Il principio dello stare decisis e la funzione nomofilattica dell

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ADA CALDARERA
Il principio dello stare decisis e la funzione nomofilattica
dell’adunanza plenaria del Consiglio di stato al vaglio della
Corte di giustizia dell’Unione Europea.
SOMMARIO: 1. – PREMESSA: L’ORDINANZA DEL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIA 17 OTTOBRE 2013,
N. 848 E LA QUESTIONE ANCORA APERTA DELL’ORDINE DI ESAME
DEL RICORSO INCIDENTALE E PRINCIPALE; 2. – IL PRINCIPIO DELLO STARE DECISIS NEI SISTEMI DI COMMON LAW E LA SUA INTRODUZIONE IN QUELLI DI CIVIL LAW; 3. – LA “SOLUZIONE” ITALIANA. A) LA VINCOLATIVITA’ DELLE SENTENZE DELLA CORTE DI
CASSAZIONE. B) (SEGUE) E DELLE SENTENZE DEL CONSIGLIO DI
STATO; 4. – CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.
1. – PREMESSA: L’ORDINANZA DEL CONSIGLIO DI
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIA 17 OTTOBRE 2013, N. 848 E LA QUESTIONE
ANCORA APERTA DELL’ORDINE DI ESAME DEL RICORSO INCIDENTALE E PRINCIPALE.
Con l’ordinanza n. 848 del 20131, il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia torna ad occuparsi dell’ormai
nota, e, purtroppo, ancora spinosa questione dell’ordine d’esame
del ricorso principale ed incidentale “reciprocamente escludenti”2.
Sul punto, come è noto, si sono susseguiti, oltreché serrati, e
particolarmente accesi, dibattiti dottrinari, diversi orientamenti
della giurisprudenza sfociati, alfine, nelle contrastanti, ma, pur
sempre interessanti, sia dal punto di vista puramente scientifico
che da quello strettamente processuale, sentenze dell’Adunanza
1
C.G.A.R.S., ord. 17 ottobre 2013, n. 848, in www.lexitalia.it, con nota di P.
QUINTO, La nomofilachia della CGUE e dell’Adunanza Plenaria: collaborazione o concorrenza?; in Urb. e app., 3, 2014, 328 ss., con nota di B. SPAMPINATO, Sui ricorsi “escludenti incrociati”: uno sguardo “interno” ed uno
“europeo”, 333 ss.
2
In generale, su questo argomento, G. ACQUARONE, In tema di rapporto tra
ricorso principale e ricorso incidentale (nota a Cons. Giust. Amm. Reg. Sic.,
22 dicembre 1995, n. 388), in Dir. Proc. amm., 1997, 555 ss.
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Plenaria del Consiglio di Stato n. 11 del 10 novembre 2008, per
la quale il giudice deve, prima di decidere, in ossequio al principio della parità delle parti in giudizio, necessariamente esaminare ambedue i ricorsi, e n. 4 del 7 aprile 20113, secondo la quale,
invece, ragioni di economia del giudizio impongono che il giudice, una volta accolto il ricorso incidentale “escludente”, possa
dichiarare inammissibile il ricorso principale parimenti “escludente”, non residuando, in capo al ricorrente principale, alcun
interesse, nemmeno quello c.d. strumentale alla rinnovazione
della gara, meritevole di tutela; quest’ultima, a sua volta, seguita
non solo da una giurisprudenza, soprattutto di secondo grado,
sostanzialmente adesiva4, ma anche, e in maggior misura, da
numerose perplessità, difficilmente superabili, espresse, oltreché
da quella parte della giurisprudenza amministrativa più attenta5,
anche dalle Sez. Un. della Corte di Cassazione6, e definitiva 3
Ambedue reperibili in www.giustizia-amministrativa.it.
Per tutte, Cons. Stato, Sez. III, 19 gennaio 2012, n. 63; Sez. V, 20 febbraio
2012, n. 892, Sez. V, 28 febbraio 2012, n. 1153, in www.giustiziaamministrativa.it.
5
Si vedano per tutte, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I ter, 10 gennaio 2012, n. 197,
per il quale, in sostanza, le conclusioni dell’Adunanza Plenaria n. 4/2011 non
possono riferirsi al caso in cui il ricorrente principale abbia non solo
l’interesse agli “esiti della procedura selettiva”, ma anche l’ulteriore interesse alla rinnovazione della gara, in quanto, diversamente opinando, si giungerebbe a conclusioni contrastanti con i principi di parità delle parti nel processo e di effettività della tutela giurisdizionale, attribuendo, di fatto, al ricorrente incidentale una ingiustificata posizione di vantaggio rispetto alle prospettive di tutela giurisdizionale riconosciuta a tutti gli operatori economici del settore che abbiano partecipato alla gara, nonché Cons. Stato, Sez. V, ord. 15
aprile 2013, n. 2059, e Sez. VI, ord. 17 maggio 2013, n. 2681, in
www.giustizia-amministrativa.it, che hanno nuovamente sottoposto la questione all’Adunanza Plenaria, evidenziando, la prima, che la verifica della
legittimazione, comporta che il giudizio verta in gran parte sul merito della
controversia, sicché l’esame delle sole prospettazioni dell’aggiudicatario si
porrebbe in contrasto con il principio della parità delle parti, e, prospettando
la seconda ben due questioni concernenti l’estensione del principio di tassatività delle clausole di esclusione delle gare e la legittimazione del soggetto
escluso dalla gara ad impugnare l’aggiudicazione disposta a favore del solo
concorrente rimasto in gara, con la richiesta di una rimeditazione delle statuizioni espresse nella sentenza n. 4 del 2011. In proposito, ex multis, P. QUINTO,
Il valore della legalità amministrativa: in attesa dell’A.P., ivi.
6
Corte Cass., S.U., sent. 21 giugno 2012, n. 10294, in
www.cortedicassazione.it, la quale, in particolare, ha sottolineato che la conclusione raggiunta dall’Adunanza Plenaria con la sentenza del 2011, lascia
ancor più insoddisfatti se si pone mente al dato incontestabile che
l’aggiudicazione può dare vita ad una posizione preferenziale solo se conseguita in modo legittimo e che la realizzazione dell’opera non rappresenta, in
ogni caso, l’aspirazione principale dell’ordinamento, che in questa materia
richiede un’attenzione ed un controllo ancor più specifici, onde evitare distorsioni della concorrenza e del mercato. D’altra parte, secondo la Suprema
Corte, la già sperimentata praticabilità di una diversa conclusione sarebbe fo4
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mente palesati dall’ordinanza 9 febbraio 2013, n. 208, con la
quale il T.A.R. Piemonte ha rimesso la questione alla Corte di
Giustizia dell’Unione Europea7. La quale, a sua volta, con la
sentenza del 4 luglio 20138, è intervenuta sulla questione stabilendo, una volta per tutte, che “l’accoglimento del ricorso incidentale dell’aggiudicatario non determina il rigetto (rectius:
l’inammissibilità) del ricorso principale dell’offerente qualora
l’offerta di entrambi sia contestata nell’ambito del medesimo
procedimento e con motivi identici, per l’analogo interesse legittimo di ciascun concorrente all’esclusione dell’offerta
dell’altro che può indurre l’amministrazione aggiudicatrice a
constatare l’impossibilità di procedere a un’offerta regolare”.
In atri termini, come ben evidenziato dal T.A.R. rimettente, una
corretta disamina, nel merito, dei motivi di gravame sollevati in
via principale ed in via incidentale, dovrebbe sfociare
nell’accoglimento di ambedue i ricorsi (principale ed incidentale)
per l’inadeguatezza di entrambe le offerte rispetto a quanto richiesto dall’amministrazione, con la naturale conseguenza
dell’annullamento di tutta la gara. Esito, questo, che, comunque,
soddisferebbe il c.d. interesse strumentale del ricorrente principale (ma, deve aggiungersi, anche del ricorrente incidentale) alla
ripetizione delle operazioni di gara, mantenendosi, così, una
chance di aggiudicazione futura a seguito della rinnovazione
della procedura.
Le immediate reazioni della dottrina al principio enunciato dalla
Corte di Giustizia hanno sostanzialmente ricalcato, com’era prevedibile, le contrastanti posizioni già espresse all’indomani della
decisione dell’Adunanza Plenaria n. 4 del 20119.
riera di dubbi interpretativi, in quanto il giudice, a fronte di due letture alternative, dovrebbe privilegiare quella che assicura e non quella che ostacola la
somministrazione della tutela e la piena attuazione della legge.
7
T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. II, ord. 9 febbraio 2012, n. 208, in Urb. e
App., 2012, 4, 437 ss., con nota di M. PROTTO, Ordine di esame del ricorso
principale e incidentale in materia di appalti pubblici: la parola al giudice
comunitario, 440 ss. In proposito, si vedano anche le considerazioni di R.
CAPONIGRO, L’interesse legittimo strumentale nelle gare d’appalto, in
www.giustizia-amministrativa.it.
8
Corte Giust. UE, Sez. X, 4 luglio 2013, in causa C – 100/2012, Fastweb
s.p.a. c. ASL Alessandria, in Urb. e App., 2013, 10, 1003 ss., con nota di C.
LAMBERTI, Per la Corte di giustizia l’incidentale non è più “escludente”?,
1006 ss. Si veda anche il commento di R. CAPONIGRO, Le azioni reciprocamente “escludenti” tra giurisprudenza europea e nazionale, e di P. QUINTO,
La Corte di Giustizia anticipa la Plenaria, in www.giustizia-amministrativa.it.
9
Sul punto si rinvia essenzialmente ai commenti di R. CAPONIGRO, Le azioni
reciprocamente “escludenti” tra giurisprudenza europea e nazionale, cit.,
che si mostra favorevole alla soluzione della Corte di Giustizia, e di C. LAMBERTI, Per la Corte di Giustizia l’incidentale non è più “escludente”?, cit., il
quale, invece, sembra mostrare una netta preferenza per la tesi accolta
dall’Adunanza Plenaria con la sent. n. 4/2011. Cfr., tuttavia, anche B. SPAM-
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Non è, ovviamente, possibile ripercorrere funditus le tappe che
hanno portato alla richiamata sentenza della Corte europea, per
le quali si rinvia ai numerosi contributi da altri offerti nel corso
di questi ultimi anni10, né trarre delle conclusioni definitive su
PINATO,
Sui ricorsi “escludenti incrociati”, cit., 333, il quale, nell’annotare
l’ordinanza da cui muove il presente lavoro, rileva che la questione
dell’incidentale sembrerebbe meglio impostata in termini di interesse a ricorrere anziché di legittimazione a ricorrere e, alla luce della concezione soggettiva della giurisdizione amministrativa, il c.d. interesse a ricorrere strumentale sembra destinato a trovare spazi ridotti. Quanto, invece, alla menzionata
sentenza della Corte di Giustizia UE, invece, l’A. rileva come, in materia di
appalti pubblici, al fine di assicurare la tutela della concorrenza, sembrerebbe
che il diritto dell’UE tenda sempre più a comprimere la c.d. autonomia processuale dell’ordinamento nazionale e, conseguentemente, alterare, nella
suddetta materia (ma, si deve aggiungere, non solo), la funzione (istituzionale)
del processo amministrativo, in tal modo aprendo nuove prospettive in ordine
alla consistenza del principio dispositivo e ai poteri d’ufficio del giudice
amministrativo. Il Consiglio di giustizia siciliano, dunque, secondo tale opinione, potrebbe rappresentare un’importante occasione verso la delineazione
del ruolo del giudice nel delicato settore dei pubblici appalti. Ciò, a parere di
chi scrive, potrebbe anche essere condivisibile. Sembra, però, che, come si
vedrà meglio nel testo, l’ordinanza de qua, costituisca, piuttosto, un passo
avanti verso quel dialogo tra le Corti, nazionali ed europee, volto a costruire
un più avanzato sistema di giustizia uniforme, applicabile a tutti gli Stati
membri (recte, utilizzabile dai cittadini di tutti gli Stati membri).
10
Sull’Adunanza Plenaria n. 11 del 2008, si vedano i contributi di R. VILLATA, In tema di ricorso incidentale e di procedure di gara cui partecipano due
soli concorrenti; ID., L’Adunanza Plenaria interviene sui rapporti tra ricorso
principale e ricorso incidentale, ambedue in Dir. proc. amm., 2008, 911 ss. e
1186 ss.; ID., Riflessioni in tema di ricorso incidentale nel giudizio amministrativo di primo grado. (Con particolare riguardo alle impugnative delle
gare contrattuali), in Dir. proc. amm., 2010, 285 ss.; A. ROMANO TASSONE,
Il ricorso incidentale e gli strumenti di difesa nel processo amministrativo, in
Dir. proc. amm., 2009, 581 ss.; G. TROPEA, La Plenaria prende posizione sui
rapporti tra ricorso principale e ricorso incidentale (nelle gare con due soli
concorrenti). Ma non convince, in Dir. proc. amm., 2009, 146 ss.; L.R. PERFETTI, Legittimazione e interesse a ricorrere nel processo amministrativo: il
problema delle pretese partecipative, in Dir. proc. amm., 2009, 688 ss.; A.
CERRI, Spunti e riflessioni sull’ordine delle domande, l’ordine delle questioni
e l’impugnativa incidentale escludente, in Riv. dir. proc., 2010, 1283 ss.; G.
PELLEGRINO, Effetto paralizzante del ricorso incidentale. Necessità di un ripensamento, in www.giustamm.it; ID., Ricorso incidentale e parità delle parti.
La svolta della Plenaria, in www.giustizia-amministrativa.it. In relazione
all’Adunanza Plenaria n. 4 del 2011, si rinvia ai commenti di F.G. SCOCA,
Ordine di decisione, ricorso incidentale, in Corr. Giur., 2012, 105 ss.; G.
PELLEGRINO, La Plenaria e le “tentazioni” dell’incidentale. Nota ad A.P. n.
4 del 2011, in www.giustamm.it; F. FOLLIERI, Un ripensamento dell’ordine di
esame dei ricorsi principale ed incidentale, in Dir. proc. amm., 2011, 1151
ss.; M. MARINELLI, Ancora in tema di ricorso incidentale “escludente” e ordine di esame delle questioni (note brevi a margine di un grand arret
dell’Adunanza Plenaria), ivi, 1174 ss.; A. GIANNELLI, Il revirement della
Plenaria in tema di ricorsi paralizzanti nelle gare a due: le nubi si addensano sulla nozione di interesse strumentale, ivi, 1119 ss.; A. SQUAZZONI, Ancora sull’asserito effetto paralizzante del solo ricorso incidentale c.d. escluden-
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una questione che, come ricordato, resta ancora sostanzialmente
aperta.
L’ultima tappa della vicenda, così sommariamente descritta, infatti, è segnata dalla statuizione dell’Adunanza Plenaria n. 9 del
201411, con la quale, il supremo organo della giustizia amministrativa, nel dare risposta all’ ordinanza di rimessione n. 2681
del 2013 della VI Sez. del Consiglio di Stato12, dopo aver ripercorso approfonditamente le tappe principali del problema del
rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale, enuncia ben
quattro nuovi principi di diritto, fornendo un’interpretazione della sentenza Fastweb che, sembra, piuttosto forzare le intenzioni
e le statuizioni del giudice europeo13, e mettendo un punto (definitivo?) a tale questione.
Secondo l’Adunanza Plenaria, infatti, “a) il giudice ha il dovere
di decidere la controversia, ai sensi degli artt. 76, co. 4, c.p.a. e
276, co. 2, c.p.c., secondo l’ordine logico che, di regola, pone la
priorità delle questioni di rito rispetto alle questioni di merito e,
fra le prime, la priorità dell’accertamento della ricorrenza dei
presupposti processuali rispetto alle condizioni dell’azione; b)
nel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara,
deve essere esaminato prioritariamente rispetto al ricorso principale il ricorso incidentale escludente che sollevi un’eccezione
di carenza di legittimazione del ricorrente principale non aggiudicatario, in quanto soggetto che non ha mai partecipato alla
gara, o che vi ha partecipato ma è stato correttamente escluso
ovvero che avrebbe dovuto essere escluso ma non lo è stato per
un errore dell’amministrazione; tuttavia, l’esame prioritario del
ricorso principale è ammesso, per ragioni di economia processuale, qualora risulti manifestamente infondato, inammissibile,
irricevibile o improcedibile; c) nel giudizio di primo grado
avente ad oggetto procedure di gara, il ricorso incidentale non
te nelle controversie in materia di gare. La Plenaria statuisce nuovamente
sul rebus senza risolverlo, ivi, 1063 ss.; E.M. BARBIERI, Ricorsi reciprocamente “escludenti” ed ordine di esame delle questioni proposte, in Dir. proc.
amm., 2012, 745 ss.; R. VILLATA, Ricorso incidentale escludente ed ordine di
esame delle questioni: un dibattito ancora vivo, in Dir. proc. amm., 2012,
363 ss.
11
Cons. Stato, Ad. Plen., 25 febbraio 2014, n. 9, in www.giustiziaamministrativa.it, commentata da G. PELLEGRINO, Considerazioni sul rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale dopo Corte di Giustizia
(Fastweb) e la nuova Adunanza Plenaria, in www.giustamm.it.
12
Cons. Stato, Sez. VI, 17 maggio 2013, n. 2681, cit.
13
Pur se, come rilevato da G. PELLEGRINO, Op. ult. cit., 4, la conclusione della nuova Adunanza Plenaria sarebbe imposta “da nostre regole processuali
sul punto sicuramente non in contrasto con i principi comunitari che invece
si è giustamente ritenuto violati da una incondizionata iperprotezione
dell’aggiudicatario/ricorrente incidentale”.
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va esaminato prima del ricorso principale allorquando non presenti carattere escludente; tale evenienza si verifica se il ricorso
incidentale censuri valutazioni ed operazioni di gara svolte
dall’amministrazione nel presupposto della regolare partecipazione alla procedura del ricorrente principale; d) nel giudizio di
primo grado avente ad oggetto procedure di gara, sussiste la legittimazione del ricorrente principale – estromesso per atto
dell’Amministrazione ovvero nel corso del giudizio, a seguito
dell’accoglimento del ricorso incidentale – ad impugnare
l’aggiudicazione disposta a favore del solo concorrente rimasto
in gara, esclusivamente quando le due offerte siano affette da
vizio afferente la medesima fase procedimentale come precisato
in motivazione”14.
Come si vede, il dato letterale della sentenza Fastweb viene forzato ed, anzi, considerato introduttivo di una mera eccezione alla
“laboriosa” ricostruzione da ultimo fornita proprio
dall’Adunanza Plenaria n. 4 del 2011, sicché, la nuova Adunanza Plenaria, in definitiva, pur aggiustando il tiro e meglio precisando i termini della questione, conferma, sostanzialmente,
quanto già statuito nella precedente pronuncia.
Non ci si può, tuttavia, dilungare su questo nuovo capitolo della
vicenda, pur se dagli interessantissimi risvolti teorici e pratici15,
che, sicuramente, per quanto soltanto accennato, non resterà privo di conseguenze future, anche a livello europeo16.
14
Secondo l’Adunanza Plenaria, devono ritenersi comuni, e, quindi, idonei
all’esame incrociato e all’eventuale accoglimento di entrambi i ricorsi per
come stabilito dalla sentenza Fastweb, esclusivamente i vizi ricompresi
all’interno di tre, alternative, categorie: 1) tempestività della domanda ed integrità dei plichi; 2) requisiti soggettivi generali e speciali di partecipazione
alla gara (comprensivi dei requisiti economici, finanziari, tecnici, organizzativi e di qualificazione); 3) carenza di elementi essenziali dell’offerta previsti
a pena di esclusione. In questi casi, dunque, il ricorrente principale ha la possibilità di impugnare l’aggiudicazione e, soprattutto, di vedere valutato il
proprio ricorso da parte del giudice. Tale orientamento è stato, poi, ulteriormente chiarito da Cons. Stato, Sez. IV, 17 giugno – 6 ottobre 2014, n. 4985,
in www.giustizia-amministrativa.it.
15
La richiamata sentenza n. 9/2014, infatti, si occupa minuziosamente anche
dell’irretroattività del principio di tassatività delle cause di esclusione dalle
gare per l’affidamento di appalti pubblici; del principio di tassatività delle
cause di esclusione dalle procedure selettive; nonché, del principio del soccorso istruttorio, e meriterebbe ben altro approfondimento che, in questa sede,
non è possibile svolgere.
16
Tra le ragioni dell’instabilità degli orientamenti che si sono ricordati, peraltro, sono state annoverate sia la tradizionale, e non ancora del tutto superata,
visione “oggettiva” del giudizio amministrativo di legittimità (su cui, ex multis, B. MARCHETTI, Il giudice amministrativo tra tutela soggettiva e oggettiva:
riflessioni di diritto comparato, in Dir. proc. amm., 2014, 74 ss.), che, soprattutto, l’indeterminatezza, strutturale, della collocazione, nell’ambito degli
strumenti di difesa del processo amministrativo, del ricorso incidentale, la cui
qualificazione, com’è noto, oscilla ancora tra l’eccezione, la domanda ricon-
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In questa sede, infatti, preme, piuttosto, sottolineare che la suddetta sentenza Fastweb, la quale, come detto, sembrava aver risolto definitivamente il contrasto, ha, invece, spinto il Consiglio
di Giustizia, con l’ordinanza in commento, ad ulteriori considerazioni17, che, però, a ben vedere, costituiscono solo l’occasione
per rimettere all’esame della Corte di Giustizia, l’ulteriore, ed
altrettanto interessante, questione della presunta introduzione nel
nostro ordinamento del c.d. precedente vincolante.
Quando si parla di precedente giudiziale, com’è noto, si fa riferimento ad una decisione giudiziaria anteriore, considerata nel
suo valore orientativo rispetto al giudizio attuale, concernente la
medesima questione o una diversa che, però, renda utile un raffronto.
Aderendo alla nota distinzione tra prassi “genetica”, “realizzativa” e “adeguatrice”18, sembra corretto, inoltre, inquadrare19 il
precedente giudiziale nell’ambito della prassi realizzativa, che
può avvenire nelle forme dell’attuazione spontanea o giudiziaria
della norma e, ove risulti essere il risultato di un’elaborazione ed
opzione interpretativa, può essere considerata come un momento
di prassi adeguatrice, rispondente all’esigenza di ispirarsi, nella
scelta tra più possibili letture astrattamente consentite dal dato
normativo, ad un principio di adeguamento del diritto al fatto ed
alla concreta situazione di interesse che si manifesta.
Considerando, poi, che le decisioni giudiziarie hanno, da sempre,
significativamente influenzato l’inquadramento giuridico e la risoluzione di casi uguali o analoghi, esercitando un’autorità persuasiva o vincolante tale da orientare e condizionare le successive pronunce, non stupisce il dato fattuale che sia nei sistemi
ispirati al principio dello stare decisis che in quelli in cui il giu venzionale e l’”eccezione riconvenzionale”. Non è questa, ovviamente, la sede per addentrarsi in questo importante dibattito, per il quale si rinvia a C.
BENETAZZO, Il ricorso incidentale: oggetto, legittimazione e ordine di esame
delle questioni tra disciplina interna e principi comunitari, in Dir. Proc.
amm., 2014, 107 ss.
17
La vicenda descritta e le soluzioni offerte dalla giurisprudenza citata, infatti, si riferiscono alle gare cui abbiano partecipato solo due concorrenti. Il
Consiglio di Giustizia, con l’ordinanza in commento, rilevando subito che la
fattispecie sottoposta al suo esame si differenzia, in parte, da quella decisa
dalla Corte europea, in quanto le imprese ammesse a partecipare alla gara
erano più di due, pur se solamente due di queste imprese hanno poi attivato il
contenzioso, evidenzia la necessità di stabilire se il principio di diritto enunciato a livello europeo possa ritenersi applicabile non solo alle controversie
vertenti sulle c.d. gare a due, ma anche a quelle in cui i concorrenti erano in
maggior numero.
18
Elaborata da A. FALZEA, La prassi nella realtà del diritto, in AA. VV., Studi in onore di Pietro Rescigno, Milano, 1998, 353 ss.
19
In tal senso, F. SAITTA, Valore del precedente giudiziale e certezza del diritto nel processo amministrativo del terzo millennio, in Dir. amm., 2005, 606.
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dice non è vincolato dalle precedenti pronunce sulla stessa questione ed ha, quindi, l’obbligo di giustificare le ragioni del suo
convincimento, il riferimento ai precedenti finisce per costituire
un’abituale modalità di motivazione dei provvedimenti giudiziari, nel senso, duplice, di tendere generalmente a considerare
soddisfatto l’obbligo della motivazione “in diritto” anche mediante solo il richiamo di precedenti conformi e di ritenere che la
motivazione di un provvedimento giurisdizionale non sia totalmente appagante qualora non tenga conto, espressamente o tacitamente, dei precedenti, aderendovi o dissentendovi20.
Purtuttavia, la posizione del giudice cambia a seconda che si
trovi innanzi ad un precedente vincolante (binding authority) o
meramente persuasivo: nel primo caso, infatti, pur non potendosi ravvisare una situazione di soggezione analoga a quella in cui
si pone rispetto alla legge, v’è comunque un obbligo giuridico di
attenersi, salve eccezioni, al già deciso; nel secondo caso, invece,
v’è libertà di scegliere discrezionalmente se attenersi o meno al
precedente, con l’onere, comunque, di motivare l’eventuale dissenso.
Orbene, le ultime riforme legislative, nel modificare l’art. 374,
3° comma c.p.c. ( Dlgs. 2 febbraio 2006, n. 40) e nell’introdurre
l’art. 99 c.p.a. (Dlgs. 2 luglio 2010, n. 104), hanno stabilito, sia
per il giudizio ordinario che per quello amministrativo, che i
principi di diritto enunciati dalle magistrature supreme (Sezioni
Unite della Corte di Cassazione e Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato), non possono essere disattese dalle c.d. sezioni
semplici, le quali, invece, se da quelle vogliono discostarsi, sono
obbligate a rimettere la questione ai medesimi organi supremi,
motivando puntualmente le ragioni del dissenso e, conseguentemente, provocando un nuovo pronunciamento, che sostituirà,
eventualmente, la precedente statuizione e dovrà essere rispettato da quelli che, a questo punto, possiamo definire giudici inferiori21.
20
Così, ancora F. SAITTA, Valore del precedente, cit., 607.
Il problema si pone in minor misura per le magistrature di primo grado, in
quanto, il loro dissenso potrà essere valutato come motivo di appello. Anche
nell’ambito della giurisprudenza contabile, peraltro, la disciplina della funzione nomofilattica delle Sez. Riunite della Corte dei Conti è stata modificata
in linea con le disposizioni riferite nel testo in relazione ai giudizi civili ed
amministrativi. Il comma 7 dell’art. 1 del d.l. n. 453 del 1993 prevede, infatti,
che “se la sezione giurisdizionale, centrale o regionale, ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Riunite, rimette a queste
ultime, con ordinanza motivata, la decisione del giudizio”. Nell’ambito della
funzione di controllo, inoltre, l’art. 17, comma 31, del d.l. n. 78 del 2009,
convertito con modificazioni in L. 3 agosto 2009 n. 102, ha previsto anche
che il Presidente della Corte dei Conti “può disporre che le Sezioni Riunite
adottino pronunce di orientamento generale sulle questioni risolte in maniera difforme dalle sezioni regionali di controllo nonché sui casi che presenta21
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Tale situazione ha destato non poca preoccupazione, come si
vedrà, in un sistema in cui tradizionalmente, com’è noto, in virtù
del fondamentale principio della separazione dei poteri, i giudici
sono indipendenti e soggetti soltanto alla legge, la quale sola ha
il compito di creare il diritto. L’introduzione di una sorta di precedente vincolante, invero, sembrerebbe minare alla radice quelli che, come ognuno sa, sono considerati principi fondamentali
del nostro ordinamento e, più in generale, di tutti i sistemi continentali: la creazione legislativa del diritto e l’indipendenza della
magistratura.
Non stupisce, pertanto, il rinvio pregiudiziale da parte del Consiglio di Giustizia Amministrativa siciliano, anche in ragione
delle sue peculiarità, pur se sembra doveroso avvertire, sin d’ora,
che l’esito si preannuncia alquanto scontato, non potendo, si ritiene, la Corte di Giustizia europea non ammettere la validità del
precedente, posto che proprio le sue statuizioni entrano a far parte degli ordinamenti dei singoli Stati membri per mezzo del
principio del precedente vincolante.
A questo punto, allora, sembra altrettanto doveroso, prima di
ogni altra considerazione su tale questione, tracciare i caratteri
fondamentali e l’evoluzione del principio dello stare decisis.
2. – IL PRINCIPIO DELLO STARE DECISIS NEI SISTEMI DI COMMON LAW E LA SUA INTRODUZIONE IN
QUELLI DI CIVIL LAW.
Il principio del precedente vincolante – stare decisis -, trova le
sue radici storiche nei sistemi giuridici di common law, ove è
profondamente radicato, e si sostanzia, com’è noto, nel fatto che
le decisioni giurisdizionali su un determinato punto di diritto
hanno, generalmente, carattere vincolante per i giudici che si
trovino, successivamente, investiti della medesima questione.
Tale obbligatorietà dei precedenti non trova il suo fondamento
nella legge, ma ha matrice consuetudinaria, derivando dal consolidamento della loro influenza di fatto, e, secondo gli studiosi
d’oltremanica22, risulta strettamente legata alla storia dei laws
reports, raccolte di decisioni giurisdizionali risalenti alla fine del
XIII secolo, pur se si stabilisce con nettezza solo nell’Ottocento,
nella versione estrema della doctrine of binding precedent, per
mezzo della decisione sul caso London Streets Tramways ltd. v.
no una questione di massima di particolare rilevanza”. Deve, qui, ricordarsi
anche che la suddetta disciplina è stata confermata da Corte Cost., 24 gennaio
2011, n. 30, in www.cortecostituzionale.it.
22
Sull’origine consuetudinaria della regola del precedente vincolante, si vedano per tutti, C. K. ALLEN, Law in the making, Oxford, 1964, 187 ss; R.
CROSS – J. W. HARRIS, Precedent in English law, Oxford, 1977, 22 ss.
9 www.judicium.it
London County Council, con la quale, nel 1898, la House of
Lords dichiarò espressamente l’esistenza del principio della vincolatività interna (o vincolo in senso orizzontale), l’obbligo, cioè,
di non discostarsi dai propri precedenti per la stessa corte suprema inglese23
A fronte del forte accentramento legislativo o “fetichisme de loi”,
com’è stato definito24, che accompagna anche il perdurante assolutismo dell’Europa continentale, nel Regno Unito si riscontra,
invece, un sistema pluralistico di fonti che lascia ampio spazio
all’attività (e alla discrezionalità) degli organi giudiziari ed alla
continuità che in essa si esprime attraverso la coerenza con i
precedenti25.
