa Einaudi prima
e Feltrinelli poi, mentre Piersandro
Pallavicini, redattore della rivista
Fernandel, pubblica con Feltrinelli.
Scrittori che partono, scrittori che
arrivano il cantiere Fernandel è
sempre in movimento. Il catalogo
Fernandel annovera una settantina
di titoli e nel 2005 è partita una nuova
collana di romanzi illustrati dal titolo
“Illustorie. Racconti a fumetti”, che
non solo comunica con le parole,
ma anche con le immagini. Curata
dall’illustratore Gianluca Costantini,
la collana prevede come novità, per
i primi mesi del 2006, i diari a fumetti
dell’americano James Kochalka
(Sketchbook Diaries n.1) e il romanzo
di Pablo Echaurren Chiamatemi
Pablo Ramone, dedicato al gruppo
rock dei Ramones.
Coolclub.it ha deciso di avviare
questa rubrica dedicata alle
piccole
case
editrici
perché
le ritiene laboratori per nuove
scritture sebbene corrano molti
rischi economici. “La situazione
dell’editoria italiana in generale
non è buona, almeno in questo
momento, non si respira una bella
atmosfera, si ha paura di fare
passi azzardati. Credo però che,
rispetto alla grande editoria, il
vantaggio di essere un piccolo
editore consiste soprattutto nella
libertà di scelta, almeno da un
punto di vista operativo. Si è molto
più liberi quando il “mercato” non
è una catena così soffocante,
come avviene nell’industria: si
possono inseguire degli obiettivi che
non hanno la necessità di essere
immediatamente
monetizzabili,
di portare un guadagno certo e
rapido. È per questo motivo che
si può investire su scritture giovani
o esordienti, su una storia o su un
autore. È tutto sommato un atto di
fiducia che testimonia la passione
dell’editore nei confronti del proprio
lavoro, anche se, come dicevo
all’inizio, bisogna sempre continuare
a confrontarsi con le esigenze reali,
cioè con i soldi e con i numeri”.
Nel corso del tempo la struttura
della casa editrice si è arricchita di
nuovi collaboratori, per far fronte al
costante ampliamento dell’attività,
potenziando la redazione e in
particolare l’ufficio stampa che, oltre
al classico lavoro con i giornalisti,
si occupa anche con crescente
successo dell’organizzazione di
numerose presentazioni e reading in
tutta Italia.
Pierpaolo Lala
Gianluca Morozzi… pensieri
sparsi su Fernandel
...il
30
novembre
2000
ho mandato il mio primo
manoscritto a questo misterioso
editore di Ravenna chiamato
Fernandel. Il 30 dicembre mi
ha telefonato un uomo dalla
voce da doppiatore. Diceva
di chiamarsi Giorgio Pozzi, di
essere l’editore di Fernandel,
e di voler pubblicare il mio
libro. Il primo bacio, la prima
volta, lo garantisco, non
sono paragonabili a una
telefonata del genere. Allora,
siccome, c’era da sistemare il
finale del romanzo, abbiamo
deciso di vederci a Ravenna.
“Vediamoci domani!” ho
urlato, ormai completamente
folle. “Domani è l’ultimo
dell’anno”, mi ha detto lui.
“Domani l’altro!” ho gridato.
“È capodanno”, ha detto
giustamente lui.
Il 2 gennaio sono sceso dal
treno a Ravenna. Quando
ho visto Giorgio Pozzi col mio
manoscritto sotto braccio, ho
pensato che l’editore aveva
mandato suo figlio.
Alla
mia
primissima
presentazione, a novembre,
alla Feltrinelli di Bologna,
ho conosciuto Elena. Che
all’epoca
era
appena
diventata la fidanzata di
Giorgio e si era trasferita da Bari
a Ravenna. Ora è la moglie
di Giorgio, l’ufficio stampa
e la redazione. Ora c’è una
terza persona in Fernandel,
alias Elisa detta Duracell
per l’instancabile energia.
La rivista è diventata molto
più bella, sta per cambiare
il distributore, e stiamo per
andare a una nuova fiera di
Roma... Come direbbero i
Diaframma, Il futuro sorride a
quelli come noi.
I miei libri nuovi...
L’era del porco (Guanda) è un
romanzo ironico e romantico
su tre modi per rovinarsi
l’esistenza: pubblicare per un
editore malato e psicopatico,
suonare in una scalcinatissima
band, innamorarsi di una
donna dal nome incestuoso e
impegnativo.
Le avventure di zio Savoldi
(in uscita a gennaio per
Fernandel), scritto a quattro
mani con Paolo Alberti, ultrà
del Bologna, raccoglie una
serie di racconti sulla passione
per il Bologna, appunto.
Coolibrì
Anche una sola lacrima
Nato a Roma nel 1959,
Franco
Limardi
insegna
Storia e Letteratura Italiana
in un istituto superiore. Ha
esordito con il noir L’età
dall’acqua (DeriveApprodi,
2001), menzione speciale
all’edizione 2000 del Premio
Calvino. Nel 2005 è uscito nella
collana ‘Black’ della Marsilio
Anche una sola lacrima, il suo
secondo romanzo.
La tua opera prima è uscita
nel 2001 per la casa editrice
romana DeriveApprodi, come
sei arrivato alla Marsilio e alla
collana ‘Black’ curata da
Jacopo De Michelis?
Grazie alla preziosa opera
della mia agente e alla sua
fiducia nel mio lavoro.
Il
meccanismo
narrativo
di Anche una sola lacrima
vive di dialoghi secchi, di
descrizioni
essenziali
ma
efficaci, privo insomma di
barocchismi
immaginifici.
Difficile non chiamare in causa
Jean-Patrick Manchette per
la letteratura e Takeshi Kitano
per il cinema, regista al quale
tu per primo dichiari un debito
d’ispirazione. Hai altri maestri
eccellenti?
Questi sono dei riferimenti
molto lusinghieri. I maestri
sono molti; da tantissimi autori
ho da imparare cose che
riguardano la costruzione di
una struttura narrativa o di
dialoghi veri, credibili, che
riproducano la realtà della
comunicazione. Devo citare
nomi quasi scontati, Hammett,
Chandler,
Woolrich,
ma
anche Mishima, Durrenmatt,
Céline e autori italiani che
amo particolarmente come
Pavese e Buzzati.
Lorenzo
Madralta,
il
protagonista del tuo libro,
conduce un’esistenza solitaria
all’interno di un microcosmo
di “gente per bene”. È l’ex
soldato che oggi si ritrova a
fare il cane da guardia alla
merce, ai soldi, ai sogni che
gli altri possono realizzare, poi
però succede qualcosa che
lo mette in condizione di fare
una scelta di campo radicale:
per amore, non per avidità...
Madralta ha scelto una vita
“blindata”, al sicuro dai pericoli, dalle delusioni che l’esistenza ci riserva, in sostanza
la sua scelta di “sicurezza” è
quella di chi ha avuto grandi
delusioni; non vuole più farsi
illusioni per poi soffrire al loro
disfacimento, ma non vive
bene, non si ritrova nel mondo
in cui si muove e quando gli
si presenta l’occasione di vivere, forse per la prima volta,
delle emozioni reali, allora è
disposto a rischiare, a giocarsi
il tutto per tutto.
Madralta è un outsider romantico che riesce a mantenere
uno sguardo lucido, ragionevole, quando la paranoia
degli altri si spinge ad immaginare il personale addetto a
sventare un banale taccheg-
Intervista a Franco Limardi
di Nino G. D’Attis
gio pistola
in
pugno.
Grottesco
ma
vero.
Anzi: grottesco proprio perché
mutuato da
una realtà
in cui molti
auspicano
un
ritorno
alle regole del vecchio West...
Lorenzo non è né un giustiziere della
notte, né un Rambo in sedicesimo.
Conosce la violenza reale, l’ha
vissuta e la vive, perchè anche
una rissa da discoteca o bloccare
un ladro, significa immergersi in
un grado di essa. Così detesta chi
auspica l’uso indiscriminato delle
armi, ne ha paura, come chiunque
sia consapevole del potere terribile
che esse hanno.
Tu alla fine salvi (non dirò come)
l’idea dell’amore, del donarsi agli
altri. E salvi anche, nel caso di
Giovanni, chi riesce a riscattarsi
da un passato ingombrante, dalle
brutte storie che spingono alcuni
oltre i limiti della legalità. Chiuso il
libro, si prova la sensazione di aver
letto un noir atipico proprio per via
di questi tenui spiragli di luce...
Questa tua impressione mi stupisce
un po’; nel senso che nelle mie
intenzioni invece, questa speranza,
questi barlumi di luce non c’erano.
I miei personaggi cercano solo
di conquistarsi una dignità, una
coerenza con se stessi. Però questo
è il bello di un romanzo: quello che
tu scrivi non è solo tuo, quando
viene letto diventa opera anche
del lettore, che mette in esso un
apporto personale che lo trasforma,
lo fa diventare altro; in qualche
modo lo restituisce a chi lo ha scritto
modificato, nuovo, come se, a mia
volta mi trovassi davanti ad una
nuova storia.
Sono stanco di sentir parlare di
“Via italiana al noir” o di “Tendenze
del poliziesco italiano”. Per me
esistono solo le storie che uno vuol
raccontare,
indipendentemente
da ciò che tira sul mercato. Sei
d’accordo?
