Tratto da Chitarre n. 233-234 anno 2005
MusicSecrets
AMERICAN ROOTS
Mentre la storia della popular music è abbastanza lineare, lo stesso non si può dire ad esempio di tutte quelle
musiche che hanno attinto al folklore afroamericano e in particolare a partire dalla fine dell'Ottocento al
blues. Come non farsi tentare di ricostruire il percorso di hip-hop/rap partendo dal canto di lavoro
parlato/gridato degli schiavi o dal talking blues degli anni venti/trenta? Più facile ricostruire quello che è
stato il contributo nero alla nascita del rock, prendendo in considerazione blues, boogie e rhythm'n blues.
Fenomeni più recenti, ad esempio la fusion, sono facilmente spiegabili in termini di contaminazione tra
generi, nel caso specifico rock e jazz. La country music ha invece, nella sua linearità, una maggiore
complessità. Il country & western degli anni quaranta fornì un contribuito essenziale alla nascita del
rock'n'roll. Negli anni trenta, dalla strumentazione e dai repertori appalachiani, nacque il western swing, che
molti critici considerano un filone del jazz. Il blue grass sperimentale portò negli anni settanta al newgrass ed
alcuni degli esponenti di quest'ultimo confluirono verso i terreni più acustici della new age.
LA NASCITA DELLA CULTURA AMERICANA
Prima di passare a ricostruire alcuni dei percorsi che ci permettono di collegare, con una certa linearità, i
generi musicali dell'America di oggi alle loro radici, una premessa sulla nascita e lo sviluppo della cultura
americana nel suo complesso. Gli 'americani' come tali nascono dopo la Rivoluzione del 1776. È nei decenni
immediatamente seguenti che essi cominciarono a riconsiderare la propria identità, manifestando l'esigenza
di acquisire autonomia, non solo politica, ma anche culturale. Nonostante comprensibili risentimenti,
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Tratto da Chitarre n. 233-234 anno 2005
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rimasero però a lungo dipendenti da tutto quello che, culturalmente, proveniva dall'Europa: principalmente
dall'Inghilterra e dalla Francia, parzialmente anche dalla Germania e dall'Italia. Solo a partire dal1820
l'ambiente culturale americano cominciò a produrre opere svincolate da tematiche e motivi segnatamente
inglesi e si può cominciare a parlare di una cultura 'americana'. Anche nel settore musicale una produzione
originale cominciò solo dopo i primi due o tre decenni del secolo; lo sviluppo fu rapido e coinvolgente, tanto
che verso la metà dell'Ottocento la musica si era trasformata in un prodotto commerciale, di consumo, e
attorno ad essa era nato un business. Si faceva musica in casa: pianoforte o armonium erano in tutti i salotti
della middle class, così come gli spartiti, sui quali si accentrava l'interesse del pubblico, con il conseguente
sviluppo dell'editoria del settore. Le occasioni per ascoltare musica si moltiplicarono: non solo nei salotti e
nei teatri, ma anche all'aperto o nei circhi itineranti; bande di strumenti a fiato si esibivano nei gazebo
appositamente realizzati nei parchi, ovvero sfilavano marciando attraverso le strade delle cittadine; la musica
degli afro-americani cominciò a trovare credito presso gli ambienti accademici. Se oggi un nuovo prodotto è
fruibile nel momento stesso in cui viene pubblicizzato, allora, non esistendo supporti per la riproduzione e la
diffusione, niente radio, televisione, registratori a cassette o compact disc, il meccanismo per la
pubblicizzazione dei brani e dei loro autori era basato su due soli canali: l'esecuzione dal vivo e la vendita
degli spartiti. Ne conseguiva una lentezza nel processo di divulgazione che, unitamente alla ridotta
produzione rispetto a quella di oggi, poteva assicurare a un brano musicale un successo dell'ordine di anni, se
non di decenni. Il business musicale cambiò radicalmente con i primi decenni del Novecento, complice
l'introduzione di due supporti tecnologici che diventeranno i veicoli principali di diffusione di tutta la musica:
la radio ed i dischi. Quasi contemporaneamente si verificò, negli anni della Prima Guerra Mondiale, una
spinta all'industrializzazione che portò le classi lavoratrici americane a spostarsi attraverso gli Stati Uniti alla
ricerca di opportunità lavorative migliori: una migrazione interna accompagnata dalla divulgazione di idee, di
culture, di musiche. La Seconda Guerra Mondiale e l'intervento americano furono accompagnati, per quanto
riguarda il discorso che ci interessa, dall’importazione in Europa di musiche che facevano parte di quella
cultura. Trasmissioni radiofoniche destinate alle truppe americane venivano captate anche dalle radio locali,
e si poteva ascoltare jazz, country, folk e popular music. Nell'Europa sempre più vicina ed unita che nacque
dal secondo dopoguerra, cominciarono a diventare maggiormente accessibili i 78 giri di oltreoceano ed i
musicisti europei presero a copiare dai loro colleghi americani nuove tecniche e nuovi stili; l'ondata di film
della produzione hollywoodiana, spesso sottolineati da colonne sonore importanti, contribuirono alla
divulgazione di tutti i generi musicali americani. Il processo di americanizzazione musicale dell'Europa era
ormai avviato. Poi l'Europa e gli Stati Uniti divengono un mercato musicale comune: i brani, le musiche, i
dischi, ma anche gli stessi musicisti cominciano a circolare in modo sempre più massiccio e la diffusione di
ogni nuova proposta in campo musicale come in qualsiasi altro avviene in tempo reale. L'Europa, in
particolare l'Inghilterra, partecipa attivamente alla nascita di nuove idee e la globalizzazione, anche in campo
musicale, diventa una realtà inarrestabile.
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Tratto da Chitarre n. 233-234 anno 2005
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DALLE LOWLANDS SCOZZESI A NASHVILLE: LA COUNTRY MUSIC
La ricerca di linearità è un pericoloso punto di partenza nell'analisi della country music del Novecento.
Linearità può essere trovata nel percorso Jimmie Rodgers Hank Williams Johnny Cash, così come in quello
String Band Bluegrass New Country, ma potrebbe essere sostenuta con argomentazioni adeguate perfino in
quello Carter Family Western Swing Nashville Sound. Quel che è certo è che se una linearità esiste, deve
essere ricercata analizzando la musica country nel suo complesso, senza escludere generi considerati
secondari solo perché non sfruttati commercialmente ovvero non di successo; così come non si devono
trascurare tutti gli elementi storici, sociali e musicali che ne hanno sottolineato il complesso percorso, dalla
musica popolare dei primi coloni britannici al new country di oggi. La culla della country music è stata l'area
dei Southern Appalachians, una vasta regione montagnosa e collinosa che, a partire dal confine occidentale
della Pennsylvania, si estende verso Sud attraversando la parte occidentale della Virginia, il North e South
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Tratto da Chitarre n. 233-234 anno 2005
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Carolina, il Kentucky ed il Tennessee orientali, la Georgia. Un territorio molto vasto ma scarsamente
popolato: un lungo susseguirsi di boschi, corsi d'acqua e vallate. Nel North Carolina abitano, ancora oggi, i
discendenti dei coloni Scotch-Irish che si insediarono, nel corso del Settecento, nelle aree più isolate della
regione. Il termine ‘Scotch-Irish’ è un americanismo, in genere ignoto in Scozia ed Irlanda, e raramente usato
dagli storici inglesi. Nell’accezione americana, si riferisce alla popolazione dell'Ulster di discendenza scozzese.
I contadini scozzesi, protestanti, erano stati protagonisti nel corso del Seicento di una forzata emigrazione
nell’Ulster Cattolico per colonizzare le pianure irlandesi e per contrapporsi alla cattolica popolazione locale.
Costretti ad emigrare in America per l’insofferenza nei confronti della Chiesa Anglicana, ma anche per le
restrittive leggi inglesi contro le manifatture irlandesi nonché per i gravi problemi creati dalle carestie (a
partire da quella gravissima del 1717), gli Scotch-Irish affrontarono la colonizzazione delle vallate e dell’area
collinosa dei Southern Appalachians. La musica irlandese ha avuto un ruolo importantissimo nella musica
americana, anche se l’emigrazione dall’Irlanda agli Stati Uniti andrebbe specificata e differenziata.