In altri termini, a fronte di un sistema – continentale o di civil
law – caratterizzato dal predominio del diritto di fonte legislativa, nel quale, per definizione, il ruolo dei giudici consiste nella
mera applicazione della legge per risolvere la controversia sottoposta al proprio giudizio, si pone un sistema – di common
law – caratterizzato, al contrario, dal predominio del diritto di
fonte giurisprudenziale, nel quale viene meno la figura esterna
del legislatore, mentre, conseguentemente, assume un ruolo centrale il giudice, che diventa egli stesso fonte del diritto con le
proprie decisioni26.
Il continente, infatti, è dominato dall’opinione per cui tutti i casi
sono già giuridicamente regolati dal diritto positivo e
l’interpretazione è un’operazione puramente meccanica di applicazione delle categorie o concetti logico-razionali. In tal senso,
si è parlato, in proposito, di formalismo interpretativo:
l’interprete ha il solo compito di rendere palese il significato
delle norme con procedimenti di concettualizzazione che non
23
In proposito, si veda F. MORETTI, La dottrina del precedente giudiziario
nel sistema inglese, in Contr. e impresa, 1990, 680 ss.
24
R. POUND, The spirit of the common law, Boston, 1966, trad. it. a cura di G.
BUTTA, Milano, 1970, 149 ss., il quale sottolinea che nemmeno il movimento
di riforma legislativa promosso, nella prima metà dell’ottocento, sulla spinta
delle teorie del Bentham, pur eliminando ciò che vi era di arcaico nel diritto
anglo-americano, ha modificato i caratteri essenziali della teoria del precedente.
25
V. MARINELLI, Precedente giudiziario, in Enc. Dir. – agg. VI, Milano,
2002, 881.
26
In relazione alle caratteristiche del common law, si rinvia ai più approfonditi studi di S.F.C. MILSOM, Historical Foundations of the Common Law,
London, 1981; , A Concise History of the Common Law, London, 1956, nonché, nella letteratura italiana, G. GORLA, Studio storico comparativo della
“common law” e scienza del diritto (le forme d’azione), in Riv. trim. dir.
proc. civ., 1962, 25 ss.; ID., Formazione e strutture fondamentali della
“Common Law”: le “forms of action”, in Riv. trim. dir, proc., 1965, 1646 ss.;
L. MOCCIA, Common Law, in Dig. Disc. Priv. Sez. Civ., Torino, 1988, 17 ss.;
U. MATTEI, Common Law. Il diritto anglo-americano, Torino, 2004.
10 www.judicium.it
comprendono né argomenti di tipo sostanziale, quali l’esame
della funzionalità o delle conseguenze pratiche della pronuncia,
né giudizi di equità. Tale metodo interpretativo, dunque, caratterizzato da un approccio formalistico al diritto e da un rigore di
tipo logico-sistematico, si sostanzia, in definitiva, nella c.d.
dogmatica giuridica.
Fuori dal continente, invece, si afferma il realismo o antiformalismo giuridico, nel quale il diritto non interessa nella forma della sua validità, bensì in quella della sua efficacia. Secondo questo orientamento, il diritto è il complesso di regole che sono effettivamente seguite in una determinata società, da analizzare
non tanto dal punto di vista della realtà normativa quanto da
quello della realtà fattuale e dell’efficacia concreta delle norme e
degli istituti giuridici. Pertanto, i giudici, nell’applicare le norme,
ne possono modificare il contenuto, adattandolo alla realtà. Ciò,
in quanto, il giudice, nell’interpretazione delle norme, non utilizza esclusivamente il diritto positivo, ma valuta anche
l’efficacia, il contesto storico e l’evoluzione delle esigenze sociali, divenendo interprete delle esigenze della società.
Con il riconoscimento di questo ruolo attivo e creativo della giurisprudenza e la valorizzazione del momento interpretativo si
verifica quella netta rottura con la rigorosa struttura sistematica
del diritto e, conseguentemente, con il dogmatismo puro ed il
metodo interpretativo logico-formale, che si è risolta nella nota
quasi incomunicabilità iniziale tra gli ordinamenti di tipo continentale e di tipo anglosassone, almeno finché, come si vedrà a
breve, il realismo giuridico non ha aperto una breccia nel muro
del formalismo continentale27.
Nel common law, dunque, non si rinvengono norme generali ed
astratte da applicare ai casi concreti, bensì sentenze giudiziali,
decisioni, che diventano vincolanti, nate sul caso concreto.
Naturalmente, non sembra inutile precisare, non la sentenza per
esteso è da considerarsi decisione in senso stretto, bensì quella
parte di essa riguardante la soluzione delle questioni giuridiche
che emergono dalla controversia, anche se non tutte avranno la
medesima importanza come precedente. A tal proposito, infatti,
si suole distinguere tra ratio decidendi e obiter dictum. Laddove
per ratio decidendi deve intendersi, com’è noto, la decisione
27
Tuttavia, non può tacersi l’opera di mediazione tra queste due correnti teorizzata da H. L.A. HART, Il concetto di diritto, Torino, 1991, passim, per il
quale, condivisibilmente, “il formalismo e lo scetticismo sulle norme sono le
Scilla e Cariddi della teoria del diritto: esse sono delle grandi esagerazioni,
salutari quando si correggono reciprocamente, e la verità sta in mezzo a loro”. Per un’analisi del formalismo pratico nel diritto amministrativo ed una
disamina delle correnti formaliste ed antiformaliste di dottrina e giurisprudenza, si veda S. CIVITARESE MATTEUCCI, La forma presa sul serio. Formalismo pratico, azione amministrativa ed illegalità utile, Torino, 2006.
11 www.judicium.it
delle questioni giuridiche necessarie alla risoluzione del caso in
questione, “la ragione autonoma, indipendente, distinta dalle
altre, sufficiente da sola a sorreggere logicamente e giuridicamente la decisione”28; proprio per mezzo di tale diretta relazione
con la fattispecie concreta da risolvere essa potrà essere utilizzata per risolvere un caso successivo simile o analogo. Una questione è rilevante, infatti, se, nell’ambito di una decisione che
contempli più alternative decisionali, la sua soluzione è un elemento necessario della giustificazione di una delle possibili alternative decisionali29. Determinare la ratio decidendi, dunque,
risulta necessario per stabilire il contenuto prescrittivo della decisione giudiziale30.
Per obiter dictum, invece, si intende la soluzione delle questioni
giuridiche non necessarie alla decisione, l’argomentazione, come si suol dire, ad abundantiam, “i principi di diritto enunciati
dalla sentenza in modo incidentale”31, quella questione giuridica
prospettata in via ipotetica e risolta nel discorso argomentativo
della motivazione; non avendo una relazione diretta con i fatti
della controversia non potrà, generalmente, valere come precedente, pur se potrà preannunciare una giurisprudenza futura su
altre liti in cui tali questioni giuridiche prospettate e risolte in via
ipotetica vengano a qualificare i fatti di cui si discute32.
28
Così L. NANNI, Ratio decidendi e obiter dictum nel giudizio di legittimità,
in Contratto e impresa, 1987, 865 ss.
29
In tal senso, G. SARTOR, Il precedente giudiziale, in www.eistig.ipbeja.pt,
1996, 238.
30
Secondo R. MANDELLI, La determinazione e l’applicazione della ratio decidendi del precedente giudiziale nella Common Law, in Riv. dir. proc., 1980,
319 ss., il procedimento di applicazione della ratio decidendi si può concettualmente scomporre in tre passaggi ed operazioni: la prima – reasoning by
analogy o reasoning from case by case – consiste in una serie di giudizi concernenti la possibilità di porre una distinzione razionale tra i fatti del presunto
precedente e quelli della fattispecie litigiosa e l’influenza di un’eventuale diversità ai fini di un diverso trattamento giuridico; la seconda operazione consiste nel dovere di dimostrare l’eventuale oggettiva diversità della fattispecie
della precedente decisione da quella da decidere, poiché il distinguishing che
non soddisfi tale condizione può essere equiparato ad un overruling, e quindi
viene considerato illegittimo; la terza operazione consiste, infine,
nell’applicare la norma individuata come ratio decidendi ai fatti di causa.
31
F. GALGANO, L’interpretazione del precedente giudiziario, in Contratto e
impresa, 1985, 701 ss.
Sul concetto di obiter dictum non si può non ricordare la definizione fornita
da V. ANDRIOLI, Massime consolidate della Corte di Cassazione, in Riv. dir.
proc., 1948, 249 ss., per il quale l’obiter è null’altro se non “lo svolazzo dottrinario dell’estensore”.
32
Interessante sembra, piuttosto, la posizione di V. MARINELLI, Precedente,
cit., 885, per il quale in una posizione “intermedia fra le rationes decidendi e
gli obiter dicta stanno le argomentazioni ad abundantiam e in particolare le
rationes decidendi alternative, cioè lo svolgimento di due o più serie di argomenti ciascuna delle quali autonomamente idonea a sostenere una data
12 www.judicium.it
Il vincolo al precedente, o stare decisis, insomma, indica
l’obbligo giuridico a conformarsi alle rationes dei precedenti
(stare rationibus decidendi). La ratio decidendi risulta essere,
così, una statuizione universale, potendosi, in tal modo, riferire
anche a tutti i casi futuri per i quali essa sia pertinente. Il vincolo
dello stare decisis, pertanto, differisce dall’obbligo di rispettare
la res judicata, la quale, invece, com’è noto, si pone come disciplina del caso concreto33.
Si deve, tuttavia, sottolineare che non sono mancate divergenze
nel dibattito dottrinario, non solo in relazione alla distinzione dei
due suddetti elementi della decisione34, ma anche, e forse in
maggior misura, circa il modo di intendere il rapporto tra pronunce giurisdizionali e realtà sociale. Secondo un primo, e più
datato orientamento, infatti, la natura delle decisioni delle corti è
solo dichiarativa o ricognitiva di regole già operanti nella realtà
sociale 35, mentre, maggiormente aderente alla realtà sembra,
piuttosto, l’orientamento per il quale al precedente dev’essere
attribuito carattere costitutivo o creativo, nel senso che i giudici
non si limitano ad attingere ai mores e ad esprimere ciò che in
essi è già insito, bensì offrono un proprio originale contributo
alla formazione delle regole giuridiche36.
Lo sviluppo storico del diritto inglese, ove si riscontra la più rigida applicazione del principio dello stare decisis, è avvenuto
soprattutto nella forma della case of law o judiciary law, quindi
sulla base dei precedenti stabiliti dalle autorità giudiziarie a ciò
preposte, mancando quasi totalmente, eccettuate le materie amministrative, le codificazioni scritte o gli atti legislativi del Parliament o di altre autorità che, nonostante una progressiva
conclusione”. Tuttavia, numerose voci, in dottrina, tendono a smorzare il significato della distinzione tra ratio e obiter in base alla constatazione che nel
nostro sistema è la massima ad avere valore di precedente. In tal senso, V.
DENTI, Relazione di sintesi, in AA. VV., La giurisprudenza per massime e il
valore del precedente, Padova, 1988, 117.
Ad ogni modo, anche nell’ambito dei sistemi di common law si sono riscontrate numerose difficoltà nella distinzione, all’interno della decisione, della
ratio decidendi dall’obiter dictum. Si veda in proposito, K. ZWEIGERT – H.
KOTZ, Introduzione al diritto comparato, I, Principi fondamentali, Milano,
1998, 312.
33
Così, G. SARTOR, Il precedente giudiziale, cit., 246.
34
Per un’utile ricostruzione del dibattito, si rinvia essenzialmente a G. SARTOR, Il precedente giudiziale, cit., 239 ss., il quale riporta con esattezza le diverse opinioni che si sono avvicendate tra gli studiosi della common law.
35
Cfr., per tutti, W. BLACKSTONE, Commentaries on the laws of England,
London, 1839; M. HALE, History of the Common Law, London, 1820.
36
Si veda, in tal senso, il contributo di J. A. G. GRIFFITH, The politics of the
judiciary, London, 1977, trad. it. a cura di M. P. CHITI, Giudici e politica in
Inghilterra, Milano, 1980.
13 www.judicium.it
espansione, continuano ancora ad essere considerati come fonti
di diritto speciale.
Proprio in quanto il diritto di matrice giurisprudenziale è visto
quale diritto comune - complesso organico di principi, regole e
categorie che sono presupposti e tendenzialmente conservati dalla statute law -, le pronunce giurisprudenziali, salvo un limite
generale di compatibilità con la legge scritta, di cui i giudici
tendono, peraltro, a dare interpretazioni restrittive, possono anche non avere, e spesso non hanno, fondamento in un atto legislativo. Conseguentemente, le legal rules formulate dalle corti
hanno efficacia obbligatoria anche nei giudizi successivi.
Per comprendere appieno la dottrina del precedente vincolante,
sembrano necessarie alcune precisazioni.
Innanzitutto essa sembra essere strettamente legata alla dottrina
dei remedies.
Nella tradizione del common law, il rimedio è lo strumento per
riparare la violazione di un precetto, differenziandosi, dunque,
sia dalla norma attributiva di un diritto, da intendersi, ovviamente, come risposta dell’ordinamento all’emersione di un interesse,
sia dalla sanzione, che, certamente, è la risposta alla violazione
di un precetto, in quanto, il rimedio, ha, in definitiva, la funzione
specifica di ristabilire un ordine giuridico violato o irrealizzato a
causa della frapposizione di un elemento anche esterno. Contrariamente alla norma ed alla sanzione, inoltre, esso è strumento
tipicamente posto dalla legge o dall’autonomia privata a disposizione del singolo.
I rimedi si distinguono in judicial remedies e non judicial remedies. I primi, in particolare, possono essere at law, come il risarcimento del danno o la tutela possessoria, oppure equitable, come la specific performance. Il tratto fondamentale di questo sistema è, però, che il rimedio implica, necessariamente, una ponderazione di interessi da parte del giudice.
I rimedi sembrano, dunque, costituire un “piano mobile” di
strumenti preposti non al soddisfacimento in prima battuta di interessi giuridicamente protetti, bensì al soddisfacimento in seconda battuta di un bisogno di tutela del singolo conseguente
all’inattuazione di quell’interesse o alla sua violazione37 e, conseguentemente, consentono di offrire una risposta adeguata e
mirata ai bisogni di tutela che affiorano nella prassi.
È noto, d’altra parte, che in termini funzionali un medesimo interesse può dar luogo ad una pluralità di bisogni di tutela che
necessitano di una pluralità di rimedi, così come, per converso,
una pluralità di interessi possono dare luogo al medesimo bisogno di tutela e, quindi, al medesimo rimedio. Si realizza così una
37
In tal senso, S. MAZZAMUTO – A. PLAIA, I rimedi nel diritto privato europeo, Torino, 2012, 16.
14 www.judicium.it
sorta di fungibilità o circolarità dei rimedi, definibile come
change of remedies.
In un sistema come quello di common law, è bene sottolineare,
sembra del tutto coerente, in assenza di leggi scritte e, quindi, di
risposte cristallizzate nella norma, questo ruolo del giudice –
creatore di diritto che, con le sue decisioni, non si limita a plasmare la realtà giuridica, ma tende ad assicurare la giusta tutela
al caso concreto.
In secondo luogo, la dottrina del precedente si collega alla struttura piramidale del sistema giudiziario.
Al vertice della giurisdizione, sia civile che penale, v’è la House
of Lords38, i cui precedenti devono essere seguiti da tutte le altre
corti di giustizia, e ai quali la House of Lords stessa è vincolata,
potendosene discostare solo “when it appears right to do”39.
Al di sotto della House of Lords, nella struttura piramidale che si
sta delineando, si trova la Court of Appeal, le cui decisioni vincolano sia la corte stessa che le corti ad essa inferiori, nei giudizi
successivi40. Tuttavia, anche la Court of Appeal si è ritagliata il
potere di riformare le proprie precedenti decisioni nel caso in cui
il precedente si ponga in conflitto con una decisione anteriore
della stessa Corte, nel caso in cui il precedente risultasse incompatibile con una pronuncia della House of Lords e, infine, in presenza di una decisione adottata per incuriam, non tenendo,
quindi, conto di una rule of law posta giudizialmente o legislativamente. A questa fa seguito, nella scala gerarchica, la High
Court of Justice, i cui giudici sono vincolati dalle statuizioni dei
due organi precedenti ad essa sovraordinati, ma non sono obbligati ad uniformarsi alle decisioni di altri giudici di High Court,
sebbene nella pratica tendono a farlo, a meno di non ravvisare
una valida ragione in contrario.
Alla base della struttura piramidale così delineata si collocano le
Count Courts, vincolate dalle decisioni di tutte le superior
38
A differenza della nostra Corte di Cassazione, tranne che in tema di giurisdizione e competenza e per gli errores in procedendo, la House of Lords è
giudice non solo di diritto ma anche di fatto, pur trattando annualmente solo
un ristrettissimo numero di cause, oltre ad essere una delle due Camere del
Parliament. Di qui, probabilmente, discende l’autorevolezza assoluta dei suoi
precedenti giurisdizionali.
39
V. MARINELLI, Precedente giudiziario, cit., 882, puntualizza che solo nel
1966, con la dichiarazione resa il 26 luglio dal Lord Chancellor, la House of
Lords si è riconosciuta il potere di discostarsi dai propri precedenti a propria
discrezione.
40
Tuttavia, come sottolinea R. DWORKIN, Law’s empire, Cambridge (Massachusset), 1986, 24 ss., trad. it. di L. CARACCIOLO, L’impero del diritto, Milano, 1989, 29 ss., questa distinzione non è unanime, bensì “della maggior parte dei giuristi britannici”, mentre sembra preferibile adottare la distinzione
generale, anziché tra precedenti vincolanti e non, tra dottrina del precedente
rigida e dottrina moderata.
15 www.judicium.it
courts, ma che non emettono, a propria volta, pronunce con valore vincolante per altri giudici.
Così inquadrato il sistema vigente in Inghilterra, si può meglio
individuare l’essenza del c.d. stare decisis.
Se si considera, infatti, la common law – intesa quale diritto non
scritto – in contrapposto con la statute law – legge scritta -, ci si
avvede immediatamente della notevole, pur se apparente, affinità tra common law e diritto consuetudinario41, permanendo tra
loro, nel sistema delle fonti, una differenza, in linea di principio,
non trascurabile: la trama della common law non deriva da vere
e proprie norme consuetudinarie, traendo origine non tanto da
un’uniformità di comportamento osservabile a livello sociale,
quanto dagli orientamenti delle corti di giustizia, venendo in rilievo, appunto, la formazione di regole giuridiche, in foro, sotto
il controllo del giudizio e del potere dei giudici42.
Di qui deriva che solo quando una consuetudine è stata confermata da una o più decisioni giurisdizionali, entra a far parte della common law, diversamente, essa resta inquadrata come fonte
giuridica a sé stante, di tipo secondario.
D’altra parte, il carattere non scritto della common law
dev’essere inteso in senso lato, poiché essa trova espressione
nelle sentenze e nei c.d. laws reports. Tuttavia, secondo la dottrina anglosassone43, la sua qualificazione come diritto non scritto risponde ad una triplice ragione: l’origine consuetudinaria
(come visto in senso lato) del sistema, la sua persistenza, allo
stesso modo, come frutto di una prassi indipendente da interventi del legislatore, la mancanza, infine, di una formulazione definitiva delle norme, alle quali, di conseguenza, è attribuita una
naturale capacità di adattamento a nuovi casi e circostanze.
Il principio dello stare decisis, più in particolare, si giustifica,
secondo alcuni44, in base al principio del consenso e della replicabilità, per cui i giudici devono stabilire e applicare regole che
siano supportate da standard generali della società (e qui, sembra, entra in gioco la consuetudine vera e propria) o standard
speciali del sistema giuridico, adottando un processo decisionale
che sia riproducibile dagli altri giudici.
41
Sulla consuetudine intesa come fonte del diritto, non può non rinviarsi, ex
multis, ai fondamentali studi di teoria generale di A. FALZEA, Introduzione
alle scienza giuridiche. Il concetto del diritto, Milano, 2008; ID., La prassi
nella realtà del diritto, cit.
42
V. MARINELLI, Precedente, cit., 883.
43
P. G. STEIN, Judgments in the european legal tradion, in AA. VV., La sentenza in Europa. Metodo, tecnica e stile – Atti del Convegno di Ferrara, 10 –
12 ottobre 1985, Padova, 1988, 27 ss.
44
M. A. EISENBERG, La natura del Common Law, trad. it. di M. GRANIERI,
Milano, 2010, 77.
16 www.judicium.it
E si giustifica anche in base al principio dell’oggettività, per il
quale le corti sono obbligate a ragionare a partire da proposizioni aventi carattere generale, conseguentemente applicabili a tutti
coloro che si troveranno in analoga situazione in eventuali giudizi successivi. In tal modo trova piena applicazione anche il
principio di imparzialità, in quanto, come visto poc’anzi, tutti i
casi simili devono essere trattati in modo simile, nel senso che, a
parità di altre condizioni, una volta che il giudice ha adottato la
norma per decidere un caso, dovrebbe applicare quella regola a
soggetti in condizioni simili.
Il principio dello stare decisis, inoltre, funziona anche come
fondamento per la funzione delle corti di arricchire l’offerta di
norme giuridiche. Proprio in quanto vincolante, in base allo stare decisis, un precedente può essere concepito come diritto. In
tal modo, lo stare decisis consente una pianificazione più affidabile ed una più semplice soluzione delle controversie giudiziarie45.
Lo stare decisis sembra, così, rivolto soprattutto alla protezione
del legittimo affidamento, che può essere inteso come generale o
speciale.
Si parla di legittimo affidamento speciale nel senso di affidamento davanti al giudice di una parte che ha specificamente pianificato il suo comportamento sulla base di una regola giuridica,
mentre, per legittimo affidamento generale deve intendersi
l’affidamento della generalità dei consociati che, verosimilmente,
pianificano i propri comportamenti sulla base di un sistema di
norme giuridiche.
Riguardando, inoltre, il principio in parola in termini di certezza
del diritto, si deve ulteriormente sottolineare che, in mancanza di
leggi scritte, risulta viepiù necessario conferire alla c.d. law in
action una maggiore stabilità ed uniformità, raggiungibili solamente assegnando una qualche vincolatività al precedente. Ciò
in quanto, a tale maggiore stabilità ed uniformità potrebbe ostare
l’interazione tra due diversi tipi di libertà di cui godono i giudici:
da una parte la libertà nei confronti della legge scritta, che porterebbe inevitabilmente a contrasti giurisprudenziali sincronici e
diacronici e ad un maggior distacco tra legge scritta e diritto giurisprudenziale; dall’altra la libertà nei confronti degli altri giudici e di se stessi nell’interpretare la legge, nel senso che, pur esistendo un’unica law in the books, possono crearsi tante law in
action , essendo ogni giudice libero di interpretare la legge diversamente. Perciò, risulta inevitabile agire sulla law in action
con lo strumento del precedente vincolante.
45
In tal senso, ancora M. A. EISENBERG, op. ult. cit., 78.
17 www.judicium.it
A questo punto, sembra utile sottolineare che, in realtà, le divergenze tra i sistemi di common e civil law vanno, via via, sfumandosi sempre più, in quanto nel primo si sta facendo strada
anche un diritto di fonte statutaria – statutary law -, mentre, nel
secondo, come accennato in precedenza e come si evidenzierà
meglio tra poco, assume sempre più importanza il precedente46.
D’altra parte, già in passato la dottrina più attenta47 si è schierata
apertamente in favore di una certa identità non solo fattuale (per
la quale non vi sarebbe una sostanziale differenza nell’uso dei
precedenti giudiziali nei paesi di common e in quelli di civil law,
poiché, in entrambi i casi, il giudice ed il giurista farebbero riferimento ai precedenti, e ad essi si atterrebbero, salve gravi ragioni in contrario), ma anche normativa (per la quale anche nei
confronti dei giudici di civil law, come per quelli di common law,
esisterebbe un obbligo giuridico di conformarsi ai precedenti).
All’interno dello stesso common law, peraltro, la rigidità della
vincolatività non è più così rigorosa come alle origini.
Si è visto, infatti, come già attorno agli anni ’60 del secolo scorso la House of Lords, si è liberata dall’obbligo di doversi attenere ai propri precedenti “when it appears right to do”, e la Court
of Appeal l’aveva preceduta nel 194448, mentre, negli Stati Uniti
si è sempre adottato un atteggiamento più tollerante rispetto
all’Inghilterra, dovuto, con tutta probabilità, all’influsso del realismo giuridico49.
Anche nel diritto americano, in quanto sistema di common law,
lo stare decisis indica un principio generale in forza del quale il
giudice è obbligato a conformarsi alla decisione già adottata in
una precedente sentenza, qualora la fattispecie portata al suo
esame sia identica a quella già trattata nel caso deciso e, in tal
46
Non è un caso, d’altra parte, che importanti contributi sul precedente si rinvengono anche presso la nostra dottrina. Qui, basti ricordare, oltre alle precedenti citazioni degli studi dedicati in generale al common law, G.A. MICHELI,
Contributo allo studio della formazione giudiziale del diritto. Case Law e
Stare Decisis, Padova, 1938; L. ANTONIOLLI DEFLORIAN, Il precedente giudiziario come fonte del diritto: l’esperienza inglese, in Riv. dir. civ., 1993,
133 ss.; S. CHIARLONI, Un mito rivisitato: note comparative sull’autorità del
precedente giurisprudenziale, in Riv. dir. proc., 2001, 614 ss.; P.G. MONATERI, Il precedente in Inghilterra, in M.L. VACCA (a cura di), Lo stile delle
sentenze e l’utilizzazione dei precedenti. Profili storicio-comparatistici, Torino, 2000, 103 ss.; M. TARUFFO, Precedente ed esempio nella decisione giudiziaria, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1993, 19 ss.; M. TARUFFO – M. LA TORRE,
Precedent in Italy, in D.N. MACCORMICK – R.S. SUMMERS (a cura di), Interpreting precedents: a comparative study, Dartmouth, 1997, 151 ss.
47
G. SARTOR, Il precedente giudiziale, cit., 236.
48
Sul punto, più diffusamente, A. ANZON, Il valore del precedente nel giudizio sulle leggi: l’esperienza italiana alla luce di un’analisi comparata sul regime del Richterrecht, Milano, 1995, 36 ss.
49
V. MARINELLI, Precedente, cit., 883.
18 www.judicium.it
modo, il precedente desunto dalla sentenza anteriore opera come
fonte del diritto.
Ovviamente, anche in questo caso l’efficacia vincolante della
sentenza precedente è limitata alla sola ratio decidendi, quindi
agli argomenti essenziali addotti dal giudice per giustificare la
decisione del caso a lui sottoposto o alla norma giuridica specifica, desumibile dalla sentenza in base alla quale è stata assunta
la decisione; mentre, le rimanenti parti della sentenza, e, cioè, le
argomentazioni non essenziali per la decisione, costituiscono i
c.d. obiter dicta, ai quali non è riconosciuta efficacia vincolante,
bensì solo persuasiva, in ragione della solidità delle argomentazioni sulle quali sono fondati.
Qui, però, il valore del precedente è inteso in modo molto più
elastico e, sembra, più consono alle esigenze di una società in
rapida trasformazione. Ciò, probabilmente, in ragione di due caratteristiche istituzionali dell’ordinamento statunitense: la presenza di una Costituzione scritta50 e l’articolazione del potere
giudiziario tra Stato federale e singoli Stati51.
In particolare, l’esistenza di principi costituzionali sensibili ai
mutamenti politico – sociali mal si concilia con un rigido sistema di precedenti assolutamente vincolanti. Un sistema di tal fatta, infatti, pretenderebbe che ogni interpretazione evolutiva dei
principi costituzionali richiamati si attuasse mediante emendamenti alla Costituzione, non potendo avvenire in via giurisprudenziale, pena la violazione del principio contenuto nel precedente medesimo. Ciò tende a rispecchiarsi, dunque, in una loro
interpretazione evolutiva.
Quanto detto è confermato dal dato storico per cui la stessa Corte Suprema Federale, alla quale, com’è noto, è demandato anche
un compito di controllo di costituzionalità delle leggi, spinta dalla necessità di adattare la Costituzione americana alle continue e
profonde trasformazioni sociali avvenute nel corso della storia
statunitense, ha, alfine, definito la regola dello stare decisis, so 50
E, è bene sottolineare, rigida. La Costituzione americana, infatti, non può
essere modificata con legge ordinaria ma, a mente dell’art. 5, sono necessari
due distinti procedimenti aggravati di modifica. Il primo ha inizio con il voto
favorevole di due terzi di entrambe le Camere del Congresso e deve essere
ratificato dagli organi legislativi di tre quarti degli Stati. Il secondo prevede il
voto favorevole a maggioranza di una Convenzione nazionale convocata appositamente su richiesta dei due terzi degli organi legislativi statali. Anche in
questa seconda procedura è necessaria la ratifica di tre quarti degli Stati. Cfr.
in proposito, ex multis, N. OLIVETTI RASON, La dinamica costituzionale degli
Stati Uniti d’America, Padova, 1984; J.R. VILE, The Constitutional Amending
Process in American Political Thought, New York, 1992.
51
V. NUCERA, Sentenze pregiudiziali della Corte di giustizia e ordinamento
tributario interno, Padova, 2010, 117.
19 www.judicium.it
prattutto nei constitutional cases, come “una saggia direttiva”,
piuttosto che “un comando universale ed inesorabile”52.
Tuttavia, deve aggiungersi, negli Stati Uniti, se da un lato viene
riconosciuto alle corti un power of overrule, un potere, cioè, di
modificare il proprio orientamento, dall’altro si riconosce ai
soggetti che hanno costituito rapporti giuridici sulla base del
precedente la possibilità di vantare diritti quesiti (vested rights)
oppure aspettative consolidate (settled expectations), in quanto
tali soggetti devono essere protetti. Onde rispettare tali esigenze,
l’ordinamento americano ha costruito l’istituto del c.d. prospective overruling, nel quale il giudice asserisce la necessità di modificare l’orientamento espresso in precedenti decisioni, dettando, quindi, le regole per le decisioni successive e mantenendo,
invece, il precedente nel caso sottoposto al suo esame al fine di
non deludere l’affidamento legittimo che le parti avessero riposto su quel precedente53.
52
Si veda, per queste considerazioni, A. Anzon, Il valore del precedente, cit.,
47.
53
Per una ricostruzione dell’istituto, con particolare riguardo alla sua applicazione nel diritto italiano, si veda F. SANTANGELI, La tutela del legittimo
affidamento sulle posizioni giurisprudenziali, tra la cristallizzazione delle
decisioni e l’istituto del prospective overruling, con particolare riguardo al
precedente in materia processuale, in www.judicium.it, 2012, 15, il quale,
opportunamente, sottolinea come anche la Corte di Giustizia Europea, con
sent. 8 febbraio 2007, in causa C-3/2006, Groupe Danone/Commissione, in
www.curia-europa.eu, si è autoattribuita il potere di overruling (ma, si veda
anche CGE, 28 giugno 2005, in causa C-189/2002, Dansk Rorindustri e
a./Commissione, in www.curia-europa.eu, annotata da M. SIMONCINI, la politica della concorrenza tra esigenze di effettività e certezza del diritto: un difficile caso di irrogazione di sanzioni, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2005,
1960 ss.), ed anche la nostra Corte Costituzionale, pur se in ipotesi eccezionali, ha esercitato un potere di autolimitazione dell’efficacia retroattiva delle
proprie sentenze. Su tale possibilità, si veda M. BELLOCCI – T. GIOVANNETTI,
Il quadro delle tipologie decisorie nelle pronunce della Corte Costituzionale.