Sì, sono d’accordo. Io scrivo le
storie che mi piacerebbe leggere
o vedere al cinema; se queste sono
storie noir...beh allora scrivo storie
noir; nel senso che non so se le mie
storie rispondano così esattamente
ai canoni del genere, anche se sono
perfettamente consapevole di aver
usato dei topos narrativi che sono
ormai quasi degli archetipi della
letteratura “nera”. Non vorrei solo
raccontare di rapine o uccisioni, ma
usare queste situazioni per parlare di
come vedo la realtà, augurandomi
di riuscirci in modo decente.
Sei già al lavoro su un’altra storia?
Sì. È ancora una storia “nera”,
perchè ho ancora voglia di
raccontarmi una vicenda di questo
tipo. È una storia corale stavolta,
anche abbastanza complessa,
tanto che so cosa succederà,
come andrà a finire, ma adesso, in
“media res” la storia ha acquistato
una propria autonomia e io devo un
po’ “disciplinarla”.
Intervista a Massimo Carlotto
di Dario Goffredo
Dal 1994, anno del suo esordio
letterario con l’autobiografico Il
fuggiasco (nel quale raccontava la
sua incredibile vicenda giudiziaria
poi diventata anche un film), il
padovano Massimo Carlotto ha
inanellato una serie di romanzi di
successo che lo hanno portato
ad essere considerato uno dei
migliori scrittori noir in Italia e in
Europa. Celebre soprattutto la
saga dell’Alligatore - La verità
dell’Alligatore (1996), Il mistero di
Mangiabarche (1997), Nessuna
cortesia all’uscita (1999), Il corriere
colombiano (2000), Il maestro di
nodi (2002) – un ex cantante di
blues, ex galeotto, una sorta di
investigatore privato che ha sete di
verità e giustizia. Nel 2004 pubblica
L’oscura immensità della morte. È
recente l’uscita per la casa editrice
e/o di Nordest scritto a quattro mani
con Marco Videtta.
Ti consideri più uno scrittore di gialli
o di noir?
Gialli, nel senso più comune del
termine, non ne ho mai scritti. Anche
la serie dell’Alligatore che ha una
struttura più vicina al poliziesco,
ne usa i codici ma si discosta dal
senso consolatorio e socialmente
ricompositivo del genere.
E qual è la differenza tra i due
generi?
Il poliziesco si basa sulla struttura
crimine - indagine - soluzione con
un finale consolatorio. Il noir sovverte
questa struttura e non ha mai finali
positivi.
Sei sempre stato definito un autore
“sociale”. Ti riconosci in questa
definizione e perché?
Sì, raccontare una storia criminale
per me è una scusa per raccontare
altro e cioè la realtà sociale,
economica, storica che circondano
la trama. Più che il sottoscritto è il
genere ad avere una connotazione
“sociale”. Per quanto mi riguarda
sono uno scrittore politicamente
schierato.
Che posto hanno la vita reale e le
vicende di cronaca nella costruzione
delle tue storie?
Le mie storie prendono sempre
spunto da fatti realmente accaduti.
Sono uno scrittore
politicamente schierato
E trama e personaggi devono
avere una forte dimensione
di “verità”. Prima di scrivere
ho sempre la necessità di
investigare a fondo.
Leggendo i tuoi libri si resta
sempre con una sensazione
amara di sconfitta, quasi
di ineluttabilità delle cose.
Sembra che i tuoi personaggi
si trovino ad affrontare sfide
che anche se superate
portano con sé troppo dolore
e troppe pene. Sei d’accordo
con questa lettura?
Nei miei romanzi è sempre
la storia a “comandare”. E
il realismo delle mie trame
mi porta a descrivere certe
situazioni e certi ambienti
dove la spensieratezza non è
di casa.
Ormai in Italia siamo di fronte
ad un vero e proprio boom del
giallo e del noir. Credi che la
qualità dell’offerta delle case
editrici sia sempre di buona
qualità, o c’è una rincorsa al
genere di moda?
Indubbiamente
c’è
una
rincorsa al genere di moda e
questo sta danneggiando il
poliziesco italiano che inizia a
vivere momenti di crisi. Editori
e molti autori ritengono che sia
sufficiente sfornare libri decenti.
Credo sia un errore. Bisogna
sempre chiedersi che cosa è
importante raccontare.
C’è uno scrittore italiano che
consideri il tuo maestro?
Due. Per la scrittura Luigi
Pintor, per il poliziesco Loriano
Macchiavelli.
E uno straniero?
Jean Claude Izzo. Ha ispirato
il noir mediterraneo che per
me è la nuova frontiera del
genere.
E tra gli scrittori della nuova
generazione c’è qualcuno
che consideri particolarmente
valido e interessante?
Ce ne sono molti. Mi piace
molto Osvaldo Capararo. Né
Padri, né figli è un gran bel
romanzo.
30
CoolClub.it
AI FILLOV Racconto di Jimi Kozik
Jimi Kozik è nato ad Oldenburg, nel nord della Germania, da padre rumeno e madre
senegalese. Vive in Italia dai primi anni Settanta e ha scritto poesie, saggi, racconti ispirati da
una vita nomade che lo ha portato a cimentarsi coi mestieri più disparati (portiere di notte ad
Amsterdam, barista ad Ibiza, attrezzista sul set di pellicole hard). Abita a Roma, in una casa
occupata al Quarticciolo. Suona la tromba, è un fanatico delle arti marziali e fa colazione con
bourbon e panpepato.
Mi chiamo Tony Pertescia e a vedermi adesso stentereste a credere che una volta, con decenza parlando, anche solo sentire il mio nome vi avrebbe fatto
pisciare sotto anca anca.
Una volta ero l’angelo della morte al servizio di Cosa Nostra, il chirurgo dalla mano ferma incaricato di rimuovere tradimenti e fallimenti nei modi più
fantasiosi, lo spazzino più apprezzato della penisola sorrentina.
Tony naso rotto. Tony sopracciglia folte. Tony cappello marrone e cappotto cammello. Tony ‘o ‘ntrucchiato. Tony che a tredici anni sognava di friggere
in olio d’oliva purissimo la patanella di Mamie Van Doren e a quattordici, per festeggiare il primo baccalà sciolto nell’acido, si fece la sorella e la mamma
di Peppe Chiafèo (uomo ‘e sfaccimma) in una botta sola. Annetta e Gabriella, grandi maestre d’armi. Grandissimie zompaperete, ancora me lo ricordo
come se fosse stato ieri.
Una parola detta a Tony non era mai fessarìa ‘e cafè.
Una parola di troppo trasformava la pioggia in grandine e i sorrisi in lacrime di sangue.
Chiedetelo a Joe Benzola. Chiedete ai fratelli Massella, a Joe Martucci, a Roy Garret, a Tiffany Million o a chi cazzo vi pare. Già che ci siete, girate pure
la domanda alla Beretta Cougar 9mm che ho in tasca: canna martellata a freddo e cromata internamente per offrire resistenza e durata eccezionali.
Puntamento rapido. Impugnatura anatomica arrotondata e leggermente incavata nella parte posteriore alta per accogliere meglio la mano del tiratore
e garantire una presa istintiva dell’arma.
Vattecòre, cacarèlla, zefiérno. Con questa appresso ho girato tutto il mondo e adesso potrei anche godermi la pensione qui dove mi trovo, in Venezuela,
sull’isola di Santa Margarita, riverito come un pascià da una femmina di nome Dolores. Venticinque anni, Dio la mantenga così forever. Dolores che mi
crede un commercialista a riposo e dice: «Tu hai fatto troppi conti, amore mio. Tanti conti e adesso è tempo che devi riposare.»
Si capisce. Un po’ di sole bello, una macedonia di frutta e un caffè. E questo culo che mi balla davanti notte e giorno, non lo voglio tenere presente?
Tutti guardano Dolores. Quando balla sulla pista del bar Xibalbay, quando appoggia le tette sul bancone mentre ti serve un cocktail e una nuvoletta di
allegria. Tutti invidiano il dottore che all’alba, finita la musica, la riporta a casa. L’italiano in gessato, vestito come un mafioso del cinematografo. Dieci anni
che vivo qui, e modestamente sono ancora un mistero per i duemila indigeni del posto.
«Sei geloso?»
«Attenta quando parli di gelosia con me.»
Dolores mette via la maglietta celeste, i sandali celesti, i pantaloncini e le mutandine celesti. Dolores dice che vuole saperlo sul serio se sono geloso, perché
Gato, il figlio di Erminia la macellaia, si è permesso di guardarla in un certo modo.
Un moccioso, fino all’altro ieri. Mi sembra di vederlo nel campetto dietro la chiesa di Santa Esmeralda, con le ginocchia sbucciate, il pallone sotto braccio
e la madre che lo tira per le orecchie.
«E tu che hai fatto, gli hai parlato?»
Dolores piega la maglietta e i pantaloncini, infila le mutandine nel cesto della biancheria sporca e non risponde.
«Gli hai parlato o no? Confessa!»
«Hai fatto troppi conti, amore mio. Tanti conti che adesso la testa comincia a non funzionarti più come una volta.»
«Troglia!»
Lo scroscio della doccia. La sua voce cristallina che si mette a cantare I feel love meglio di Donna Summer. I vecchi nervi di Tony Pertescia che tornano
a intostarsi come una volta. Più duri della Cougar che ho in tasca, mannaggia San Moroder.