Generalmente si tende infatti ad associare i due flussi migratori che portarono dall'Irlanda all'America gruppi
ben distinti. Il Settecento vide l’emigrazione dall’Ulster (l’Irlanda del Nord) di quasi 250.000 Scotch-Irish
protestanti che colonizzarono soprattutto i Southern Appalachians e cominciarono a spostare la frontiera
sempre più ad ovest. Nel corso dell’Ottocento sbarcarono in America circa due milioni di irlandesi del sud,
cattolici, che si concentrarono nelle città dell’est, ovvero parteciparono alle grandi opere pubbliche
(costruzione di canali, ferrovie) spingendosi fino in California. Mentre la musica degli irlandesi del sud confluì
nella musica urbana dell'America dell'Ottocento, quella degli Scotch-Irish rimase a lungo isolata e
incontaminata nelle aree rurali e montagnose del sud-est. Il risultato è che nell’area appalachiana si po-teva
ancora ascoltare, all’inizio del Novecento, una musica che faceva diretto riferimento a quella tradizionale dei
coloni Scotch-Irish. Ballate del border Inghilterra-Scozia risalenti al Seicento, melodie modali inglesi, musica
da danze per fiddle dell'area scoto-irlandese. In realtà, pur nell'isolamento, nuove idee penetrarono nella
regione appalachiana andando ad influenzare la musica di tradizione orale. Altri elementi di modifica e di
contaminazione sono stati via via le successive ondate migratorie ed i contatti con la musica e i canti degli
schiavi delle piantagioni; la realtà dell'America urbana ed industrializzata; l'introduzione di nuovi strumenti
musicali; la radio ed i dischi. Con gli anni venti la musica appalachiana entrò ufficialmente nel business
musicale e da allora è ben documentata. Attraverso la storia di questa musica è quindi possibile riconoscere
la storia della gente che l'ha prodotta culturalmente, diffusa e consumata commercialmente. La derisa
musica hillbilly degli anni venti, espressione musicale dei poveri montanari e contadini, si è diffusa e
modificata seguendo le emigrazioni della popolazione appalachiana verso l'America urbana ed
industrializzata. Western swing, bluegrass, rockabilly, country-rock, new acoustic music, sono solo alcuni dei
punti di arrivo di percorsi che, nella loro linearità, presentano una continuità con la tradizione. L'industria
discografica ha contribuito a creare fratture in questa linearità: stemperando, negli anni venti, l'autentica ed
aggressiva mountain music degli hillbillies, per proporre un prodotto più vendibile; imponendo,negli anni
cinquanta e sessanta, il country-pop ed il Nashville sound, nel tentativo di un recupero commerciale in
risposta all'avvento del rock'n'roll; rigenerando, con il new country, la tradizione, attraverso la riproposta di
sonorità e strumentazioni del passato. Il panorama della country music del Novecento è complesso e denso
di generi, sub-generi, influenze, contaminazioni: operando una forte sintesi si possono ridurre i filoni
principali a tre: Old-TimeMusic, Bluegrass, Nashville Mainstream. Con il termine Old-Time Music (OTM) si
indica la musica rurale elaborata sui Southern Appalachians, rivelatasi al grande pubblico nei primi anni venti,
quando cominciò da parte dell'industria discografica lo sfruttamento commerciale di questa musica. Quindi
musica da danza ed antiche ballate; melodie Scotch-Irish per fiddle ed antiche canzoni inglesi; inni sacri ma
anche adattamenti di brani popular. Dagli anni venti in poi questa musica può essere vista, a seconda dei casi,
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come prodotto della società mediato dalle esigenze dell'industria o come prodotto puramente industriale
imposto alla società attraverso il controllo dei mass media. Questa musica ha ancora oggi la sua funzione
presso le popolazioni appalachiane, sia perché ancora utilizzata come base per le danze collettive sia per la
funzione di legame con le proprie radici; da non trascurare le diverse fasi di revival che l'hanno rilanciata nel
corso del Novecento. Un secondo filone è quello della musica bluegrass, derivata parzialmente dalla OTM ma
modernizzata e a volte con un occhio eccessivo al tecnicismo strumentale. Considerata una creazione di Bill
Monroe, ha dentro di sé elementi della tradizione delle string bands appalachiane, un po' di blues, lo stile di
canto ripreso da quello degli inni sacri polifonici estremamente diffusi in tutto l'Ottocento. Terzo filone,
quello predominante come immagine nel mondo e come effetto commerciale, è quello legato a Nashvillee
dal vasto consenso che si è creato attorno ad un genere che è il risultato del compromesso tra la tradizione e
le esigenze di mercato. È subito dopo la prima fase, le prime incisioni di musica rurale del sud-est
appalachiano, iniziate nel 1923 e condotte fino al 1927 senza criteri scientifici e senza razionalità né intenti
specifici che l'industria discografica cominciò a procedere con scelte mirate e con l'orecchio al grande
pubblico. Già alla fine degli anni venti nacquero le prime star della country music: la Carter Family e Jimmie
Rodgers. La Carter Family fu la scommessa vincente del discografico Ralph Peer, che vide nel tipo di
repertorio del gruppo, nelle esecuzioni semplici ed orecchiabili e nell'immagine positiva e rassicurante che
poteva dare una 'famiglia', tutti gli elementi per un’affermazione commerciale. Le loro numerose incisioni, a
volte discutibili perché lontane dalla tradizione, costituiscono comunque la documentazione di un'epoca,
quella che precede la commercializzazione della country music. L'attività discografica e concertistica della
Carter Family, iniziata nel 1927, non conobbe pause fino al 1943, in piena Seconda Guerra Mondiale, una
data che secondo alcuni rappresenta la fine dell'età d'oro della country music. La formazione era composta
da Alvin Pleasant Delaney Carter, più noto come A.P.Carter o 'Doc', voce bassa del trio; sua moglie Sara
Dougherty,voce principale, chitarra ed autoharp (il loro matrimonio risaliva al 1915); e la cugina di Sara,
Maybelle Addington, divenuta una Carter avendo sposato E.J. Carter, fratello di A.P. nel 1926, e che portò nel
gruppo il contributo del suo grosso talento su autoharp, banjo, ma soprattutto chitarra. Tutti originari della
Virginia, vissuti in un ambiente cattolico, avevano un fornito background di canzoni religiose, ma anche di
ballate e canzoni liriche. Nei loro testi erano presenti elementi come la casa, la mamma, le colline, il peccato,
Dio; quindi amore e morte, sofferenza, religione e lavoro. Furono forse gli unici interpreti di una musica
ancora strettamente connessa alla tradizione ma anche commercialmente valida e redditizia. Il sound della
Carter Family si basava sull'autoharp di Sara, uno strumento armonico, ma soprattutto sulla chitarra di
Maybelle, con quel suo stile particolare (che verrà poi definito ‘stile Carter Family’) che aveva appreso dai
suoi fratelli: stile che consisteva in una linea melodica suonata con il pollice sulle corde basse ed un ritmo
preciso e costante eseguito con l'indice sulle corde alte. Si tratta dello stile chitarristico oggi utilizzato da
chiunque suoni la chitarra con il plettro. Per quanto riguarda lo stile di canto, quello della Carter Family era
basato sull'uso di armonie a più voci tipico delle Church Singing Schools. Si può comprendere allora la
necessità per il gruppo di modificare, a volte anche profondamente, le strutture modali sulle quali si reggeva
la gran parte del repertorio tradizionale delle montagne, soprattutto le ballate, rimodellandole sul proprio
stile. La popolarità della Carter Family non si arrestò con lo scioglimento del gruppo, sopraggiunto nel 1943