Quaderno predisposto in occasione dell’incontro di studio con la Corte Costituzionale di Ungheria, Palazzo della Consulta, 11 giugno 2010, in
www.cortecostituzionale.it, ove un’ampia rassegna di pronunzie in cui la
Consulta ha esercitato detto potere.
Negli ultimi anni, comunque, il problema della protezione del legittimo affidamento del privato sulla giurisprudenza consolidata, appare molto sentito
anche nell’ambito delle Corti di legittimità italiane soprattutto in campo processuale. Aumentano sempre più, infatti, le sentenze con cui sia la Corte di
Cassazione che il Consiglio di Stato modificano i propri precedenti orientamenti per il futuro (tra le più recenti, ad esempio, Cons. Stato, Sez. IV, 6 dicembre 2013, n. 5822, in www.giustizia-amministrativa.it, la quale, condividendo Corte Cass., Sez. lavoro, 11 marzo 2013, n. 5962, in
www.cortedicassazione.it, specifica le condizioni necessarie per l’utilizzo del
prospective overruling, che devono ricorrere cumulativamente. Secondo questa giurisprudenza, dunque, perché ricorra tale istituto è necessario che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo;
che tale mutamento sia stato imprevedibile in ragione del carattere lungamen-
20 www.judicium.it
te consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, tale, cioè, da indurre la parte
a un ragionevole affidamento su di esso; che la retroattività del nuovo orientamento comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della
parte). Parte della dottrina, però, resta ancorata alla tradizionale lettura per
cui disporre degli effetti temporali della decisione su altre fattispecie avvicina
l’organo giudiziario ad un potere tradizionalmente attribuito solo al legislatore (ma, opportunamente, F. SANTANGELI, La tutela del legittimo affidamento,
cit., 17, avverte che tale potere ben potrebbe essere attribuito alla giurisprudenza in via legislativa. Dello stesso avviso sembra anche C. PUNZI, Il ruolo
della giurisprudenza e i mutamenti d’interpretazione di norme processuali, in
Riv. dir. proc., 2011, 1337 ss.): la giurisprudenza, infatti, mantiene
un’efficacia retroattiva, in quanto non crea ma interpreta la legge (tale visione
tradizionale è strenuamente difesa da G. RUFFINI, Mutamenti di giurisprudenza nell’interpretazione delle norme processuali e “giusto processo”, in Riv.
dir. proc., 2011, 1390 ss., il quale esclude che al fine di risolvere il problema
della tutela dell’affidamento nel precedente e consolidato orientamento giurisprudenziale, possa rivelarsi utile quello che viene definito “un fallace parallelismo tra la legge, naturalmente irretroattiva in materia processuale, e
l’interpretazione giurisprudenziale della stessa, necessariamente dichiarativa di una regola posta altrove e perciò, naturalmente ed innegabilmente, retroattiva”); conseguentemente, quando cambia orientamento altro non fa se
non correggere un precedente errore. Su queste considerazioni, tuttavia, non
può non prevalere l’indefettibile esigenza del rispetto della tutela del legittimo affidamento che impone soluzioni diverse nel “valore superiore del giusto processo”. Sembra, anzi, necessario, in tal modo argomentando, tutelare
pienamente l’affidamento anche se la giurisprudenza consolidata sia riconosciuta errata e contra legem (Corte Cass., S.U., 11 luglio 2011, n. 15144, in
www.cortedicassazione.it).
D’altra parte, come ci ricorda ancora F. SANTANGELI, La tutela, cit., 18,
l’istituto del prospective overruling è già maturato in altri ordinamenti continentali: sia la Francia che la Germania, infatti, conoscono ed applicano tale
istituto.
In Francia, esso è stato introdotto dalla giurisprudenza che ha spesso invocato,
a giustificazione dell’utilizzo di tale strumento, l’art. 2 del codé civil, il quale
disciplina i principi che regolano l’applicazione delle norme nel tempo e che
investe anche il problema della non retroattività di atti legislativi. Qui, inoltre,
l’operatività del prospective sembra riguardare esclusivamente il campo del
diritto processuale, con conseguente esclusione dei mutamenti giurisprudenziali interessanti l’assetto normativo di carattere sostanziale, e, ci si è preoccupati anche di individuare l’organo competente ad operare il prospective
nella Corte di Cassazione, in adunanza plenaria, mentre tale potere non spetta
alle Corti di merito.
Nell’ordinamento tedesco, invece, si registra una diversa e meno intensa affermazione applicativa dello strumento in questione: qui, infatti, sembra parimenti avvertita la necessità – oltre che di garantire l’esigenza di certezza del
diritto – di accordare un’adeguata tutela all’affidamento riposto dalla parte in
un consolidato assetto esegetico-normativo, improvvisamente travolto da
un’eventuale inversione giurisprudenziale. Così, si distinguono le ipotesi in
cui l’affidamento nel precedente viene ritenuto meritevole di tutela da quelle
in cui non appare giustificabile una limitazione all’efficacia retroattiva
dell’overruling. Ciò si verifica ogni qualvolta il mutamento giurisprudenziale
comporti una restrizione delle facoltà e dei poteri della parte, un onere ulteriore a suo carico, idoneo a pregiudicare l’esercizio dei diritti. Occorre, inoltre che, a seguito di un contemperamento di interessi con l’altra parte, che
21 www.judicium.it
Il prospective overruling si esplicita, dunque, nella possibilità
per il giudice di modificare un precedente ritenuto non più adeguato a regolare quella determinata fattispecie, per tutti i casi
che si presenteranno in futuro, decidendo però il caso alla sua
immediata cognizione in base alla regola superata54.
Come si è visto, dunque, i giudici americani, da quelli in posizione meno elevata alla Corte Suprema Federale, non essendo
tenuti a seguire i propri precedenti e potendosene, anzi, discostare liberamente, ove ritengano di dover cambiare orientamento, si
confrontano con una giurisprudenza che presenta, rispetto a
quella inglese, una maggiore elasticità e varietà di soluzioni e
che, conseguentemente, permette una più ampia possibilità di
manovra, pur non venendo meno l’obbligo formale di uniformarsi ai principi affermati dalle istanze giudiziarie superiori55.
Il referente che si viene, in tal modo, ad assumere è dato, più che
dai singoli precedenti, dal quadro complessivo degli orientamenti giurisprudenziali emersi su una data questione. Fermo, però,
restando che, comunque, il riferimento al precedente resta “il
punto di partenza obbligato, il passaggio tipico e costante
dell’iter decisorio, mentre i casi di vero e proprio overruling di
propri precedenti costituiscono, anche presso la stessa Corte
riceverebbe un immediato vantaggio dal nuovo orientamento, quest’ultima
non debba ritenersi irragionevolmente pregiudicata dall’applicazione del prospective, e quindi “dall’artificioso differimento della vigenza della nuova regola giurisprudenziale” (in tal senso, F. SANTANGELI, La tutela, cit., 19).
L’affidamento, invece, non viene ritenuto meritevole di tutela – in quanto
non incolpevole – quando la parte avrebbe dovuto conoscere l’affiorare del
mutamento e comportarsi di conseguenza, improntando la propria condotta
all’osservanza del principio di precauzione. Su quest’ultimo punto, si veda C.
CONSOLO, Le Sezioni Unite tornano sull’overruling, di nuovo propiziando la
figura dell’avvocato “internet-addicted” e pure “veggente”, in Giur. Cost., 4,
2012, 3166 ss.
54
In proposito, R.J. TRAYNOR, Prospective overruling: a question of judicial
responsibility, in Hastings law journal, 1999, 771.
Sembra, comunque, doveroso aggiungere in questa sede che anche il sistema
inglese, con le ricordate vicende della House of Lords e della Court of Appeal,
si sta avvicinando, con le dovute cautele, sempre più al sistema nordamericano. Anche in Inghilterra, infatti, è ormai possibile per i giudici superiori discostarsi dai propri precedenti ove ritengano sia “giusto farlo”, ma, alla stregua del menzionato istituto statunitense, senza “disturbare retroattivamente”
i rapporti già sorti. Per un primo esame della nozione di prospective overruling in Inghilterra, e delle critiche a questa rivolta sotto il profilo della distorsione della funzione giudiziaria, si veda A. BARAK, La discrezionalità del
giudice, trad. it. di I. MATTEI, Milano, 1995, 205.
55
In generale, per l’applicazione della regola del precedente negli USA, si
vedano M.N.S. SELLERS, Legal history and legal theory: the doctrine of precedent in the United States of America, in American journal of comparative
law, 2006, 67 ss.; U. Mattei, Stare decisis. Il valore del precedente giudiziario negli Stati Uniti, Milano, 1988.
22 www.judicium.it
Suprema, un numero pur sempre limitato rispetto alla complessiva massa delle pronunzie”56.
Sembra potersi ravvisare, sotto questo aspetto, una sorta di sostanziale analogia con ciò che si verifica nei sistemi di civil law,
confermata, comunque, dal comune riconoscimento57 di un progressivo avvicinamento a quest’ultimo da parte del sistema statunitense.
3. – LA “SOLUZIONE” ITALIANA.
Nei sistemi di civil law, infatti, pur essendo vero, da un lato, che,
fino alle ricordate riforme del 2006 e del 2009 per quanto riguarda l’Italia, non è mai stata espressamente formulata una regola analoga a quella dello stare decisis, dall’altro lato, il legislatore ha sempre manifestato favore o, quantomeno, neutralità,
verso la prassi del precedente58. In genere, una decisione di un
56
In tal senso A. ANZON, Il valore del precedente, cit., 54.
In tal senso, R.C. VAN CAENEGEM, Judges, legislators and professors.
Chapters in European legal history, Cambridge, 1987, trad. it. a cura di M.
ASCHERI, I signori del diritto. Giudici, legislatori e professori nella storia
europea, Milano, 1991, 7.
Questo orientamento, tuttavia, era stato portato alle sue estreme conseguenze
da G.A. MICHELI, Contributo allo studio della formazione giudiziale del diritto, cit., 54 ss., il quale è giunto a sostenere che negli Stati Uniti non esisterebbero precedenti vincolanti. Più condivisibile sembra, piuttosto,
l’osservazione di P.G. Kauper, La regola del precedente e la sua applicazione nella giurisprudenza costituzionale degli Stati Uniti, in G. TREVES (a cura
di), La dottrina del precedente nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, Torino, 1971, 220, per il quale, il fatto che i giudici americani siano
“flessibili nell’uso del precedente…non significa che la dottrina del precedente abbia perso il suo significato nel diritto americano o che sia irrilevante
rispetto al metodo con cui si arriva alla decisione”.
58
In tal senso V. MARINELLI, Precedente, cit., 876, il quale sottolinea come
un esplicito riconoscimento del valore giuridico del precedente si rinviene nel
c.c. svizzero, che prevede, all’art. 1, comma 3, il dovere del giudice di attenersi alla dottrina ed alla giurisprudenza, e nel codigo civil spagnolo che,
all’art. 1, comma 6, prevede come fonte di completamento del sistema normativo la giurisprudenza consolidata della Corte Suprema.
Si deve, peraltro, aggiungere che in Spagna, anzi, è stato espressamente previsto un motivo di impugnazione teso a valorizzare il precedente: il codice di
procedura civile, infatti considerava errore di diritto per una corte inferiore il
discostarsi dalla doctrina legal, cioè la presenza di due decisioni conformi
della Suprema corte su un dato punto. Attraverso questa disposizione, quindi,
si è instaurato un vincolo al precedente in senso verticale. Il richiamato
comma 6 dell’art. 1, con la locuzione jurisprudencia fa riferimento agli
orientamenti consolidati, ed è possibile il ricorso per cassazione per violazione dei principi enunciati dalla Suprema Corte. Le sentenze da questa emessa,
inoltre, vengono integralmente pubblicate e il valore del precedente risulta,
così, avere un fondamento giuridico ben solido, ulteriormente rafforzato dalla
giurisprudenza del Tribunal Costitucional, dove il vincolo al precedente è
visto come derivante dal principio di eguaglianza. Per un’analisi di tale giuri57
23 www.judicium.it
tribunale supremo “sarà rispettata dai Tribunali inferiori nella
stessa misura in cui lo sarà la decisione di un giudice d’appello
americano od inglese”59, conseguentemente, la situazione, pur
partendo il diritto continentale da premesse teoriche diverse, risulta spesso identica a quella che si verifica nell’ambito del c.d.
diritto comune60: i giudici, secondo alcuni61, per mezzo delle loro decisioni, creano un diritto a sé stante, accessorio al diritto
codificato, tanto che le decisioni più importanti sono, in genere,
seguite nei casi successivi.
Tuttavia, mentre il giurista anglosassone tende ad elaborare la
norma induttivamente, muovendo dal raffronto tra il caso attuale
ed altri simili e considerando le soluzioni che a questi sono state
date in passato, il giurista continentale elabora la norma da applicare al caso concreto in esame deducendola in via di successive specificazioni da regole e principi più generali, comunque
contenuti nei testi scritti, quali codici e leggi62.
La differenza che si ravvisa, in definitiva, consiste essenzialmente nel fatto che, mentre negli ordinamenti di common law la
sprudenza, si veda M. GASCON ABELLAN, In merito alla giurisprudenza del
Tribunal Costitucional spagnolo sull’obbligo dei giudici di rispettare il proprio precedente: un’esigenza dell’argomentazione razionale, in Giur. It., V,
1993, 554 ss., che sottolinea, in particolare, la funzione di controllo della razionalità della decisione la quale può essere assolta dall’autoprecedente, ossia
dall’obbligo di prendere in considerazione il proprio precedente e di non discostarsene se non in presenza di serie ragioni, sulle quali è necessario ben
argomentare.
59
Così K. ZWEIGERT – H. KOTZ, Introduzione al diritto comparato, cit., 315.
Nel medesimo senso, M. BIN, Precedente giudiziario, “ratio decidendi” e
“obiter dictum”, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1988, 1004.
60
Si veda, in tal senso, L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna,
1996, 120, il quale, infatti, sottolinea che “il carattere “diffuso” del potere e
dell’ordine giudiziario, dovuto alla reciproca indipendenza dei singoli giudici, non esclude affatto – ma anzi di regola comporta – che si formino precedenti così persuasivi da essere largamente osservati e riaffermati: tanto da
produrre interpretazioni consolidate, anche nell’ambito degli ordinamenti
continentali europei come quello italiano”.
61
P. G. Stein, I fondamenti, cit., 139, il quale, comunque, evidenzia le differenze esistenti, sottolineando che “il primo dovere della corte è di applicare
le norme del codice, che in teoria è il solo diritto vero ed include tutta la disciplina della materia”. Tuttavia, si veda anche G. ALPA, La creatività della
giurisprudenza, in G. ALPA – P.M. PUTTI, I precedenti. La formazione giurisprudenziale del diritto civile, I, Torino, 2000, 7, il quale sottolinea che “vi
sono interi settori dell’ordinamento, e in particolare dell’ordinamento privatistico (ma anche e, a parere di chi scrive, soprattutto, nel campo del diritto
amministrativo, come tra poco si vedrà), in cui le regole del codice costituiscono un mero punto di riferimento o addirittura un supporto marginale”.
62
In tal senso, M. CROCE, Precedente giudiziale e giurisprudenza costituzionale, in Contr. e impresa, 2006, 1123; A. PIZZORUSSO, Delle fonti, cit., 527,
il quale, peraltro, evidenzia le ragioni storico-sociali di tale differenza: grande
prestigio dei giudici in Inghilterra, diffidenza verso i giudici dell’età
dell’assolutismo sul continente.
24 www.judicium.it
sentenza giurisdizionale vincola non solo in quanto proviene da
una magistratura superiore, ma anche e soprattutto perché crea il
diritto, tant’è che essa vincola, nei termini che si sono visti, anche i giudici che l’hanno pronunciata, nei sistemi di civil law,
come in Italia, la sentenza non crea il diritto (ma ciò, come si
vedrà, solo in parte, soprattutto con riferimento alla giustizia
amministrativa), quindi non vincola, ma persuade in ragione
dell’autorità da cui essa proviene. D’altra parte, la funzione nomofilattica viene svolta da un organo superiore, sottratto ad ulteriori controlli giurisdizionali, per la necessità, avvertita comunque in tutti gli ordinamenti ed in tutte le giurisdizioni, di assicurare una corretta ed uniforme interpretazione giurisprudenziale.
Inoltre, come evidenziato dalla dottrina più attenta63, nella realtà
dell’esperienza storica, la distinzione tra una situazione di autorità persuasiva, nella quale il precedente è rigidamente osservato,
ed una situazione di precedente vincolante, che però risulta evaso in vari modi e per varie ragioni, si rivela un rilievo del tutto
marginale, stante che l’autorità del precedente è un quid interno,
e non già esterno, al comportamento dei giudici ed, anzi, la
“persuasione” (sulla bontà o giustizia di una decisione) è solo
un atto mentale. Di qui deriva, ancora, che, in realtà, le differenze tra i due sistemi sono solo in apparenza enormi.
Se è innegabile, quindi, come appena visto, che i sistemi di civil
e common law tendono ad un progressivo avvicinamento, soprattutto, peraltro, dal momento in cui è entrata pienamente in
funzione la Corte di Giustizia UE, che, com’è noto, con la sua
giurisprudenza, ed in particolare per mezzo della tecnica del rinvio pregiudiziale64 imposta agli organi giudiziari operanti negli
Stati membri, non solo ha contribuito enormemente a tale com 63
F. SAITTA, Valore del precedente giudiziale, cit., 610, che richiama G.
GORLA, Giurisprudenza, in Enc. Dir., XIX, Milano, 1970, 496, e ci ricorda,
richiamando ancora G. GORLA, Appunti per una ricerca storico-comparativa
in tema di autorità delle decisioni giudiziali, in Contratto e impresa, 1989,
605 ss., che in realtà, nel continente l’autorità giuridicamente vincolante del
precedente fu riconosciuta ben prima che sorgesse in Inghilterra. In Italia, in
particolare, tale autorità, per i tribunali supremi degli Stati preunitari, si affermò tra il 1500 e il 1700, per poi disperdersi con l’affermarsi delle idee illuministe, di cui subito si dirà, e con il formarsi dello Stato unitario.
64
Sulla tecnica del rinvio pregiudiziale e sull’opera di integrazione della Corte di Giustizia, si rinvia, per le linee generali, a F. ASTONE, Integrazione giuridica europea e giustizia amministrativa, Napoli, 1999; ID., Il processo
normativo dell’Unione Europea e le procedure nazionali per l’esecuzione
degli obblighi comunitari, Torino, 2007; L. AZOULAI, Gli sviluppi recenti
dell’integrazione amministrativa europea attraverso la giurisprudenza della
Corte di Giustizia, in S. BATTINI – G. VESPERINI (a cura di), Lezioni di diritto
amministrativo europeo, Milano, 2006; G. TESAURO, Diritto dell’Unione Europea, Padova, 2012.
25 www.judicium.it
65
mistione di sistemi, ma, come esattamente evidenziato , attraverso l’uniforme interpretazione ed applicazione del diritto Europeo ha superato la previsione dell’art. 267 TUE (ex art. 234 Tr.
CE) con il fondamentale supporto di un nuovo tipo di relazioni
tra, per quanto qui interessa, la Corte di Giustizia e le corti nazionali “inferiori”, è anche vero che gli ordinamenti continentali,
e, più in particolare l’ordinamento italiano, si sono sempre mostrati, storicamente, riluttanti, come sembra, ora, confermare il
quesito posto alla Corte di Giustizia da parte del CGA con
l’ordinanza da cui muove il presente lavoro, nell’ammettere un
certo grado di vincolatività del precedente giurisprudenziale interno, anche se proveniente dalle Corti Superiori.
Come appena ricordato, dunque, proprio l’Unione Europea,
sempre più orientata alla formazione di un’Unione di tipo federale, spinge verso la realizzazione di un diritto processuale europeo, applicabile a tutti gli Stati membri66.
Il problema principale che si è posto in questo campo è stato,
ovviamente, quello di conciliare la diversità di sistemi processuali nazionali, spesso assai distanti tra di loro, soprattutto in relazione alla diversa strutturazione e finalità dei sistemi di common law e civil law.
Come si è appena visto, infatti, nei primi vale la regola per cui il
precedente giurisdizionale, vincolante, crea il diritto; mentre, nei
secondi, in virtù dell’applicazione del principio della separazione dei poteri, solo il Parlamento, espressione del potere legislativo, può imporre norme, e il precedente giurisdizionale ha un
mero valore orientativo potendo sempre essere ribaltato da un
altro giudice. Ciò varrebbe non soltanto per le magistrature superiori, ma anche per la Corte Costituzionale, pur essendo essa
“il giudice delle leggi”67.
65
A. BARONE, The European “nomofilachia” network, in Riv. It. Dir. Pubbl.
Comunit., 2013, 351.
66
Sull’incidenza del diritto europeo sui sistemi di giustizia nazionali e, in generale, sulla giustizia europea, si veda E. CHITI, C. FRANCHINI, M. GNES, M.
SAVINO, M. VERONELLI (a cura di), Diritto amministrativo europeo – casi e
materiali, Milano, 2005, 235 ss., ove ampi rinvii alla giurisprudenza.
67
Si deve, tuttavia, puntualizzare che, in realtà, le pronunce della Corte Costituzionale scontano, per opinione diffusa, un alto tasso di creatività che
consente alle stesse, in presenza di determinate condizioni, di superare i confini naturali dell’interpretazione giudiziale per addentrarsi verso una funzione
che non è solo “correttiva”, bensì “integrativa” del sistema delle fonti. Si vedano, su questo punto, sul quale si tornerà a breve, le considerazioni di E.
CHELI – F. DONATI, La creazione giudiziale del diritto nelle decisioni dei
giudici costituzionali, in Dir. pubbl., 2007, 155 ss. Quanto, invece, alla loro
vincolatività nei confronti degli altri giudici, sembra opinione altrettanto diffusa quella per cui ad esse può, semmai, attribuirsi un’efficacia persuasiva,
dettata soprattutto dal prestigio e dall’autorevolezza della Corte. In tal senso,
per tutti, A. ANZON, Il valore del precedente nel giudizio sulle leggi, Roma,
26 www.judicium.it
Il problema si è posto e, in parte, continua a porsi poiché, com’è
noto, i principi di diritto europeo, e, ciò vale anche per i principi
di diritto processuale, vengono generalmente introdotti negli ordinamenti nazionali non solo per mezzo degli atti legislativi europei, ma soprattutto dalle sentenze degli organi giurisdizionali
europei68. È innegabile, d’altra parte, che il meccanismo del rinvio pregiudiziale previsto dall’art. 267 TUE (234 Tr. CE), rappresenta lo “straordinario motore dell’integrazione europea”69:
i giudici nazionali, infatti, a mente della norma richiamata, possono – ma se di ultima istanza sono tenuti a70 - sollevare innanzi
agli organi di giustizia comunitaria la questione pregiudiziale
ogniqualvolta il caso sottoposto al loro esame presenti profili di
dubbia compatibilità con il diritto comunitario o di difficile interpretazione e sono tenuti, una volta che tali organi si siano
pronunciati, ad applicare la sentenza da essi emanata. In tal modo, i giudici nazionali si inseriscono in un “circuito di collaborazione” con la Corte di Giustizia, nel quale quest’ultima, mantenendo la parola definitiva sull’interpretazione o la validità del
diritto comunitario controverso, assume le funzioni di guida nella corretta applicazione della normativa europea71. Tutte le questioni di interpretazione e di validità, senza distinzione o possibilità di separare questioni di maggiore e minore importanza,
devono arrivare davanti al giudice europeo. Non è chi non veda,
dunque, come il meccanismo del rinvio pregiudiziale svolga un
ruolo fondamentale e rappresenti “la chiave di volta dell’intero
sistema di garanzia giurisdizionale” 72 oltre che il luogo di in 1985; A. PIZZORUSSO, Effetto di “giudicato” ed effetto di “precedente” delle
sentenze della Corte Costituzionale, in Giur. Cost., 1966, 1977 ss.
68
Le sentenze della Corte di Giustizia, infatti, in virtù del principio di uniformità del diritto comunitario, devono essere applicate negli ordinamenti
nazionali. L’applicabilità delle statuizioni della Corte ha permesso
l’introduzione nel nostro sistema processuale amministrativo di numerosi
principi e novità che, com’è noto, hanno modificato e, spesso, migliorato le
normative nazionali e gli standards di tutela dei cittadini.
69
G. FALCON, Separazione e coordinamento tra giurisdizioni europee e giurisdizioni nazionali nella tutela avverso gli atti lesivi di situazioni soggettive
europee, in Riv. it. Dir. pubbl. comunit., 2004, 1153 ss.
70
La disciplina differenziata per la quale, contrariamente ai giudici di I grado
che hanno la facoltà di sollevare la questione pregiudiziale, i giudici di ultima
istanza ne hanno l’obbligo ove non vi sia già una giurisprudenza in materia o
la corretta applicazione della norma risulti chiara, trova la sua ragione
d’essere nell’esigenza di scongiurare il pericolo di una stabilizzazione di erronee interpretazioni del diritto europeo che, in questa sede, produrrebbero
effetti molto più gravi rispetto ad eventuali valutazioni inesatte da parte delle
giurisdizioni di prima istanza, sempre correggibili per mezzo dei normali
mezzi di impugnazione.
71
R. CARANTA, La giustizia amministrativa comunitaria, in S. CASSESE (a
cura di), Trattato di diritto amministrativo, V, Milano, 2003, 4967.
72
F. ASTONE, L’integrazione giuridica europea, cit., 137.
27 www.judicium.it
contro tra il diritto europeo e quelli nazionali.
Il presupposto del rinvio è la pendenza davanti al giudice nazionale73 di una controversia che implichi profili di diritto comuni 73
Invero, si deve rilevare una certa incertezza sul significato di giudice nazionale ai sensi dell’art. 234 Tr. CE (oggi art. 267 TUE). Sul punto, la Corte
non ha mai preso una chiara posizione sostenendo, infatti, che la nozione di
giurisdizione nazionale non dipende dalle diverse concezioni nazionali, ma
costituisce un concetto proprio del diritto comunitario.
Per quanto riguarda l’ordinamento italiano è interessante, a tal proposito, la
decisione sul caso Garofalo (CGE, 16 ottobre 1997, in cause riunite da C69/96 a C-79/96, in Urb. e app., 1998, 441 ss, con nota di M. PROTTO, Giurisdizione nazionale ed effettività della tutela delle situazioni soggettive di matrice comunitaria, ma, anche in G.d.a., 1998, 139 ss., con nota di M. GNES,
Consiglio di Stato e rinvio pregiudiziale nell’ambito dei ricorsi straordinari.),
originato da un rinvio pregiudiziale del Consiglio di Stato in sede consultiva,
nell’ambito di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Orbene,
si era posto il problema se l’organo remittente, la cui natura giurisdizionale in
altre sedi non è dubbia, fosse legittimato in quel caso ad invocare l’odierno
art. 267. La Corte, richiamando la sua precedente decisione Dorsh Consult ,
ha risolto il caso positivamente; premessa la natura di contenzionso amministrativo del ricorso straordinario, infatti, essa ha precisato che
nell’ordinamento italiano il soggetto che voglia ottenere l’annullamento di un
atto ritenuto illegittimo ha la possibilità di scegliere tra due rimedi, il ricorso
straordinario ed il ricorso giurisdizionale innanzi al T.A.R., che sono ambedue dotati delle fondamentali caratteristiche giurisdizionali, oltre ad essere
alternativi l’uno all’altro. La Corte, inoltre, non ha mancato di sottolineare
come, nell’ambito del ricorso straordinario, il parere del Consiglio di Stato
non solo è obbligatorio e semivincolante, ma deve anche contenere il dispositivo e la motivazione, sì che la decisione finale, pur formalmente emanata dal
Presidente della Repubblica che organo giurisdizionale non è, assomiglia più
ad una sentenza giurisdizionale che ad un atto amministrativo qual’è il decreto presidenziale. Si deve, infine, rilevare, e la Corte di Giustizia non ha mancato di farlo, che il Consiglio di Stato è un organo permanente, imparziale e
indipendente, e che i suoi componenti non possono far parte contemporaneamente sia delle due sezioni consultive che delle rimanenti sezioni giurisdizionali. Da quanto detto, dunque, non vi sarebbe alcun valido motivo per
negare al Consiglio di Stato di sollevare la questione pregiudiziale, anche
nell’ambito di un ricorso amministrativo.
Più recente è, invece, il dubbio espresso da Cons. Stato, Sez. VI, 5 marzo
2012, n. 1244, in www.giustizia-amministrativa.it, sul senso complessivo del
meccanismo descritto dall’art. 267 TFUE, e, per conseguenza, i limiti dei poteri riconosciuti ai giudici nazionali una volta che siano investiti da una delle
parti della richiesta di interpello alla Corte di Giustizia UE. Sul punto, A.
RUGGERI, Il Consiglio di Stato e il “metarinvio” pregiudiziale (a margine di
Cons. St. n. 4584 del 2012), in Dir. UE, 2012, 397 ss.; M.P. CHITI, Il rinvio
pregiudiziale e l’intreccio tra diritto processuale nazionale ed europeo: come
custodire i custodi dagli abusi del diritto di difesa?, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2012, 745 ss. In risposta, Corte Giust. UE, Sez. IV, 18 luglio 2013, in
causa C-136/2012, Consiglio nazionale dei geologi c/ Autorità garante della
concorrenza e del mercato, in www.curia.europa.eu, ha stabilito, peraltro richiamando alcuni suoi precedenti, che “l’art. 267, terzo comma, TFUE deve
essere interpretato nel senso che spetta unicamente al giudice del rinvio determinare e formulare le questioni pregiudiziali vertenti sull’interpretazione
del diritto dell’Unione che esso ritiene rilevanti ai fini della soluzione del
28 www.judicium.it
tario. Peraltro, non è necessario che siano le stesse parti a richiedere il rinvio, perché la questione può essere sollevata d’ufficio
dal giudice innanzi al quale pende la controversia. Quest’ultimo,
però, non può disapplicare il provvedimento fino a quando non
sopraggiunga una sentenza conforme del giudice comunitario,
pur potendone sospendere provvisoriamente e per ragioni di urgenza l’efficacia nelle more della pronuncia comunitaria. La
sentenza resa su rinvio pregiudiziale – sia di interpretazione che
di validità - è un provvedimento giurisdizionale dotato, come si
è sopra accennato, di efficacia obbligatoria non soltanto
nell’ambito del giudizio a quo, ma anche al di fuori di esso. È un
dato incontrovertibile, infatti, che molti sono i principi di derivazione giurisprudenziale che giudici ed istituzioni nazionali sono tenuti ad applicare nelle situazioni di derivazione comunitaria,
ma sempre più spesso, anche rispetto a situazioni di mero diritto
nazionale.