Ahhh-ai fillov, ai fillov, ai fillov…
Ahhh-ai fillov, ai fillov, ai fillov…
«Dolores?»
«Che c’è?»
«Amore mio, tu una risposta me la devi dare. Prima che esco veramente pazzo, hai capito?»
Silenzio.
«Prima che ti faccio una strage!»
Silenzio.
Poi la porta si apre. La porta del bagno. Piano.
«Hai settantadue anni, Tony, e ancora hai voglia di giocare a ‘o malamente?»
«Dolores?»
«Addolorata, prego!»
La porta del bagno si apre e la donna che amo follemente viene fuori tutta nuda, scopabilissima, e con una cazzo di pistola in pugno. Una .38 a canna
corta, per la precisione…
PUM!
«Addolorata Martucci, figlia di Joe, l’uomo che tu assassinasti impunemente a Brooklyn, l’otto gennaio millenovecentosettantanove.»
«Maronna mia, che memoria ‘e fierro!»
PUM! PUM! PUM! PUM!
E lacrime. Incredibile. Io ho ammazzato centinaia di persone e non ho pianto mai.
Che sono ‘ste lacrime di femmina?
«Ci ho messo tanto a trovare il coraggio, perché alla fine io mi ero veramente innamorata di te…»
PUM!
Mi chiamo Tony Pertescia e vi prego a tutti di non dire niente, di uscire alla svelta da questa storia dimmerda come se niente fosse.
Lo so, lo so: a vedermi adesso, steso a faccia in giù dopo avere incassato sei confetti nella panza, stentereste a credere che una volta avrei sicuramente
evitato di farmi sparare addosso da una cretina sentimentale con un gran culo e una sete di vendetta parecchio arretrata.
Sei confetti.
Maronna!
Che sono ‘ste lacrime di femmina?
Portate i miei omaggi sinceri ad Annetta e Gabriella, grandi maestre d’armi.
www.vanessabbecroft.com
30
Be Cool
Filmografia essenziale
1985 - Pee-wee’s Big Adventure
Pee Wee Herman, dopo che la sua
amata bicicletta viene rubata, attraversa tutta l’America per cercarla. Durante l’avventuroso viaggio
incontra tante strane persone....
Esordio del ventisettenne Burton sulla lunga distanza.
1988 - Beetlejuice - spiritello porcello
Seconda prova e Oscar per il trucco
con uno dei più divertenti e spiritosi
film nel filone “fantasmi”. Adam e
Barbara Maitland vivono serenamente le loro giornate di giovani
sposi a Winter River, una cittadina
del Connecticut, in un’accogliente
casa con giardino. Finché un banale incidente d’auto non li sbalza
d’improvviso in un curioso “al di là”.
L’ambiente è ancora quello della loro casa, ma la loro esistenza è
comicamente incorporea. Essi ritengono tuttavia di poter riprendere in
qualche modo...
1989 – Batman
Torna al cinema la saga dell’uomo
pipistrello. Tim Burton firma i primi
due episodi. Il protagonista e Michael Keaton.
1990 - Edward mani di forbice
Prende il via il sodalizio tra il regista
e Johnny Depp. Un ragazzo con
le mani a forma di forbice, rimane
solo dopo la morte dello scienziato
che lo ha creato, ma una famiglia
lo adotta e lo porta con sè in una
piccola cittadina. La gente del paese però lo evita a causa della sua
diversità.
1992 - Batman - il ritorno
1993 – Nightmare before Christmast
Come per La sposa cadavere pupazzi in movimento. Jack Skeletron,
il sovrano della città di Halloween,
vuole riprodurre la magia della città di Natale, naturalmente a modo
suo, e per fare ciò rapisce proprio
Babbo Natale, mettendo in pericolo il naturale equilibrio fra le festività.
Riuscirà Sally, con il suo amore, a far
ritornare Jack sui propri passi ed evitare così questo disastro?
1994 - Ed Wood
1996 - Mars Attacks!
1999 - Il Mistero di Sleepy Hollow
Ancora Johnny Dep in questo film
ambientato sul finire del 1700. Il poliziotto Ichabod Crane viene inviato
nel piccolo paese di Sleepy Hollow
per indagare su una serie di omicidi
commessi da un presunto cavaliere
senza testa.
2001 - Planet of the Apes - Il pianeta
delle scimmie
2003 - Big Fish
Poesia, sogno, narrazione, personaggi improbabili. William Bloom
(Billy Crudyp) sta cercando di conoscere meglio la storia del padre
morto, grazie a tutte le storie che è
riuscito a mettere insieme durante
tanti anni. Attraverso queste storie
comincia a conoscere le grandi imprese e i grandi fallimenti del padre.
Burton firma una vera epopea dell’immaginazione.
2005 - La fabbrica di cioccolato
Noir, Commedia, Italiano, Sperimentale, Drammatico
di Loris Romano
A breve distanza dal film La
fabbrica di cioccolato, arriva
nelle sale La sposa cadavere
(titolo originale Corpse bride).
L’ultimo film di Tim Burton firmato
con Mike Johnson è realizzato
con pupazzi di plastilina e in
tecnica “stop motion” come
il
precedente
del
genere
Nightmare before christmas. La
grande e sostanziale differenza
tra le due pellicole è nella tecnica
di movimento dei pupazzi. Il film
è ambientato nell’Europa del XIX
secolo. Il giovane e impacciato
Victor (con la voce e le fattezze
di Johnny Depp) sta per sposare
la fidanzata Victoria, ma durante
le prove del matrimonio non
31
il cinema secondo coolcub
riesce a pronunciare la formula
del voto coniugale. Costretto dal
sacerdote ad imparare a memoria
le parole del giuramento, Victor
vaga per la foresta declamando
la formula ed è qui che si imbatte
in un ramoscello, simile ad un
dito, su cui infila la fede nuziale
pronunciando la fatidica frase. Il
ramoscello si rivela essere il dito
di una giovane promessa sposa
assassinata, che improvvisamente
ritorna come zombie e pretende
di essere legalmente sposata
all’incredulo Victor. Il ragazzo
viene così trascinato nel mondo
dei Morti, un universo certamente
più vivace rispetto alla severità
dell’ambiente vittoriano in cui è
cresciuto, ma basta poco tempo
a far capire a Victor che niente e
nessuno potrà mai tenerlo lontano
dal suo vero amore...
Il film, ispirato ad un racconto
tradizionale russo, è, come detto,
ambientato in un villaggio europeo
del diciannovesimo secolo, in
un’atmosfera
assolutamente
dark e con le strepitose musiche
di Danny Elfman (c’è anche
un frame in memoria di Ray
Charles, un pupazzo pianista
con gli occhiali…) che fanno
apparire il tutto un musical di un
racconto di E.A.Poe. Tim non ce
la fa proprio a staccarsi da questo
mondo, realizzando un’opera
di una raffinatezza assoluta,
impeccabile. C’è tutto, anche il
lieto fine, perfetto…forse troppo.
Be Cool
Judd Apatow
40 anni vergine
Direttamente dagli USA arriva
la commedia dell’anno, un
mix di risate ed equivoci che
hanno per tema centrale
il sesso. Andy Stitzer ha un
lavoro sicuro in un negozio
di elettronica e una buona
vita sociale, ma ha un
‘problema’: a quarant’anni
è ancora vergine, roba da
arrossire. La situazione di
certo non è facile e quando
i suoi colleghi lo scoprono,
faranno di tutto per portarlo
al fatidico obiettivo e fare di
lui un “vero uomo”. Fatto su
misura per due ore di svago.
Abel Ferrara
Mary
Fresco di Premio Speciale
della Giuria all’ultimo festival
di Venezia, Abel Ferrara ci
propone il suo ultimo lavoro,
Mary, che vede nel cast
fra gli altri Stefania Rocca
e Forest Whitaker. Tony
(Matthew Modine), regista
indipendente, interpreta il
ruolo di Cristo nel suo nuovo
film. Al termine delle riprese,
l’attrice interprete del
ruolo di Maria Maddalena
(Juliette Binoche), anziché
rientrare con Tony a New
York va a Gerusalemme per
continuare il viaggio spirituale
cominciato col film.
Mike Newell
Harry Potter e il calice di
fuoco
Ennesimo capitolo tratto
dalla saga letteraria che ha
reso famosa (e ricchissima)
J.K. Rowling e che continua
ad appassionare mezzo
mondo. Il piccolo Harry è
ormai cresciuto; ha compiuto
14 anni e si appresta a
cominciare il suo quarto
anno da studente di alta
stregoneria di Hogwarts.
Tra le varie discipline c’è il
Quidditch ed Harry viene
suo malgrado coinvolto nel
torneo. Ci saranno numerose
prove da superare ed i rischi
non mancheranno, anche
perché qualcuno sembra
tramare nell’ombra.
Luca Guadagnino
Melissa P.
C’è chi sostiene che bastava
un libro povero di contenuti
e se vogliamo anche inutile
a far stancare gli italiani della
giovane autrice siciliana.
Ma evidentemente così non
l’hanno pensata Claudio
Amendola e Francesca Neri
che hanno deciso di farci
un film, per giunta girato a
Lecce. Tratto dal discusso
best-seller 100 colpi di
spazzola prima di andare
a dormire, il film parla di
una sedicenne, Melissa,
che scopre il mondo della
perversione sessuale a causa
delle delusioni patite col suo
ragazzo.