con il ritiro di A.P.e Sara, quattro anni dopo il loro divorzio. Maybelle è rimasta attiva, prima esibendosi con le
tre figlie, successivamente con Johnny Cash, che sposò sua figlia June; infine in sporadiche apparizioni con
diversi musicisti, fino alla sua scomparsa, il 23 ottobre del 1978. Jimmie Rodgers (the singing brakeman, the
father of modern country music) è l'uomo che allontanò la musica country del Sud dalla tradizionale matrice
rurale e montanara, conducendola in un'altra orbita. Rodgers ha lasciato dietro di sé una traccia ancora
evidente e rimarchevole. Prima, vera star della country music, fu un personaggio che seppe attirare
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l'interesse del grande pubblico; la sua popolarità non scemò dopo la morte prematura. Incarnò il prototipo
del cantante country e divenne un modello per quelli che lo seguirono: repertorio accattivante,
abbigliamento 'western' e inseparabile chitarra al collo. La sua figura nel mondo musicale degli anni venti fu
differente da quella della Carter Family in due aspetti. Il primo è il background musicale, che comprendeva
anche la musica dei neri, soprattutto il blues e le railroad work songs; l'altro è l'atteggiamento 'commerciale',
il concetto di 'star' discografica, che scatenò le fantasie ed i desideri di tanti aspiranti cantanti e musicisti. Lo
stile musicale e di canto che fece di Rodgers la più famosa hillbilly star della storia della musica country è il
blue yodeling. L'origine di questo stile è tuttora ignota e probabilmente si trattò di una creazione dello stesso
Jimmie Rodgers. Difficile darne per certa la discendenza diretta dallo yodel svizzero o austriaco, da stili di
canto dei messicani o dei cowboy. Molto più probabilmente la derivazione va fatta risalire ai field hollerse dai
work shouts, forme rudimentali di canzoni simili a grida che poi rompevano in un falsetto, nate e diffuse nel
Sud tra gli schiavi delle piantagioni; lamenti solitari o spesso richiami funzionali, come quello del raccoglitore
di cotone che sotto il sole cocente attira l'attenzione del portatore d'acqua. Quest'ultima sembra essere
l'origine più plausibile del blue yodel che Rodgers introdusse nel suo repertorio, probabile fusione di
elementi che aveva assimilato nella sua infanzia e più tardi, quando all'età di quattordici anni cominciò a
lavorare come portatore d'acqua per i lavoratori neri delle ferrovie. Verso la fine del 1927 la popolarità di
Jimmie Rodgers andò crescendo in maniera eccezionale e per la Victor si profilò un affare senza precedenti. Il
primo blue yodel fu “T For Texas” (o “Blue Yodel n. 1”) inciso sempre nel 1927, con la struttura tipica del
blues (tre versi di cui il secondo ripetizione del primo). Nel corso della sua breve attività Rodgers non incise
soltanto blue yodels, ma anche ballate, canzoni comiche e romantiche, cowboy song, spesso da lui stesso
composte; ma quasi mai canzoni riferite ad argomenti religiosi. Sono molti i motivi del successo di Jimmie
Rodgers. Uno è da ricercare nell'impatto scenico di questo giovane con un marcato ed inequivocabile accento
del Sud, in grado di intrattenere il pubblico con il solo ausilio della voce e di una chitarra. E poi i temi delle
sue canzoni, in cui emerge ancora la nostalgia: delle piccoli città e dell'America rurale di una volta; di una
madre costretta a lasciare il piccolo, vecchio centro del Sud della sua infanzia. Il suo pubblico era formato
soprattutto da abitanti delle regioni rurali meridionali, poveri contadini che anche negli anni della
Depressione trovavano i soldi per comprare i suoi dischi e che ne fecero un eroe ed un mito. Ma,
raccontando una realtà mistificata, dando del Sud contadino un'immagine molto più conservatrice di quanto
non fosse realmente, Jimmie Rodgers tolse inconsapevolmente a quella gente il controllo della propria
musica, aprendo la strada alla sua progressiva banalizzazione commerciale. Fu dalla connessione TexasRodgers, rafforzata dall'abitudine di Jimmie di vestirsi come un cowboy, che nacque l'indirizzo western nella
country music ed il mito del singing cowboy, celebrato da Jimmie Rodgers nelle sue canzoni sul Texas: il cowboy autonomo e libero dalle catene rappresentate dalla civiltà industrializzata, che anche nelle situazioni più
pericolose si esprimeva cantando. Un mito romantico e sentimentale, alimentato dall'avvento dell'era dei
film western e dell'industria cinematografica hollywoodiana, un mito che fece nascere quel grosso equivoco
‘western uguale country music’ (!). Il cammino di Nashville verso il ruolo di centro della country music
cominciò quasi in sordina. Nel 1925 ai microfoni della WSM, una emittente locale della capitale del
Tennessee finanziata da una società di assicurazioni, si presentò un vecchio fidale (violinista) delle montagne,
l'ottantenne 'Uncle' Jimmy Thompson, accompagnato al piano da sua nipote Eva Thompson Jones, per un
Radio Barn Dance (letteralmente 'balli del granaio radiofonici') della durata di un'ora. Non si trattava del
primo esperimento di questo tipo: in quel periodo numerose emittenti locali avevano già una regolare
programmazione di barn dance. Ma il successo della trasmissione portò nel 1933 alla costruzione di un
apposito teatro ed al ruolo di guida del National Barn Dance nel campo dei country music show. La
trasmissione crebbe in popolarità e divenne un appuntamento tradizionale per tutti gli appassionati di
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mountain music. Con la popolarità crebbe anche il numero dei partecipanti alla trasmissione. Musicisti e
cantanti si trasferirono a Nashville, per vivere nel luogo dove si svolgeva lo show e poter partecipare
settimanalmente ad esso. Nei primi anni lo show metteva in maggiore evidenza la musica strumentale, in
accordo con l’origine di barn dance. Ma l'avvento delle grandi country star, che dagli anni quaranta
dominavano la scena nashvilliana, le relegarono in secondo piano. Il successo crescente della trasmissione
convinse la WSM a costruire uno studio molto più grande, lo studio B, dove il barn dance fu ribattezzato
Grand Ole Oprye dove per la prima volta una parte del pubblico, che generalmente assisteva allo show
attraverso una vetrata, venne ammessa all'interno dello studio stesso. Si arrivò così gradualmente alla
costruzione di un auditorium con più di cinquecento posti; in seguito fu affittato lo Hillsboro Theatre, finché,
dopo alcuni altri spostamenti, nel 1941 lo show si stabilì nel Ryman Auditorium, mantenendo
l'appuntamento del sabato sera, dalle 7 e 30 pomeridiane a mezzanotte. Verso la fine degli anni sessanta fu
costruito un auditorium da quattromila posti ed un vero centro turistico, chiamato "Opryland U.S.A.", dove,
secondo i dépliant pubblicitari,“[...] all the music of America comes alive!”, e dove la Opry si è trasferita nel
1971. La musica prodotta a Nashville cominciò ad essere etichettata, nel corso degli anni quaranta, come
country & western, complice il successo dello western swing – interpretazioni in chiave swing del repertorio
country – del suo sound e della sua strumentazione: chitarre e pedal-steel amplificate, fiddles, ma niente
banjo. È nella seconda metà degli anni quaranta che emerge Hank Williams, il personaggio di transizione
verso il rockabilly, morto prematuramente senza poter partecipare all'esplosione commerciale di un genere
che aveva avuto in lui un precursore. E' stato probabilmente il protagonista più importante di tutta la storia
della country music, colui che più di ogni altro interpretò la possibile fusione dei due generi 'pop' e 'country'.