Come si accennava poc’anzi, quello della obbligatoria applicazione nel diritto e, soprattutto, nel processo nazionale dei principi di derivazione giurisprudenziale ha rappresentato, indubbiamente, uno degli ostacoli principali per gli ordinamenti di civil
law, che non riconoscono, come più volte ribadito nel corso del
presente lavoro, il valore precettivo (e soprattutto creativo) del
precedente giurisprudenziale, alla piena accettazione
dell’integrazione giuridica europea.
Tuttavia, sembra doversi puntualizzare che, a ben vedere, la resistenza mostrata dai giudici nazionali nell’ammettere la vincolatività delle sentenze della Corte di Giustizia, dev’essere inquadrata, più esattamente, nel fatto che l’ordinamento europeo, e
quindi le decisioni derivanti dai suoi organi giudiziari, è tutt’ora
percepito come estraneo all’ordinamento nazionale. E ciò, nonostante le note vicende che hanno portato, alfine, la Corte Costituzionale 74 a tentare di superare la questione, stabilendo che
“poiché ai sensi dell’art. 164 (220, oggi abrogato dal Trattato di
Lisbona, e sostituito, nella sostanza, dall’art. 19 TUE) del Trattato spetta alla Corte di Giustizia assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del medesimo Trattato, se ne deve dedurre che qualsiasi sentenza che applica e/o interpreta una norma comunitaria ha indubbiamente carattere di
procedimento principale. Non devono essere applicate le norme nazionali
che abbiano l’effetto di ledere tale competenza”. Per un commento, si rinvia
alle considerazioni svolte in proposito da G. VITALE, La logica del rinvio
pregiudiziale tra obbligo di rinvio per i giudici di ultima istanza e responsabilità, in Riv. it. Dir. pubbl. comunit., 2013, 59 ss., che prospetta una responsabilità dello Stato per l’omesso rinvio dei giudici di ultima istanza.
74
Corte Cost., 11 luglio 1989, n. 389, in Corr. Giur., 1989, 1058 ss., con nota
di F. CAPELLI, In tema di adeguamento della legislazione italiana alla normativa comunitaria.
29 www.judicium.it
sentenza dichiarativa del diritto comunitario, nel senso che la
Corte di Giustizia, come interprete qualificato di questo diritto,
ne precisa autoritariamente il significato con le proprie sentenze e, per tale via, ne determina, in definitiva, l’ampiezza e il
contenuto delle possibilità applicative”75.
È, dunque, evidente come nel nostro ordinamento è sembrato
sussistere, almeno fino all’entrata in vigore delle riforme cui si è
accennato all’inizio di questo lavoro, per mezzo delle quali, pur
se con difficoltà si sta tentando di superare il problema, un doppio sistema per il quale, si ammette l’operatività del principio
dello stare decisis, e, più precisamente, della creatività del diritto delle sentenze di livello sovranazionale, mentre, a livello puramente interno, si continua(va) ad ammettere solo la mera persuasività del precedente proveniente dalle istanze superiori.
Pur se, comunque, condividendo la dottrina più attenta76, “il
75
Del resto, è evidente il ruolo importantissimo svolto, nell’edificazione di
un sistema di diritto europeo uniforme, dalla cooperazione dei giudici europei
con quelli nazionali. Cooperazione che può svolgersi pienamente solo laddove gli ordinamenti nazionali accettino di essere elastici a fronte
dell’introduzione di regole derivanti non solo dal diritto comunitario in senso
stretto, ma anche dai diritti degli altri Stati membri. È un dato acquisito, infatti, che l’europeizzazione implica anche la commistione di principi ed istituti
appartenenti ai vari ordinamenti nazionali – spesso rielaborati e adattati alla
mutevole realtà giuridica dalla giurisprudenza comunitaria – che insieme dovranno formare lo jus commune europeo.
Altre difficoltà, peraltro, si sono manifestate per la piena integrazione europea. Tuttavia, non essendo questa la sede per un’ulteriore disamina
dell’argomento, sia consentito rinviare, oltreché ai lavori specifici sul diritto
europeo, alle brevi considerazioni svolte in A. CALDARERA, Contributo allo
studio della fase cautelare nel processo amministrativo. Il lungo cammino
della tutela interinale verso il giudicato cautelare, Torino, 2012, 34 ss.
76
M. TARUFFO, Dimensioni del precedente giudiziario, in Riv. trim. dir. e
proc. civ., 1994, 411 ss., il quale sottolinea la necessità di formulare una teoria generale del precedente, posto che “il precedente esiste in ordinamenti
storicamente e strutturalmente diversi, e che esso presenta caratteri diversi
nei vari ordinamenti. Tale teoria dovrebbe servirsi di concetti ampi e differenziati, capaci di ricondurre a relativa unità fenomeni che presentano molteplici peculiarità”, e, soprattutto, rileva come “il problema dell’efficacia del
precedente non può dunque ridursi alla semplice alternativa tra efficacia
vincolante e non vincolante. Occorre invece ipotizzare una scala composta
da vari gradi di efficacia del precedente”.
In proposito, sembra illuminante anche la posizione di P. GROSSI, La formazione del giurista e l’esigenza di un odierno ripensamento metodologico, in
Quaderni fiorentini, 32, 2003, 45, per il quale “il ruolo del giudice si è ingigantito; è facile constatazione che istituti nodali del vivere civile, fuori delle
secche di un legislatore troppo lento e anche troppo distratto, hanno avuto e
stanno tuttora avendo una formazione giudiziale (e anche dottrinale):
l’esempio della responsabilità civile, specchio fedele degli attuali rivolgimenti con le sue frontiere mobilissime, ci si presenta come davvero emblematico (ma, si dovrebbe aggiungere, il fenomeno si presenta in modo molto più
marcato nell’ambito del diritto amministrativo, laddove, come a breve si ve-
30 www.judicium.it
precedente è fenomeno estremamente diffuso anche negli ordinamenti di civil law”. Il problema, allora, deve essere inquadrato
più esattamente in termini non di vincolatività o meno del precedente, bensì di forza creatrice del diritto dello stesso. Ed è
proprio il rischio di un giudice che si trasformi in legislatore che
la resistenza degli ordinamenti continentali tende ad evidenziare
e scongiurare. Il principio di separazione dei poteri, infatti, viene
violato e snaturato non nel momento in cui si stabilisce che i
giudici devono seguire i precedenti delle corti superiori, ciò che,
semmai, potrebbe farsi rientrare in una violazione
dell’indipendenza dei magistrati tra di loro e della propria libertà
di scelta, ma solo laddove si consenta ad un organo espressivo di
un potere diverso da quello legislativo, qual è, ovviamente, quello giudiziario, di esercitare prerogative che non gli spettano
nemmeno in via mediata.
Si deve segnalare, a questo proposito, la tendenza, espressa già
da lungo tempo, della Corte Costituzionale a non limitarsi alla
mera interpretazione delle norme legislative, bensì ad orientarsi,
sempre più, verso una giurisprudenza creativa, soprattutto per
mezzo delle c.d. sentenze manipolative77, che ha finito per incidere, con intensità crescente, non solo sulla libertà interpretativa
riconosciuta agli organi del potere giurisdizionale, ma anche
sull’autonomia decisionale spettante agli organi di indirizzo politico78.
In tal modo, la Corte ha sempre più operato non soltanto come
mero custode dell’impianto costituzionale, ma, piuttosto, e questo sembra, almeno a chi scrive, il dato più interessante, come
“soggetto promotore di riforme”79 ispirate ai principi e valori
costituzionali, attraverso un’azione di stimolo e rottura che ha
drà, gli istituti di formazione giurisprudenziale sono assai numerosi). E la
stessa civilistica italiana più sensibile si interroga da tempo sul valore del
“precedente”, trapiantando con disinvoltura una mentalità peculiare a un
pianeta ritenuto fino a poco tempo fa distante ed alieno come il common
law”.
77
In particolare, con riferimento più specifico alle sentenze additive e sostitutive, giustamente, G. ZAGREBELSKY, La Corte Costituzionale e il legislatore,
in P. BARILE – E. CHELI – S. GRASSI (a cura di), Corte Costituzionale e sviluppo della forma di governo italiana, Bologna, 1982, 109, ne ha parlato come di “sentenze – legge”. Le prime, infatti, mirano a superare le omissioni
del legislatore nell’attuazione dei principi costituzionali, introducendo la
norma necessaria a sanare la situazione di illegittimità; le seconde, invece,
mirano ad evitare possibili vuoti di disciplina conseguenti a caducazioni parziali, indicando direttamente nel dispositivo la norma destinata a prendere il
posto di quella dichiarata illegittima.
78
In tal senso, E. CHELI – F. DONATI, La creazione giudiziale del diritto, cit.,
158. Ma, ex multis, si veda anche F. MODUGNO, Ancora sui controversi rapporti tra Corte Costituzionale e potere legislativo, in Giur. Cost., 1988, 16 ss.
79
Si veda, in argomento, G. SILVESTRI, Le sentenze normative della Corte
Costituzionale, in Giur. Cost., 1981, 1684 ss.
31 www.judicium.it
molto spesso consentito di superare lo stato di inerzia del potere
politico e di aprire la via a nuovi interventi del legislatore80.
Proprio al fine di salvaguardare la discrezionalità del legislatore,
infatti, la Corte ha, poi, utilizzato una tecnica nuova, sfociata
“nell’invenzione” delle sentenze additive c.d. di principio o di
meccanismo o a dispositivo generico81, che si limitano a dichiarare l’incostituzionalità della norma impugnata nella parte in cui
non prevede un “meccanismo” idoneo a garantire il rispetto del
principio di eguaglianza, rimettendo, di conseguenza, al legislatore l’individuazione degli strumenti all’uopo necessari. In assenza dell’intervento richiesto al legislatore, tuttavia, si apre al
giudice la possibilità, da verificare caso per caso, di trovare, nei
principi indicati dalla Corte, il parametro per la soluzione della
controversia sottoposta al suo giudizio.
Con la tecnica appena menzionata, la Corte ha potuto contemperare le diverse esigenze dell’immediata eliminazione della norma incostituzionale con il rispetto dell’autonomia del legislatore,
che è chiamato a colmare il vuoto prodotto dalla sentenza, secondo i principi fissati dalla Corte stessa, suscettibili, in alcuni
casi, di essere applicati, ove la legge non intervenga, direttamente dai giudici.
Quanto alla forza vincolante delle sentenze della Corte, la tradizione impone di considerare anch’esse meramente persuasive,
ma, ragioni di coerenza e stabilità della giurisprudenza, di certezza del diritto e prevedibilità delle decisioni, unitamente, ovviamente, alla posizione di autorevolezza e prestigio assunta dalla Corte, considerata quasi come viva vox constitutionis82 inducono a ritenere, più esattamente, applicabile il principio dello
stare decisis anche relativamente a quest’ultimo aspetto, con
l’ovvia precisazione che esso opera anche nei confronti della
medesima Corte, sicché, come visto in relazione alle Alte Corti
inglesi e statunitensi, ove voglia modificare il proprio precedente, dovrà motivare adeguatamente il mutamento di opinione.
Non è certamente questa la sede per un’ulteriore disamina della
80
Ciò che in parte, a ben vedere, potrebbe dirsi anche della giurisprudenza
della Corte di Cassazione e, più in particolare, come meglio si puntualizzerà
in seguito, del Consiglio di Stato.
81
Su questo tipo di pronunce della Corte Costituzionale, si veda, tra i molti
contributi, in particolare, P. FALZEA, Norme, principi, integrazione. Natura,
limiti e seguito giurisprudenziale delle sentenze costituzionali a contenuto
indeterminato, Torino, 2005.
82
A. SAITTA, Prime considerazioni sulla motivazione delle sentenze costituzionali, con particolare riguardo alla tecnica argomentativa
dell’autocitazione, in A. Ruggeri (a cura di), La motivazione delle decisioni
della Corte Costituzionale, Torino, 1994, 290 ss.
32 www.judicium.it
83
giurisprudenza creativa della Corte Costituzionale , né della
vincolatività delle sue sentenze, che esula dalle finalità del presente lavoro. Qui, piuttosto, preme sottolineare come, a dispetto
della rigida applicazione del principio di separazione dei poteri,
ma, pur sempre rispettandolo, la giurisprudenza nazionale, e
quella appena vista della Corte Costituzionale ne è la conferma,
ha sempre cercato di ritagliarsi spazi decisionali sempre più ampi84, riuscendo spesso ad assumere piuttosto che il ruolo di mero
interprete del diritto, quello ben più pregnante di guida e, più in
particolare, di promotore del divenire del diritto, consentendo un
dialogo con il potere legislativo che, se correttamente inteso ed
utilizzato, porta ad un sistema che sembrerebbe molto più garantistico di quello di common law.
A) LA VINCOLATIVITA’ DELLE SENTENZE DELLA
CORTE DI CASSAZIONE.
Quanto appena evidenziato, tuttavia, porta a rilevare che, non
essendo tale dialogo ben inteso né utilizzato, continua ad assistersi al perdurante fenomeno della crisi della legge che, a sua
83
Si rinvia per questo, in generale, a A. RUGGERI – A. SPADARO, Lineamenti
di giustizia costituzionale, Torino, 2004; nonché, per un esempio più recente,
A. ANZON DEMMIG, Accesso al giudizio di costituzionalità e intervento
“creativo della Corte Costituzionale, in www.rivistaaaic.it, 2014, che ravvisa
nella sentenza 13 gennaio 2014, n. 1, un tentativo di andare oltre la semplice
declaratoria di illegittimità parziale della l. elettorale n. 270/2005, per introdurre, con evidenti forzature, ex novo uno strumento che necessita di apposita
regolamentazione normativa, sottolineando, però, che ciò è avvenuto, con tutta probabilità, a causa del perdurante immobilismo del legislatore, sicché la
Corte, nelle sue funzioni garantistiche dei principi costituzionali, si è trovata
costretta a privilegiare, comunque, “le ragioni della garanzia del diritto di
voto”, “rispetto a quelle di una rigorosa applicazione delle regole codificate
del sistema di giustizia costituzionale”.
84
N. PICARDI, La giurisdizione all’alba del terzo millennio, Milano, 2007, 2
ss., sottolinea, peraltro, che le cause dell’incremento dei poteri del giudice
sono riconducibili soprattutto alla patologia di un legislatore oscillante tra
l’inflazione in alcuni settori e l’inattività in altri. Ciò che conduce, nel caso
dell’inflazione legislativa, non solo al moltiplicarsi delle leggi, ma anche alla
loro svalutazione; tale moltiplicazione, quantitativa e qualitativa, sembra essere dovuta da un lato alla crescente pluralità di centri di produzione normativa, sia nazionali che sovranazionali, dall’altro al fenomeno per cui spesso la
fonte secondaria prende il sopravvento sulla fonte primaria. L’inattività del
legislatore, invece, lascia spazio al giudice e spiega il fenomeno delle sentenze additive che rappresentano una forma di supplenza della Corte Costituzionale nei confronti dello stesso. Ma, si deve aggiungere, spiega anche il crescente fenomeno di nomofilachia normativa esercitata dalle Corti superiori,
costrette ad intervenire, anch’esse per correggere l’inattività del legislatore, e
per adeguare costantemente i nuovi bisogni di tutela ad una legislazione che
non riesce a tenere il passo dell’evoluzione della società.
33 www.judicium.it
volta, sembra strettamente connesso a quello della crisi della
giustizia85: innanzi ad una normazione sempre più frammentata
ed incerta, infatti, si colloca un’altrettanto caotica ed inefficiente
giurisprudenza, risoltasi nei noti mutamenti repentini di orientamenti, che, secondo alcuni86, ha finito per minare ulteriormente le esigenze di certezza del diritto, costituenti le basi su cui è
stato edificato lo stato di diritto, portando anche alla c.d. crisi
della funzione nomofilattica.
Negli ordinamenti continentali, come si è più volte ricordato, infatti, i giudici, in linea di massima, non sono vincolati dalle decisioni adottate anteriormente, in altri processi, sullo stesso punto di diritto, ma, investiti della questio iuris, possono, salve peculiari eccezioni, rivalutarla liberamente 87 , godendo, anzi, di
un’ampia discrezionalità nell’affermare la giurisprudenza che
appaia più confacente, e di mutarla tutte le volte che lo ritengano
giustificato. Ciò vale anche per le decisioni adottate dalle Corti
supreme, le quali, in generale, non hanno efficacia vincolante né
per la Corte stessa né per i giudici inferiori.
In un primo momento, anzi, il sistema di civil law è apparso
dominato da uno dei principi fondamentali del pensiero giuridico e filosofico illuminista: quello, cioè, dell’onnipotenza della
legge, “della Loi con la elle maiuscola”88; per il quale, insomma,
la legge è capace di informare e regolare la realtà senza
l’intermediazione di alcuno. In tal modo, l’applicazione del diritto si presenta, in tutto e per tutto, come un’applicazione meccanica, “un gioco automatico”89.
In altri termini, lo Stato liberale aveva inteso dar corpo al principio positivista di una legge chiara ed autoevidente, espressione
della sovranità Parlamentare, innanzi alla quale tutti i cittadini
sono uguali. Proprio tale esigenza di uguaglianza aveva fatto
sorgere il bisogno di rendere il più possibile dipendente dal controllo del potere legislativo l’esercizio dell’attività ermeneutica
dei giudici90.
Nella Francia del 1790, addirittura, in applicazione del suddetto
principio, si è imposto al giudice il divieto di interpretazione
delle leggi. Divieto ripreso anche in Italia, nell’art. 73 dello Statuto Albertino, per il quale, infatti, “l’interpretazione delle leggi
85
N. IRTI, Nichilismo giuridico, Roma, 2004, 1.
A. MASTROPAOLO, Incertezze generate dalla crisi della funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, in M. DOGLIANI (a cura di), Il libro delle
leggi strapazzato e la sua manutenzione, Torino, 2012, 129.
87
V. MARINELLI, Precedente, cit., 878.
88
Così S. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1962,
175.
89
C. PUNZI, La Cassazione da custode dei custodi a novella fonte del diritto?,
in www.historiaetius.eu, 2012, 1.
90
Così, A. MASTROPAOLO, op. ult. cit., 129.
86
34 www.judicium.it
in modo per tutti obbligatorio spetta esclusivamente al potere
legislativo”91.
Tale divieto, giustificato con l’affermata perfezione della legge e
con l’esigenza di porre un freno a quello che è stato definito
“l’arbitrio dei magistrati”, non è che il risvolto patologico di
quel principio della separazione dei poteri che, nel periodo della
sua prima teorizzazione, è stato, evidentemente, applicato alla
lettera92.
Tuttavia, l’applicazione delle norme, anche di quelle costruite
nel modo più chiaro e completo possibile, com’è ovvio, non poteva essere un fatto pedissequamente meccanico: i giudici, qualora avessero avuto dubbi sull’esatta interpretazione di una norma, avrebbero, però, dovuto necessariamente sottoporre la questione interpretativa al legislatore stesso, che avrebbe fornito i
chiarimenti richiesti93. Tant’è che il Tribunal de Cassation, venne istituito, in Francia nel 1790, con il solo compito di annullare
le sentenze che contravvenissero al testo della legge, senza possibilità alcuna di intervenire sul merito della controversia.
Di qui, si evince un’originaria configurazione della Cassazione
quale organo ancillare del Parlamento, con funzioni di controllo
del potere giudiziario94, con l’unico fine di tutelare le norme legislative, così come insindacabilmente dettate dal legislatore,
scongiurandone, quindi, possibili applicazioni eversive da parte
dei giudici, visti come la più grave minaccia al mantenimento
delle leggi95.
91
Ce lo ricorda L. MORTARA, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, Milano, 1923, 78.
92
Per rendersi conto di ciò, basta rileggere i passi fondamentali sul principio
di separazione dei poteri in C. L. DE MONTESQUIEU, Lo spirito delle leggi,
trad. it. a cura di S. COTTA, Torino, 2005. Ma, si veda anche G. SILVESTRI, La
separazione dei poteri, Milano, 1984.
93
In Francia, infatti, era stato all’uopo istituito l’istituto del référé facultatif.
94
Sul punto, si veda anche G. SCARSELLI, Ordinamento giudiziario e forense,
Milano, 2007, 238.
95
Quest’opinione così estrema risulta chiaramente dal pensiero di J.J. ROUSSEAU, Il contratto sociale, (a cura di) R. GATTI, Milano, 2012. Molto più recentemente, tuttavia, anche H. KELSEN, La dottrina pura del diritto, trad. it.
di M. LOSANO, Torino, 1966, in relazione alla fragilità dei rapporti tra potere
legislativo e giudiziario, sembra vedere, in un primo momento (1934), con
sospetto la troppa libertà d’interpretazione delle norme da parte dei giudici,
paventando il rischio che questi possano trasformarsi in creatori del diritto,
sostituendosi agli organi sovrani parlamentari (ciò che di fatto, ed in parte è
avvenuto con l’istituzione della Corte di Giustizia Europea). Ed infatti, secondo Kelsen, “l’interpretazione da parte dell’organo che applica il diritto è
sempre autentica. Essa crea diritto” (387). Tuttavia, aggiunge poi, correggendo in parte la teorizzazione del ’34, che “il diritto che deve essere applicato costituisce uno schema, all’interno del quale esistono più possibilità di
applicazione, quindi è lecito ogni atto che si attenga ai limiti di questo schema, che cioè sia conforme ad un qualsiasi significato possibile dello schema”
35 www.judicium.it
L’istituto della Cassazione così congegnato, è stato, in seguito,
introdotto anche in Italia, dove, nell’ambito del Regolamento
organico della giustizia civile e punitiva per il Regno d’Italia del
1806, veniva ribadito il principio per cui “la Corte di Cassazione è istituita per mantenere l’esatta osservanza delle leggi e per
richiamare alla loro esecuzione le Corti, i Tribunali e i Giudici
che se ne fossero allontanati”. Conseguentemente, anche in Italia la Corte “giudica non nell’interesse dei litiganti, ma in quello
della legge: in conseguenza non conosce del merito della causa,
ma delle decisioni e sentenze delle Corti e dei Tribunali del Regno, con l’unico riguardo, se siano o no corrispondenti alla
legge” 96.
Il sistema così concepito, adottato dapprima dal codice di procedura civile del Regno di Sardegna del 1859, e mantenuto anche
in epoca postunitaria dal c.d. codice Pisanelli del 1865, però,
continuava a mostrare la sua fallacia, stante che, non essendo
stato fissato il principio di diritto vincolante, poteva accadere, e
di fatto accadeva, che, a seguito dell’annullamento, ovviamente
con rinvio al giudice di merito, questi incorresse nelle medesime
violazioni o false applicazioni della legge per le quali la Corte
aveva annullato la prima sentenza, provocando così, eventualmente, un’ulteriore impugnazione. In tal caso, la Corte avrebbe
giudicato a Sezioni Unite e l’autorità giudiziaria (la medesima
che aveva pronunciato la sentenza impugnata), cui veniva rinviata la causa, era tenuta ad uniformarsi al punto di diritto così
stabilito.
Tale sistema, detto della “doppia conforme”, continuò ad essere
utilizzato fino all’adozione del codice di rito del 194097, in quanto veniva considerato un buon compromesso tra l’esigenza di tutelare la “libertà morale” della magistratura di merito, laddove
poteva imporsi al giudice investito del rinvio solo una pronuncia
delle sezioni unite chiamate a comporre, in qualità di massimo
vertice giudiziario, un dissidio interpretativo in atto tra magistratura di merito e sezioni semplici della Corte, e la necessità, ineludibile, di creare un collegamento tra la fase di cassazione e la
(384). Non è certamente possibile ripercorrere qui il pensiero di Kelsen o degli altri grandi pensatori del diritto, tuttavia si rinvia, ex multis, per una ricostruzione della teoria dell’interpretazione kelseniana, a F. COTTONE, La teoria dell’interpretazione di Hans Kelsen. Un’ipotesi di ricostruzione, in
www.giuri.unige.it.
96
S. SATTA – C. PUNZI, Diritto processuale civile, Padova, 2007, 39.
97
Per una ricostruzione più puntuale dell’istituto, si veda E. FAZZALARI, Il
giudizio civile di cassazione, Milano, 1960, 158 ss.
36 www.judicium.it
fase di rinvio, senza gli inconvenienti dell’attesa di un intervento
dirimente del legislatore98.
Solo con l’introduzione del codice del 1940, come si diceva, tale
macchinoso sistema venne abbandonato, anticipando al primo
rinvio l’effetto vincolante della pronuncia di annullamento della
Suprema Corte. E, soprattutto, si comincia a ravvisare un netto
cambiamento nella configurazione della Cassazione che, finalmente, da “custode dei custodi”, “da cane da guardia contro i
giudici”99 e contro lo “straripamento giurisprudenziale”, diviene
organo di vertice e di guida del potere giudiziario nella soluzione delle questioni di diritto controverse.
D’altra parte, anche la dottrina più attenta100, comincia ad avvertire la necessità di integrare, aggiornare e superare il metodo
formalistico, a favore di un orientamento in cui il realismo si
combina con un certo grado di formalismo e le forme giuridiche
non possono più separarsi dai fenomeni giuridici e fattuali.
Ferma, ancora, restando la regola per cui alla Cassazione non
era concesso di giudicare nel merito, un’ulteriore passo avanti fu
fatto con l’emanazione della legge sull’ordinamento giudiziario
(r.d. 30 gennaio 1941, n. 12): l’art. 65, infatti, sancisce espressamente che “la Corte di Cassazione, quale organo supremo
della giustizia, assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale e il
rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni”, fissa la regola per
cui essa, quando accoglie il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, “enuncia il principio di diritto al
quale il giudice di rinvio deve uniformarsi”101, e, ne proclama,
98
In relazione a queste notazioni storiche, si veda C. PUNZI, La Cassazione
da custode dei custodi a novella fonte del diritto?, cit., 4 – 5; S. SATTA, Corte
di Cassazione, in Enc. Dir., Milano, 1962, 797 ss.
99
Così, S.SATTA – C. PUNZI, Diritto processuale civile, cit., 41.
100
Per tutti, S. ROMANO, L’ordinamento giuridico, Firenze, 1945. Più recentemente, A. FALZEA, Sistematica e teoria generale del diritto in Massimo Severo Giannini, in S. CASSESE – G. CARCATERRA – M. D’ALBERTI – A. BIXIO
(a cura di), L’unità del diritto. Massimo Severo Giannini e la teoria giuridica,
Bologna, 1994, 401 ss.; M. NIGRO, Scienza dell’amministrazione e diritto
amministrativo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1968, 636 ss.; S. CASSESE, Il
sorriso del gatto, ovvero dei metodi nello studio del diritto pubblico, in Riv.
trim. dir. pubbl., 2006, 597 ss. Il riferimento al diritto pubblico, qui, è doveroso, in quanto, com’è noto, e come si vedrà a breve, il diritto amministrativo
ha una genesi prettamente giurisprudenziale, pur se per lungo tempo non si è
voluto ammettere il ruolo creativo del Consiglio di Stato, o, più esattamente,
il suo ruolo di giudice.
101
In tal senso, S. SATTA – C. PUNZI, Diritto processuale civile, cit., 42. Ma,
si veda anche la ricostruzione dell’istituto di M. TARUFFO, La Corte di Cassazione e la legge, in ID., Il vertice ambiguo. Saggi sulla Cassazione civile,
Bologna, 1991, 59 ss.
37 www.judicium.it
102
anche, la funzione nomofilattica, che, per certa dottrina , ha,
poi, trovato un fondamento costituzionale nella Costituzione repubblicana del 1948. Tale ultimo riconoscimento, anzi, non può
consentire di attribuire alla Corte una posizione di mero vertice
del sistema delle impugnazioni, bensì le assegna, piuttosto, il
compito di garantire, attraverso la tendenziale certezza del contenuto delle disposizioni normative, e la conseguente prevedibilità delle decisioni giurisdizionali, la parità di trattamento tra i
soggetti che invocano la tutela giurisdizionale, in ossequio ai
principi sanciti dagli artt. 3 e 24 Cost.103
Il mantenimento della funzione di controllo a difesa del diritto
obiettivo è da considerarsi, peraltro, come un diverso aspetto
dell’unificazione dell’interpretazione giurisprudenziale: il primo
aspetto, infatti, ha un contenuto negativo, di cassazione dell’atto
del giudice che non abbia osservato la legge, mentre, il secondo,
ha la funzione positiva di assicurare allo Stato l’uniformità della
giurisprudenza, e, conseguentemente, l’unità e l’uguaglianza del
diritto obiettivo104.
Non può, allora, non ricordarsi, a questo proposito, il pensiero
della più risalente, ma sempre lungimirante, dottrina105, per la
quale, “la Corte di Cassazione non è istituita per raggiungere
soltanto quello scopo, in senso stretto giurisdizionale, per il
conseguimento del quale sono istituiti tutti gli altri giudici (…) e
che consiste nell’attuazione del diritto concreto, mediante
l’accertamento delle singole volontà di legge che scaturiscono,
per regolare i rapporti individuali, dal coincidere di una fattispecie reale con una fattispecie legale. Anche la Corte coopera
a questa funzione giurisdizionale in senso stretto, consistente nel
rendere giustizia ai singoli ma questa sua cooperazione è per
essa mezzo, non fine; perché il fine ultimo che essa, come suo
ufficio esclusivo, persegue è più vasto ed eccedente i limiti della
singola controversia decisa. (….) È uno scopo di carattere costituzionale di coordinazione tra funzione legislativa e funzione
giudiziaria che attiene più che alla fase di applicazione del diritto al caso concreto alla fase di formazione e formulazione del
diritto”. In tal senso, dunque, secondo l’opinione che si sta richiamando, ove si voglia ritenere che “la giurisprudenza abbia
un’efficacia creatrice o trasformatrice del diritto, la Corte è al
centro di questa perpetua emanazione giurisprudenziale, di que 102
E. LUPO, Il ruolo della Cassazione: tradizione e mutamenti, in
www.archiviopenale.it, 2012, 7.
103
Ex multis, si veda E. LUPO, La Corte di Cassazione nella Costituzione, in
Cass. Pen., 2008, 4444 ss.
104
In tal senso si esprime E. LUPO, Il ruolo della Cassazione, cit., 2, richiamando il pensiero di Calamandrei.
105
P. CALAMANDREI – C. FURNO, Cassazione civile, in Noviss. Dig. ital., Torino, 1958, 1055.
38 www.judicium.it
sta dinamica che instancabilmente ringiovanisce ed adegua la
legge alle sempre nuove esigenze della vita e dei rapporti economico-sociali”.