Roberto Benigni
La tigre e la neve
Melampo Cinematografica
di C. Michele Pierri
Riscattarsi non era facile, ma con
lui non c’è mai niente di certo. Ripetersi (dopo un Oscar) era forse
impossibile, ma mai porre limiti alla
provvidenza. Evidentemente si parla di Roberto Benigni che con il suo
La tigre e la neve continua a registrare incassi da record sull’onda
di un entusiasmo annunciato e di
una campagna pubblicitaria che
fino all’ultimo non ha permesso che
trapelassero indiscrezioni. Distribuito
in ben 900 copie e girato fra l’Italia
e il Nord-Africa, il nuovo lavoro del
comico toscano non manca come
sempre di dividere critica e appassionati. Da una parte c’è chi sostiene che il solito copione già visto e
rivisto ha stancato. Dall’altra c’è
chi osanna la premiata ditta Benigni-Cerami-Piovani (rispettivamente regista, sceneggiatore e autore
della colonna sonora), che tante
soddisfazioni ha regalato al cinema
italiano. Insomma a chi credere?
Senza dubbio c’è tanto del Benigni
che abbiamo imparato ad amare
in questo film, che racconta gli orrori
della guerra (questa volta in Iraq)
sotto una luce nuova. A fare da
legante fra le varie vicende c’è la
poesia, protagonista indiscussa sia
del racconto che delle immagini,
forti ed allo stesso tempo evocative
e delicate nella loro drammatica
semplicità. Nel cast
anche un impeccabile Jean Reno, una
ormai
consolidata
Philippe Garrel
Les amants réguliers
Maia Films
di Stefania Azzollini
Parigi 1968-69. Barricate, scontri
notturni con la polizia, corse sui tetti, dissoluzioni familiari si risolvono e
concludono in giorni lenti e vinti dalla
tentazione dell’arte e delle droghe,
oziosi e simili. Forse utopia di trasformare il mondo con l’idea assoluta
del bello ma forse, anche, ritratto di
gioventù anarchica che narcisisticamente si guarda allo specchio. In
questa cronaca intima e pubblica
di quegli anni, vive l’amore “fou”
ma “réguliers” tra l’aspirante poeta
François (Louis Garrel, figlio del regista
e già in The Dreamers di Bertolucci)
e la scultrice Lille (Clotilde Hesme).
Amore intenso, “libero”, salvifico, fatale. Leone d’Argento per la miglior
regia a Venezia, Garrel ci regala con
indubbio rigore stilistico uno squarcio
fascinoso dell’atmosfera della contestazione parigina, con immagini in
bianco e nero prive di ogni artificialità, intensissimi primi piani, ritmo dilatato, azione narrata con precisione
documentaristica, dialoghi essenziali,
sequenze dense e suoni caldi. Eccellente l’attenzione maniacale per ogni
singola inquadratura grazie al superbo William Lubtchansky, premio per la
miglior fotografia. Film squisitamente
generazionale che però ci consegna
un ritratto troppo onanistico-intellettual-borghese. Forse a Parigi era cosi.
Altrove no. Tre ore per un film che si
pregia di sequenze elegantissime e ci
restituisce l’immagine di una umanità
in ricerca.
Nicoletta Braschi e
uno
straordinario
Tom Waits, in questo caso pianista d’eccezione e autore della dolce canzone che fa da
tema all’intero film, la splendida You
can never hold back spring. In uno
scenario devastante il protagonista
Attilio si troverà spaesato e inorridito, costretto a fare i conti con una
realtà che ci sembra tanto lontana
ed improbabile, che quando ci viene a toccare assume la forza di un
fiume in piena che tutto travolge.
Qui fra macerie e cadaveri però
non perderà il suo spirito e la voglia
di portare poesia anche laddove in
superficie c’è solo disperazione. In
definitiva un film ben riuscito, anche
se forse troppo “studiato”, tanto da
perdere quell’impatto emotivo e
quel senso di disarmo che hanno
fatto de La vita è bella un vero e proprio capolavoro. Ma nonostante ciò
questo è un lavoro che brilla di luce
propria e che lancia un messaggio
chiaro ed importante, una colomba
di pace in un mondo sopraffatto
dall’odio. E solo scrutando attraverso gli occhi di Attilio, un uomo che
nel dolore non ha ancora perso la
voglia di sognare, possiamo godere
di questo film permeato di speranza
e di un amore che possiede la forza
di sciogliere ogni bruttura del mondo in cui viviamo,
proprio come fosse
neve al sole.
Chris Nahon
L’impero dei lupi
Medusa
di C. Michele Pierri
Non convince molto questa opera
seconda del giovane regista Chris
Nahon che propone sullo schermo
il romanzo di Jean-Christophe
Grangè. Anna è la giovane moglie
di un ufficiale di polizia francese.
Da qualche tempo soffre di orribili
allucinazioni e amnesie, al punto di
non riconoscere il volto del marito.
Ma la donna inizia a sospettare di
non essere pazza, ma la pedina
di una macchinazione terribile.
Per questo si rivolge alla psichiatra
Mathilde (Laura Morante). Nel
frattempo il giovane capitano
Paul Nerteaux (Jocelyn Quivrin)
sta indagando sull’assassinio di tre
giovani donne turche e chiede
aiuto a Schiffer (Jean Reno), un
ex collega con la fama di corrotto
e violento. Le premesse sono
ottime e nella prima mezz’ora il
film pare addirittura eccitante.
Ma poi accade qualcosa. Quello
che doveva essere il trampolino
di lancio per un’opera esaltante
diventa l’occasione per mettere in
scena una serie di cose già viste ed
efferatezze insensate. Un po’ Seven,
un po’ I fiumi di porpora, questo
film non riesce mai a costruirsi una
identità propria. La storia in ogni
caso incontra l’attualità cercando
di entrare nei meccanismi complessi
di una comunità turca e delle sue
contraddizioni e questo è uno
dei pochi meriti di un film che ha
l’amaro sapore di un’incompiuta.
Roman Polanski
Oliver Twist
Torna Polanski e lo fa con
un adattamento a suo
dire originale del classico
di Dickens. D’eccezione il
cast che può vantare su
Ben Kingsley e su altri attori
di livello internazionale e
le scenografie, ricostruite
in maniera minuziosa e
faraonica. La trama è quella
già nota: l’orfanello Oliver fa
amicizia, nelle vie di Londra,
con un ladruncolo e da
questo viene instradato a far
parte della famiglia di ladri
addestrati dal perfido Fagin.
Da un regista controverso un
nuovo kolossal sentimentale.
James McTeigue
V for vendetta
Chi si aspetta un nuovo Matrix
da questo film prodotto e
sceneggiato dai già noti
fratelli Wachowski forse
rimarrà deluso. Ma questo
film, passato un po’ in sordina
ha una trama intrigante
e una Natalie Portman in
splendida forma. Cosa
sarebbe successo infatti se
la Germania avesse vinto la
seconda guerra mondiale?
In un immaginario futuro, la
Germania ha trasformato
l’Inghilterra in un paese
nazista. Un uomo cerca
di ritrovare la libertà dalla
dittatura con atti di estremo
terrorismo.
Antonio Capuano
La guerra di Mario
Tra le scarse produzioni
italiane spicca a novembre
questo film di Antonio
Capuano che vede la
presenza della sempre
più attiva Valeria Golino
e dell’emergente Anita
Caprioli. Anche il tema è
importante e d’attualità.
Mario, un bambino con una
brutta storia di abusi familiari
alle spalle, viene affidato
dal tribunale ad una coppia
alto-borghese che da tempo
cercava di adottare un
bambino. Catapultato in una
nuova realtà, Mario, dovrà
abituarsi ad un uovo stile di
vita e con lui i nuovi genitori.
Jacques Audiard
Tutti i battiti del mio cuore
Orso d’argento all’ultimo
festival di Berlino arriva
finalmente in Italia questo film
francese a tinte drammatiche
che tanto è piaciuto nel
resto d’Europa. La storia
ha per protagonista Tom,
uomo di 28 anni la cui vita
sino a questo momento non
ha preso una bella piega e
rischia di finire a fare l’agente
immobiliare, come suo padre.
Poi l’occasione della vita, un
incontro casuale lo spinge a
credere che potrebbe essere
il pianista di talento che ha
sempre sognato di diventare.
Per seguire le orme di sua
madre.
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Il viaggio ricomincia - cronaca di una partenZa
33
di Chiara Caputo
Sabato 15 ottobre cinque esemplari di tartaruga marina della specie Caretta caretta hanno ripreso il largo dalle
coste dello Ionio, all’altezza di Punta della Suina. Dopo mesi di forzata inattività in una vasca di vetroresina, il viaggio
è ricominciato. Pinne un po’ incriccate, emozione a fior di pelle che sfiora la paura: si torna in mare. Gli animali
sono arrivati da Napoli alla Capitaneria di Porto di Gallipoli nella stessa mattinata; qui, sono stati presi in consegna
per essere trasferiti sulla spiaggia di Punta della Suina da Sandro Panzera, responsabile dell’Osservatorio Faunistico
Provinciale e dal dottor Giorgio Cataldini dal Responsabile Regionale del Centro Studi Cetacei. Dopo le foto e i
saluti di rito, come si fa prima di un lungo viaggio, le tartarughe sono state lasciate libere sulla sabbia, in modo che
potessero riprendere il controllo della situazione, in autonomia. Impresa non facile visto l’entusiasmo di tutti coloro
che si erano recati sulla spiaggia per assistere a questo piccolo grande spettacolo.