Personaggio tormentato, di autentica estrazione rurale, seppe comporre come pochi brani accettabili da tutti
in un periodo in cui il boom della country music era al culmine. Rozzo ma molto diretto, descriveva
l'ambiente sociale e la cultura del profondo Sud da cui proveniva e questo colpiva i sentimenti e
l'immaginazione degli ascoltatori. Brani come “Honky Tonkin'” o “Move It On Over” rappresentano, con la
pressante base ritmica in evidenza, un rock ante litteram. Dopo la ventata del rock'n'roll degli anni cinquanta
la country music non poteva rimanere più la stessa. Il fenomeno rock decretò un temporaneo declino della
country music, la cui prima reazione fu di chiusura: una chiusura che a Nashville, roccaforte della cultura
musicale conservatrice, raggiunse le punte più alte. Non dimentichiamo che la Opry era stato il palcoscenico
sul quale le chitarre elettriche avevano potuto fare il loro ingresso solo dopo avere superato mille difficoltà e
diffidenze, e che questo essere così conservatrice ha permesso alla musica di Nashville di rimanere inalterata
tanto a lungo. Ma l'impatto di Presley fu troppo forte: Music Row rispondeva all'invasione del rock nel
mondo della country music con il rockabilly, e il sound, lo stile delle star, tutto venne modificato. D'altra parte
l'unica possibilità per mantenersi a galla era accettare di modificare il ritmo, innanzitutto, e la
strumentazione, poi: così nacque ufficialmente la figura del rockabilly, un cantante che riusciva a fondere
elementi delle due musiche. Classici esempi sono stati gli Everly Brothers, Don e Phil, due fratelli dal
background rurale, che esercitarono una grossa influenza sugli artisti degli anni sessanta: tra gli altri, i
Beatles e Simon & Garfunkel. Gli Everly Brothers conquistarono il successo sia nelle classifiche pop che in
quelle country & western con brani come “Bye Bye Love”, “Wake Up Little Susie” e “All I Have To Do Is
Dream”. Sulla loro scia molti cantanti, pur rimanendo legati all'area della musica country, modificarono il
ritmo ed introdussero le chitarre elettriche. D'altra parte lo stesso pubblico della country music non era più
così selettivo (se mai lo era stato!) ed ascoltava e consumava anche altra musica, dimostrando di non avere
pregiudizi verso un'evoluzione dello stile musicale ed adattando i propri gusti a sonorità più moderne.
Nacque così quello stile country-pop che andò a riempire gli spazi commerciali esistenti tra i due generi; con
una conseguente apertura delle classifiche pop a tutti i musicisti country che accettarono il nuovo corso, ma
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con un conseguente ulteriore appiattimento della musica che ne derivò. Il fatto che lo stile country-pop sia
stato definito Nashville Sound deriva dal fatto che praticamente quasi tutta la produzione country-pop
americana usciva da Nashville. La città era diventata ormai una delle tre o quattro città centri di produzione
musicale e, avendo come solide basi la Grand Ole Oprye la casa di pubblicazioni musicali Acuff Rose, si
avviava ad acquisire il monopolio della produzione country. Chester 'Chet' Atkins, chitarrista eclettico, dopo
avere contribuito come chitarrista a creare nelle sale di incisione quello che verrà definito Nashville sound,
nel 1957 venne chiamato ad un compito ancora più importante, divenendo impresario e produttore della
RCA. Sotto questa nuova veste Atkins continuò il lavoro che aveva iniziato, la definitiva fusione di pop e
country. Il sound degli anni sessanta e settanta è unanimemente riconosciuto come una sua creazione:
chitarre elettriche, sezio-ni di archi (non più fiddles!) e, al massimo della sofisticazione, cori forniti da
quartetti vocali. Negli anni a cavallo del 1970 il business tentò ancora di allargare l'audience attraverso
l'accaparramento di una fetta consistente di mercato con il perfezionamento di quell'operazione di
maquillage estetico che venne definita country-pop. Quegli stessi anni furono gli anni del country-rock. Il
legame tra country e rock non era una novità: abbiamo già visto come il rock fosse in effetti nato anche dalla
musica country. Non è quindi casuale che negli anni cinquanta Elvis Presley e Johnny Cash avessero inciso
entrambi per la stessa casa discografica (la Sun Records). La miscela dei due generi musicali, che si erano
andati differenziando nel corso del primo decennio di vita del rock'n'roll, cominciò ad assumere una sua
fisionomia, secondo i critici, con i primi lavori di Gram Parsons. Ma la strada era stata aperta, a metà degli
anni sessanta, dai Byrds, complici Bob Dylan e Pete Seeger. La musica dei Byrds era definita all'epoca folkrock, e non è casuale che il loro primo quarantacinque giri contenesse “Mister Tambourine Man”, una
composizione di Dylan rivisitata in chiave elettrica. Lo stesso Dylan, in quell'anno, dava seguito alla
scandalosa (per i critici) partecipazione al Festival di Newport in versione ‘elettrica’, accompagnato dalla
Butterfield Blues Band, incidendo quell'album capolavoro che è Highway 61 Revisited. Il secondo successo
dei Byrds, “Turn, Turn, Turn”, un brano di Pete Seeger, indicava chiaramente quale fosse l'impronta del
gruppo. Gram Parsons è ritenuto da molti il padre spirituale del country-rock: sicuramente è stato colui che
aprì la strada. Parsons era stato solo alcuni mesi con i Byrds, in tempo per lasciare una forte impronta in
Sweetheart Of The Rodeo. Alle registrazioni di Sweetheart parteciparono alcuni dei migliori musicisti di
country & western e bluegrass dell'epoca e la nuova line-up venne presentata addirittura alla Grand Ole
Opry. Nacque così ufficialmente il country-rock. I gruppi che avrebbero meglio interpretato la parte e che
sono considerati i capiscuola hanno visto l'avvicendarsi nelle loro formazioni di un gruppo di musicisti che,
con il filo comune della loro musicalità, collegano i Byrds agli Eagles, passando per i Flying Burrito Brothers,
Poco, Dillard & Clark, Buffalo Springfield, CSN&Y : musicisti che hanno fatto parte della movimentata e ricca
scena musicale californiana nel decennio che va dalla metà degli anni sessanta alla metà degli anni settanta.
Nomi come Gene Clark, Chris Hillman, Bernie Leadon, Gram Parsons, Sneaky Pete Kleinow, Roger McGuinn,
David Crosby, Skip Battin, Jim Messina, Joe Walsh, Steve Stills, Richie Furay, ma anche Doug Dillard, Byron
Berline, Clarence White, Gene Parson, Randy Meisner. Nati nel 1971 in California, gli Eagles sono stati il
gruppo di country-rock che ha saputo coniugare successo di critica e di pubblico, sfornando una serie di
album tutti di ottimo livello. Le convincenti performance dal vivo, la loro sapiente miscela di acustico ed
elettrico, unitamente al fatto che si trattava di grossi musicisti per di più molto attenti all'immagine, ne hanno
fatto il gruppo di punta del country-rock. Il country-rock è dunque parzialmente derivato dal bluegrass,
avendo fuso elementi della tradizione con altri propri del rock, che negli anni sessanta era la musica più
ascoltata, e non solo negli Stati Uniti. Ma se si pensa alle radici country & western del primo rock, al
rockabilly, si può inquadrare il country-rock nei termini di una riappropriazione delle proprie origini. Il
country rock ha fornito elementi di crescita anche al country classico, sia in termini di scelte di repertorio che
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di tecniche strumentali, ma ha anche generato un equivoco di fondo causato dalla scarsa o cattiva
informazione: quell'equivoco che ha portato alla identificazione di country con Crosby, Stills, Nash & Young
tout-court, una semplificazione riduttiva tanto per il country classico quanto per il country-rock. La
conclusione di questa escursione nel mondo della country music è che essa si è modificata profondamente
dall'epoca del-le prime incisioni commerciali degli anni venti ad oggi. I cambiamenti sono stati in parte
provocati dall'intervento dell'industria discografica, con le sue esigenze di mercato, in parte sono stati il
prodotto della sperimentazione e della improvvisazione dei musicisti. Una grossa influenza è stata esercitata
dai mutamenti sociali causati in questo secolo dalle innovazioni tecnologiche, vale a dire dall'avvento della
radio prima e della televisione poi, e dall’industrializzazione con il conseguente fenomeno di urbanizzazione.