Né, può dirsi che la riforma del processo civile ad opera della
legge 26 novembre 1990, n. 353, abbia voluto mutare in alcun
modo il ruolo della Corte.
La norma di cui all’art. 384 c.p.c., nella sua nuova formulazione,
infatti, nel consentire alla Corte, in caso di accoglimento del ricorso per violazione o falsa applicazione delle norme di diritto,
di procedere, in alternativa all’enunciazione del principio di diritto, alla decisione della causa nel merito, a condizione che non
siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, più che comportare una trasformazione del Giudice di legittimità in giudice di
merito, sembra avvicinare l’istituto del ricorso per cassazione al
sistema della revision di matrice tedesca, che, tuttavia, non costituisce un modello alternativo a quello francese della cassazione, cui si ispira, come già rilevato, il nostro ordinamento, rappresentandone, piuttosto, una continuazione ed uno sviluppo,
stante che corrisponde alle medesime esigenze di unificazione
del diritto giurisprudenziale.
Consentire alla Corte di decidere la causa nel merito, non significa, puramente e semplicemente, trasformarla in un giudice di
merito, in quanto essa, a seguito della cassazione della sentenza
impugnata, si limita a prendere atto degli accertamenti nella
stessa compiuti e risolve la controversia nel merito, svolgendo,
così, una funzione non più solo negativa, ma anche positiva, nel
senso che provvede direttamente a sostituire la pronuncia annullata con una nuova106.
D’altra parte, già prima della riforma del ’90 era stato esattamente evidenziato che parlare di terza istanza, seguendo il modello della revision tedesca, non significa ammettere un “ampliamento del giudizio di cassazione al di là degli errores in iudicando o in procedendo, bensì” attribuire alla Corte, “in limitate ipotesi,” il “potere di decidere definitivamente la lite quando
l’errore di diritto può essere eliminato senza intaccare gli accertamenti di fatto compiuti dalla sentenza impugnata”107.
Se di modifica del ruolo della Cassazione si vuole parlare, questa può, semmai, ravvisarsi nei mutamenti verificatisi per effetto
dell’entrata in contatto del nostro ordinamento con altri ordinamenti internazionali e sovranazionali, la cui influenza sul diritto
interno ha, com’è noto e come accennato in precedenza, comportato una ridefinizione dell’ambito di esercizio del potere giurisdizionale spettante agli organi nazionali, in correlazione con
106
In tal senso, E. LUPO, Il ruolo della Cassazione, cit. 12.
Così, V. DENTI, La riforma della Cassazione civile. Qualche ipotesi di lavoro, in Foro it., 1988, V, 18.
107
39 www.judicium.it
l’espandersi dell’area di incidenza delle decisioni adottate dagli
organi giurisdizionali propri di tali ordinamenti108.
Per quanto interessa ai fini del presente lavoro, si deve, infatti,
evidenziare il diverso rilievo assunto dall’esercizio della funzione di nomofilachia, in correlazione con i mutamenti intervenuti
nel suo oggetto e nei suoi contenuti. L’ordinamento giuridico,
com’è noto, va caratterizzandosi per un grado di complessità
sempre maggiore, non solo in conseguenza delle continue innovazioni normative, che si rendono necessarie per il sempre più
rapido divenire della vita sociale, ma anche a causa del pluralismo delle fonti di produzione del diritto, le quali non sembrano
più suscettibili di essere organizzate in un sistema gerarchicamente ordinato, direttamente o indirettamente riconducibile alla
sovranità statale, ma si pongono come espressione di ordinamenti diversi, anche esterni allo Stato e con i quali
l’ordinamento statale è tenuto a coordinarsi o rispetto ai quali è
destinato a cedere il passo. Tale complessità conduce non solo
ad un ripensamento dell’intero sistema delle fonti, ma impone al
giudice interno, in sede di applicazione delle norme giuridiche,
un più intenso impegno interpretativo, dovendo egli sforzarsi di
individuare una lettura coerente, di volta in volta, non più soltanto con i valori emergenti dalla Costituzione, ma anche dalla
CEDU e dal diritto europeo. Il progressivo ampliamento della
prospettiva ermeneutica verso tale dimensione esterna della legalità fa apparire quanto mai attuale e rilevante l’esigenza della
nomofilachia, che non può ritenersi mutata nella sostanza, bensì
nell’oggetto.
In questo contesto si inseriscono le importanti innovazioni nella
disciplina del giudizio di cassazione, con specifico rilievo per
l’enunciazione del principio di diritto, introdotte ad opera del
D.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 e della legge 18 giugno 2009, n. 69.
Sembra, peraltro, evidente che musa ispiratrice, in particolare,
del D.lgs. n. 40 del 2006, sia proprio la nomofilachia, anima della Cassazione109. È noto, infatti, che la menzionata riforma del
108
Non è questa la sede per ulteriori considerazioni storiche sull’evoluzione
della Cassazione, le quali meriterebbero un ben più ampio respiro che
l’economia della trattazione non consente. Si rinvia, pertanto, all’opera, ben
più approfondita, di A. PANZAROLA, La Cassazione civile giudice del merito,
Torino, 2005, la cui ricostruzione storica si snoda, in particolare, attraverso il
noto dibattito tra i fautori del sistema francese della Cassazione e i sostenitori
del modello della terza istanza, in quanto il leit motiv sotteso all’intera opera
sembra costituito dall’interrogarsi sull’attuale natura e funzione del Giudice
di legittimità.
109
Sui vari aspetti della riforma del giudizio di cassazione, si rinvia, tra gli
altri, a S. CHIARLONI (a cura di), Le recenti riforme del processo civile, Bologna, 2007; R. POLI, Il giudizio di cassazione dopo la riforma, in Riv. trim. dir.
e proc. civ., 2007, 9 ss.
40 www.judicium.it
processo civile, si inserisce in un contesto storico di “crisi del
giudizio di legittimità”110, per cui garantire l’esatta osservanza e
l’uniforme applicazione della legge appare un’impresa ardua se
non addirittura impossibile; sicché, essa, interessa molteplici ed
importanti profili del giudizio di cassazione di primaria rilevanza pratica. Tanto che, in dottrina111, è stato affermato che “il peso pratico di molte innovazioni è tale da incidere seriamente
sulle tecniche di ricorso, sulle tecniche di decisione e sul costume giudiziario in genere. Dal punto di vista normativo si poteva
fare di più solo eliminando o riscrivendo l’art. 111, comma 7°,
Cost.”
Le modifiche che interessano maggiormente ai fini del presente
lavoro, tuttavia, riguardano essenzialmente: 1) la rivitalizzazione
del ricorso nell’interesse della legge (art. 363 c.p.c.); 2) la modifica del comma 1 dell’art. 384 c.p.c.; 3) l’introduzione del vincolo delle sezioni semplici al principio di diritto enunciato dalle
Sezioni Unite (art. 374, comma 3, c.p.c.).
Tali innovazioni, infatti, sono, evidentemente, diretta espressione della valorizzazione della funzione nomofilattica della Corte
di Cassazione.
Ciò si è reso, d’altra parte, necessario, in quanto, la funzione
fondamentale della nomofilachia, che, non è inutile ribadirlo, è
quella di “assicurare che la legge sostanziale, che ogni giudice è
chiamato ad applicare, sia interpretata esattamente e in modo
uniforme su tutto il territorio nazionale”112, nella situazione di
crisi della giustizia, che si è vista poc’anzi, andava sfumandosi
sempre più, pur se, è anche evidente che, tale funzione assume
“un fondamentale rilievo costituzionale nella misura in cui è diretta ad attuare l’art. 3 Cost., posto che il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge in tanto può essere pienamente attuato, in quanto la legge sia interpretata in modo
uniforme dai giudici che sono chiamati ad applicarla”.113
110
In proposito, si veda A. PROTO PISANI, Crisi della Cassazione: la (non più
rinviabile) necessità di una scelta, in Foro it., V, 2007, 122 ss.; G. TARZIA, Il
giudizio di cassazione nelle proposte di riforma del processo civile, in Riv.
dir. proc., 2003, 201 ss.; S. CHIARLONI, Prime riflessioni su recenti proposte
di riforma del giudizio di cassazione, in Giur. It., 2003, 817 ss.; C. CONSOLO,
Giustizia, Corti di Gravame, tradizione e modernità, in Corr. Giur., 2005,
755 ss.; G. VERDE, Profili del processo civile, II, Napoli, 2006, 519 ss. V.
CARBONE, Le difficoltà dell’interpretazione giuridica nell’attuale contesto
normativo: il diritto vivente, in Corr. giur., 2011, 153 ss.
111
B. SASSANI, Il nuovo giudizio di Cassazione, in Riv. dir. proc., 2006, 240.
112
Così, A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2002,
504.
113
S. CHIARLONI, In difesa della nomofilachia, in Riv. tri. Dir. e proc. civ.,
1992, 123 ss., rileva, per vero un po’ semplicisticamente, invece, che la nomofilachia “rappresenta un valore fondamentale dell’ordinamento, perché
valori fondamentali dell’ordinamento sono la parità di trattamento dei citta-
41 www.judicium.it
Quanto all’art. 363 c.p.c., bisogna subito evidenziare come, nella sua nuova formulazione, abbia introdotto, in relazione al ricorso nell’interesse della legge114, per alcuni115 istituto di grande
rilievo concettuale, ma privo di riscontri concreti, due novità di
non poco momento: il conferimento al Procuratore Generale del
potere di ricorrere nell’interesse della legge non solo nell’ipotesi,
già prevista nella precedente versione della norma, in cui le parti
non abbiano proposto il ricorso nei termini o vi abbiano rinunciato, bensì anche nel caso in cui il provvedimento non è più ricorribile e non è ulteriormente impugnabile; e la pronunciabilità
d’ufficio del principio di diritto‚ “quando il ricorso è dichiarato
inammissibile, se la Corte ritiene che la questione decisa è di
particolare importanza”. È evidente come tali novità mirino ad
assicurare per il futuro l’esatta interpretazione della legge, pur se
il principio di diritto, enunciato “nell’interesse della legge”, non
avrà alcun effetto nei rapporti tra le parti della controversia originaria.
Come esattamente rilevato in dottrina116, infatti, tali modifiche
“mirano a consentire alla Corte di “garantire la corretta osservanza della legge e la uniformità del diritto oggettivo nazionale”
(secondo la formula dell’art. 65 ord. giud.) attraverso la possibilità di penetrare anche in quei meandri dell’ordinamento (soprattutto processuale) in cui la difficoltà di avere un responso
della Corte dipende dalla circostanza obiettiva della non ricorribilità dei provvedimenti che affrontano i relativi problemi: si
pensi in primis all’assetto del procedimento cautelare uniforme,
che pullula di provvedimenti rispetto ai quali appare negato
l’accesso al giudizio di legittimità attraverso il ricorso straordinario”.
dini, la prevedibilità delle decisioni e, perché no, un ordine che impedisca
l’inutile dissipazione delle risorse”.
114
Sul quale si vedano, in generale, G. IMPIGNIATELLO, Principio di diritto
nell’interesse della legge e funzione nomofilattica della Cassazione, in Giur.
It., 2009, 932 ss.; S. CRISCUOLO, Il principio di diritto nell’interesse della
legge, in G. IANNIRUBERTO – U. MORCAVALLO (a cura di), Il nuovo giudizio
di cassazione, Milano, 2010, 168 ss.; G. IANNIRUBERTO, Il “nuovo volto”
dell’art. 363 c.p.c., in Riv. dir. proc., 2010, 1081 ss.
115
R. TISCINI, Ricorso per cassazione nel diritto processuale civile, in Digesto civ., Torino, 2007, 1152.
116
B. SASSANI, ll nuovo giudizio, cit., 229 il quale rileva efficacemente come
“la necessità di leggere l’art. 111 c. 7 cost. limitando l’accesso
all’impugnazione di legittimità dei soli provvedimenti‚ decisori e definitivi‛
ha portato ad escludere dal controllo della Corte suprema tutte le decisioni
prive dell’uno o dell’altro dei requisiti, con la sgradevole conseguenza che
nelle materie nelle quali prevalgono i provvedimenti non ricorribili <<regna
l’anarchia>>”. Sul tale aspetto cfr., anche, R. TISCINI, Il ricorso straordinario in cassazione, Torino, 2005, 123 ss.; C. CECCHELLA, Il nuovo giudizio
dinanzi alla Corte di cassazione, in M. BOVE – C. CECCHELLA (a cura di), Il
nuovo processo civile, Milano, 2006, 39 ss.
42 www.judicium.it
Anche l’ampliamento delle ipotesi in cui la Corte può pronunciare il principio di diritto117 (art. 384, comma 1, c.p.c.), si muove nella direzione del potenziamento della funzione nomofilattica.
La novità normativa si segnala, infatti, in quanto sansisce
l’estensione delle ipotesi in cui la Corte enuncia il principio di
diritto, oltre a quelle di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., ad ogni caso in cui, “decidendo su altri motivi di ricorso, risolve una questione di diritto di particolare importanza”. E, ciò non solo in
caso di accoglimento del ricorso ed annullamento della sentenza,
ma anche in caso di rigetto del ricorso118.
Il presupposto della “particolare importanza” della questione,
peraltro, sembra potersi intendere, da un lato come “la idoneità
della soluzione attinta ad applicarsi ad una casistica aperta e
non invece a fungere da regula juris speciale, indissolubilmente
connessa alla peculiarità del caso sottoposto a giudizio e non
agevolmente esportabile ad una serie indeterminata di casi”,
mentre, dall’altro lato, essa, dovrà valutarsi anche “alla luce della (sia pur relativa) novità (e, quindi, della non mera ripetitività)
del principio rispetto alla giurisprudenza della Corte”119.
È, dunque, evidente l’ulteriore finalità del legislatore, intesa a
risolvere una delle cause della crisi del giudizio di legittimità,
che è quella deflattiva del carico di lavoro della Corte, che si
realizzerebbe proprio attraverso gli appena visti meccanismi con
cui è stata aumentata la capacità della medesima Corte di incidere sui giudici di merito. L’aumentata possibilità di enunciazione
del principio di diritto dovrebbe, infatti, scoraggiare la riproposizione di ricorsi già più volte respinti con chiare affermazioni di
principio120.
La modifica che più rileva ai fini del presente lavoro, però, è costituita dall’introduzione, all’art. 374, comma 3, c.p.c., del vincolo per le sezioni semplici al principio di diritto enunciato dalle
117
Ex multis, sul‚ principio di diritto, cfr., per tutti, V. ANDRIOLI, Il principio
di diritto enunciato dalla Corte di cassazione, in Riv. dir. proc. 1952, 279 ss.;
C. CONSOLO, Evoluzioni giurisprudenziali e vincolo del giudice di rinvio al
principio di diritto ormai “ripudiato” dalla suprema corte: rationes confliggenti, in Giur.it., 1992, 659 ss.
118
In tal senso, R. POLI, Il giudizio di cassazione, cit., 21 secondo cui sarebbero comunque ‚”fatti salvi i casi di inammissibilità e di rigetto in camera di
consiglio per manifesta infondatezza”.
119
Così, B. SASSANI, Il nuovo giudizio, cit., 222.
120
In senso critico sulla nuova norma in dottrina si sofferma M. TARUFFO,
Una riforma della cassazione civile?, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 755
ss. E’ stato, tuttavia, osservato che‚ “alla comprensibile perplessità di chi teme che la necessità di esprimere il principio di diritto anche in caso di rigetto si risolva in un aggravio di lavoro per la corte, si può rispondere (…) che
il compito è però facilitato dall’incanalamento della risposta su un quesito
già formulato” (così B. SASSANI, Il nuovo giudizio, cit., 223).
43 www.judicium.it
Sezioni Unite. Come visto all’inizio della trattazione, infatti, a
mente della norma richiamata, le sezioni semplici, se ritengono
di non condividere il principio di diritto, non possono giudicare
affermando un principio difforme, ma devono rimettere la questione, con ordinanza motivata, alle medesime Sezioni Unite.
Tale previsione, come, peraltro, evidenziato in dottrina121, si aggancia a quella del comma 2 del medesimo articolo, per il quale
il Primo Presidente può disporre che la Corte pronunci a Sezioni
Unite su questioni di diritto sulle quali sia sorto un contrasto.
La norma in esame, com’è noto, ha provocato un ampio dibattito
dottrinale. In particolare, numerose critiche sono state sollevate
in relazione alla possibile violazione dell’art. 101, secondo
comma, Cost. secondo cui i giudici sono soggetti soltanto alla
legge122.
A ben vedere, però, nonostante queste innovazioni la funzione
nomofilattica conserva un ruolo autorevole, ma non acquista ancora alcuno spazio autoritativo, restando il nostro ordinamento
ispirato alla struttura classica di civil law. Sicché, il valore giuridico delle sentenze resta quello di risolvere le controversie tra le
parti, i loro eredi ed aventi causa, ma non ancora quello di fissare nuovi principi di diritto vincolanti, alla stregua del criterio
dello stare decisis anglosassone, nel senso di dettare regole percepibili come forza normativa. Sebbene, le decisioni della Cassazione, pur non essendo vincolanti nel senso anglosassone del
termine, finiscono con l’orientare la giurisprudenza di merito e,
stando a quanto disposto dalla normativa codicistica richiamata,
godono, comunque, di un certo margine, tenue magari, di vincolatività.
Su questa questione, tuttavia, si tornerà a breve, in quanto coinvolge anche la similare disposizione di cui all’art. 99 c.p.a., relativa alla funzione nomofilattica dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
Si ritiene, pertanto, preferibile delineare, prima di ogni altra
considerazione sul punto, l’evoluzione di tale fondamentale funzione nell’ambito della giustizia amministrativa, e rinviare,
121
C. PUNZI, La Cassazione da custode dei custodi a novella fonte del diritto?, cit., 9.
122
Le possibili critiche alla disposizione sono bene evidenziate in R. POLI, Il
giudizio di cassazione,cit., 18 cui si rinvia anche per ulteriori riferimenti dottrinali. Oltre al possibile contrasto con l’art. 101, secondo comma, c.p.c., l’A.
pone in evidenza il fatto che la norma: a) sarebbe espressione di un’idea burocratico-gerarchica di Corte di cassazione; b) costringerebbe le sezioni semplici all’alternativa tra l’autoescludersi e rendere omaggio al precedente delle
Sezioni Unite, conducendole, di fatto, ad acrobazie dialettiche per sottrarsi al
vincolo; c) calpesterebbe il principio di economia processuale, perdendo da
un lato ciò che si prefigge di guadagnare dall’altro in termini di ragionevole
durata del processo.
44 www.judicium.it
quindi, l’analisi del dibattito generato dalle ricordate novità
normative e le eventuali soluzioni possibili in sede conclusiva.
Ciò che, però, è opportuno rilevare subito è l’indubbio mutamento non tanto delle funzioni della Corte di Cassazione, e, come subito si dirà, dell’Adunanza Plenaria, quanto della medesima nomofilachia che sembra essersi trasformata in qualcosa di
diverso e superare la semplice attività di difesa del diritto e di
conservazione dell’esistente, corrispondente al disposto dell’art.
65 della legge sull’ordinamento giudiziario.
B) (SEGUE) E DELLE SENTENZE DEL CONSIGLIO DI
STATO
In relazione alle funzioni del Consiglio di Stato, il discorso, rispetto a quello appena accennato sulla Corte di Cassazione,
cambia radicalmente.
Anche in questo caso, il modello di riferimento è un’istituzione
francese, il Conseil d’Etat, che, ivi nasce nel 1799, come giudice
speciale delle controversie dell’amministrazione, per risolvere
essenzialmente quell’esasperazione del principio di separazione
dei poteri, visto in precedenza, che nei rapporti tra potere giudiziario e potere esecutivo, si era tradotto nel divieto per il giudice
ordinario di ingerirsi negli affari dell’amministrazione e di conoscere il relativo contenzioso.
Con la sua giurisprudenza, per mezzo dei suoi grands arrets, il
Conseil d’Etat ha conquistato, da un lato il prestigio di cui gode
tutt’ora, dall’altro, nel corso dei diversi regimi e forme di governo conosciute dalla Francia dalla Rivoluzione alla Quinta Repubblica, ha creato il diritto amministrativo nazionale, lasciando
la sua impronta negli altri ordinamenti a diritto amministrativo
come, appunto, l’Italia123. Il Conseil d’Etat ed il Consiglio di
Stato, pur nella diversità del modello francese monista con prevalenza del giudice amministrativo, nel quale la competenza del
giudice ordinario nei confronti dell’amministrazione risulta eccezionale, a fronte dell’autonomo modello italiano dualista,
sembrano accomunati dal ruolo svolto nella creazione delle regole, come subito si puntualizzerà, con una giurisprudenza capace di colmare le lacune normative e di plasmare forme di tutela adeguate alle istanze emergenti124.
L’organo supremo della giustizia amministrativa, infatti, nasce
nel 1831 con funzioni miste, prettamente amministrative, con 123
Si veda, in tal senso, P. DE LISE, L’organizzazione e le funzioni del Consiglio di Stato italiano, in www.giustizia-amministrativa.it, 2011, 2.
124
V. WRIGTH, “Conseil d’Etat” e Consiglio di Stato: le radici storiche della
loro diversità, in Y. MENY (a cura di), Il Consiglio di Stato in Francia e in
Italia, Bologna, 1994, 23 ss.
45 www.judicium.it
sultive perlopiù, con il preciso compito di trovare e garantire un
equilibrio, certamente difficoltoso, tra la difesa della tradizione e
l’apertura al nuovo: funzioni, queste, che furono, comunque, costanti nella sua attività125, anche a seguito della c.d. legge Rattazzi del 1859, con la quale, com’è noto, gli erano state attribuite
le funzioni giurisdizionali, mentre le attribuzioni in materia legislativa furono “dequotate a pareri facoltativi”126, in ragione della trasformazione da organo consultivo preminentemente politico in organo tecnico. A seguito della concentrazione in capo al
solo giudice ordinario della tutela giurisdizionale, con
l’emanazione della nota legge abolitiva del contenzioso amministrativo del 1865 (l. 20 marzo, n. 2248 all. E)127, rimase giudice
amministrativo speciale solo in determinate materie attribuite in
via diretta ed esclusiva alla sua giurisdizione (la c.d. giurisdizione propria, involgente le controversie sul debito pubblico, i sequestri di temporalità, l’imposizione di vincoli forestali)128, ma
non perse la sua funzione specificamente adiuvante nella gestione dello Stato. La ratio della legge del 1865129, infatti, risiedeva
nell’opinione per cui unico era il diritto e unica doveva essere la
giurisdizione; conseguentemente, ammettere una giurisdizione
speciale per le controversie in cui era parte la pubblica amministrazione avrebbe significato garantirne i privilegi, essendo il
giudice amministrativo considerato “un giudice in casa propria”.
Anche quando, a seguito della presa d’atto dell’inidoneità della
scelta del 1865 ad assicurare un’efficace sistema di tutela giurisdizionale del cittadino nei confronti dell’amministrazione,
avendo il giudice ordinario optato per un sindacato “timido” e
per un’applicazione restrittiva della propria competenza, ritenendola sussistente solo in presenza di atti di gestione e non an 125
In proposito, C. FRANCHINI, Tradizione e innovazione, in ID. (a cura di), Il
Consiglio di Stato nella storia d’Italia, Torino, 2011, 259 ss. Per uno studio
storico sul Consiglio di Stato, si veda G. PALEOLOGO (a cura di), Consigli di
Stato di Francia e Italia, Milano, 1998; G. BARBAGALLO, La giustizia amministrativa, sistemi monisti e dualisti a confronto. La giurisdizione del Consiglio di Stato dalle origini al 1923 nel Regno di Sardegna e nel Regno d’Italia,
in www.giustizia-amministrativa.it; P. Aimo, La giustizia amministrativa
dall’800 ad oggi, Roma, 2000.
126
G. MORBIDELLI, Il contributo del giudice amministrativo in 150 anni di
unità d’Italia, in Dir. proc. amm., 2012, 764.
127
Sulle ragioni di questa scelta e, soprattutto, sulla situazione venutasi a
creare, si veda, funditus, M. NIGRO, Giustizia amministrativa, Bologna, 2000,
70 ss.
128
Secondo le disposizioni degli artt. 12 e 10 dell’All. D della medesima legge. Per ulteriori considerazioni sul punto, che esulano dalla presente trattazione, si veda A. POLICE, Il ricorso di piena giurisdizione davanti al giudice
amministrativo, I. Profili teorici ed evoluzione storica della giurisdizione
esclusiva nel contesto del diritto europeo, Padova, 2000, 58 ss.
129
Come opportunamente ci ricorda P. DE LISE, L’organizzazione, cit., 5.
46 www.judicium.it
130
che di imperio , venne istituita la IV sezione giurisdizionale,
con la legge Crispi del 1889, con la conseguente attribuzione
delle materie involgenti quelle situazioni, che pur non assurgendo al rango di diritti, risultavano essere meritevoli di tutela, si
preferì non qualificarla espressamente come giurisdizionale,
bensì si continuò ad intenderla come autorità amministrativa131,
probabilmente più per ragioni di ordine politico, non volendo
fomentare le note polemiche circa i rapporti con il giudice ordinario, nonché le preoccupazioni di quanti vedevano nella giurisdizionalizzazione del Consiglio di Stato “un attentato al ruolo
della magistratura esistente”132.
Si spiegherebbe così anche la scelta di incentrare il relativo giudizio sull’atto, anziché sulla situazione: tra i vari provvedimenti
giurisdizionali che producono effetti costitutivi, modificativi o
estintivi di rapporti giuridici, come è stato evidenziato 133 ,
l’annullamento è, infatti, quello che incide di meno
sull’autonomia giuridica dei soggetti dell’ordinamento, in quanto pur eliminando, di fatto, il provvedimento amministrativo impugnato, non può mai giungere alla sua sostituzione con un altro
atto emanato in conformità della legge. Ciò vale, peraltro, indipendentemente dalla circostanza che l’atto sia vincolato o discrezionale, in quanto è sempre l’amministrazione che deve sostituire il provvedimento annullato, in corrispondenza al dictum
giudiziale, anche a seguito, nelle more dell’esecuzione, di un
eventuale giudizio di ottemperanza. In tal modo, il fondamentale
principio della separazione dei poteri non veniva stravolto, non
configurandosi alcuna ingerenza del giudice nella sfera dei poteri spettanti all’amministrazione pubblica.
L’Adunanza Plenaria, invece, venne istituita, unitamente alla V
sezione giurisdizionale, solo con la legge Giolitti del 7 marzo
1907, n. 62, che, tra l’altro, qualificò, finalmente, come di natura
giurisdizionale le funzioni attribuite alle due sezioni, essenzialmente con il compito di dirimere gli eventuali conflitti tra le due
130
Così, ancora P. DE LISE, Op. ult. cit., 5.
Cfr., in proposito, S. ROMANO, Le giurisdizioni speciali amministrative, in
Gli scritti nel trattato Orlando, Milano, 2003, 239 ss. In generale,
sull’evoluzione storica del processo amministrativo si veda, ex multis, F.
ASTONE, La giustizia amministrativa prima e dopo l’Unità: il contenzioso
amministrativo, la sua abolizione e l’istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato, in www.giustizia-amministrativa.it, 2011, nonché, in relazione
al ruolo svolto dal Consiglio di Stato nella formazione del processo amministrativo.
132
Così, S. OGGIANU, Giurisprudenza amministrativa e funzione nomofilattica. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, Padova, 2011, 168.
133
R. CAVALLO PERIN, La tutela cautelare nel processo avanti al giudice
amministrativo, relazione tenuta al Convegno “Verso il nuovo processo amministrativo”, Perugia, 14-15 maggio 2010, in Dir. proc. amm., 2010,, 1169.
131
47 www.judicium.it
134
sezioni giurisdizionali, che avevano competenze diverse , e
decidere sui ricorsi che avevano dato luogo a decisioni giurisprudenziali difformi. E, se solo nel 1950, con la legge n. 1018,
le è stata attribuita la funzione di risolvere le questioni di massima importanza, già nel 1859, ben prima, quindi,
dell’istituzione delle sezioni giurisdizionali e della stessa Adunanza Plenaria, si affidò al Consiglio di Stato il compito di garantire “la costanza nei principi, l’uniformità e l’ordine nel reggimento della cosa pubblica”135, mentre la legge sul Consiglio
di Stato del 1923, poi confluita nel T.U. n. 1054 del 1924, richiamava espressamente “il principio dell’unità della consulenza in materia giuridica”. Parole che, indubbiamente, pur mantenendo ancora il Supremo organo della giustizia amministrativa
lontano dall’ambito proprio della giurisdizione, sembrano anticipare il tenore dell’art. 65 della legge sull’ordinamento giudiziario, in relazione alla funzione uniformatrice (del solo diritto!)
della Corte di Cassazione.
Dal momento della sua giurisdizionalizzazione, peraltro, il Consiglio di Stato ha esercitato il ruolo di garante della giustizia
nell’amministrazione, non solo durante i governi democratici ma
anche nel regime fascista, nei confronti del quale seppe mantenere un alto grado di autonomia.
La Costituzione repubblicana del 1948 ha, infine, confermato il
sistema di giustizia delineato dalle ricordate leggi del 1865 e del
1889, mantenendo, in particolare, la coesistenza delle funzioni
consultive e giurisdizionali136.
Da queste brevi premesse, emerge chiaramente una prima differenziazione con la Corte di Cassazione: non è, infatti, possibile,
innanzitutto, scindere il contributo del Consiglio di Stato nelle
vesti di organo di consulenza (funzione che, peraltro, non è, né
può essere, esercitata dalla Cassazione, in quanto è solo organo
supremo della magistratura e non anche altro) da quello svolto,
invece, nelle vesti di organo di giustizia, stante la comune ratio
della funzione esercitata che, con diverse finalità, sia in fase di
sindacato ex post, che in fase di valutazione preventiva, è sempre volta a garantire la corretta applicazione della legge137. Anzi,
ambedue le funzioni, consultiva e giurisdizionale, costituiscono
134
La IV sezione, infatti, giudicava sui ricorsi di legittimità per violazione di
legge, eccesso di potere ed incompetenza, mentre la V nelle materie di giurisdizione anche di merito. Tale distinzione venne superata con la legge n.
2840 del 1923, che ha unificato le competenze delle due sezioni.
135
Le parole con cui Rattazzi accompagnò la legge del 1859, sono riportate
da G. MORBIDELLI, Il contributo del giudice amministrativo, cit., 801.
136
P. DE LISE, L’organizzazione, cit., 6.
137
In tal senso, S. ROMANO, Le funzioni e i caratteri del Consiglio di Stato, in
Aa. Vv., Il Consiglio di Stato. Studi in occasione del centenario, Roma, 1932,
26 ss.;
48 www.judicium.it
aspetti diversi per raggiungere l’unico scopo della tutela della
giustizia nell’amministrazione138.