Le cinque tartarughe si erano spiaggiate lo scorso inverno in vari tratti della costa salentina ed erano state recuperate
dalla Capitaneria di Porto, dalla Polizia Provinciale, da pescatori o da persone che si trovavano a passeggiare sulla
spiaggia. Sono state ricoverate presso l’Osservatorio Faunistico Provinciale annesso al Museo di Storia Naturale del
Salento di Calimera e, una volta stabilizzate, trasferite a Napoli presso la Stazione Zoologica “Anton Dohrn”.
Il recupero di questi animali è lento, anche perché subiscono molto lo stress della cattività. A due delle tartarughe,
Kalimerina e Musorotto, è stato applicato un trasmettitore satellitare (progetto sponsorizzato dall’UNEP ovvero il
Programma Ambientale delle Nazioni Unite) che permetterà lo studio delle rotte migratorie percorse da questi
animali. Insomma, il cerchio si è chiuso, tutto è tornato al suo posto. Buon viaggio…
A chi rivolgervi se ne trovate una…
Se un giorno, facendo una passeggiata sulla spiaggia, doveste inciampare in una Caretta caretta in difficoltà (ma
non solo) potete rivolgervi all’Osservatorio Faunistico Provinciale, che altro non è che un Centro di Accoglienza
per la Fauna Esotica e Selvatica; oppure potete telefonare alla Capitaneria di Porto o alla Polizia Provinciale che
provvederanno a prelevare l’animale e trasferirlo presso il centro suddetto. L’Osservatorio Faunistico Provinciale
è situato presso la struttura del Museo di Storia Naturale del Salento di Calimera e svolge un’opera di tutela e
salvaguardia delle Caretta caretta da più di 15 anni, nel corso dei quali oltre 3000 esemplari sono transitati presso
il centro. La sezione riservata alle tartarughe marine, negli anni, si è aggiornata secondo le nuove norme europee;
attualmente il centro consta di cinque vasche per animali adulti, una nursery per i neonati in grado di mantenersi
a galla e un’incubatrice per quelli che sono troppo debilitati per farlo. A questo si aggiungono le vasche per la
degenza degli animali più deboli, che sono di dimensioni ridotte rispetto alle precedenti e che prevedono un
livello d’acqua molto basso e una sorta di “doccia” che bagni gli animali, evitando la disidratazione, ma che
non li costringa a nuotare per mantenersi a galla. Chiunque sia interessato può prendere parte in prima persona
all’attività del centro. L’Osservatorio e il Museo, oltre al Centro di Primo Recupero per le tartarughe marine, ospitano
una sezione Ornitologica e un rettilario, vari esemplari di fauna esotica affidati o abbandonati dai proprietari, sezioni
di Malacologia, Entomologia, Paleontologia e Mineralogia. La struttura è aperta tutti i giorni (escluso il lunedì) dalle
9.30 alle 12.30 e dalle 17.30 alle 20.30. Info 0832/875301 - 3204826584 – 3206586556. www.museocalimera.it
Carta d’identità
Le tartarughe marine non sono né pesci, né mammiferi, bensì Rettili appartenenti all’ordine dei Cheloni. Un
antico mito greco narra che Ermes invitò al matrimonio di Zeus ed Era non solo gli dei, ma anche animali e
uomini. Una ninfa un po’ snob, di nome Chelone, decise di non unirsi alla allegra combriccola e restò nella
sua casa in riva ad un fiume a fare i fatti suoi. Ermes, infuriato a causa dell’affronto, gettò Chelone, con la
sua casa, nell’acqua. Fu così che Chelone si trasformò in una tartaruga, inseparabile, come lei, dalla sua
dimora. La popolarità delle tartarughe ai tempi di Zeus è una prova delle antiche origini di questi animali.
Esse risalgono all’epoca dei dinosauri ai quali sono sopravvissute (chi va piano…). Nella loro triplice versione
(tartarughe marine, d’acqua dolce e di terra), le tartarughe si sono adattate ad ogni forma di habitat. Le
Caretta caretta, nello specifico, sono rettili marini molto longevi (anche più di 100 anni), che assorbono
ossigeno dall’aria, essendo dotate di polmoni, al contrario dei pesci che lo assorbono dall’acqua tramite
le branchie; la vita subacquea è resa possibile dalla loro capacità di compiere lunghissime apnee.
Le tartarughe marine passano in mare tutta la loro esistenza, eccezion fatta per le femmine che
raggiungono la terra ferma, solo ed esclusivamente, per nidificare per poi tornare in mare. Alla nascita i
piccoli potranno fare affidamento solo sulle loro forze e sulla luce della luna che li guiderà verso l’acqua (le
uova si schiudono di notte). Una volta raggiunta la maturità sessuale, le femmine della nidiata torneranno
nella stessa identica spiaggia in cui sono nate per deporre le loro uova. Il resto della loro vita è scandito
da partenze e ritorni. Le tartarughe che arrivano nelle nostre acque in primavera-estate, provengono dal
bacino orientale del Mediterraneo ove, dopo essersi sfamate, torneranno in autunno, attraverso lo Stretto
di Messina, dirigendosi verso la Grecia e la Turchia.
Come riescano ad orientarsi in queste lunghe migrazioni è parzialmente un mistero: prive di una vista
particolarmente acuta, non sono in grado di orientarsi tramite le stelle, viceversa riescono a sfruttare il
sole e le correnti marine. I loro tragitti variano da un minimo di 1000-1500 km ad un massimo di 6000 km.
Il maggiore problema di questi animali, attualmente, è azione dell’uomo: il commercio di prodotti “a
base di tartaruga” (ufficialmente vietato in Italia dall’ormai lontano 1977) vede l’Italia in pole position
dopo Francia ed Inghilterra; la distruzione degli habitat naturali, le catture accidentali, l’inquinamento, la
presenza antropica in senso lato, fanno il resto.
di Mirko
Grasso
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2 novembre 1975 Pierpaolo Pasolini. Una storia sbagliata
“Una storia vestita di nero, una storia da basso impero, una storia mica male
insabbiata una storia sbagliata.” Con questi versi Fabrizio De Andrè scolpisce
e descrive il delitto Pasolini. Un delitto che pesa, ancora oggi, nel panorama
culturale italiano, per il vuoto generato, e sulla storia della giustizia di Stato
per la “particolare” gestione delle indagini.
“Cominciò con la luna sul posto e finì con un fiume di inchiostro”. Sempre
De Andrè. La scomparsa di Pasolini non è stata solo la dolorosa perdita di
un grande intellettuale; prima di Pasolini scomparvero improvvisamente
Elio Vittorini, Beppe Fenoglio, stroncati da crudeli malattie, e ancora
prima, Cesare Pavese, anch’esso in maniera tragica. La morte di Pasolini,
tuttavia, è stata avvertita, e lo è ancor oggi, come la perdita di qualcosa
di incolmabile e di irripetibile. Per quale motivo? Sicuramente non solo
per l’aspetto letterario o artistico. Anche Pavese e Vittorini, ad esempio,
sono stati scrittori eccellenti, intellettuali impegnati e, gramscianamente,
“persuasori” culturali.
Pier Paolo Pasolini ha significato e rappresenta qualcosa in più. Ha
concretizzato come non mai la figura
dell’intellettuale che analizza, sviscera
il presente. Spesso si è parlato della
valenza profetica di alcune analisi
condotte dallo scrittore. In realtà è
stato uno sguardo attento e lucido
sull’attualità e sulla contemporaneità.
Che è una delle capacità di analisi più
difficile e di cui sembrano essere carenti
i “commentatori” a noi contemporanei.
La descrizione del cambiamento della
società italiana, delle degenerazioni
politiche e sociali, dell’imbarbarimento
e dell’omologazione culturale, unita
ad un non comune e poliedrico senso
artistico, hanno portato lo scrittore ad
esercitare un grande fascino ed una
rilevante influenza culturale.
Fabrizio De Andrè scrive Una storia
sbagliata
dove,
illustrando
le
contraddizioni e le ambiguità di
fondo nella scomparsa di Pasolini, rileva, anche in quell’ultima e maledetta
notte, il carattere dirompente ed “eccezionale” dell’artista: “storia diversa
per gente normale, storia comune per gente speciale”. Gli avversari di
Pasolini, ed erano tanti, hanno trovato in quella morte un modo, perbenista
e tipicamente italiano, per far passare dalla parte del torto una voce
autenticamente critica ed indipendente. Sì, perchè uno scrittore “speciale”
non può morire come “gente normale”. Così, in una celebre canzone di De
Gregori è Pasolini stesso a narrare l’ultima sua notte. Nei versi e nella musica
di De Gregori, il corsaro rivede le cose a lui più care e ricche di “disperata
vitalità”: Roma, le notti passate a cercar brandelli di autenticità, le marine
laziali, i suoi “ragazzi di vita”: “non mi ricordo se c’era la luna né che occhi
avesse il ragazzo, ma mi ricordo quel sapore in gola e l’odore del mare come
uno schiaffo”. Versi questi che scavano nell’animo, fanno riflettere aprendo
strada ad altri ricordi e suggestioni. Come il viaggio di Nanni Moretti in vespa
sul lungomare di Ostia, l’orazione funebre di Alberto Moravia - lo stato deve
difendere i poeti - !, la faccia di Pino Pelosi ritornato celebre in questi ultimi
tempi, il volto soddisfatto, e oggi quasi beato, di quell’Andreotti che Pasolini
voleva vedere sotto processo già nel 1975.