Senza tutto questo, la country music sarebbe probabilmente rimasta un fenomeno limitato ad una regione e
ad alcuni strati sociali; inutile quindi rimpiangere i good old times. Il rilancio in grande stile della country
music che è cominciato negli Stati Uniti nel corso degli anni ottanta e che è proseguito negli anni novanta,
passa attraverso una generazione di musicisti scollegati culturalmente, anche se non commercialmente, dalla
mentalità imperante a Nashville; ma è anche frutto della scelta da parte delle multinazionali del disco di
sfruttare, per l'ennesima volta, questa musica, accettando ‘contaminazioni’ con altri generi, come il countryrock, ormai privo delle connotazioni di protesta e di rivolta che aveva a cavallo tra gli anni sessanta e gli anni
settanta e ridotto a pura esercitazione di stile. D'altra parte la massiccia presenza di musicisti bluegrass, eredi
della tradizione delle old-time string bands del Sud-Est, sembra assicurare una continuità con il passato che
potrebbe rivelarsi alla lunga vincente sui meccanismi impositivi del mercato e dell'industria musicale. E se si
analizza il new country come ennesimo fenomeno di rigenerazione della musica country attraverso un lavoro
di recupero di sonorità e strumentazioni del passato, non si può facilmente sfuggire alla suggestione di
vedere la musica tradizionale delle string bands come la matrice comune a tutti i differenti stili interni al
composito mondo della country music. Il fatto poi che il new country non sia associato ad un pubblico
particolare ma sia appannaggio di un pubblico di fruitori che, nella loro normalità, possono essere identificati
come una specie di 'maggioranza silenziosa', non ci permette ancora di concludere che essa possa costituire
quella 'All American Music' della quale ogni tanto si riparla e che era stata una previsione del cantante
country Ernest Tubb e del produttore nashvilliano Wesley Rose già all'inizio degli anni sessanta. Rimane
ferma la consapevolezza che si tratta di una musica talmente connessa al tessuto culturale della nazione
americana e alla vita di tutti i giorni, che se ne può immaginare più una ulteriore espansione che un
improbabile declino.
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Tratto da Chitarre n. 233-234 anno 2005
MusicSecrets
GLI AFROAMERICANI E IL BLUES: DALL'AFRICA A CHICAGO
L'Ottocento americano può essere diviso in due parti: il 'prima' e il 'dopo' la Guerra, un capitolo drammatico
che ha segnato una cesura nella storia della nazione americana, nella società e nella cultura. Per gli schiavi
afroamericani l'evento significò uno sconvolgimento nella propria vita. Uomini e donne nati per la
maggioranza in America, senza alcuna memoria storica, senza radici, si trovarono improvvisamente liberi in
una società che non li accettava o che al massimo li sopportava. Sprovvisti di esperienze di vita autonome e
senza prospettive, privi di beni e di mezzi di sostentamento, si trovarono ad affrontare difficoltà
inimmaginabili. Non è strano che molti di loro preferissero rimanere presso le famiglie dei padroni bianchi
dove erano nati piuttosto che affrontare una realtà della quale ignoravano tutto. Con l'abolizione della
schiavitù la musica degli afroamericani divenne oggetto di considerazione e di ricerca da parte del mondo
accademico. La prima ricerca in assoluto si era svolta proprio durante gli anni della Guerra Civile ed aveva
criteri etnomusicologici. Ma il canto degli afroamericani prese, nel corso dell'Ottocento, due direzioni. Da una
parte si trasformò in un fenomeno commerciale, con la moda dei negro spirituals; dall'altra in un modo di
esprimere, sotto forma di blues, lo stato di oppressione psicologica del nero che non poteva essere cancellata
con i provvedimenti di emancipazione di Lincoln. Il blues è il genere che ha subito meno cambiamenti dagli
anni in cui cominciò ad emergere e ad essere riconoscibile e standardizzato. L'impronta del blues sulla cultura
musicale americana della fine dell’Ottocento e di tutto il Novecento è indiscutibile, ha un rilievo che neanche
i suoi più agguerriti denigratori potrebbero disconoscere. Il blues non è altro che la reificazione in musica del
travagliato percorso degli afroamericani all’interno della società americana. La forzata schiavitù, l’ingresso nel
Nuovo Mondo come forza lavoro a bassissimo costo; la promessa e poi mancata emancipazione con la fine
della Guerra Civile; la successiva emarginazione, il razzismo e la ghettizzazione nelle città americane: queste
le dolorose tappe che hanno accompagnato il difficile inserimento degli schiavi africani e dei loro discendenti
nella società americana. Quelli di loro che, dopo la Guerra Civile, preferirono rimanere nel Delta del
Mississippi piuttosto che trasferirsi nel dinamico e ‘democratico’ nord, elaborarono quella forma di
espressione musicale, il blues, che influenzerà alla lunga tutti i filoni della musica americana, classica
compresa. Non è un caso che il blues si sia sviluppato dopo l'emancipazione, quando il 'nero-schiavo' si
trasformò nel 'nero emancipato emarginato', il quale non suonava più musica da ballo peri padroni bianchi e
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Tratto da Chitarre n. 233-234 anno 2005
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non cantava più spirituals. Questi ultimi erano confinati a forma d'arte: confezionati da afroamericani
acculturati (i Fisk Jubilee Singers, il coro di studenti della Fisk University di Nashville, la prima struttura
americana di studi superiori per soli studenti di colore) in modo da costituire un prodotto musicale appetibile
per un pubblico di bianchi. Il blues nacque dallo stato psicologico di oppressione che l'emancipazione non
aveva cancellato, ed ebbe una funzione esorcizzante sulle angosce generate dalla nuova, alienante
condizione. La mancata affermazione come soggetto sociale, l’emancipazione parziale, si riflettevano in
atteggiamenti negativi rispetto a tutti gli aspetti della vita, alle speranze, ai progetti: tutte conseguenze del
fatto che la Proclamazione di Emancipazione del 1863, come ebbe a lamentarsi l’abolizionista Wendell
Phillips, “[...] liberò gli schiavi ma ignorò i Negri”. Nei decenni che separano la Guerra Civile dalla I Guerra
Mondiale, la grande maggioranza degli schiavi liberati continuò a vivere negli Stati meridionali. Nel 1880 essi
rappresentavano, in alcune aree, ben il 75% della popolazione ed erano rimasti legati al sistema agricolo che
li aveva visti all’opera come schiavi. Al di fuori del lavoro dei campi c'era la possibilità di essere impiegati in
lavori manuali – ovviamente di bassa manovalanza nella costruzione di strade e ferrovie, di argini per il
controllo delle piene dei fiumi; oppure impieghi saltuari e precari nei boschi o nelle segherie per l'industria
del legname allora in espansione; o ancora nei campi di trementina. Un’alta percentuale lavorava nelle
miniere, un lavoro duro che vedeva affiancati neri e bianchi poveri. Un numero crescente cominciò a cercare
lavoro in città, per scoprire quanto fosse difficile se non impossibile essere accettati da una società nella
quale il razzismo, la violenza e la segregazione erano gli atteggiamenti prevalenti nei loro confronti. Il
progressivo innalzarsi di barriere discriminatorie cominciò ad escludere progressivamente i neri non soltanto
dal mercato del lavoro, ma dalla stessa vita sociale, togliendo loro qualsiasi opportunità di emergere.