In tal senso, allora, ben si può convenire con chi139 ha ravvisato
quello della “comunanza ordinamentale” lo scopo principale
dell’opera del Consiglio di Stato, intesa a dar corpo
all’identificazione delle regole necessarie ad unificare e rendere
coerente una legislazione alquanto frammentaria fino a non molto tempo fa, nonché rendere concrete e sviluppare le garanzie
costituzionali140. È noto, infatti, che i valori espressi dall’Organo
in esame, hanno finito, immancabilmente, per essere normativizzati.
Basti pensare, solo per fare un esempio, alla figura dell’eccesso
di potere141, formulata prima dell’istituzione della IV Sezione, e
da questa, poi, specificata, che inizialmente, alla stregua, comunque e più in generale, del sindacato del Consiglio di Stato,
veniva inteso come una garanzia nell’interesse della legge, e che,
in seguito, ha consentito di sviluppare i noti principi, propri della funzione amministrativa, della giustizia sostanziale, della ragionevolezza e dell’uniformità dell’azione amministrativa, che
hanno, a loro volta, consentito di determinare una modifica in
senso soggettivo del fine e dell’oggetto delle garanzie giurisdizionali, superando, così, la configurazione di giurisdizione di diritto oggettivo e, soprattutto, la pretesa natura amministrativa
delle decisioni della IV Sezione.
Quanto detto, vale ad affermare che, se nell’ambito della giurisdizione ordinaria, l’operatività del principio dello stare decisis,
e, più esattamente, la derivazione giurisdizionale del diritto, è
stato percepito per lo più quasi come un attentato al superiore
valore giuridico dato dalla norma, nell’ambito della giurisdizione amministrativa, soprattutto, con tutta probabilità, per la conformazione ibrida del Consiglio di Stato, ci si trova, invece, innanzi ad un organo giurisdizionale creatore di diritto, a pieno
titolo peraltro, stante che nell’elaborazione dei principi e
dell’organizzazione amministrativa, per venire incontro ad esigenze di equità o buon andamento o di giustizia sostanziale, e
per dare ordine ad una legislazione scoordinata e lacunosa, ha
138
In proposito, ancora G. MORBIDELLI, op. ult. cit., 765, che richiama il dibattito svoltosi in seno all’Assemblea costituente.
139
Il riferimento è, ancora una volta, a G. MORBIDELLI, cit., 767
140
Ciò, peraltro, si evince sin dalle prime pronunce di quest’organo, richiamate da D. FELICI, Analisi di una maieutica giudiziale: il trentennio iniziale
della Quarta Sezione del Consiglio di Stato, in AA. VV., Studi per il centenario della Quarta Sezione, Roma, 1989, 233 ss., laddove si cominciano ad intravedere concetti, ormai consolidati, ma sostanzialmente innovativi per
quell’epoca, quali l’equità, la ragionevolezza o la correttezza amministrativa.
141
Su cui non può non rinviarsi a F. BENVENUTI, Eccesso di potere per vizio
della funzione, in Rass. Dir. pubbl., 1950, 1 ss.
49 www.judicium.it
innovato l’ordinamento. Ciò, però, si è verificato anche, e forse
in maggior misura, proprio perché, contrariamente a quanto avvenuto in sede di diritto civile, la non codificazione del diritto
amministrativo, oltre che l’esigenza insita in qualunque ordinamento di individuare criteri sistematici e ordinatori, ha legittimato la giurisprudenza ad individuare le regole dell’azione amministrativa, in parte estrapolandole da disposizioni di legge di particolare rilievo e di lì generalizzate per disciplinare ipotesi analoghe prive di diretta regolazione, in parte dai principi generali
del diritto, desunti anche dal diritto privato, in parte, infine, ricavandole dai principi costituzionali e, più di recente, del diritto
comunitario142. Sicché, può dirsi, che esso ha, da sempre, operato come “creatore” o, quantomeno, “correttore della legislazione esistente”143.
Quanto alla funzione nomofilattica, essa, prima dell’istituzione
dei TAR, veniva esercitata in un sistema sostanzialmente caratterizzato dalla presenza di un unico giudice di legittimità, sicché
sembrava atteggiarsi più come razionalizzazione della giurisprudenza di un unico organo diviso in più sezioni, come accennato in precedenza, infatti, l’Adunanza Plenaria nasce per dirimere i contrasti potenziali o in atto tra la IV e la V sezione, che
come attività di tutela del diritto attraverso l’unificazione di un
articolato complesso giurisprudenziale. Con l’introduzione del
doppio grado di giudizio anche nell’ambito della giustizia amministrativa, con la creazione dei TAR, quali organi di giustizia
di primo grado, la situazione è radicalmente cambiata e le funzioni di nomofilachia sono state estese all’intero Consiglio di
Stato nei confronti dei medesimi TAR144.
Più esattamente, la funzione nomofilattica, viene svolta
dall’Adunanza Plenaria, e, già l’art. 45 del T.U. delle leggi sul
Consiglio di Stato (r.d. 26 giugno 1924, n. 1054) prevedeva, ai
commi 2 e 3, che la sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato, ove rilevi che il punto di diritto sottoposto al suo esame abbia
dato o possa dar luogo a contrasti giurisprudenziali, può rimettere, anche su richiesta delle parti, il ricorso all’Adunanza Plenaria.
142
In tal senso, G. MORBIDELLI, Il principio di legalità e i c.d. poteri impliciti,
in Dir. amm., 2007, 754.
143
Così S. CASSESE, Il Consiglio di Stato come creatore di diritto e come
amministratore, in G. PASQUINI – A. SANDULLI (a cura di), Le grandi decisioni del Consiglio di Stato, Milano, 2001, 1 ss. In generale, sulla formazione
giurisprudenziale del diritto amministrativo, si veda F. MERUSI, Sullo sviluppo giurisprudenziale del diritto amministrativo italiano, in AA. VV., Legge,
giudici, politica. Le esperienze italiana ed inglese a confronto, in Quaderni
della Scuola Superiore, Milano, 1983, 122 ss.; M. NIGRO, Il Consiglio di Stato giudice e amministratore (aspetti di effettività dell’organo), in Riv. tri. Dir.
e proc. civ., 1974, 1371 ss.
144
F. SAITTA, Valore del precedente giudiziale, cit., 621.
50 www.judicium.it
Prima della decisione, inoltre, il Presidente, su richiesta di parte
o d’ufficio, può deferire all’Adunanza Plenaria qualunque ricorso che renda necessaria la risoluzione di questioni di massima di
particolare importanza.
La medesima norma145 si rinviene in relazione ai ricorsi proposti
innanzi al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione
siciliana, con la particolarità, su cui si tornerà più avanti, che, ai
sensi dell’art. 10, comma 4, D.lgs. 24 dicembre 2003, n. 373,
qualora il punto di diritto sottoposto all’esame del CGA abbia
dato luogo o possa dar luogo a contrasti giurisprudenziali con le
sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, la sezione giurisdizionale del CGA può, in qualunque stadio del processo, deferire la cognizione del ricorso all’Adunanza Plenaria, la cui composizione, in tal caso, sarà integrata da due magistrati del Collegio siciliano146. All’Adunanza Plenaria, nella medesima composizione speciale, inoltre, è devoluta anche la cognizione dei conflitti di competenza tra il CGA ed il Consiglio di Stato.
L’Adunanza Plenaria, inoltre, ha competenza di giudice di appello ed il conseguente onere di decidere su tutte le questioni
della controversia ad essa devoluta, sicché può dirsi che essa
svolge il duplice ruolo di realizzare la giurisdizione in senso
stretto, attraverso l’attuazione della legge nel caso concreto, e
fornire indirizzi interpretativi uniformi per mantenere, nei limiti
del possibile, l’unità dell’ordinamento.
Con l’emanazione del codice del processo amministrativo, le
funzioni dell’Adunanza Plenaria sono rimaste, sostanzialmente,
le stesse: l’art. 99, infatti, ha mantenuto le richiamate disposizioni dell’art. 45 del T.U. n. 1054 del 1924. Conseguentemente,
non solo le sezioni giurisdizionali hanno il potere/dovere di deferire, anche a richiesta di parte, la decisione del ricorso, che
può dar luogo a contrasti, all’Adunanza Plenaria, ma anche il
Presidente del Consiglio di Stato ha il medesimo potere/dovere
non solo per dirimere conflitti giurisprudenziali, ma anche per
risolvere questioni di massima di particolare importanza147. In
tal caso, peraltro, l’Adunanza Plenaria, come la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, può enunciare il principio di diritto
nell’interesse della legge, anche se dichiari il ricorso irricevibile,
inammissibile o improcedibile, ovvero l’estinzione del giudizio.
145
Peraltro, non nodificata dal c.p.a.
Normalmente, infatti, come si puntualizzerà meglio nel prosieguo della
trattazione, i membri del CGA, non importa se togati o meno, non entrano a
far parte dell’Adunanza Plenaria.
147
Il mantenimento di tale ultima previsione ha provocato le critiche di M.
LIPARI, Impugnazioni in generale, in A. QUARANTA – V. LOPILATO (a cura
di), Il processo amministrativo. Commentario al d.lgs. 104/2010, Milano,
2011, 735 ss., che ravvisa nel potere del Presidente una lesione del principio
del giudice naturale.
146
51 www.judicium.it
Tuttavia, dalla normativa in esame emerge un altro punto di differenziazione rispetto alla disciplina dettata a livello privatistico:
a differenza di quanto avviene per le Sezioni Unite della Cassazione che possono essere adite direttamente dalle parti in sede di
regolamento di giurisdizione, infatti, non è prevista la medesima
possibilità nel campo del processo amministrativo, sicché le parti potranno giungere all’Adunanza Plenaria solo attraverso il filtro delle Sezioni semplici o del Presidente del Consiglio di Stato.
A differenza delle Sezioni Unite, inoltre, poiché il Consiglio di
Stato è giudice d’appello che decide anche il merito della vicenda, l’Adunanza Plenaria ha il potere di decidere l’intera controversia, anche nel merito, salvo che ritenga di enunciare il principio di diritto e restituire per il resto il giudizio alla Sezione rimettente 148 . L’art. 99, comma 3, infatti, a differenza
dell’omologo processualcivilistico prevede che l’Adunanza Plenaria pronunci un principio, non il principio, con ciò indicando
chiaramente che, a differenza delle Sezioni Unite, la Plenaria affronta il caso concreto e lo decide, indicando i principi seguiti
per risolvere la controversia. Conseguentemente, pur potendo
rilevare l’affermazione di una sola regola, è funzionale alla sua
pronuncia l’enunciazione di tutti i passaggi necessari per giungere alla definizione della lite, senza che debba fissare, salva la
rara ipotesi in cui intenda rimettere alla Sezione la definizione
del ricorso, il principio cui debba attenersi la Sezione cui non
viene rinviato il ricorso149.
Rispetto a quanto visto in relazione alle modifiche introdotte nel
2006 per la Cassazione, qui, dunque, la disposizione veramente
innovativa è quella di cui al comma 3 dell’art. 99 c.p.a.150, che,
alla stregua del comma 3 dell’art. 374 c.p.c., stabilisce il vincolo
giuridico per le Sezioni semplici di uniformarsi al precedente
dell’Adunanza Plenaria, salva la possibilità, in caso di dissenso,
di rimettere a quest’ultima la decisione del ricorso, con ordinanza motivata che chiarisca le ragioni che portano la Sezione a non
condividere il principio già stabilito151.
148
Cfr., E. FOLLIERI, L’introduzione del principio dello stare decisis
nell’ordinamento italiano, con particolare riferimento alle sentenze
dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in Dir. proc. amm., 2012,
1252.
149
Così ancora E. FOLLIERI, Op. ult. cit., 1254.
150
Di quest’avviso, comunque condivisibile, M. LIPARI, Impugnazioni, cit.,
737.
151
M. MENGOZZI, Art. 99, in F. CARINGELLA – M. PROTTO (a cura di), Codice
del nuovo processo amministrativo, Roma, 2010, 855, ha ritenuto che tale
disposizione ha rafforzato la funzione nomofilattica dell’Adunanza Plenaria
non tanto, o non solo, in punto di vincolatività delle sue decisioni, quanto per
il fatto che tali decisioni sono dotate di un particolare rilievo giuridico e non
più soltanto di particolare autorevolezza, secondo l’impostazione tradizionale.
In realtà, sembra, piuttosto, preferibile ritenere che il codice si sia limitato a
52 www.judicium.it
L’accresciuta rilevanza e forza giuridica delle decisioni
dell’Adunanza Plenaria implica, com’è stato rilevato152, che sia
le Sezioni semplici del Consiglio di Stato che i TAR continueranno a “dare linfa” all’evoluzione giurisprudenziale del diritto
amministrativo, ma l’intervento della Plenaria stabilizza i principi e chiude il processo innovativo giurisprudenziale, quasi come un punto d’arrivo che potrà essere modificato soltanto
dall’Adunanza Plenaria medesima che, nello stabilire un nuovo
principio, diverso dal suo precedente, tiene bloccata sul punto la
posizione diffusa di principi giurisprudenziali. Ciò, in sostanza,
secondo l’orientamento che si sta richiamando, trasforma la Plenaria in un freno all’evoluzione giurisprudenziale e, contemporaneamente, in un punto fermo nell’interpretazione e nella posizione dei principi. Sicché, gli ambiti di creazione giurisprudenziale dei giudici amministrativi diventano inversamente proporzionali alle aree coperte dai principi posti dall’Adunanza Plenaria, la quale pur assicurando certezza e prevedibilità delle decisioni153, inibisce la forza innovativa delle Sezioni del Consiglio
di Stato, costringendole al meccanismo della necessaria rimessione con ordinanza motivata, e dei TAR.
Deve, però, essere sottolineato come, nell’impianto normativo
delineato dall’art. 99 c.p.a., le Sezioni semplici partecipino attivamente alla funzione nomofilattica attribuita all’Adunanza Plenaria, godendo di un potere di iniziativa particolarmente rilevante: è, infatti, compito della Sezione valutare se il punto di diritto
sottoposto al suo esame è davvero controverso, se possa dare
luogo, o abbia dato luogo, a conflitti giurisprudenziali.
La Sezione semplice dovrà, quindi, effettuare un sindacato sulla
rilevanza o meno della questione, decidendo, poi, per il rinvio
normativizzare una prassi adottata dalle Sezioni semplici da sempre. Non è,
infatti, una novità, come meglio si puntualizzerà in sede conclusiva, che le
Sezioni semplici si conformino alle decisioni della Plenaria; vuoi perché ne
“subiscono” l’autorevolezza, vuoi perché tali decisioni vengono adottate, in
pratica, da tutto il Consiglio di Stato, il dato di fatto è che una volta che la
Plenaria enuncia il principio di diritto, questo verrà seguito dalle Sezioni
semplici. E ciò, ben prima che venisse introdotta la richiamata norma codicistica. Il problema, in realtà, poteva, e può, sorgere tra singole Sezioni, dato
che esse non sono vincolate a seguire gli orientamenti espressi dall’una o
dall’altra. Il problema, dunque, non era quello di prevedere un vincolo soltanto orizzontale – tra l’organo superiore e gli inferiori -, bensì anche verticale –
tra Sezioni -, onde scongiurare problemi di incertezza del diritto e, conseguentemente, di fenomeni di c.d. forum shopping. Problema che solo apparentemente poteva essere risolto, per come è stato risolto, con l’intervento
obbligatorio dell’Adunanza Plenaria.
152
Da E. FOLLIERI, Op. cit., 1255.
153
Sul problema, precedente all’introduzione del codice, dei contrasti giurisprudenziali fautori di incertezza del diritto, imprevedibilità delle decisioni e,
soprattutto, instabilità del sistema, sia consentito rinviare alle considerazioni
svolte in A. CALDARERA, Contributo alla fase cautelare, cit., 386 - 387.
53 www.judicium.it
alla Plenaria sulla base della propria discrezionalità, esaltata soprattutto nell’ipotesi in cui il conflitto non si sia ancora verificato, ma sia solo potenziale. Tale interazione trova il suo raccordo
più funzionale nella ricordata disposizione per cui la rimessione
deve avvenire con ordinanza motivata. Nella motivazione, infatti,
la Sezione darà conto delle ragioni del suo dissenso nei confronti del principio di diritto già affermato precedentemente dalla
Plenaria, in tal modo assumendo un ruolo propositivo e dialettico nell’esercizio della funzione di nomofilachia154.
D’altra parte, se è vero che “la motivazione è un rendiconto che
i giudici presentano all’uso del loro potere, in quanto questo
non appartiene loro esclusivamente, ma viene esercitato in nome del popolo, titolare della sovranità”155, si capisce come proprio in questo caso, mutuando il rilievo della dottrina più attenta156, non rileva solo la c.d. “motivazione esterna”, intesa come
procedimento diretto a dimostrare, giustificandola, la validità
della soluzione adottata, ma anche, e soprattutto, quella interna,
volta a formulare una determinata soluzione ad un problema.
Risulta, infatti, chiaro come il ragionamento seguito dalla Sezione rimettente, e le conclusioni cui essa giunge, influenzeranno la decisione dell’Adunanza Plenaria, che a sua volta, alla luce
della nuova disciplina, dovrà discernere con maggiore attenzione la sequenza logico-argomentativa volta alla risoluzione del
caso concreto in esame, e l’individuazione del principio di diritto che costituisce la vera ratio decidendi del caso, che dovrà essere espressamente indicato nella sentenza.
Dalla lettura dell’art. 99, però, sembra che il vincolo al precedente sussista solo per le Sezioni semplici del Consiglio di Stato
e non anche per i TAR.
Poiché, com’è stato rilevato157, un meccanismo di vincolo assoluto sull’intero sistema della giustizia amministrativa sarebbe
difficilmente giustificabile sul piano costituzionale, in quanto,
una previsione del genere, oltre a rendere, in alcuni casi, addirittura inutile il primo grado di giudizio, travolgerebbe proprio
l’interesse generale ad adeguare velocemente l’interpretazione
alla realtà, “in un percorso che dalla “nomofilachia” condurrebbe alla “tirannia” del principio di diritto”, se ne deve dedur 154
In tal senso, S. OGGIANU, Giurisprudenza amministrativa e funzione nomofilattica, cit., 180 – 184.
155
Così, G. SILVESTRI, Relazione di sintesi, in A. RUGGERI (a cura di), La
motivazione, cit., 571.
156
F. SAITTA, Valore del precedente, cit., 594.
157
A. STORTO, Decisioni della Plenaria e vincolo di conformazione, in
www.giustizia-amministrativa.it, 2012, 11, il quale, correttamente, precisa
anche che qui non potrebbe pensarsi nemmeno un meccanismo di filtro, come
quello previsto dall’art. 360 c.p.c. per il giudizio in Cassazione, per la natura
di giudice di merito di secondo grado del Consiglio di Stato.
54 www.judicium.it
re che un condizionamento “di sistema” può essere delineato solo nella misura in cui la pronuncia del TAR che si discosti da un
principio di diritto enunciato dalla Plenaria non dovrebbe poter
essere confermata in via immediata dalla Sezione semplice investita dell’appello, la quale, in caso di condivisione, ha l’obbligo
di rimettere la questione alla Plenaria medesima.
Tale meccanismo, peraltro, sembra pienamente inserirsi in quel
circuito, che si è appena visto, per cui le Sezioni semplici, rimettendo la questione alla Plenaria con ordinanza motivata, partecipano attivamente alla formazione del principio di diritto. Proprio
per mezzo dell’ordinanza di rimessione della Sezione semplice,
che non potrà non tenere conto degli orientamenti espressi dal
TAR appellato, il quale dovrà manifestare il dissenso con una
adeguata motivazione del suo pronunciamento, infatti, anche il
giudice territoriale, seppur indirettamente, ha la possibilità di
partecipare all’esercizio della funzione nomofilattica158, completando, così, in senso “circolare” il percorso nomofilattico.
Da quanto detto si evince come, anche in tal caso, pur dovendosi
ammettere un sostanziale avvicinamento dell’ordinamento al sistema dello stare decisis, questo è, in parte, superato e sviluppato. Non si assiste, infatti, ad un adeguamento automatico dei
giudici inferiori a quelli superiori, bensì ad una sorta di compartecipazione della funzione adeguatrice del diritto, volta a sviluppare l’espansione massima della garanzia ad avere un diritto veramente giusto e confacente alle esigenze della società.
4. – CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.
La conferma di quest’ultima considerazione potrebbe essere rinvenuta proprio nella situazione da cui si è partiti per la stesura
del presente lavoro.
Come si è visto, infatti, il principio di diritto enunciato
dall’Adunanza Plenaria nella sentenza n.4 del 2011, è stato più
volte messo in discussione dai giudici, per così dire, inferiori,
fino a giungere a decisioni difformi delle Sezioni Unite della
Cassazione e della Corte di Giustizia UE, un rinvio pregiudiziale
da parte del CGA ed un nuovo pronunciamento della stessa
Adunanza Plenaria – la sentenza n. 9 del 2014 – che se da una
parte confermano il radicarsi di una sorta di dialogo collaborativo tra giudici diversi, dall’altra, invece, mostrano, come risvolto
negativo della medaglia, una frammentazione del diritto e della
stessa funzione nomofilattica, “a tutto discapito dei valori che
quella funzione vuole affermare, ossia l’esatta e l’uniforme in 158
Anzi, come sottolinea ancora A. STORTO, Decisioni della Plenaria, cit., 12,
questa è l’unica possibilità per il TAR di influire sugli orientamenti finali in
materia amministrativa.
55 www.judicium.it
terpretazione della legge, al fine di tradurre la certezza del diritto in diritto alla certezza”159.
Il principio del precedente vincolante sembra strettamente legato
al problema della certezza del diritto, per superare il quale, infatti, la dottrina160, già prima delle menzionate riforme legislative,
aveva auspicato la stabilizzazione di una ragionevole certezza
dei rapporti giuridici tra poteri pubblici e privati.
E, d’altra parte, quello della certezza del diritto si atteggia a
principio “talmente generale da avere le sue radici nella stessa
giuridicità, in modo così evidente e quasi elementare da configurarsi come una regola “sotto traccia” capace di permeare, ed
addirittura conformare, l’agire giuridico in quanto tale, in misura tanto più stringente e vincolante quanto più la stabilizzazione dei rapporti intersoggettivi debba necessariamente avvenire a conclusione di operazioni di mediazione/comparazione di
interessi confliggenti, in vista (anche) del riequilibrio funzionale”161.
Tuttavia, per quanto necessario sia garantire la certezza del diritto, come efficacemente notato162, una certa dose di “incertezza
del diritto” è fisiologica, e inevitabile, poiché “qualunque sistema di relazioni umane, qualunque sistema giuridico, qualunque
norma, deve essere costante eppure non può essere immutabile;
deve assicurare una soluzione uniforme per casi individuali diversi secondo un criterio costante in funzione di una tipizzazione
dei casi, eppure deve adeguarsi a una realtà sempre in movimento, sempre diversa nella ricchezza dei suoi casi individuali,
che possono essere paragonati e classificati secondo un procedimento di tipizzazione che deve, come tale, sempre e inevitabilmente sacrificare alcune caratteristiche individuali in relazione al criterio prescelto per la stessa tipizzazione”.
Orbene, quella crisi della legge, che, certamente, si manifesta in
modo particolare nell’impossibilità di garantire un diritto veramente certo, ha portato a ricercare in altre sedi quelle certezze,
quelle guide, che non si riesce più a rinvenire “nel vecchio, rassicurante, rapporto con la legge”163, che, però, non ha portato,
159
Così, G.P. CIRILLO, La frammentazione della funzione nomofilattica, in
www.giustizia-amministrativa.it, 2013, 1.
160
F. MERUSI, La certezza dell’azione amministrativa fra tempo e spazio, in
Dir. amm., 2002, 527 ss.
161
Così R. FERRARA, Il procedimento amministrativo visto dal “terzo”, in
Dir. proc. amm., 2003, 1034.
162
F. SAITTA, Valore del precedente, cit., 616, che richiama T. ASCARELLI,
Certezza del diritto e autonomia delle parti, in Dir. econ., 1956, 1238.
163
Così, I. M. MARINO, Giudice amministrativo, motivazione degli atti e “potere dell’amministrazione”, in Foro amm. – TAR, 2003, 365. In proposito,
però, si veda anche M.A. SANDULLI, Partecipazione e autonomie locali, in
Dir. amm., 2002, 574, che ha manifestato il timore che, a causa della crisi
56 www.judicium.it
nell’immediato, a soluzioni soddisfacenti, in quanto, di converso,
si è assistito ad un incremento dell’instabilità giurisprudenziale
che ha portato le magistrature superiori a sentirsi sempre più libere di scegliere la norma caso per caso e di disattendere, anche,
i dettami del legislatore, mentre quelle inferiori a non dar troppo
peso, frequentemente, alle indicazioni delle medesime magistrature superiori164.
Tale puntualizzazione, sembra fondamentale, in quanto, la certezza del diritto dovrebbe essere assicurata, in un sistema giurisdizionale piramidale, da quel giudice che si pronuncia in via
definitiva sulla controversia: le Sezioni Unite della Cassazione e
l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, ma, più frequentemente, le sezioni in cui le magistrature superiori si scompongono. Mentre, l’uniforme interpretazione della legge, com’è noto e
come più volte qui ribadito, viene garantita solo dai due organi
predetti165.
Il sistema così congegnato, della doppia giurisdizione, non consente, ovviamente, in un ordinamento, come quello italiano, non
fondato sulla regola dello stare decisis, di discostarsi dagli strumenti previsti e spingersi fino ad immaginare che il vincolo della pronuncia di una delle due magistrature superiori possa andare oltre l’ambito del giudizio in cui è stata emanata. Sicché, attraverso la regola, inventata dalla stessa Corte di Cassazione, del
limite interno ed esterno della giurisdizione, si è consentito che
le singole magistrature svolgessero, ciascuna nel proprio ambito
giurisdizionale, la funzione nomofilattica (nomofilachia interna),
tranne che per le questioni di giurisdizione (nomofilachia esterna), per le quali la sola Cassazione è individuata dalla Costituzione quale organo competente166.
Tale sistema, funzionante grazie alla summenzionata regola del
limite interno ed esterno, è stato messo in crisi dai noti contrasti
sorti intorno ad alcune questioni fondamentali che, conseguentemente, hanno minato anche il fondamentale principio della
della legge e, più esattamente, del suo ruolo, si sia costretti ad abdicare
all’irrinunciabile valore della certezza del diritto, al punto che il diritto di difesa si traduca in una mera affermazione teorica, priva di contenuti concreti.
In realtà, può subito ribattersi, il sistema dello stare decisis, se, come si puntualizzerà a breve, opportunamente gestito, sembra scongiurare questo rischio,
ed anzi fungere da maggiore garanzia del principio della certezza, visto, però,
in dimensione dinamica, maggiormente consona alla fluidità del diritto.
164
In tal senso, F. SAITTA, Valore del precedente, cit., 618; V. DOMENICHELLI, Regolazione e interpretazione nel cambiamento del diritto amministrativo:
verso un nuovo feudalesimo giuridico?, in Dir. proc. amm., 2004, 6.
165
G.P. CIRILLO, La frammentazione della funzione nomofilattica, cit., 2.
166
Così, ancora G.P. CIRILLO, Op. ult. cit., 4.
57 www.judicium.it
167
certezza del diritto , e che, per ragioni di economia della trattazione non possono, certamente, essere tutti ricordati.
Basti pensare, ad esempio, alla giurisprudenza sulla risarcibilità
degli interessi legittimi. In disparte la celeberrima sentenza delle
S.U. n. 500 del 1999, che rappresenta, indubbiamente, la dimostrazione di come la soluzione di un problema secolare, che
cambia radicalmente i rapporti tra amministrazione e cittadino,
possa essere creata dal giudice in luogo del legislatore inerte168,
a conferma, peraltro, della compatibilità, anche negli ordinamenti di civil law, del sistema anglosassone di creazione giurisprudenziale delle regole di diritto, si vuole, qui, evidenziare il
contrasto sorto, in seguito, sulla c.d. pregiudiziale amministrativa, che, certamente, dimostra quella situazione di incertezza del
diritto di cui si è detto poc’anzi. È, infatti, noto il botta e risposta
delle due Corti in materia, sfociato, poi, nella discutibile pronuncia con cui le S.U. hanno ravvisato un diniego di giustizia
nella regola per cui per poter ottenere il risarcimento del danno
era necessario il previo annullamento dell’atto lesivo169; questione, poi, risolta, definitivamente, dalla disciplina codicistica
che non prevede più il necessario passaggio dall’azione di annullamento per azionare quella risarcitoria170.
La descritta situazione, secondo alcuni171, deriverebbe anche dal
riconoscimento, oltreché delle S.U. della Cassazione, da parte
167
Sulla tematica della certezza del diritto, F. SAITTA, Valore del precedente,
cit., 623 ss.
168
F. SAITTA, Valore del precedente, cit., 618.
169
Corte Cass., S.U., 23 dicembre 2008, n. 30254, in www.federalismi.it, con
introduzione di M.A. SANDULLI; in www.lexitalia.it; in www.giustamm.it, con
note di P. CARPENTIERI, Pregiudiziale amministrativa: la Cassazione approfondisce il tema e ribadisce la sua posizione negativa. Ma apre la strada
all’intervento del legislatore, indispensabile per porre condizioni e limiti al
risarcimento senza annullamento; C. VARRONE, La pregiudizialità amministrativa: un mito in frantumi; R. VILLATA, La Corte di Cassazione non rinuncia al programma di imporre al Consiglio di Stato le proprie tesi in tema di
responsabilità della pubblica amministrazione attribuendo la veste di questione di giurisdizione ad un profilo squisitamente di merito; A. ROMANO
TASSONE, Morire per la “pregiudiziale amministrativa”?; F. SATTA, Quid
novi dopo la sentenza n. 30254/2008 delle Sezioni Unite?. Sia consentito rinviare anche a A. CALDARERA, La c.d. pregiudiziale amministrativa. Nota a
Cass. Sez. Un. 23 dicembre 2008, n. 30254, in www.judicium.it, 2009. Le
conclusioni raggiunte dalle S.U., sono state, in seguito, ribadite con le sent. 6
settembre 2010, n. 19048, 16 dicembre 2010, n. 23595 e 11 gennaio 2011, n.
405, tutte in www.cortedicassazione.it.
170
Su questo punto, sia consentito rinviare a A. CALDARERA, Il risarcimento
del danno da lesione dell’interesse legittimo dopo il codice del processo amministrativo. esiste ancora la c.d. pregiudiziale amministrativa? Poche battute a margine della sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 23
marzo 2011, n. 3 e dell’ordinanza del T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 07 settembre 2011, n. 1628, in www.giustamm.it, 2011.
171
G.P. CIRILLO, La frammentazione, cit., 4.
58 www.judicium.it
172
della Corte Costituzionale , del principio, positivo, della c.d.
translatio iudicii, che ha riconosciuto, com’è noto, la conservazione degli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda proposta al giudice privo di giurisdizione, a seguito di
declinatoria di giurisdizione, nel giudizio proseguito innanzi al
giudice che, invece, ne è fornito.