“Non lo nascondo,
se nulla ho mai nascosto; l’amore
non represso, che mi invade,
l’amore di mia madre, non dà posto a ipocrisia e viltà!
[...] Io sono un uomo libero. Candido cibo
della libertà è il pianto: e allora piangerò”.
Una libertà, questa, pagata sulla propria pelle.
Corriere della Sera, 14 novembre 1974
Cos’è questo golpe? Io so
di Pier Paolo Pasolini
Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe” (e che in
realtà è una serie di “golpe” istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi
del 1974.
Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti
ideatori di “golpe”, sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia
infine, gli “ignoti” autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della
tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase
antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l’aiuto della Cia (e in
second’ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del
resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il ‘68,
e in seguito, sempre con l’aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti
una verginità antifascista, a tamponare il disastro del “referendum”.
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l’altra, hanno dato le disposizioni
e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi,
di riserva, l’organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neofascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista)
e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza
nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle
persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come
quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a
Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi
e puramente organizzativi come il generale Miceli.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici
ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni,
siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si
sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò
che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto
ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette
insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro
politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà,
la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell’istinto del mio mestiere. […]
[Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro
che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non
perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale
momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle
stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o
almeno indizi.
Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo
“diplomaticamente” di concedere a un’altra democrazia ciò che la
democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi
prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso
con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili
(e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo
sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato.
34
CoolClub
.it musicali
Smaterializzazioni
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di Giancarlo Bruno
Lo scorso secolo è stato attraversato dall’evolversi
dei supporti sui quali si sono appoggiate le
registrazioni musicali e sonore in genere. Si iniziò
con il vinile introdotto nella prima metà del
novecento (in uso ancora oggi), sostituito poi
dalla musicassetta a cui fece seguito il compact
disc che negli anni ’90 diede inizio alla svolta
digitale. In queste naturali innovazioni tecniche
il dato di fondo sta nel fatto che la musica è
sempre stata legata ad un oggetto concreto,
a qualcosa di tangibile (LP, MC, CD). La nascita
del formato mp3 si schianta contro tutti gli
assiomi precedentemente assodati e genera una
nuova concezione di fruizione musicale in base
alla quale non esiste più un supporto sul quale
risiede la musica, ma il contenitore e il contenuto
convergono nella stessa cosa.
Il mare nel quale meglio nuota questo formato,
è naturalmente rappresentato da internet che
consente di scambiare in tempi ormai sempre più
ridotti discografie intere di artisti con alle spalle
decine di album; il mezzo attraverso il quale si
muovono i file mp3 sono i software peer to peer
che mettono i partecipanti nella condizione
di condividere file tra persone che si trovano
dall’altro capo del mondo; i nomi sono noti un
po’ a tutti, Napster, Kazaa, Winmx (oscurato di
recente), Gnutella, DC++ etc.
Napster è stato, per così dire, il martire e, toccando
i nervi scoperti dell’industria discografica, se
n’è andato mostrando ai suoi eredi i punti
deboli del sistema. In
sostanza Napster è stato
devitalizzato, diventando
un sistema a pagamento,
perché risultava un tramite
tra due utenti e consentiva
di far sapere ad entrambi
cosa
era
disponibile
nell’hard disk dell’altro;
questo ha rappresentato
una violazione certificata
del copyright, in quanto
facilitava lo scambio di
materiale per il quale
normalmente un utente
avrebbe dovuto pagare.
Consapevoli di ciò, i
creatori dei successivi
software hanno concepito
delle reti (network) nelle
quali la ricerca dei file
(brani musicali o film che
siano) non sarebbe più
passata da server centrali
che
sono
facilmente
controllabili, ma sarebbe
andata a interrogare direttamente il computer del
nostro amico cinese o australiano, togliendo così
un’arma fondamentale alle autorità predisposte
alla tutela dei diritti d’autore.
A questo punto il caos esplode…nasce un paradosso che vede le case discografiche, rappresentate dalla Recording Industry Association of
America (RIIA) contro i consumatori, o meglio,
l’offerta che dà battaglia alla domanda, il che è
quantomeno singolare; non si trova più uno strumento valido per bloccare questo enorme flusso
di materiale illegale e si pensa perciò di prendere qualcuno nel mucchio, si decide di dare
l’esempio, senza compassione se si tratti di denunciare una ragazzina dodicenne che scarica
i Backstreet Boys e senza comprensione se si tratti
di denunciare un distinto signore di ottanta anni
che ascolta Frank Sinatra. Tutto questo nasce dal
fatto che il download risulta essere un fenomeno
di natura transnazionale perseguito da leggi prettamente nazionali, e anche se passi da gigante
sono stati fatti nella definizione comune del reato
di violazione del diritto d’autore, ciò rimane legato a realtà politiche e sociali troppo differenti tra
esse. Il problema più concreto risiede però nella
difficoltà di cumulare, in un unico eventuale processo, le singole violazioni; se la ragazzina dodicenne, oltre ai Backstreet Boys, decide di scaricare anche l’ultimo dei Blue sta ledendo i diritti
di due differenti autori, con tutte le complicazioni
legali che ne derivano. Il decreto Urbani che ci
viene ricordato
tipo “cura Ludovico” ogni volta
che andiamo
al cinema, non
chiarisce i limiti legali e non
del file sharing
ma serve solo
come spauracchio per intimorire i più.
Diventa quindi
naturale che la
musica da prodotto
debba
diventare
un
servizio; voglio
ascoltare quel brano che mi piace tanto? Vado
sul sito del cantante e lo ascolto in streaming,
cioè in diretta, senza la possibilità di copiarlo sul
mio pc, voglio proprio avere quella canzone e
ascoltarla quando meglio credo? Vado su “itunes” e la scarico a 99 centesimi senza spendere
18 euro per tutto il cd; i gusti degli ascoltatori sono
sempre più segmentati e particolareggiati (su internet proliferano ormai centinaia di web-radio
per gli ascoltatori più esigenti) e l’accessibilità
alla rete diventa sempre più facile; è un ciclo che
si chiude…probabilmente dopo quasi un secolo
dalla nascita della musica registrata, possedere
un cd o un disco diventerà un lusso o una passione per pochi.
CoolClub.it
ogni martedì - musica
Jam sassion jazz al Willy Nilly di Squinzano (Le)
ogni mercoledì – musica
High fidelity al Caffé Letterario
Il nuovo appuntamento in musica del Caffé
Letterario di Lecce si chiama High Fidelity. Ogni
settimana un dj diverso si alternerà in consolle per
selezionare un personale percorso alla scoperta
di un genere musicale, un periodo, una etichetta
o un gruppo.
ogni sabato – musica
Open bar sino alle 00.30 al Willy Nilly di Squinzano
(Le)
I dj di Coolclub all’Istanbul Cafè di Squinzano
(Le)
mercoledì 9 - cinema
Super size me (rassegna Politicamente scorretto)
presso Sala di cultura Basilica Santa Caterina a
Galatina (Le)
giovedì 10 – musica
Artemisia all’Heineken green stage di Tricase (Le)
venerdì 11 - musica
Apres la classe al Planet di Lequile (Le)
Giovanni Sollima & Mauro Pagani (TimeZones) al
PalaMartino di Bari
N.a.m.b e Madaski allo Zenzero di Bari
venerdì 11 - teatro
Vita mia di Emma Dante ai Cantieri Koreja di
Lecce
La rassegna Strade Maestre prosegue con lo
spettacolo Vita mia di Emma Dante. Entriamo
in una stanza vuota con un letto al centro.
Cos’è quel letto ci chiediamo: un riparo? Una
pace pigra? Un termine? C’è un viaggio nel
tempo e nello spazio attorno a quel catafalco
e ciò che muove tutto è qualcosa che non
possiamo comprendere. Vita mia è il tentativo
folle e disperato di ritardare fino allo stremo
delle forze l’ultimo giro prima della morte. Quel
letto è una nave di pietra e quella stanza è il
mare che ci risucchia e sparisce (spettacolo
con posti limitati, prenotazione obbligatoria).
Sipario ore 20.45. Ingresso 10 euro. Ridotto
under 25 e over 60 7 euro. Cantieri Teatrali
Koreja 0832.24.2000 - www.teatrokoreja.com.
sabato 12 - musica
N.a.m.b e Madaski al Candle di Lecce
Musica dal vivo e un dj d’eccezione per il sabato
del Candle di Lecce. Sul palco si esibiranno
i torinesi N.A.M.B. La nascita del gruppo può
essere datata 1992: la
formazione, chiamata
all’epoca Superbudda,
prevedeva
Andrea
Ghio, Canna e uno
storico
delay
per
chitarra
nel
quale
processare ogni tipo di
sorgente sonora. Dopo
numerosi
esperimenti
è del 2005 l’album
d’esordio
omonimo
uscito
su
etichetta
Mescal che contiene la
cover di Black Hole Sun
dei Soungarden. I N.A.M.B. riescono a scrivere
un’equilibrata combinazione d’elettrico ed
elettronico. A seguire selezioni musicali a cura
di Madaski eclettico musicista fondatore degli
Africa Unite. Ingresso 5 euro. Inizio ore 22.30. Info
www.coolclub.it – 0832303707.