Emarginati, discriminati, dovevano fare i conti con la precarietà del posto di lavoro: essi rappresentavano per
i datori di lavoro una massa di forza lavoro di riserva a basso costo, da potere assumere e licenziare con la
stessa facilità, senza grossi scrupoli e senza dover temere vertenze sindacali! I musicisti afroamericani delle
generazioni nate dopo la Guerra Civile, che non avevano conosciuto direttamente la schiavitù ma si
trovavano a combattere quotidianamente gravi problemi – l’industrializzazione, la disoccupazione, la forzata
mobilità alla ricerca di un lavoro – riuscirono a trovare il tempo, i modi e l'ispirazione per elaborare,
nell’ultimo decennio dell’Ottocento, tre forme musicali di grande impatto sulla musica americana: il blues, il
ragtime ed il jazz. Il ragtime è nato nelle città di stati come il Missouri, il Kansas, il Kentucky, dove i neri
ebbero l’opportunità di entrare in contatto con forme musicali sia popular che classiche; il jazz ha preso
forma nelle città della costa del Golfo del Messico, in particolare a New Orleans, dall’incontro tra la musica
afroamericana, quella dei creoli e le brass bands di gran voga negli ultimi decenni del secolo. Il blues è nato
invece da qualche parte nel profondo sud, nell’area del Delta del Mississippi, una zona di grandi piantagioni e
di scarse fabbriche, dove le possibilità lavorative avevano come denominatore comune la pesantezza e la
precarietà. Il blues del Delta rifletteva fortemente la situazione di isolamento sociale, l’ostilità dell’ambiente e
le difficoltà psicologiche e pratiche della sopravvivenza. Rispetto al ragtime ed al jazz, è il genere musicale nel
quale sembrano essere presenti elementi nati dalla tradizione africana unitamente ad elementi rielaborati
all’interno della propria collettività etnico-sociale. Non può essere certo l’uso diffuso della chitarra – uno
strumento estraneo alla loro cultura e di recente acquisizione fra i neri – da parte dei bluesmen ad incidere
su questa valutazione, considerate anche le tecniche esecutive – il fingerpicking,il bending, l’uso del
bottleneck – assolutamente originali. Con il primo termine si intende uno stile che preveda l'uso delle dita
della mano destra, contrapposto allo stile plectrum che imperversò nei decenni a cavallo del 1900. Il bending
indica il tirare lateralmente una corda dopo averla pizzicata, alterando così in modo continuo l’altezza del
suono e realizzando un glissando (un suono continuo tra una nota ed un'altra). Un'altra tecnica, utilizzata per
realizzare dei glissando più estesi, tra note più lontane, era quella ottenuta facendo scorrere sulle corde il
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collo di una bottiglia, tagliato ed infilato al dito anulare della mano sinistra. Nel blues gli afroamericani
riversarono le loro capacità creative, ma soprattutto l’istintiva facilità ad improvvisare sia linee melodiche che
testi. Non è un caso che il blues venga considerato una root-music, una ‘radice’ comune alle diverse
espressioni della musica afroamericana del Novecento: il jazz, il ragtime, lo swing, il boogie, il rock’n’roll. Fino
alle prime incisioni di blues, negli anni venti, intorno a questa espressione musicale dei neri non c'era stato
grande interesse ed i musicologi si erano dedicati ad altro, dagli inni agli spirituals, trascurando tutta la
musica secolare. L’area cosiddetta del Delta del Mississippi non coincide con quella che propriamente è la
foce del grande fiume, che si trova molto più a sud, sul Golfo del Messico. Il Delta è un territorio pianeggiante
e fertile, che si estende da Memphis verso sud fino a Vicksburg, e tra il corso del Mississippi e le colline che si
innalzano, verso est, nella zona centrale dello stato. Un’area che, negli ultimi decenni dell’Ottocento, aveva la
più alta concentrazione di neri di tutta l’America. Non è un caso che in una situazione socialmente più sicura,
più protetta, si possano essere conservati tratti culturali più africani e che i musicisti del Delta si possano
essere sentiti liberi di esprimersi senza il condizionamento psicologico rappresentato da un pubblico misto, o
addirittura di soli bianchi. L’attività degli street singers neri non si svolgeva solo in strada ma nelle situazioni
ed occasioni più disparate: in riunioni pubbliche o durante incontri religiosi; negli honky-tonks, nei saloon e
nei bordelli; o in situazioni più professionali come il Minstrel Show, il Medicine Show o il Black Vaudeville. Il
country blues – il blues rurale – era appannaggio di musicisti non professionisti, uomini che condividevano
con la disgregata società afroamericana attività lavorative ed esperienze di vita, chitarristi-cantanti che
alternavano la precarietà del lavoro a quella di musicisti ambulanti. Pochi erano in grado di guadagnarsi da
vivere con la sola musica e spesso erano costretti a mantenere dei lavori a bassa retribuzione. Gli unici
musicisti professionisti nell’ambito del blues rurale furono quegli sfortunati che, avendo degli impedimenti –
cecità, menomazioni – che li escludevano dal mondo del lavoro si rifugiavano, spesso con successo, in
un’attività musicale che spesso si confondeva con quella di mendicante. Le testimonianze sul blues, raccolte
purtroppo molti anni dopo, non dissipano i dubbi, sia perché i fatti narrati si erano svolti molti anni prima sia
per l’età degli intervistati. Tutte però fanno riferimento allo stesso arco di tempo, i primissimi anni del
Novecento: è allora che il blues completò la propria evoluzione e si standardizzò come forma. L’unica certezza
sembra essere quella che il blues non esisteva durante la schiavitù, perlomeno non nella forma in cui si è
manifestato nel Novecento. Ci sono però legami più che formali con le linee melodiche dei field-hollers e
delle work songs. Nei field-hollers, i richiami a call-and-response nati nei campi, al grido del primo lavoratore
rispondevano una o più voci. Con la fine della schiavitù e del lavoro collettivo nelle piantagioni, certamente
non mancavano situazioni nelle quali questo canto di lavoro potesse essere ancora praticato. Nella posa in
opera di linee ferrate, nella costruzione di argini di rinforzo dei fiumi, nell’abbattimento di alberi nelle foreste
così come nelle diverse occupazioni del lavoro dei campi, lo holler rimase il tradizionale modo di comunicare
tra chi dirigeva il lavoro e le squadre di lavoratori, ovvero dei lavoratori tra di loro. Ma con la progressiva
dispersione geografica e sociale dei neri e l’isolamento della vita vagabonda, lo holler si modificò da canto di
gruppo in canto individuale, stadio intermedio del processo che avrebbe portato al blues. Nel classico
country blues del Delta, tra un verso e l’altro di ogni strofa la chitarra risponde al canto con fraseggi melodici,
riproducendo gli stessi abbellimenti della voce: un vero call-and-response. Le possibilità offerte dalla chitarra
portarono gli street singers ad abbandonare altri strumenti; oltretutto nell’ultima parte del secolo essa era
disponibile a prezzi contenuti, grazie alle compagnie di vendita per corrispondenza – Sears & Roebuck su
tutte. Lo strumento aveva sustain e note basse; la tecnica del bending the strings consentiva di ottenere dei
vibrati; impugnando nella mano sinistra la lama di un coltello o un bottleneck si potevano ottenere dei
glissati che riproducevano le modulazioni della voce. Le caratteristiche dello strumento, coniugate con le
tecniche ideate dai bluesmen, resero possibile interagire con il canto, rispondere alla voce del cantante e
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darle risalto; era in definitiva una seconda voce, quasi un prolungamento della voce del chitarrista, adatta per
timbro e versatilità a sottolineare l’espressività del bluesman. Una delle ipotesi sulla nascita del blues è quella
che associa il bluesman al griot. Questo termine – la cui origine non è chiara – cominciò ad essere utilizzato
in Africa nell’epoca coloniale per indicare colui che in lingua Mandinka è il jali, vale a dire il trovatore di corte:
un personaggio caratteristico delle culture del Senegal e del Gambia, un cantastorie, l’equivalente africano
del bardo celtico-bretone. Per i Mandingo (una delle tre etnie del Senegambia) il jali (o jeli) è colui che ha il
compito di preservare la tradizione e le storie del proprio popolo. In un’area che non possedeva una
tradizione di cultura scritta, il griot era un cantore, appartenente ad una vera e propria casta, che tramandava
oralmente le storie del proprio popolo e cantava gli elogi dei propri mecenati. Quindi un musicista itinerante;
un cantante che si accompagnava con strumenti a corde; un improvvisatore di versi sui temi più vari; un
autore-interprete di serenate. Un archetipo del bluesman? Come è accaduto per altri generi musicali, il
termine ‘blues’ fu una scelta dei produttori discografici. I musicisti neri che registravano i loro brani per pochi
dollari, in situazioni spesso di fortuna – come il retrobottega dell’emporio del paese – non erano molto
interessati né all’etichetta con la quale la loro musica sarebbe stata pubblicizzata né al titolo che sarebbe
stato dato ai brani da loro incisi. La prima incisione in assoluto contenente questo termine fu la famosa
“Crazy Blues”di Mamie Smith, del 1920; ma il termine era diffuso fin dal 1912, quando era stato usato
ufficialmente per la prima volta, tra gli altri, da quel W.C. Handy che si autoproclamò father of the blues. Il
termine nasce dal fatto che per i cantanti neri del sud cantare queste canzoni era “to sing the blues”. Cantare
i blues voleva dire, to have the blue devils (avere i diavoli blu) che voleva dire essere di pessimo umore, tristi,
depressi. Probabilmente ‘triste’ è la migliore traduzione di ‘blue': non dimentichiamo che nel nazionalistico
ventennio italiano il brano più famoso di Handy, "St. Louis Blues", rigorosamente tradotto, era presentato
come “La tristezza di San Luigi” (!). Fu così che la forma che i cantanti neri diedero al loro mettere in musica
fatti, emozioni, problemi reali e maltrattamenti psicologici con un sottofondo di tristezza cominciò ad essere
definita genericamente 'blues'. I testi dei blues rurali hanno una struttura tra il narrativo ed il lirico. A volte la
sequenza di strofe descrive episodi che legati tra loro formano una storia, altre volte si tratta di una sequenza
di strofe apparentemente senza alcun nesso. Inserite qua e là, ci sono sottolineature sull’angoscia del blues –
o meglio ancora 'dei' blues – del loro arrivare senza preavviso di notte o la mattina presto per fermarsi e
diventare un tormento continuo ed insostenibile. Robert Johnson è stato ed è tuttora considerato una figura
leggendaria nella storia del country blues. Cresciuto all’ombra di Son Housee Willie Brown, è stato a sua volta
un modello per generazioni di country bluesmen; le sue interpretazioni erano talmente particolari che anche
quando eseguiva brani di altri li trasformava, rendendoli assolutamente unici. Le sue rare esecuzioni
continuano ad essere ancora oggi oggetto di studio e modelli di riferimento per tutti gli aspiranti bluesmen.