A seguito di tale pronunciamento, infatti, pare che la Corte di
Cassazione abbia rinvigorito i sempiterni tentativi di superare il
limite esterno della giurisdizione, in particolare, laddove accanto
al sindacato sull’eccesso di potere giurisdizionale non solo rispetto alla giurisdizione ordinaria, bensì rispetto ai tre tipi di
giurisdizione assegnati al giudice amministrativo, ha individuato
anche il difetto di esercizio del potere giurisdizionale, sino a
giungere ad indicare come quel potere debba essere esercitato,
nel tentativo, probabilmente, non tanto di rendere maggiormente
effettiva la tutela giurisdizionale, quanto di realizzare l’unità
della giurisdizione, tuttavia accentrandola presso di sé.
Gli esempi di tale situazione, come si è detto, sono innumerevoli
e, come da altri sottolineato173, delineano un quadro davvero desolante, in quanto, se è scontato ed inevitabile che quando coesistono nello stesso ordinamento più corti supreme, come in Italia
con la Corte di Cassazione ed il Consiglio di Stato, ognuna collocata al vertice della propria giurisdizione, ogni giudice tenda a
seguire i precedenti del proprio organo di vertice, nell’ipotesi di
precedente c.d. verticale, ossia di giudice superiore della medesima giurisdizione, che dovrebbe istituzionalmente garantire
l’uniformità dell’interpretazione della legge, deviazioni rispetto
all’uniformità diacronica della giurisprudenza dovrebbero essere
tendenzialmente escluse, salva la sussistenza di particolarissime
ragioni.
Mentre nei sistemi di common law, in virtù del principio dello
stare decisis, il cittadino può fare affidamento sull’osservanza di
un precedente rappresentato anche solo da una decisione di una
corte suprema, nel nostro ordinamento, la resistenza dei giudici
172
Corte Cass., S.U., 22 febbraio 2007, n. 4109, in www.lexitalia.it e Corte
Cost., 12 marzo 2007, n. 77, in Foro amm. CDS, 2007, 753, su cui sia consentito, ancora, rinviare a A. CALDARERA, Considerazioni sulla c.d. translatio iudicii, in Dir. proc. amm., 3, 2009, 715 ss., oltre che, tra i tanti, a R.
ORIANI, E’ possibile la translatio iudicii nei rapporti tra giudice ordinario e
giudice speciale: divergenze e consonanze tra Corte di Cassazione e Corte
Costituzionale, in Foro it., 2007, I, 1013 ss.; C. CONSOLO – M. DE CRISTOFARO, Evoluzioni processuali tra translatio iudicii e riduzione della proliferazione dei riti e dei ritualismi, in Corr. Giur., 2007, 745 ss.; M.A. SANDULLI,
Note a primissima lettura delle sentenze n. 4109 delle sezioni unite della
Corte di Cassazione e n. 77 della Corte Costituzionale, in www.federalismi.it;
C. CACCIAVILLANI, Translatio iudicii tra Corte di Cassazione e Corte Costituzionale, in Dir. proc. amm., 2007, 1023 ss.
173
F. SAITTA, Valore del precedente, cit., 620.
59 www.judicium.it
delle istanze inferiori alla giurisprudenza di grado superiore, non
consente di fare affidamento nemmeno su una solenne decisione
delle Sezioni Unite o dell’Adunanza Plenaria. Ed infatti, se i
contrasti tra le due supreme istanze della giustizia italiana, come
accennato, portano inevitabilmente all’incertezza del diritto, o,
quantomeno, ad un malfunzionamento del sistema, i contrasti tra
i giudici del medesimo plesso giurisdizionale stravolgono completamente anche la necessità di ottenere una tutela effettiva.
Basti solo pensare alla querelle sorta a seguito del principio sancito dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 4 del 2011, che
ha portato, alfine, all’ ordinanza con cui il CGA ha sollevato la
questione pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia, e dalla
quale si è partiti per la stesura di questo lavoro.
In proposito, non può non ricordarsi anche la situazione creatasi
in materia di concorsi pubblici ed esami, soprattutto a seguito
del pronunciamento con cui l’Adunanza Plenaria174 aveva stabilito che in questa materia, ove fosse intervenuta una nuova valutazione positiva, anche a seguito di un pronunciamento cautelare,
questa si sostituisce alla precedente valutazione negativa, determinando l’improcedibilità del giudizio in corso, sostanzialmente,
per sopravvenuta carenza di interesse.
Per quanto qui interessa, è indicativo dell’accennata situazione
di incertezza l’atteggiamento assunto dalla magistratura inferiore a seguito del summenzionato orientamento. È, infatti, noto
come la giurisprudenza delle Sezioni semplici del Consiglio di
Stato si sia costantemente attenuta alle indicazioni espresse prima dalla Plenaria e, poi, positivizzate175, garantendo, in tal modo,
una certa coerenza ed affidabilità del sistema 176, mentre gli
orientamenti in controtendenza del CGA siciliano177, pure in
presenza di espressa disposizione legislativa, hanno condotto
non solo ad una situazione di insuperabile incertezza e di palese
disparità di trattamento di situazioni identiche trattate, però, da
diversi giudici, ma anche all’intervento della Corte Costituzio 174
Cons. Stato, Ad. Plen., 27 febbraio 2003, n. 3, in Dir. proc. amm., 2003,
1201 ss., con nota di M. ANDREIS, L’attività successiva alla sentenza di annullamento tra acquiescenza e principio di assorbimento.
175
Dall’art. 4, comma 2-bis della legge 17 agosto 2005, n. 168.
176
Sembra interessante, in proposito, la giurisprudenza più recente del Consiglio di Stato, che ha ravvisato un abuso del processo nell’atteggiamento
dell’amministrazione che dopo aver rinnovato in maniera positiva la valutazione di un concorrente, peraltro in via di autotutela disattendendo il dictum
cautelare del giudice di primo grado, abbia proposto appello contro la sentenza di merito del TAR. Sul punto, si veda Cons. Stato, Sez. IV, 2 marzo 2012,
n. 1209, in www.giustizia-amministrativa.it.
177
In particolare, Cons. Giust. Amm. Reg. Sicilia, sez. giurisdizionale, ord.
28 luglio 2006, n. 479; Cons. Giust. Amm. Reg. Sicilia, sez. giurisdizionale,
ord. 5 giugno 2008, n. 328, in www.giustizia-amministrativa.it.
60 www.judicium.it
178
nale , la quale ha confermato, e, ovviamente, arricchito, l’impianto già delineato in passato dalla Plenaria179.
Orbene, quanto detto offre lo spunto per riportare ad unità le ragioni che hanno portato alla stesura del presente lavoro, con la
specificazione del ruolo assunto proprio dallo stesso Consiglio
di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia.
Non è un caso, infatti, se proprio l’organo di vertice della giustizia amministrativa siciliana abbia sempre assunto atteggiamenti
in controtendenza rispetto alle c.d. Sezioni semplici del Consiglio di Stato, ed alla stessa Adunanza Plenaria, tanto da richiedere, in via pregiudiziale, l’intervento della Corte di Giustizia, col
malcelato intento di sottrarsi, probabilmente, all’obbligo di dover rimettere all’Adunanza Plenaria le questioni di diritto da cui
intende discostarsi.
È ben noto che il CGA è nato in attuazione dell’art. 23 dello Statuto regionale, il quale stabilisce che gli organi giurisdizionali
centrali devono avere in Sicilia delle sezioni deputate alla risoluzione delle questioni concernenti la Regione. Dall’attuazione
di tale disposizione, però, è scaturita una configurazione
dell’organo della giustizia amministrativa siciliana molto più
particolare di quanto avrebbe dovuto essere180, e avrebbero voluto i Costituenti siciliani, la cui aspirazione era quella di avere
“forme di decentramento territoriale degli organi giurisdizionali
centrali” e non, come avvenuto, organi giurisdizionali a composizione mista di membri togati e laici181.
Il CGA, pur dovendo costituire una Sezione staccata del Consiglio di Stato, infatti, ha composizione e struttura diverse da quelle tipiche delle Sezioni del medesimo Consiglio di Stato. Ciò è
dovuto, principalmente, alla resistenza da quest’ultimo mostrata,
giustificata dall’esigenza dell’unità del sistema giuridico nazionale, che, però, non è riuscito, alla stregua della Corte di Cassazione, ad evitare il distaccamento della Sezione. Si è così creato
un organo a composizione mista, formato non solo da membri
togati ma anche laici, e a competenza mista, consultiva e giurisdizionale, salvo la diversa composizione del collegio in sede
consultiva e in sede giurisdizionale182.
178
Corte Cost., 9 aprile 2009, n. 108, in Giur. Cost., 2009, 1057.
Per ulteriori specificazioni, sia consentito rinviare a A. CALDARERA, Contributo allo studio della fase cautelare, cit., 205 ss.
180
Sembra, pertanto, condivisibile M.S. GIANNINI, Il Tribunale regionale
amministrativo della Sicilia feliciter restituit, in Giur. Cost., 1975, 1070, che
ha valutato l’ordinamento della giurisdizione amministrativa in Sicilia come
un “ignobile pasticcio”.
181
D. CORLETTO, Il Consiglio di giustizia amministrativa e la singolarità della autonomia siciliana, in Le Regioni, 2005, 399 ss.
182
Per queste, ed ulteriori notazioni storiche sull’istituto in esame, si rinvia a
F.G. SCOCA, Specialità e anomalie del Consiglio di Giustizia Amministrativa
179
61 www.judicium.it
Proprio la particolarità della composizione mista del CGA,
d’altra parte, allontana in modo determinante la struttura delle
“Sezioni staccate” da quella delle Sezioni interne, al punto da
configurare degli organi giudicanti profondamente diversi e non
riconducibili ad unico modello di base183. Ciononostante, risulta
indiscutibile la legittimità costituzionale della composizione mista del CGA e delle “Sezioni staccate” siciliane del Consiglio di
Stato184, tanto che anche a seguito della modifica, intervenuta
con il D.lgs. n. 373 del 2003, della sua struttura organizzativa, è
rimasto un certo margine di ambiguità sulla sua natura e, soprattutto, sui suoi collegamenti con il Consiglio di Stato.
Pur se la menzionata normativa stabilisce espressamente che le
due Sezioni del CGA costituiscono “Sezioni staccate” del Consiglio di Stato, infatti, queste risultano, contemporaneamente,
anche Sezioni interne del CGA. Di qui il dubbio, espresso dalla
dottrina185, se il CGA sia da considerarsi come mero riferimento
terminologico per riferirsi alle due Sezioni siciliane, con l’ovvia
conseguenza che esse fanno capo unicamente al Consiglio di
Stato, ovvero se debba riconoscersi al CGA la consistenza di un
vero e proprio organismo giuridico, con la conseguenza, altrettanto ovvia, che non si riesce a spiegare come esso possa essere
considerato un’appendice del Consiglio di Stato e non un organo
autonomo rispetto a quest’ultimo.
Tali considerazioni trovano indubbia conferma nel fatto che il
CGA deve, necessariamente, essere inteso quale organismo unitario, comprensivo delle due Sezioni186, l’una giurisdizionale e
l’altra consultiva, con propria presidenza, propria organizzazio per la Regione siciliana, in Dir. proc. amm., 2007, 3 ss.; S. RAIMONDI,
L’ordinamento della giustizia amministrativa in Sicilia. Privilegio e condanna, in www.uspur.inifi.it, 2009, 2 ss., in part. 45 ss.
183
In tal senso F.G. SCOCA, Specialità e anomalie, cit., 18.
184
Sul punto, S. RAIMONDI, Il salvataggio del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, in Nuove autonomie, 2004, 880 ss.
185
F.G. SCOCA, Specialità e anomalie, cit., 20.
186
Le quali, peraltro, non possono nemmeno essere considerate quali Sezioni
specializzate, in quanto non si occupano di materie diverse da quelle delle
altre Sezioni dello stesso plesso giurisdizionale, come previsto dall’art. 102,
comma 2, Cost., ma sono solo composte in modo diverso, come sottolinea
anche R. ROTIGLIANO, Il C.G.A.? Va bene lo stesso, in Nuove autonomie,
2004, 897, e, sono “staccate” solo nel senso che hanno sede fuori dal plesso
giurisdizionale. Esse, tuttavia, non sono governate dal Consiglio di Stato,
bensì dal medesimo CGA. Ciò, tuttavia, non sembra dirimente, posto che anche le Sezioni staccate dei TAR sono governate dal loro presidente, per quanto di sua competenza. Deve invece, piuttosto, evidenziarsi che né l’art. 1,
comma 2, della L. n. 186 del 1982, nello stabilire che “il Consiglio di Stato si
divide in sei sezioni”, né l’art. 17, comma 28, della L. n. 127 del 1997, che
istituisce la Sezione consultiva per gli atti normativi, fanno alcun cenno alle
Sezioni staccate, segno, questo, che conduce inevitabilmente a ritenere il
CGA un organo autonomo rispetto al Consiglio di Stato.
62 www.judicium.it
ne e proprio funzionamento. Un organismo, dunque, palesemente a sé stante, distinto dal Consiglio di Stato, pur se ad esso legato per le funzioni e, in parte, per la composizione187.
Non solo la composizione mista, ma anche il regime della competenza sembra, peraltro, rendere diverse le Sezioni staccate da
quelle interne del Consiglio di Stato. Mentre, infatti, non può
immaginarsi un conflitto di competenza tra le Sezioni interne,
l’art. 10, comma 5, del D.lgs. n. 373 del 2003, prevede espressamente che i conflitti di competenza tra CGA e Consiglio di
Stato vengano risolti dal’Adunanza Plenaria188, in una speciale
composizione, della quale entrano a far parte anche due magistrati del CGA, che di solito non ne fanno parte189.
187
Il CGA è, infatti, composto da magistrati del Consiglio di Stato collocati
fuori ruolo. Sul punto, si vedano anche le considerazioni di S. RAIMONDI,
L’ordinamento della giustizia amministrativa in Sicilia, cit., 25, che non ritiene convincente la qualificazione di “staccate” delle Sezioni del CGA.
188
Un esempio recente può rinvenirsi in Cons. Stato, Sez. III, 15 novembre
2013, n. 5443, in www.lexitalia.it, con nota di N. SAITTA, Prospettabilità di
una translatio iudicii tra Consiglio di Stato e C.G.A., che, prospettando la
possibile operatività dell’istituto della translatio iudicii in un conflitto di
competenza tra Consiglio di Stato e CGA, ed evidenziando che ciò è possibile proprio in ragione del fatto che le Sezioni del CGA sono staccate rispetto a
quelle interne del Consiglio di Stato, sembra, pur non volendo, rimarcare una
volta ancora la separazione tra i due organi. Tale orientamento, però, non è
stato condiviso da Cons. Stato, Ad. Plen., 22 aprile 2014, n. 12, in
www.giustizia-amministrativa.it, che, richiamando il consolidato orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione in materia che, com’è noto, esclude la
translatio iudicii in appello, ha sottolineato che il CGA assolve in Sicilia alle
medesime funzioni consultive e giurisdizionali del Consiglio di Stato e, per
conseguenza, le sezioni di cui è composto funzionano come sezioni staccate
del Consiglio di Stato. Sicché, esso gode di una “competenza funzionale inderogabile” che non consentendo di estendere le norme che, in primo grado,
disciplinano la riassunzione del processo innanzi al giudice competente, determina, qualora l’appello sia proposto a giudice diverso da quello individuato dalla legge, la consumazione del potere di impugnare, ove siano decorsi i
termini per il gravame, ed il conseguente passaggio in giudicato della sentenza impugnata.
189
Tale dato sembra far propendere, ancora una volta, per la differenziazione
dei due organi. Non solo, esso spiega anche, a parere di chi scrive, la resistenza mostrata dal supremo consesso siciliano ad adeguarsi alle direttive
espresse nelle sentenze dell’Adunanza Plenaria. Essi, infatti, non partecipano,
in via ordinaria, alle sue decisioni, come i membri delle Sezioni interne del
Consiglio di Stato, né partecipano, sempre in via ordinaria, all’Adunanza Generale, e sembrano essere, anzi, considerati quali giudici altri, pur facendo
parte sostanzialmente dello stesso plesso giurisdizionale. D’altra parte, non
può giungersi a conclusioni diverse, considerando anche il fatto, poc’anzi ricordato, che i componenti togati del CGA sono magistrati del Consiglio di
Stato collocati fuori ruolo, quindi, come sottolineato da F.G. SCOCA, Specialità e anomalie, cit., 22, esercitanti le loro funzioni fuori dall’Istituto al quale
appartengono.
63 www.judicium.it
190
Di qui deriva , come inevitabile conseguenza, che i consiglieri
di Stato assegnati alle c.d. Sezioni staccate non possono essere
considerati “in servizio presso il Consiglio di Stato”, assumendo,
così, una collocazione “ambigua”, essendo “per un verso dentro
e per altro verso fuori dall’Istituto cui in ultima analisi appartengono”, in quanto, in definitiva, esse non sono considerate Sezioni del Consiglio di Stato allo stesso modo in cui lo sono le
Sezioni interne.
In altri termini, l’assenza di una chiara posizione
sull’integrazione del CGA con il Consiglio di Stato, conduce,
inevitabilmente, a considerare l’organo supremo della giustizia
amministrativa siciliana, autonomo e, parzialmente, distinto
dall’organo di vertice (statale) del processo amministrativo.
Il CGA, d’altra parte, è organo d’appello relativamente a tutte e
sole le sentenze del TAR Sicilia. Si ha, così, “un sistema chiuso”191, nel quale difficilmente può innescarsi “quel meccanismo
di riflessione che, in Consiglio di Stato, per merito della dialettica tra le diverse sezioni, porta non infrequentemente (dopo
qualche tempo) ad una revisione degli indirizzi precedenti”192.
Proprio in quanto unico giudice d’appello di un unico giudice di
primo grado, infatti, v’è il rischio di un dialogo eccessivamente
ristretto che, se da un lato può portare ad orientamenti irrigiditi,
pur se spesso gli indirizzi espressi dal CGA si sono dimostrati
razionali ed all’avanguardia, dall’altro lato ha portato ad orientamenti regionali non conformi agli orientamenti generali.
Non è possibile soffermarsi oltre sui problemi 193 generati
dall’ambigua configurazione di tale istituto, ma, quanto detto
190
Come sottolineato ancora da F.G. SCOCA, Specialità e anomalie, cit., 23.
F.G. SCOCA, Specialità e anomalie, cit., 29.
192
Così, S. RAIMONDI, Il modello siciliano della giustizia amministrativa
nell’esperienza del Foro, in Dir. proc. amm., 2001, 350.
193
Gli studi condotti dalla dottrina, peraltro, si soffermano soprattutto sulla
sospetta incostituzionalità, comunque negata dalla stessa Corte Costituzionale,
della composizione mista, e hanno lasciato in secondo piano il quasi totale
distaccamento della giustizia amministrativa siciliana da quella nazionale,
quasi come se si avessero sistemi diversi regolati dalla medesima disciplina
legale. Ciò che, si ripete, non volevano i Costituenti siciliani. Avere delle sezioni con sede in Sicilia degli organi supremi della giustizia, infatti, non doveva tradursi nella creazione di organi differenti da quelli nazionali, come poi
avvenuto con il CGA, ma soltanto organi territorialmente più accessibili e, in
parte, specializzati nella risoluzione delle questioni relative alla specialità
della Regione siciliana. Così doveva essere con riferimento all’Alta Corte di
giustizia – sezione particolare della Corte Costituzionale -, pienamente operativa per qualche tempo, ancora in funzione, ma non funzionante per il mancato rinnovo dei suoi componenti, come per la sezione della Corte di Cassazione che, invece, non è mai stata istituita. Nulla di così eversivo, dunque, ma
solo un sistema che avrebbe garantito, se opportunamente congegnato, soluzioni più celeri, e forse anche più idonee, alle questioni di giustizia che, di
volta in volta, si presentano agli unici organi centrali.
191
64 www.judicium.it
ben evidenzia la problematica che si voleva affrontare con il
presente lavoro: la diversità del CGA, infatti, si esprime pienamente nella richiesta rivolta alla Corte di Giustizia con
l’ordinanza n. 848 del 2013, la quale non è soltanto espressione
di un malessere interno alla giustizia amministrativa italiana,
espresso, appunto, dal tentativo di sottrarsi all’obbligo di rimessione delle questioni controverse all’Adunanza Plenaria, con il
conseguente rischio che orientamenti diversi tra CGA e Consiglio di Stato possano perpetuarsi nel tempo, ma anche, più in
generale, dell’assenza di un sistema che consenta la piena operatività di quella sorta di principio dello stare decisis che, sia con
la normativa sul giudizio ordinario che con quella sul processo
amministrativo194, si sta tentando di introdurre nel nostro ordinamento, al fine di garantire la certezza del diritto, riportando ad
unità le varie giurisdizioni.
Il percorso, a dire il vero, si presenta impervio. Se, come si è visto, nell’ambito della giurisdizione amministrativa sembra relativamente più semplice ipotizzare il precedente, stante che
l’organo deputato alla nomofilachia (che, da noi, precedente non
è, a meno di non intenderla in senso improprio ed allargato)195 è
il medesimo che si pronuncia anche in secondo grado, in composizione diversa, e, conseguentemente, può ben aversi la risoluzione del caso concreto idonea a vincolare le scelte dei giudici
successivi. Nell’ambito della giurisdizione ordinaria, il discorso
è sostanzialmente diverso: è, infatti, evidente, come da altri sottolineato196, la distanza tra la versione “nostrana” della nomofilachia dalla cultura del precedente, nella quale, appunto, il precedente non è il principio, non è la massima, ma “the case itself”.
In altri termini, è la ratio del caso normativizzata in attesa della
ripetizione dell’evento.
Nella logica anglosassone non c’è spazio per quel tipo di “precedente nomofilattico in cui rischia di cadere il controllo della
legge nella sua presunta purezza”. Anzi, secondo l’orientamento
che si sta richiamando, “la foga nomofilattica sprigionata dalle
sentenze della nostra Cassazione è affogata nella schiuma delle
194
In disparte la medesima disciplina del processo contabile che, per ragioni
di economia, si è volutamente tralasciata.
195
Inutile ricordare che con tale termine si suole indicare l’interpretazione
della legge conforme al dettato Costituzionale. Conseguentemente, nel nostro
ordinamento la funzione nomofilattica svolta dalle Alte Corti non è del tutto
idonea ad imporre la soluzione del caso concreto, ed ingessare il diritto
creando delle norme vincolanti, bensì ad orientare le scelte dei giudici che
successivamente dovranno confrontarsi con casi simili a quello che ha originato il c.d. principio di diritto.
196
B. SASSANI, Legittimità, “nomofilachia” e motivazione della sentenza:
l’incontrollabilità in cassazione del ragionamento del giudice, in
www.judicium.it, 2012, 6.
65 www.judicium.it
ipotesi non verificate su una strada inevitabilmente lastricata
dagli obiter”197.
Se si ha riguardo alla giurisprudenza degli ultimi anni198, insomma, l’incolmabile divario si presenta in tutta la sua drammaticità: la nostra versione del precedente, infatti, sfugge alla logica tipica del common law, laddove il giudice si presenta come
problem solver, per mostrare, invece, un giudice che, “ossessionato dalla coerenza teorica del migliore dei sistemi possibili”, si
trasforma in un problem maker. La regola ricavabile dal precedente, infatti, è imposta dai fatti “ed ha ben più modesto stato
del principio di diritto che al contrario si erge sopra i fatti a venire e li piega a sé: stare decisis, non stare consultis”199.
E, d’altra parte, poiché il precedente è sempre una decisione relativa ad un caso particolare, risulta necessario che il significato
della regola giuridica usata come criterio della decisione venga
“concretizzata” per riferirla alla soluzione del caso particolare.
In tal senso, infatti, il precedente non potrebbe comprendersi se
la norma che in esso è stata applicata non viene collegata direttamente alla fattispecie concreta che è stata decisa.
Di qui deriva, inevitabilmente, che da un lato il collegamento tra
il precedente e la norma generale che deve essere interpretata
implica che questa venga letta alla luce della sua attuale o eventuale applicazione a casi concreti, mentre, dall’altro lato la decisione resa sul caso precedente può spiegare effetti in qualche
modo prescrittivi o normativi sulla decisione di casi successivi
solo “a condizione che dal precedente specifico possa derivarsi
una regola applicabile anche ad altri casi, ossia a condizione
197
Ciò è dimostrato dalle sentenze, richiamate dallo stesso SASSANI, quali la
ricordata S.U. n. 500 del 1999 sulla risarcibilità degli interessi legittimi, o
Corte Cass., S.U., 29 gennaio 2000, n. 16, in www.cortedicassazione.it,
commentata da B. SASSANI, Le Sezioni Unite della Cassazione e
l’inammissibilità dell’appello carente di motivi specifici, in Riv. dir. proc.,
2000, 511 ss., che, irrigidendo l’interpretazione dell’art. 342 c.p.c., con
un’interpretazione che non aveva nulla a che fare, peraltro, con il caso concreto sottopostogli, ha aperto la via allo “sciagurato bricolage normativo che
ha portato infine al pasticciaccio brutto del nuovo appello”.
198
Basti pensare ai ricordati orientamenti del 2006 sulla pregiudiziale amministrativa, ma anche a Corte Cass., S.U., 9 ottobre 2008, n. 24883, in Giur. It.,
2009, 412 ss. con nota di R. VACCARELLA, Rilevabilità del difetto di giurisdizione e translatio iudicii; M.A. SANDULLI, Dopo la “translatio iudicii”, le
Sezioni Unite riscrivono l’art. 37 c.p.c. e muovono un altro passo verso
l’unità della tutela (a primissima lettura in margine a Cass. SS. UU., 24883
del 2008), in www.federalismi.it, 2008; A. LAMORGESE, Dall’art. 37 cpc alla
sentenza delle Sezioni Unite n. 24883 del 2008, ivi, con la quale non solo è
stato sostanzialmente riscritto l’art. 37 c.p.c., ma è stato anche introdotto il
discusso principio del c.d. giudicato implicito.
199
Così, B. SASSANI, Legittimità, “nomofilachia” e motivazione della sentenza, cit., 7.
66 www.judicium.it
che la decisione formulata in diritto sul caso precedente sia universalizzabile”200.
Un’ulteriore difficoltà nell’ammettere che anche nel nostro ordinamento sia stato introdotto tout court il principio dello stare
decisis, deriva dalla netta distinzione – quantitativa - tra precedente, in senso stretto, e giurisprudenza, cui, generalmente, ci si
riferisce nell’ordinamento italiano.
Il precedente, infatti, è una decisione relativa ad un caso particolare, mentre la giurisprudenza è costituita da una, spesso ampia,
pluralità di decisioni relativa a diversi casi concreti, pur se più o
meno accomunati da qualche similitudine.
Nei sistemi fondati sulla logica del precedente, dunque, la decisione che si assume come precedente è di solito una sola, ed
eventuali decisioni successive vengono, tutt’al più, utilizzate
come sostegno dell’unico precedente, facilitando, in tal modo,
l’identificazione della decisione che “fa precedente”; nei sistemi
come quello italiano, invece, si fa riferimento ad una molteplicità di decisioni che costituiscono la giurisprudenza precedente,
con la conseguente difficoltà di individuare quale sia la decisione realmente rilevante o, quantomeno, stabilire quante decisioni
siano necessarie perché si possa individuare una giurisprudenza
costante nell’interpretazione di una data norma.
Ciò condiziona anche la qualità delle decisioni.
Come si è ampiamente ricordato in precedenza, il precedente
fornisce una regola universalizzabile che può essere applicata
come criterio di decisione nel caso successivo in funzione
dell’identità o dell’analogia tra i fatti del primo caso e quelli del
secondo caso, e, in ogni caso, è il giudice del caso successivo
che deve valutare se vi sia identità o analogia tra il caso precedente e quello successivo, creando il precedente. Nel caso, invece, della giurisprudenza manca l’analisi comparativa dei fatti e
la regola formulata in una decisione precedente non si fonda
sull’analogia dei fatti, ma sulla sussunzione della fattispecie
successiva in una regola generale. Ciò che, dunque, si cerca nel
principio di diritto enunciato dalla Cassazione non è
l’individuazione della fattispecie concreta che è stata oggetto
della decisione, bensì la regula juris applicabile al caso successivo, astrattamente intesa.
Non solo, il caso tipico dell’applicazione del precedente si ha in
direzione verticale, quindi, quando il giudice successivo, che
deve decidere un caso identico o simile, si colloca su un gradino
inferiore nella gerarchia giudiziaria, in quanto, tradizionalmente,
la forza del precedente si fonda sull’autorità o autorevolezza
dell’organo che ha emanato la decisione. Così, la forza del pre 200
Così M. TARUFFO, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 709 ss., richiamando
D.N. MACCORMICK, Legal Reasoning and Legal Theory, Oxford, 1978, 82 ss.
67 www.judicium.it
cedente “scende dall’alto in basso: le vere “corti del precedente”
sono le corti supreme, le cui decisioni si impongono a tutti gli
organi giudiziari di grado inferiore”201.
Nel nostro ordinamento sembra, invece, che sia stato introdotto
il solo vincolo orizzontale, pure previsto negli ordinamenti di
common law, ma la cui forza persuasiva tende, inevitabilmente,
ad essere inferiore, rispetto al precedente verticale, in ragione
del fatto che, in questo caso, il precedente vincola organi giudiziari che appartengono allo stesso livello di quello che ha pronunciato la prima decisione, per i quali, ovviamente, non vi è alcuna differenza di autorità.
Il “maldestro” tentativo del legislatore italiano di introdurre, attraverso le richiamate previsioni su una sorta di precedente vincolante, si risolve, infatti, nel solo obbligo per le sezioni semplici dei supremi consessi giurisdizionali di non poter decidere diversamente dalle S.U. o dall’Adunanza Plenaria, rimettendo a
queste ultime la controversia dalla quale intendono discostarsi. Il
tutto, peraltro, senza prevedere alcuna sanzione per l’ipotesi in
cui ciò non avvenga.
La previsione di un vincolo solo orizzontale, e non anche verticale, è, probabilmente, dovuto al fatto che i giudici cui si rivolge
sono quelli di ultima istanza, contro le cui decisioni non è dato
ulteriore rimedio. Sembra la medesima ratio sottesa all’obbligo
di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE gravante sui
soli giudici di ultimo grado.
Se, ancora una volta, nell’ambito della giurisdizione amministrativa il problema sembra meno grave di quello che è in realtà, in
disparte il caso, evidenziato poc’anzi, del CGA, facilmente risolvibile con un’opportuna riforma che non snaturi l’istituto, ma
riporti sui giusti binari i suoi rapporti con il Consiglio di Stato202,
proprio in ragione del fatto che il giudice della nomofilachia è
anche giudice d’appello, così che, si ripete, ove il giudice inferiore, di primo grado, ossia il TAR si discosti dalle linee guida
fissate dall’Adunanza Plenaria, la Sezione d’appello del Consiglio di Stato cui, eventualmente, è assegnato il ricorso potrà annullare la sentenza sbagliata. Nell’ambito della giurisdizione
ordinaria, invece, la questione si mostra ben più problematica:
l’organo della nomofilachia, infatti, non può entrare nel fatto e si
pone quasi come giudice di un terzo grado straordinario, specie
a seguito dell’introduzione, qui necessitata dall’accesso diretto
al ricorso in cassazione, non prevista ed inutile nel processo
201
In tal senso, ancora M. TARUFFO, Precedente e giurisprudenza, cit., 716.