Luigi Grechi alla Saletta della Cultura di Novoli
(Le)
Il suo brano più famoso è sicuramente Il bandito
e il campione portato al successo dal fratello
minore Francesco De Gregori ma la carriera
di Luigi Grechi è punto di riferimento per un
paio di generazioni di cantautori. La rassegna
Tele e ragnatele della Saletta della cultura
Gregorio Vetrugno di Novoli ospita il musicista in
compagnia della sua Bandaccia per presentare
i brani di “Campioni senza valore”. Inizio ore
21.30. Ingresso 10 euro. La Saletta della Cultura
Gregorio Vetrugno è in Via Matilde 7 a Novoli.
Info 347 0414709 – [email protected]
Arto Lindsay trio (TimeZones) al Palamartino di
Bari
sabato 12 – teatro
Carnezzeria di Emma Dante ai Cantieri Koreja
di Lecce
Ho visto nelle facce della gente occhi di
lucertola,
seminascosti
dalle
palpebre;
occhi di cavallo, iniettati di sangue; e occhi
di mucca, luminosi e bagnati, con una
struggente dolcezza interiore. Erano uomini
strappati a se stessi, scannati da una vita
insulsa. Animali impauriti e pericolosi che con
la propria profonda capacità di partecipare
alla sofferenza andavano perdendo col
tempo ogni parentela umana. Carnezzeria è
la storia di una di queste famiglie di carne da
macello, con i suoi legami morbosi, con le sue
fughe isteriche e paralizzanti, con la sua aria
ristagnata di odore di fumo. L’appuntamento
rientra nella rassegna Strade Maestre. Sipario
ore 20.45. Ingresso 10 euro. Ridotto under
25 e over 60 7 euro. Cantieri Teatrali Koreja
0832.24.2000 - www.teatrokoreja.com.
domenica 13 - musica
The Hospitals (Usa) al Target club di Bari
Dopo il successo del precedente tour, torna
in Europa la cult band di San Francisco più
spiritata ed insana del rock’n’roll USA. The
Hospitals nascono come assalt duo dalla irruente
personalità di Adam Stonehouse, vocal e
batterista tra i più selvaggi mai visti, ispirato dalle
noise bands giapponesi nonché da The Scientists,
Flipper, Electric Eels. Ingresso 5 euro.
martedì 15 – cinema
Tartarughe sul dorso di Stefano Pasetto al Cinema
Santalucia di Lecce
mercoledì 16 novembre - musica
Cocorosie (TimeZones) al Pala Martino di Bari
Le sorelle Sierra e Bianca Casady sono uno dei
fenomeni musicali del momento. L’incontro di
due percorsi musicali diversi: una proveniente
dalla musica classica con un’esperienza da
cantante lirica e l’altra dal mondo dell’hip-hop.
Inizio ore 21, ingresso 15 euro.
mercoledì 16 e giovedì 17 - musica
Paul Jeffrey al Ueffilo di Gioia del Colle (Ba)
da martedì 15 a giovedì 17 – cinema
C’è un posto in Italia (in anteprima nazionale) al
Cinema Elio di Calimera (Le)
mercoledì 16 - musica
Cosmic al Caffé Letterario di Lecce
giovedì 17 – musica
Adel’s all’Heineken green stage di Tricase (Le)
Il gruppo siciliano è tra le più importanti band
italiane di rockabilly. Gli Adel’s nel 2004 hanno
fatto circa 180 concerti in tutta Italia. Un record
per una band che suona una musica di nicchia
che in Italia ha difficoltà a trovare spazi e
produttori.
giovedì 17 - musica
Giuliano Palma & Bluebeaters a Lequile (Le)
venerdì 18 - musica
Super Elastic Bubble Plastic all’Istanbul Cafè di
Squinzano (Le)
The Swindler rappresenta l’esordio discografico
del trio mantovano Super Elastic Bubble Plastic.
Il gruppo presenterà il cd in una serata firmata
Coolclub. Un disco “d’amore e d’odio”, tra
politica e relazioni interpersonali, senza mezze
misure. Partorito con l’urgenza del condannato.
Un bel esempio di indie rock’n’roll. Inizio ore 22.30.
Ingresso 5 euro. Info www.coolclub.it
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CoolClub.it
Morgan allo Zenzero di Bari
Dopo il successo del suo album di debutto solista,
Morgan può a tutti gli effetti essere considerato
un astro nascente fra i cantautori della nuova
generazione. Intimamente affascinato da Bob
Dylan come da De Andrè e Pink Floyd, il leader
dei Bluvertigo prepara un live intenso e spigoloso.
Ingresso 13 euro.
venerdì 18 - cinema
The agronomist (rassegna Politicamente
scorretto) presso Sala di cultura Basilica Santa
Caterina a Galatina (Le)
domenica 20 – musica
My way my love (Giappone) + Frantic (emocore
- Bari) al Target Club di Bari
Da Tokyo, Yukio Murata, Takeshi Owaki, e Dai Hiroe
hanno ormai raggiunto un’ottima reputazione
in Giappone come My Way My Love. Sono un
trio di un noise sperimentale, hanno alle spalle
diversi tour americani e nel resto del mondo, ora
incidono per la File 13 Records di Chicago (Usa).
lunedì 21 – musica
My way my love ai Sotterranei di Copertino
da martedì 22 a venerdì 25 - teatro
Orgia di Pier Paolo Pasolini ai Cantieri Koreja
di Lecce
La compagnia bolognese Teatri di vita
mette in scena questo spettacolo di Andrea
Adriatico tratto dal testo di Pasolini. Un’orgia
di parole, passioni, ricordi travolge un Uomo e
una Donna, in un sacrificio rituale fatto di sesso
e violenza. Fra tutte le opere teatrali di Pasolini,
anzi fra tutte le sue opere, Orgia è forse quella
più “astratta” e forse la più emozionante
e poetica, che il suo stesso autore portò in
scena nel 1968 a Torino per l’interpretazione
di Laura Betti. Tragedia del sadomasochismo
ma anche denuncia dello sradicamento di
una società lanciata verso un abbagliante e
infido progresso; e sono proprio quelle radici
di “un passato felice che ha prodotto persone
infelici” a portare verso la fine i due protagonisti,
schiacciati dalla memoria di un tempo perduto
e sincero. Lo spettacolo è a posti limitati ed è
sconsigliato ai minori di 18 anni. Sipario ore
20.45. Ingresso 10 euro. Ridotto under 25 e over
60 7 euro. Cantieri Teatrali Koreja 0832.24.2000
- www.teatrokoreja.com.
da martedì 22 a giovedì 24 - cinema
Nemmeno il destino di Daniele Gaglianone al
Cinema Elio di Calimera (Le)
martedi 22 - musica
A hawk and a hacksaw (Usa) al Santo Graal di
Trani (Ba)
A Hawk and A Hacksaw è il progetto (su Leaf) di
Jeremy Barnes (già batterista nella cult band di
indie-rock psichedelico Neutral Milk Hotel e poi
nei Bablicon e nei Broadcast). Dal vivo AHAAH
è un duo: Jeremy suona contemporaneamente,
accordion, tastiera, percussioni, drumkit, Heather
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Trost lo accompagnerà al violino e al glockenspiel.
Uno spettacolo tutto da vedere! Ingresso libero
martedì 22 – cinema
La piccola Lola di Bertrand Tavernieral Cinema
Santalucia di Lecce
mercoledì 23 - musica
Tob Lamare al Caffé Letterario di Lecce
giovedì 24 - musica
Ivan Segreto al Jubilee Club di Corato (Ba)
U2 Tribute all’Heineken green stage di Tricase
(Le)
venerdì 25 - musica
Baustelle al Candle di Lecce
Una “macchina sonora” inconfondibile. I Baustelle
fin dai loro esordi hanno impressionato per la loro
“unicità”. Venerdì 25 novembre al Candle di
Lecce, evento firmato Coolclub, presenteranno
i brani del nuovo cd, La malavita (vedi intervista
a pagina 8). In apertura si esibiranno i salentini
Superpartner. Inizio ore 22.30. Ingresso 5 euro. Info
www.coolclub.it – 0832303707.
Happy Birthday TimeZones con Konkiduet
(Francia) e Antica pasticceria digitale al
PalaMartino di Bari
venerdì 25 - cinema
The corporation (rassegna Politicamente
scorretto) presso Sala di cultura Basilica Santa
Caterina a Galatina (Le)
venerdì 25 – domenica 27 – musica
Meeting etichette indipendenti a Faenza.