La vita di Robert Johnson ed i misteri sulla sua morte – sembra che sia stato avvelenato da un marito geloso
–; la scarsità di foto che lo ritraggano con la chitarra; la leggenda che avesse venduto l'anima al diavolo in
cambio del talento musicale: tutto ha contribuito ad ingigantire un mito che a volte ha oscurato la sua stessa
musica. Morto nel 1938, è rimasto una figura leggendaria nel ristretto ambito del blues rurale, mentre ha
raggiunto un pubblico più vasto solo verso la fine degli anni ottanta, quando gli venne finalmente
riconosciuta la sua influenza su Muddy Waters e su un’intera generazione di musicisti blues e rock'n'roll. Il
movimento migratorio di grandi masse di neri, iniziato durante la guerra a seguito del massiccio sforzo
industriale, e proseguito nel primo dopoguerra, aprì la strada al blues come fenomeno commerciale. A
Memphis, in Tennessee, fin dal 1918 gli street singers e gli artisti di passaggio si esibivano per il pubblico
nero. In questa città, e successivamente in altre città come Kansas City o Chicago, il blues divenne una forma
musicale comune, anche se non era sempre ben accettato dai bianchi. A New York, soprattutto ad Harlem,
crebbe la concentrazione di afroamericani e qui la loro musica – insieme ad altri aspetti culturali e di costume
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– cominciò a far presa sul pubblico dei bianchi. W.C. Handy, con alcune forzatura, riuscì a rendere il blues più
accettabile per il pubblico bianco. Fu così che si arrivò alle prime incisioni di Mamie Smith, che hanno un
valore storico che va ben oltre i brani in sé o l’uso del termine‘blues’. Il boom di vendite del disco contenente
le incisioni di Mamie effettuate nella primavera del ’20 dal direttore artistico della Okeh Records, Ralph Peer,
doveva avere risvolti inaspettati; nasceva il filone dei race records e l’esperienza sarebbe stata ripetuta con
successo pochi anni dopo con la musica hillbilly. Il successo di Mamie Smith indirizzò inizialmente il mercato
del blues verso le interpreti femminile, che erano già inserite nel mercato musicale come professioniste nel
circuito del black vaudeville. Venne invece trascurato il country blues, il blues rurale, con le tematiche e gli
interpreti più autentici. Agli uomini che avevano creato il country blues vennero preferite le donne, e la
musica assunse caratteristiche più urbane e più raffinate. Nel loro stile sono stati riconosciuti elementi ed
atteggiamenti tipici delle Chiese Battiste del Sud, ma la cosa non dovrebbe sorprendere: ritmo, fervore
religioso e coinvolgimento ipnotico dei fedeli erano le caratteristiche dei predicatori neri, e qualcuno le
ritrova in cantanti come Bessie Smith. Anche nei testi dei blues eseguiti da donne emerge la tensione tra i
due sessi, con la donna che esprime senza sottintesi la scarsa considerazione che ha dell’uomo. Bessie Smith
è considerata la più grande cantante di blues di tutti i tempi, ma soprattutto è stata – stilisticamente – il
ponte tra la tradizione del blues rurale ed il blues jazzistico che sarà di Ella Fitzgerald e Billie Holiday. Nei temi
dei suoi blues si ritrovano gli argomenti classici ma con un taglio femminile, se non femminista: miseria e
alcool, amori infelici e rapporti conflittuali. Nei testi del blues emergono tutti i problemi dell’afroamericano, a
volte mascherati o canalizzati su quello, che divenne centrale, del rapporto uomo-donna. Ma questo non vuol
dire che fossero trascurati i problemi concreti, quali le condizioni lavorative, l’essere sempre in movimento, le
malattie e la morte, i crimini e la prigione, e – tema latente ma presente in diverse forme – la discriminazione
razziale. La struttura del blues, come si affermò all’inizio del Novecento, prevedeva strofe di tre versi, con
ogni verso composto di quattro battute musicali, per un totale di dodici battute per ogni strofa – twelve-bar
blues. Generalmente il secondo verso era la ripetizione del primo: ne segue che tale struttura venne indicata
come ‘AAB’. Armonicamente, era utilizzata una sequenza di accordi che prevedeva la tonica per il primo
verso, la sottodominante per il secondo verso e la dominante (risolvente sulla tonica) per il terzo . Tale
standard si è conservato fino ad oggi e costituisce la caratteristica struttura del blues del Delta, un blues dalle
caratteristiche più modali che armoniche, molto intenso come ritmo e come interpretazione emotiva. Le
prime registrazioni di blues rurale e di autentici bluesman del sud sono del 1924, con i primi chitarristi neri
impegnati nelle ‘ registrazioni sul campo ’ fatte dalla Okeh Records – anche se la definizione non è del tutto
corretta, perché tali incisioni avevano un taglio commerciale più che etnomusicologico. Dopo Ed Andrews
(sembra il primo in assoluto ad incidere) e Papa Charlie Jackson (più un entertainer che un bluesman),
incisero i personaggi storici del blues rurale: tra di essi Blind Blake, Blind Lemon Jefferson, Son House, Charlie
Patton. Una forma di espressione molto vicina al blues rurale, fu quella delle jug bands. Su questi insoliti
gruppi musicali non sono state effettuate ricerche minuziose, ma sembra accertato che abbiano preso forma
a Louisville, in Kentucky, tra gli afroamericani poveri che si esibivano per le strade. Gli strumenti usati erano
improvvisati, qualsiasi oggetto che potesse produrre un suono andava bene. Il termine nasce infatti da jug, la
brocca di terracotta che era usata, soffiandoci dentro, per rendere le note basse: modulando il soffio, si
riesce ad ottenere un effetto simile a quello della tuba delle brass bands non a caso era definito anche the
poor man’s tuba. Altro strumento caratteristico era il washboard, l’asse di legno usato per lavare i panni, che
sostituiva le percussioni. Come strumenti melodici erano usati il kazoo e l’armonica, la blues harp, che
divenne lo strumento principale in moltejug bands. Qualcuno utilizzava, come basso, il tub-bass, un bidone
della spazzatura o un mastello per bucato con un manico di scopa ed una corda. Erano questi strumenti
poveri, insieme ai classici banjo e fiddle e alla chitarra, a caratterizzare l’organico delle jug bands. Gli anni
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venti furono gli anni di maggiore diffusione per le jug bands: poi, con la Depressione, la loro attività si ridusse
e solo pochi gruppi riuscirono a sopravvivere, localmente, di musica. Il country blues del Delta, il blues rurale,
è stato un genere che ha attraversato senza grosse modifiche il Novecento, ma a metà del secolo fu superato
in popolarità da un nuovo tipo di blues,il city blues, definito dapprima jump blues e successivamente
rhythm'n'blues. Il blues di città nacque ufficialmente a Chicago nel 1951, con le incisioni di Muddy Waters.