E che, quindi, consenta l’accesso al CGA di giudici non collocati fuori
ruolo, ma nel pieno delle funzioni, e, ovviamente, l’ingresso di tali giudici in
seno alla Plenaria ed all’Adunanza Generale, anche in via ordinaria e non solo straordinaria, in quei pochi casi che oggi prevede il D.lgs. n. 373 del 2003.
202
68 www.judicium.it
amministrativo, ove non è ammesso l’accesso diretto
all’Adunanza Plenaria, dei discutibili filtri previsti dall’art.
360 –bis c.p.c. per limitare l’uso (e l’abuso) del ricorso in Cassazione203. Orbene, nell’ambito della giurisdizione ordinaria, a
ben vedere, né il giudice di primo grado né quello di secondo
grado sono veramente obbligati ad osservare i precedenti enunciati dalle Sezioni Unite204, mentre lo sono le sezioni semplici
della medesima Corte di Cassazione. Con la paradossale conseguenza, dai risvolti quasi kafkiani, che una controversia decisa
positivamente in Cassazione, venga rinviata al primo giudice
che potrebbe deciderla, definitivamente, in virtù del principio
del ne bis in idem, in senso negativo.
Come si vede, dunque, la mancanza di una sanzione per il giudice che non si conformi al dictum del giudice, per così dire, superiore, rende lettera morta la previsione dell’art. 374, comma 3,
c.p.c.205, e un mero esercizio di stile le preoccupazioni espresse,
soprattutto con riferimento alla compatibilità di questa norma
con il disposto dell’art. 101 Cost., sulla fondamentale indipendenza della magistratura 206 . Principio, quest’ultimo, travisato
anche dalla stessa magistratura, la quale sempre più spesso, in
nome della sua indipendenza, non solo esterna (rispetto agli altri
poteri dello Stato), ma anche interna (rispetto agli altri giudici),
tende a sfuggire anche alla sottoposizione alla legge. E, d’altro
canto, prevedere un vincolo al precedente, a ciò che è stato deciso da un altro giudice, comunque di livello superiore, che, alla
prova dei fatti, vincolo nel senso proprio del termine non è, non
sembra affatto un attentato all’indipendenza della magistratura.
Né lo sarebbe ove si prevedesse una qualche sanzione per il
203
In proposito si veda, ex multis, G. FONTANA, Il filtro magico in nome della nomofilachia. (Profili costituzionali dell’art. 360 bis c.p.c.), in
www.forumcostituzionale.it, 2011; A. BRIGUGLIO, Ecco il «filtro»! (L’ultima
riforma del giudizio di cassazione), in Riv. dir. proc., 2009, 1287 ss.; R.
DONZELLI, Il filtro in cassazione e la violazione dei principi regolatori del
giusto processo, in Riv. dir. proc., 2012, 1087 ss.; G. C O S T A N T IN O , La riforma del giudizio di legittimita`: la Cassazione con filtro, in Giur. it., 2009,
1562 ss.
204
Se lo fanno, quando lo fanno, è solo per la tradizionale aura di autorevolezza di cui gode la Cassazione.
205
E, tuttavia, lo stesso può dirsi dell’art. 99, comma 3, c.p.a., posto che un
rimedio si renderebbe ugualmente necessario per il caso in cui la sentenza del
TAR non venga appellata.
206
Sul punto, si vedano anche le considerazioni di I. CACCIAVILLANI, Giurisprudenza e valore del precedente, in www.lexitalia.it, 2012.
E. Follieri, Lo stare decisis nel processo amministrativo, in www.giustammit,
2014, 4, evidenzia come “il giudice non accetta di buon grado il vincolo posto dal precedente dell’Adunanza Plenaria, per un carattere proprio della
funzione giurisdizionale che ha nel suo DNA l’autonomia di giudizio: il magistrato si sente sovrano della sua causa”.
69 www.judicium.it
mancato ossequio alla decisone precedente. Ciò che, infatti, si
richiede è solo la coerenza degli orientamenti, che sfocia in un
valore, evidentemente, superiore all’arbitrio del giudice: il diritto non tanto alla certezza, quanto ad avere un diritto certo.
Come opportunamente rilevato207, peraltro, il giudice quando
decide applica la legge a un caso concreto, ritenendo, quindi,
che la legge, al quale è soggetto, abbia quel tale significato in
relazione a quei determinati fatti. Ripresentandosi quegli stessi
fatti in una successiva controversia fra parti diverse, vincolare il
giudice al proprio precedente, significa semplicemente riaffermare la disposizione di cui all’art. 101 Cost., non consentendogli di far dire alla legge cose diverse a seconda degli “umori” del
momento o dei soggetti che ha di fronte.
Ancor più difficoltoso risulta, poi, immaginare una sanzione208
da comminare per il caso in cui il giudice violi il disposto
dell’art. 374, comma 3, c.p.c., o dell’art. 99, comma 3, c.p.a.
Com’è stato opportunamente sottolineato209, infatti, non esiste
un rimedio impugnatorio utilizzabile, per il semplice fatto che in
ogni giurisdizione, le violazioni processuali o sostanziali degli
organi di vertice non possono costituire motivo di impugnazione,
salvo le ipotesi tassativamente previste dalla legge e che hanno
carattere straordinario.
Se la Sezione del Consiglio di Stato, o della Corte di Cassazione,
violi un principio sostanziale posto da una norma, dunque, non
vi è alcuna possibilità di contestare ulteriormente la sentenza, a
meno che la violazione non riguardi i limiti esterni della giurisdizione o i casi di revocazione. Ciò vale, ovviamente, nel silenzio della legge, anche per la mancata o erronea applicazione del
precedente dell’Adunanza Plenaria, o delle Sezioni Unite.
In tal senso, è stato ipotizzata210 la possibilità di utilizzare, a rimedio della violazione, l’azione risarcitoria per i danni cagionati
nell’esercizio delle funzioni giudiziarie o la contestazione, in sede disciplinare, del comportamento del giudice.
Tuttavia, sembra molto difficile ottenere tale risarcimento, stante
il filtro della colpa grave imposto dalla giurisprudenza, interpretato in modo che tale tipo di colpa viene quasi sempre esclusa,
dato che si concretizzerebbe quando il magistrato compia una
violazione grossolana e macroscopica della norma, o ne dia una
lettura contrastante con ogni criterio logico, che comporti
207
M. CROCE, Precedente giudiziale, cit., 1143.
Sui possibili rimedi avverso la violazione dell’art. 99 c.p.a., si vedano le
considerazioni di G. PESCE, L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato e il
vincolo del precedente, Napoli, 2012, passim.
209
Da E. FOLLIERI, L’introduzione del principio dello stare decisis, cit., 1261
ss., in part. 1266.
210
E. FOLLIERI, L’introduzione del principio dello stare decisis, cit., 1266 –
1267.
208
70 www.judicium.it
l’adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà
del legislatore o la manipolazione arbitraria del testo normativo;
la colpa, peraltro, deve presentarsi come non spiegabile, priva di
agganci con la particolarità della fattispecie, che potrebbero rendere comprensibile, pur se non giustificato, l’errore del giudice.
Una probatio diabolica, insomma, posto che proprio con riferimento alla responsabilità collegata al mancato rispetto del precedente, la giurisprudenza211 ha affermato, pur in un quadro
normativo totalmente diverso da quello attuale, che il giudice
non è obbligato a decidere conformemente all’interpretazione
già effettuata dallo stesso o da altro giudice in relazione ad
un’altra controversia, ma il dissenso dall’interpretazione di una
norma, sostenuta dalle Sezioni Unite, e, può aggiungersi
dall’Adunanza Plenaria, non determina responsabilità civile del
magistrato dissenziente ove sia motivato in diritto.
Maggiormente percorribile, invece, è sembrata 212 la via 213
dell’azione revocatoria, intendendo la violazione del precedente
come un errore di fatto. Tale soluzione, infatti, “eviterebbe rotture del sistema perché la sezione del Consiglio di Stato presso
la quale viene incardinato il giudizio revocatorio potrebbe a
quel punto decidere in un duplice modo: i) accogliere il ricorso
per revocazione e affermare il precedente dell’Adunanza Plenaria; ii) rimettere il caso all’Adunanza Plenaria se, a sua volta,
la Sezione ritenga di non dover applicare quel precedente”.
Tuttavia, anche tale soluzione si rivela, alfine, non risolutiva: il
noto “atteggiamento rigettista”214 del Consiglio di Stato nei confronti dei ricorsi per revocazione, risulta ora confermato da una
pronunzia215 con cui i giudici di Palazzo Spada hanno rigettato
un giudizio per revocazione nel quale una Sezione del Consiglio
non si era uniformata ad un precedente dell’Adunanza Plenaria,
ignorandolo, anzi, del tutto. Secondo tale decisione, infatti, deve
escludersi, in questa ipotesi, la presenza di un vizio revocatorio,
in quanto “a prescindere dal grado di vincolatività del principio … è pacifico che nel giudizio nel quale il principio è invocato, esso rileva come diritto e non come fatto”.
L’autorità delle decisioni delle Alte Corti italiane, dunque, resta
inevitabilmente di fatto o morale, sicché, si rende necessario un
intervento del legislatore volto ad un’integrazione
dell’ordinamento tesa a permettere, ad esempio, nel rispetto del
211
Corte Cass., Sez. I, 30 luglio 1999, n. 8260, in Foro it., 2000, 2671.
Ad E. FOLLIERI, Rimedi avverso la violazione dell’art. 99, terzo comma,
del codice del processo amministrativo, in www.giustamm.it, 2013, 2.
213
Proposta da G. PESCE, L’Adunanza Plenaria, cit., 150 ss.
214
L’espressione è di E. FOLLIERI, Lo stare decisis nel processo amministrativo, cit., 5.
215
Cons. Stato, Sez. IV, 3 settembre 2014, n. 4489, in www.giustiziaamministrativa.it.
212
71 www.judicium.it
principio della doppia giurisdizione, il ricorso in Cassazione, per
la giurisdizione ordinaria, innanzi alla medesima Adunanza Plenaria, per la giurisdizione amministrativa, per violazione dei
precedenti delle corti supreme, sulla scia dell’esempio spagnolo216.
Ciò è imposto non solo dalle più volte richiamate norme sulla
nomofilachia, ma anche dal disposto dell’art. 3 Cost., dal quale
deriva la necessità che fattispecie uguali vengano trattate allo
stesso modo, anche in sede di applicazione giudiziaria del diritto217. Sulla base di questa norma, è, infatti, anche possibile sostenere che, nel nostro ordinamento, ogni giudice ha il dovere
giuridico di conformarsi ai propri precedenti, oltre che a quelli
delle magistrature superiori, a meno che non esistano ragioni
che inducano ad applicare una diversa ratio al caso sottoposto e
che devono essere adeguatamente esplicitate in motivazione.
A questo punto, il problema dell’irruzione nel nostro ordinamento del principio dello stare decisis, “passa inevitabilmente attraverso lo strettissimo vicolo della funzione “creativa” del giudice
e dei relativi limiti”218.
216
Cfr., retro, 22. In tal senso, anche F. GALGANO, Stare decisis e no nella
giurisprudenza italiana, in Contratto e impresa, 2004, 12, per il quale è necessaria “una legge che modifichi la nomofilachia e introduca, fra i motivi di
ricorso per Cassazione, la contrarietà immotivata della sentenza di merito ai
principi già fissati dalla Corte regolatrice, precisando altresì che il giudice
di merito incorre in vizi di motivazione se disattende immotivatamente i propri precedenti”.
217
E, d’altro canto, non può dimenticarsi l’illuminante opinione di N. Bobbio,
Teoria generale della politica, Torino, 1999, 264, per il quale il principio di
uguaglianza, rivolto ai giudici vuole che “la legge deve essere uguale per tutti”, nel senso che essa “deve essere applicata imparzialmente” perché solo
così “assicura l’egual trattamento degli eguali”.
218
Così F. SAITTA, Valore del precedente, cit., 631.
In proposito, non possono non essere ricordati, ancorché molto sommariamente, i tre orientamenti fondamentali sulle funzioni del giudice, che ruotano
tutti attorno al noto dilemma “scoperta o creazione del diritto”: per la teoria
cognitiva o formalistica, il giudice deve scoprire le regole, attraverso una serie di operazioni ermeneutiche volte, appunto, a trovare la regula iuris e applicarla al caso concreto. Secondo questo orientamento, dunque, il legislatore
detta la regola, mentre il giudice, trovata la regola stessa, la dichiara, senza
svolgere alcun apprezzamento discrezionale, che non si rende necessario posto che, secondo i positivisti, esiste sempre una sola soluzione giuridicamente
corretta e oggettivamente predeterminata; all’opposto, secondo la teoria scettica o antiformalista, il giudice ha un potere creativo e collabora con il legislatore nel produrre diritto. Conseguentemente, applica una regola che non gli
viene imposta dall’esterno, ma è frutto di una scelta compiuta
nell’interpretare e applicare la norma, così che, nell’iter di formazione della
decisione, dispone di ampi poteri discrezionali esercitando i quali crea la decisione stessa (in tal senso, M. TARUFFO, Legalità e giustificazione nella
creazione giudiziaria del diritto, in Riv. trim. dir. proc., 2001, 11 ss.). Anzi,
per le versioni più radicali di questo orientamento, non esiste mai un’unica
soluzione corretta, ma solo più alternative legittime da applicare al caso con-
72 www.judicium.it
È, infatti, opinione ormai consolidata che l’interpretazione ha
natura anche creativa, nel senso che qualsiasi interpretazione
giuridica non può configurarsi come mera attività di applicazione della legge, poiché le operazioni compiute dall’interprete non
possono essere semplicemente logiche, ma anche liberovalutative.
Ciò trova conferma nel fatto che l’attività interpretativa219 mira
non solo ad accertare il contenuto legislativo, ma anche, e soprattutto, ad adattare la fattispecie astratta prevista dalla norma
al “sempre sfuggente e mutevole caso concreto”, conseguentemente, la legge si presenta come un progetto o uno schema generale che l’interprete ha il compito di specificare di volta in
volta in relazione alla situazione storicamente determinata, in tal
modo procedendo “ad un continuo processo di adeguamento
storico dell’ordine legale agli incessanti mutamenti della realtà
sociale”.
A fronte di una normativa non completa, come si è visto nel caso dei ricorsi escludenti incrociati, da cui si sono prese le mosse
per il presente lavoro, la giurisprudenza diventa creativa ponendo la regola del caso concreto, così perpetrando quella funzione
“normogenetica”220 del giudice amministrativo che, ormai, risulta tradizionale.
E, d’altra parte, come evidenziato in precedenza, il c.d. diritto
vivente (della giurisprudenza amministrativa, ma anche di quella
ordinaria, se si pensa alle regole, poste dalle Sezioni Unite della
Cassazione in materia, ad esempio, di riduzione dei termini di
comparizione e costituzione nel giudizio di opposizione a decre creto. Di qui, l’idea per la quale ogni decisione implica esercizio di discrezionalità, il cui grado è via via maggiore man mano che la norma ha una
struttura particolarmente aperta, rinviando a concetti – valvola; per le teorie
intermedie, invece, la discrezionalità del giudice, intesa come potere di scegliere tra più alternative legittime, esiste solo in alcune decisioni, con la conseguenza che essa coesiste con il potere vincolato, che, a sua volta, risulta
fisiologico ed intrinseco alla funzione giurisdizionale, contrariamente al potere discrezionale che, invece, svolge un ruolo eccezionale e marginale. In definitiva, secondo quest’orientamento, soltanto in una minoranza di casi, che
di solito sono i più complessi, il giudice ha la possibilità di scegliere tra più
alternative legittime di giudizio senza che il contenuto della decisione sia in
alcun modo predeterminato, poiché, nella maggioranza dei casi, ossia i più
semplici, invece, pur ove implichino elementi di riflessione, ponderazione e
valutazione, il giudice non esercita poteri discrezionali in quanto la soluzione
del caso è univocamente predeterminata sulla base di una serie di vincoli,
quali possono essere norme predeterminate o precedenti, che non lasciano
spazio per ragionevoli opinioni contrarie (F. SAITTA, Valore del precedente,
cit., 632 – 635, per il quale, peraltro, è quest’ultima la posizione più convincente).
219
Come ben evidenzia, ancora, F. SAITTA, Valore del precedente, cit., 636.
220
L’espressione è di G. MORBIDELLI, Il contributo del giudice amministrativo, cit., 787.
73 www.judicium.it
to ingiuntivo) ha creato una serie di regole, che conformano e
guidano l’attività amministrativa, dal carattere spiccatamente
normativo, tanto radicato221, peraltro, che la stessa Corte Costituzionale222 ha ravvisato nei principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa lo strumento idoneo per assicurare il rispetto della riserva di legge, pur nella sommarietà contenutistica
del dettato legislativo, che, infatti, da questi principi è stato colmato. Non solo, ma lo stesso c.p.a. è, in definitiva, frutto
dell’elaborazione giurisprudenziale amministrativa.
Quanto detto, ovviamente, non vuole tradursi nell’ammissione
di un ruolo, del giudice, di produzione normativa equiparabile a
quello del legislatore; e, quindi, consentirgli di operare senza
avere come orizzonte la legge da applicare. E, poiché “il linguaggio della legge non è né un veicolo completamente neutro
in cui può essere infilata a forza qualunque interpretazione, né
semplicemente una barriera passiva opposta al cambiamento,
bensì un invito a estrarre ciò che è sepolto nei profondi recessi
dell’esperienza linguistica”223, ciò che si deve necessariamente
ammettere è che l’attività creativa del giudice, volenti o nolenti,
presente anche negli ordinamenti di civil law, si manifesta soprattutto nell’attività di aggiornamento della norma per adattarla
alla mutata realtà sociale. Il giudice può spingersi sino a creare
delle regole del tutto nuove, è vero, ma se lo fa, lo fa sempre entro la cornice della legge stessa224.
221
Come sottolinea G. MORBIDELLI, Il contributo del giudice amministrativo,
cit., 788.
222
Corte Cost., 7 agosto 1988, n. 409, in Giur. Cost., 1988, 1833; Corte Cost.,
24 marzo 1993, n. 103, in Giur. Cost., 1993, 841.
223
In questi termini F. SAITTA, Valore del precedente, cit., 644, che richiama
J.G. MARCH, Prendere decisioni, Bologna, 1998, 222.
224
D’altra parte, come condivisibilmente sostenuto da N. TROCKER, Dal giusto processo all’effettività dei rimedi: l’“azione” nell’elaborazione della
Corte europea dei diritti dell’uomo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 63, il
superamento dell’idea che il giudice debba svolgere il suo compito di ius dicere, limitandosi ad una funzione passivamente cognitiva del diritto, porta a
riconoscere che il processo “è anche catalizzatore di nuove esigenze emergenti in un contesto sociale, garantendo così in pari tempo l’evoluzione del
diritto”.
Come ben rilevato da R. ROLLI - A. COSTA, La sentenza amministrativa: lingua e nodi interpretativi, in www.giustamm.it, 2014, 11, peraltro,
“l’ordinamento giuridico è, contrariamente a ogni pretesa scientifica di
completezza, sempre incompleto….” Sicché, “anche se è sempre pensabile la
presenza di un criterio positivizzato con cui distinguere quando si debba applicare una norma e quando un’altra, non è pensabile che, a una seconda
potenza, esista sempre un criterio positivizzato con cui distinguere come interpretare quel criterio, ossia con quali criteri si debbano interpretare i criteri.
Il risultato teorico è che resta sempre, in un ordinamento giuridico, un varco
ermeneutico ineludibile e indecidibile” superabile, si deve aggiungere, proprio per mezzo dell’attività creativa del giudice.
74 www.judicium.it
Così intendendo la forza creativa della giurisprudenza, si tende
ad una sorta di dialogo circolare tra giudice e legislatore, nel
quale il primo, per mezzo dell’adeguamento al fatto della norma,
spinge il legislatore a modificare la legge attualizzandola, così
come di fatto avvenuto nell’ambito della giustizia amministrativa.
Ciò trova conferma, ad avviso di chi scrive, anche
nell’orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione225 le quali, più volte, hanno ribadito che “l’eccesso
di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni
riservata al legislatore è configurabile solo qualora il giudice
speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma
da lui creata, esercitando un’attività normativa che non gli
compete; e l’ipotesi non ricorre quando il giudice si sia attenuto
al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluta
legis applicabile nel caso concreto, anche se questa abbia desunto non dal tenore letterale delle singole disposizioni, ma dalla ratio che il loro coordinamento sistematico disvela, né quando abbia interpretato estensivamente una disposizione di legge,
giacché tali operazioni ermeneutiche possono dare luogo, tutt’al
più, ad errores in iudicando, non alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale” 226.
In tal modo intendendo la forza creativa della giurisprudenza,
può ben ammettersi non solo un utilizzo del precedente inteso in
termini di presunzione di giustezza della precedente decisione,
ribaltabile soltanto per gravi ragioni e motivando adeguatamente
il dissenso, per come previsto dalla normativa recente, ma anche
ipotizzare delle adeguate sanzioni nei confronti del giudice che
ciò non faccia, potendosi, in un’ipotesi di tal fatta, forse ravvisare anche una forma di abuso del suo diritto di ius dicere.
È, del resto, ormai acquisito che l’esigenza di certezza del diritto,
traducibile nell’esigenza di uniformità degli indirizzi giurisprudenziali227, è insita in ogni tipo di ordinamento di tipo evoluto228,
225
Corte Cass., S.U., 17 aprile 2014, n. 8993, in www.cortedicassazione.it,
che richiama, tra le altre, Corte Cass., S.U., 12 dicembre 2012, n. 22784, in
Foro amm. C.d.S., 2013, 62 ss., dall’identico tenore letterale.
226
Anche L’Adunanza Plenaria n. 9 del 2014, a ben vedere, pur ribadendo
l’orientamento per cui l’accoglimento del ricorso incidentale escludente implica il rigetto di quello principale, parimenti escludente, non si discosta dal
dettato normativo del c.p.a. Pur se l’art. 42 non prevede espressamente nulla
di tutto ciò, infatti, l’ordine logico in base al quale il giudice deve decidere la
controversia viene ricavato dal combinato disposto dell’art. 76, comma 4,
c.p.a. e dell’art. 276, comma 2, c.p.c..
227
F. SAITTA, Valore del precedente, cit., 645. Ciò trova conferma anche
nell’opinione espressa dalla Corte dei Conti, per la quale precludere
“l’insorgere della forza vincolante delle pronunce delle Sezioni Riunite”, ma,
si aggiunge, anche delle altre corti superiori, creerebbe “un grave vulnus al
sistema voluto dal legislatore, chiaramente orientato dall’esigenza di garan-
75 www.judicium.it
sicché, nelle Costituzioni democratiche il potere giudiziario, pur
concepito come potere diffuso, resta comunque “strutturato in
maniera tale per cui c’è sempre una reductio ad unitatem, sia
per evitare contraddizioni, sia per determinare la giurisdizione
competente”, con la naturale conseguenza per cui “le decisioni
degli organi di vertice, anche negli ordinamenti non informati
alla regola dello stare decisis, hanno un valore nomofilattico”
nel senso che l’attività nomofilattica, largamente intesa, “contribuisce alla certezza del diritto e con essa all’effettività della tutela giurisdizionale, che trova concretezza anche nella guida
rappresentata dai precedenti”229.
In chiusura, dunque, è facile raffreddare i sospetti di certa dottrina230 che ravvisa, nelle attuali tendenze legislative, un sostanziale trasferimento “dell’essenza del fenomeno giuridico” nelle
mani del giudice, poiché la legge costituirebbe lo strumento migliore, pur se non privo di imperfezioni, per affermare il principio di uguaglianza. Accettando, invece, il potere creativo del
giudice il meccanismo equidistributivo della legge, che dovrebbe essere impersonale ed astratto, cederebbe il passo alle valutazioni della giurisprudenza, che risulta, necessariamente, condizionata dall’esigenza di provvedere su un caso concreto e determinato.
Non può, tuttavia, negarsi che è proprio la tensione tra il potere
di emanare le leggi e quello di interpretarle ed applicarle ai casi
concreti che genera l’equilibrio di forze che sostiene lo Stato di
diritto e dà senso, rafforzandola, alla separazione dei poteri231.
Orbene, in nessun sistema giuridico, in disparte le modalità di
scelta o di istituzione dei giudici, essi godono di una piena legittimità democratica e, per conseguenza, è ammissibile che operino in piena libertà, nel senso che possono creare diritto a loro
tire una giustizia uniforme (e, quindi, realmente “giusta), ma non monolitica,
su tutto il territorio nazionale, evitando pericolose (per l’autorevolezza dello
stesso sistema giustizia) divagazioni giurisprudenziali non sempre ancorate a
criteri di corretta esegesi normativa” (Corte Conti, Sez. Riun., 5 settembre
2011, n. 14, in www.corteconti.it).
228
S. TARULLO, Il giusto processo amministrativo, Milano, 2004, 70, il quale
specifica che tale è l’ordinamento che appresti una garanzia giurisdizionale
basata sull’articolazione territoriale del giudice, cioè sulla vicinanza geografica dello stesso al cittadino. Di qui, è facile trarre l’opportunità
dell’istituzione in Sicilia del CGA che, però, come già evidenziato, dovrebbe
essere riformato nel senso di un collegamento più congruo con il Consiglio di
Stato.
229
Così, G. MORBIDELLI, La tutela giurisdizionale dei diritti
nell’ordinamento comunitario, Milano, 2001, 4 – 5.
230
G. VERDE, Abuso del processo e giurisdizione, in www.judicium.it, 2013,
1.
231
In questi termini, R. BIN, A discrezione del giudice. Ordine e disordine
una prospettiva “quantistica”, Milano, 2013, passim.
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piacimento. Essi, però, per universale principio, sono soggetti
alla legge, che ne legittima l’operato.
Poiché solo il legislatore, dal quale promana la legge, è
l’autorità che, nel nostro ordinamento, può vantare una piena legittimazione democratica, stante che il potere da esso esercitato
spetta al Parlamento eletto dai cittadini, ogni esercizio di un
pubblico potere che non si leghi alle sue indicazioni risulta arbitrario e non accettabile. Ciò significa, ovviamente, che il medium che giustifica il potere del giudice in un ordinamento democratico è rappresentato dalla legge.
Conseguentemente, solo se le valutazioni del giudice possono
svolgersi in assenza di uno stretto vincolo alla legge, e la sua discrezionalità si sovrappone a quella del legislatore, il sistema
non regge più e l’opera del giudice perde qualsiasi giustificazione232.
Come si è accennato in precedenza, d’altra parte, anche nei sistemi di common law, soprattutto in quello statunitense, la sovranità della legge costituisce il punto fermo cui l’interprete deve rivolgersi e verso il quale il giudice deve mostrare una completa deferenza, pur se, in quei sistemi, si è individuato nel vincolo tecnico al precedente giudiziario la trama di argomentazioni alla quale la discrezionalità dell’interprete deve legare le proprie decisioni.
Il ruolo creativo del giudice, allora, può tollerarsi fintantoché
applichi la legge, limitandosi a creare la norma del caso concreto,
ossia la norma frutto dell’interpretazione della legge – generale
ed astratta – in considerazione delle particolarità del caso concreto da giudicare. In tal senso, quindi, torna prepotentemente
d’attualità l’opinione kelseniana per cui la legge “è uno schema
che deve essere completato” con l’atto di interpretazione, “in
quel processo di determinazione che costituisce il senso stesso
della successione in piani diversi delle norme giuridiche”233.
Il giudice che crea il diritto, dunque, non lo fa su base arbitraria,
bensì all’interno di una data cornice di norme e principi234. Conseguentemente, il precedente vincolante risulta pienamente conforme non solo allo Stato di diritto, ma anche al principio di legalità, il quale deve essere concepito, secondo un’opinione condivisibile235, secondo uno schema a cerchi concentrici, nel quale
il giudice fissa una norma all’interno di una cornice legislativa,
mentre il giudice successivo continua l’opera di modellare la
232
In tal senso, R. BIN, A discrezione del giudice, cit., 7-8.
Così, ancora, R. BIN, A discrezione del giudice, cit., 10.
234
S. CASSESE, I tribunali di Babele (i giudici alla ricerca di un nuovo ordine
globale), Roma, 2009, 103 ss.
235
J. WALDRON, Stare decisis and the Rule of Law: a Layered approach, in
www.michiganlawreview.org, 2012, 30.
233
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prescrizione generale configurandola alla luce delle circostanze
concrete. Nel quale, deve aggiungersi, interviene, se del caso, il
legislatore positivizzando la norma così creata. In tal modo, il
giudice resta vincolato alla legge e non alla decisione di un altro
giudice.
L’opportunità di ammettere nel nostro ordinamento, di civil law,
il principio dello stare decisis si manifesta anche in termini di
economia processuale236 e di ragionevole durata del giudizio.
Non è chi non veda, infatti, come un utilizzo accorto di tale
strumento consentirebbe di non appesantire ulteriormente un sistema processuale che, com’è noto, sconta inaccettabili lungaggini che si riverberano negativamente sull’effettività della tutela
e, più in generale, sull’economia dell’amministrazione statale.
Come opportunamente rilevato237, allora, il rispetto del precedente potrebbe costituire un importante fattore di razionalizzazione, uniformità flessibile, prevedibilità ed uguaglianza di trattamento, “nell’incontrollabile quantità e varietà dei casi che
vengono decisi dalle corti”. Tuttavia, per ottenere un tal risultato
è necessario che il precedente stesso presenti i caratteri della
“rarità”, autorità e universabilità in funzione dei quali esso possa emergere dall’indistinto caos della prassi giudiziaria. Altrimenti, il precedente stesso finirebbe per costituire un elemento
di disordine e di variazione casuale legata alle specificità dei
singoli casi concreti. Ciò che sembra sia accaduto con
l’orientamento dell’Adunanza Plenaria sui ricorsi escludenti e
con le perplessità espresse dal CGA con l’ordinanza dalla quale
sono scaturite le riflessioni contenute nel presente lavoro.
236
Sulla teoria economica del diritto, si veda, ex multis, A. ROMANO TASSO“amministrazione di risultato”, in F. MEMilano 2007, 233 ss.; F. SAITTA, Appunti
preliminari per un’analisi economica del processo amministrativo, ivi, 281 ss.
237
M. TARUFFO, Precedente e giurisprudenza, cit., 720.
NE, Analisi economica del diritto e
RUSI (a cura di), Annuario AIPDA,
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