Programma ricco di appuntamenti con centinaia
di espositori, musicisti, giornalisti. Un punto di
riferimento per la musica indipendente. Tutte le
informazioni su www.meiweb.it
sabato 26 - musica
Paul Gauguin. Spettacolo di jazz multimediale
alla Saletta della Cultura di Novoli
martedì 29 novembre - musica
Zeena Parkins and Ikue Mori (Timezones) al Valliva
di Bari
Blonde Redhead allo Zenzero di Bari
Zenzero e Coolclub organizzano una delle due
date italiane di questo tour invernale dei Blonde
Redhead. Inizio ore 22.30. Ingresso 15 euro. Info
prevendite 0832303707 – 080.503.45.80.
martedì 29 – cinema
9 vite da donna di Rodrigo Garcia Cinema
Santalucia di Lecce
da martedì 29 a giovedì 1 - cinema
Piccola pesca di Enrico Pitzianti al Cinema Elio di
Calimera (Le)
mercoledì 30 – musica
David Liebman e Paola Arnesano al Ueffilo di
Gioia del Colle (Ba)
SkaccoMatto al Caffé Letterario di Lecce
Dicembre
giovedì 1 - musica
U.D.E. Rock ( rassegna di varie band emergenti
salentine) all’Heineken green stage di Tricase
(Le)
venerdì 2 - musica
Renato Sellani al Ueffilo di Gioia del Colle (Ba)
Perturbazione allo Zenzero di Bari
sabato 3 - musica
Perturbazione all’Istanbul Cafè di Galatina (Le)
Perturbazione è la storia
di un nucleo di persone,
una piccola famiglia
nata a Rivoli, alle porte
di Torino. Un collettivo di
sei musicisti impegnati
da anni a tracciare una
via di fuga dalla musica
che gira intorno, una
“terza via” che esprima
al meglio ciò che sta in
mezzo tra la vivacità del
mondo
indipendente
e la canzone d’autore
italiana. Il loro ultimo
album è Canzoni allo
Specchio. Ingresso 5
euro.
Info www.coolclub.it
La redazione di
CoolClub.it non
è responsabile di
eventuali variazioni o
annullamenti.
Gli altri appuntamenti
domenica 4 – musica
Supersystem allo Zenzero su www.coolclub.it
Per segnalazioni:
di Bari
[email protected]
sabato 3 e domenica 4 - teatro
Dovevamo vincere ai Cantieri Koreja (Lecce)
La rassegna Strade Maestre celebra i venti
anni di Koreja con il primo spettacolo messo in
scena dalla Compagnia. Dovevamo vincere
è uno spettacolo che riannoda i fili dispersi
dei riti, delle tradizioni e dei miti del paese
che abitiamo, attraverso l’esperienza di una
generazione che riparte dal passato per dare
una risposta ai bisogni del presente. Tracce
di un vissuto ancora attuale a distanza di
vent’anni dalla prima messa in scena di questo
spettacolo reinterpretato per l’occasione
da quattro giovani attori. In scena Pierpalo
Bisconti, Angela De Gaetano, Carlo Durante,
Vito Greco. Regia e drammaturgia: Cesar Brie.
Ripresa e “fissazione”: Salvatore Tramacere.
Sipario ore 20.45. Ingresso 10 euro. Ridotto
under 25 e over 60 7 euro. Cantieri Teatrali
Koreja 0832.24.2000 - www.teatrokoreja.com.
News
Segnale_di_cortofilm festival 2005
È il 19 novembre il termine ultimo per l’iscrizione
alla prima edizione del Segnale_di_cortofilm
festival 2005 che si terrà a dicembre a Erchie (Br).
Info a [email protected]; [email protected];
3495825399. Il bando è scaricabile sul sito www.
coolclub.it sezione download.
L’Urlo di Galati
Ogni mercoledì, dalle 21 alle 22.30, su
PrimaVeraRadio (107.3 e 98.0 per Taranto, 95.1
per Lecce) va in onda l’Urlo – settimanale di
musica (+o-) indipendente italiana condotto da
Ilario Galati.
Arezzo Wave
Avete tempo sino al 15 dicembre per iscrivervi
ad Arezzo Wave. Per partecipare al bando di
concorso basta spedire il materiale a uno degli
oltre 200 punti di raccolta (antenne) in tutte le
regioni d’Italia elencati sul sito www.arezzowave.
com. Ogni regione avrà 1 o 2 band vincitrici (a
seconda della grandezza del territorio) che potrà
esibirsi durante la prossima edizione di Arezzo
Wave Love Festival che si terrà dall’11 al 16 Luglio
2006. Per info Coolclub 0832303707.
Seconda uscita per L’O
È alla sua seconda uscita L’osservatore in
cammino, trimestrale d’informazione libera e
cultura ideato e curato dal gruppo Artlab (Big
Sur, Salomè Onlus e Fondo Verri). Dopo il fortunato
esordio, il cammino de L’Osservatore continua
con un numero dedicato al disagio psichico. Chi
sono, nella epoca contemporanea i “matti”?
Qual è l’atteggiamento della società nei loro
confronti? E come rispondono i luoghi deputati
alla cura alle esigenze di queste persone? Info
0832/346903; e-mail: [email protected]
CoolClub.it
Crimini e Misfatti: Nuvole In Giallo
di Roberto Cesano
La produzione fumettistica vanta una lunga
tradizione di titoli gialli: in Italia Diabolik divenne negli anni ’60 un fumetto di culto ed il prototipo di una serie di personaggi con la K (vero
e proprio marchio di fabbrica di una generazione di fumetti) tra i quali spiccano Satanik e
Kriminal del duo Max Bunker-Magnus. Queste
serie avevano in comune ambientazioni da
“crimes stories” e dei protagonisti ambigui (ladri, spie ed assassini professionisti) sempre in
odore di censura a causa di gesta afferrate.
La casa editrice Bonelli, la più affermata in
campo nazionale, presenta una nutrita schiera di collane che spaziano nel genere giallo: il
poliziesco Nick Raider (ora approdato su altri
lidi editoriali) e Napoleone. Persino Dylan Dog
ed il futuribile Nathan Never (Asinov docet)
sconfinano spesso in tale genere. A mio avviso, la migliore tra le storie gialle della scuderia
Bonelli è Julia, nata dalla penna di Giancarlo Berardi, già uno dei creatori di Ken Parker,
uno dei fumetti più amati e seguiti dell’ ultimo
ventennio. Ken Parker mostrava una prospettiva originale dell’ epopea western americana, mentre Julia è stata una piacevole novità
nel poliziesco grazie ad un mix di ingredienti
ben dosati. Julia Kendall è una docente universitaria di criminologia chiamata spesso a
collaborare con la polizia nelle indagini più
complicate, per le sue spiccate doti professionali. La forza del personaggio è insita nell’approccio umano verso il crimine dietro al
quale si nasconde una persona, prima che un
criminale; nell’assenza di una retorica facilona riguardo temi scabrosi e nell’intensa personalità con cui Julia è tratteggiata. Berardi,
col suo stile garbato, ha partorito una donna
tridimensionale divisa tra vicende private e
pubbliche indagini. Confrontandosi con i delitti e la violenza umana Julia scruta nel fondo del proprio animo tormentato, ponendosi
quesiti universali nei quali il lettore facilmente
si immedesima, coinvolto da trame avvincenti e mai scontate. Dall’altra parte del mondo
in Argentina, vi sono dei fumettisti che si sono
dedicati al genere hard-boiled, offrendo dei
prodotti molto diversi dalla produzione nostrana. Tra di essi si evidenzia Chicanos di Carlos
Trillo (cyber-six) ed Eduardo Risso (100 bullets)
che ha per protagonista una donna, Alessandrina Y. Yalisco, la quale vive una situazione
molto differente dalla Julia di Berardi:
è un’immigrata messicana riciclatasi a New York come detective
privata ed invischiata continuamente in situazioni grottesche
ed ironiche. Trillo attua un
ribaltamento totale dei clichè del genere , presentandoci in un ruolo maschile
una donna e caratterizzandola con una bruttezza accentuata. Se in Julia (che
ha le fattezze della Audrey
Hepburn) emerge l’umanità di Berardi, in Chicanos
(edito da Coniglio editore) è
lo sferzante umorismo nero
di Trillo a dominare. La sua
“eroina” è un personaggio
marginale negli opulenti
States, prova scomoda d’una realtà di
brutture che non si
gradisce
vedere: il ghetto (il
“barrio”
per
gli
ispanici)
luogo in cui gli emarginati
annaspano tra le rovine del
sogno americano, del quale
non faranno mai parte…
La sua condizione di brutta e
povera straniera, rende ancor più esilaranti i
casi che Alessandrina segue: riesce a sopravvivere ad un agguato mafioso perché scambiata per la donna delle pulizie, è insultata da
clienti splendide ed ignorata fisicamente dai
teppisti. Julia e Alessandrina sono le due facce della stessa moneta: Julia è una W.A.S.P.
un prodotto della ricca borghesia occidentale, con dubbi e fragilità da “declino dell’impero americano” che può però permettersi
desideri alti. Alessandrina deve barcamenarsi
per sopravvivere; non ha né tempo né interesse per le vicende umane dei criminali; per
risolvere i propri casi non usa sensibilità o conoscenze tecniche, ma una grande fortuna
ed una sgangherata furbizia. Esce incolume
dalle storia più cruente perché ha imparato a
salvare la pelle nelle strade alienanti di New
York e questa rimane la sua aspettativa principale. Mentre Julia può concedersi di
riflettere ed angosciarsi per la
mancanza di un amore romantico intenerendo il
lettore, Alessandrina
percorre squallide
periferie protetta
solo
dall’amicizia della gente
del “barrio”, dimostrazione della solidarietà di
classe. La prima
incarna la fiducia,
strenua, ma non cieca,
nell’uomo e nelle sue istituzioni da parte di Berardi,
la seconda testimonia il disincanto di Trillo verso essi.
Non esistono autorità positive
in Chicanos, solo singoli individui
nobili d’animo. Il resto è un mucchio di merda in cui bisogna imparare a galleggiare, ridendo. Due fumetti
in cui un genere, il giallo, diviene una
metafora ora spiazzante e sarcastica
ora commovente e delicata della
condizione umana.
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