“Louisiana Blues”, “Long Distance Call”, “Honey Bee” e “She Moves Me”, sono diventati dei classici e
rappresentano il definitivo sound del blues di Chicago, come viene anche definito. Ma perché questa svolta
musicale si verificò proprio a Chicago? La città, polo industriale del Nord, aveva cominciato ad attirare i neri
fin dal 1916, con l’entrata in guerra degli Stati Uniti nel primo conflitto mondiale, ed il conseguente impulso
dato all’industria pesante. All’epoca la mano d’opera impiegata nelle industrie era costituita esclusivamente
da afroamericani e proveniva soprattutto dal Deep South, il profondo Sud. Si trattava di un’occasione
lavorativa che attrasse tanti poveri mezzadri del Mississippi, ma che si sarebbe trasformata socialmente in un
incubo, con il forzato isolamento nel cadente e sovraffollato ghetto negro del South Side black belt di
Chicago. Il Mississippi fu il serbatoio principale al quale attinsero gli emissari delle fabbriche del Nord, pronti
ad offrire ad ingenui contadini un contratto di lavoro e la sicurezza di una abitazione. È così che il Mississippi
si svuotò letteralmente: se all’inizio del secolo la predominanza dei neri era schiacciante, soprattutto nelle
aree rurali, nel 1940 per la prima volta la popolazione bianca dello stato superava quella di colore. Con lo
sforzo dell'industria bellica del secondo conflitto mondiale, quattrocentomila neri erano arrivati dal sud in
soli quattro anni; ma l'emigrazione si protrasse anche nella seconda metà degli anni cinquanta. In totale, nel
corso di quel decennio, un altro quarto della popolazione nera aveva abbandonato il Mississippi, mentre
nello stesso arco di tempo la popolazione di colore di Chicago era aumentata quasi dell’80 per cento. La
massiccia presenza di una popolazione nera a Chicago comportò la nascita di etichette locali dedicate
esclusivamente agli afroamericani; per tutte ricordiamo la Chess Records, fondata da due fratelli ebrei
polacchi arrivati nella città alla fine degli anni venti. Gli afroamericani giunti a Chicago nel secondo
dopoguerra erano ancora legati alla musica delle proprie radici, ma si era entrati in un’epoca di transizione:
gli anni cinquanta portarono cambiamenti e novità in diversi campi. Il blues cominciò a trovare sempre
maggiore spazio e consensi nell’ambiente musicale di Chicago. Molti bluesmen e musicisti jazz cominciarono
ad utilizzare ritmi più marcati, con una forte presenza di basso elettrico e batteria. I chitarristi blues avevano
cominciato, fin dall’inizio degli anni quaranta, a suonare la chitarra elettrica invece della chitarra acustica.
Tutte le innovazioni introdotte dai bluesmen di Chicago, pur rispettando la struttura classica del blues rurale,
ne cambiarono fortemente l’atmosfera. Anche i contenuti lirici del blues si modificarono, in seguito alle
profonde modifiche sociali, tecnologiche e produttive del Novecento. L'emigrazione aveva generato due
ordini di problemi che condizionarono i testi dei blues: lo scardinamento,nel sud, della struttura agricola, che
era basata sul ruolo del mezzadro nero; e la creazione di un potenziale esplosivo tutt'altro che trascurabile
nelle città del nord, per l'alta concentrazione di neri. I problemi che i neri si trovarono ad affrontare nel nord
urbano erano altrettanto gravi di quelli che si erano lasciati dietro nel sud: tutte le illusioni – sulla facilità di
trovare un lavoro, sull’assenza di razzismo – dovevano trovare un brusco ridimensionamento. Nasceva il
proletariato nero urbano e nascevano i quartieri-ghetto, aree dove i dati sociali più evidenti erano il
sovraffollamento, l'alienazione, la criminalità. Waters era stato scoperto casualmente da John e Alan
Lomaxche, nel 1941, stavano effettuando un viaggio di ricerca nel Mississippi per registrare Robert Johnson.
Ma questi era morto tre anni prima, così la gente dell'area li indirizzò verso un contadino che suonava nello
stile di Johnson: il suo nome era McKinley Morganfield, ma tutti lo chiamavano con il soprannome di Muddy
Waters. Quando due anni dopo, nel 1943, Waters lasciò il Mississippi per Chicago, il blues del Delta era una
musica statica, fossilizzata sugli schemi di venti-trenta anni prima, sempre molto seguita dalla popolazione di
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colore ma limitata a quel tipo di audience. L'esperienza musicale di Waters a Chicago non fu ovviamente
isolata: in una realtà meno dorata di quello che si aspettavano, in ambiente urbano, a contatto con realtà
musicali diverse, la musica doveva necessariamente modificarsi. I musicisti neri provenienti dal profondo sud
cominciarono così a sperimentare, sulla base del country blues, ritmi e strumentazioni nuove. I primi
esperimenti in questo senso furono quelli di Big Bill Broonzy e di Tampa Red. Ma Muddy Waters creò
letteralmente un nuovo sound: prese chitarra elettrica ed amplificatore e si fece accompagnare da una band
del tipo di quelle string band che agivano all'epoca nel Mississippi, con chitarre, pianoforte, armonica e
batteria. Waters cantava, ma poneva un accento particolare nella chitarra elettrica, che usava in un modo che
sarebbe stato ripreso non solo dai bluesman ma, più tardi, dai chitarristi rock. Accanto a Chicago, da non
trascurare Detroit, capitale automobilistica del nord. Tra gli anni quaranta ed i cinquanta la scena musicale
della città era dominata da un bluesman che è ancora oggi una leggenda vivente: John Lee Hooker, the
endless boogie (il boogie infinito). Anche lui era nato nel Mississippi , a Clarksdale. Cresciuto nell'ambiente
blues della città, riuscì con la sua musica a superare i limiti del ghetto e ad entrare nel mondo musicale
americano. Sulla sua chitarra elettrica riprendeva i riff dei pianisti di boogie (un altro degli ingredienti che
contribuiranno alla nascita del rock'n'roll), faceva un ampio uso di hammering on e, nelle esecuzioni dal vivo,
accompagnava con un forte battito dei piedi il ritmo della propria musica. È con la fine degli anni quaranta
che ufficialmente il Billboard etichettò questa 'nuova' musica come rhythm'n'blues: un termine che voleva
racchiudere la musica d'epoca dei neri, con le radici nel blues, ma elettrica, legata all'esperienza urbana degli
afroamericani e, soprattutto, ballabile. Rimase in uso anche il termine jump blues, che voleva però indicare
un altro tipo di organico, che metteva in evidenza una sezione ritmica, il sassofono e la voce. Di questo filone
fecero parte Chuck Berrye, soprattutto, Fats Domino e Bo Diddley, tutti legati in qualche modo alla nascita del
rock'n'roll.
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