Recensione a Alessandro Mariani, Una frontiera teorico

Recensione a Alessandro Mariani, Una frontiera teorico-educativa della postmodernità, Roma,
Armando editore, 2008.
A cura di Andrea Potestio, dottorato di Scienze Pedagogiche, Università di Bergamo
Una frontiera teorico-educativa della postmodernità offre diversi strumenti teorici per analizzare i
temi classici dell’educazione attraverso un confronto serrato con la filosofia contemporanea, in
particolare con l’opera del padre della decostruzione, Jacques Derrida. Il testo mette in evidenza i
possibili rapporti tra decostruzione e pedagogia partendo dalla tesi che la decostruzione può essere
un dispositivo utile per interpretare e far emergere gli impliciti e i sostrati ideologici che operano in
modo inconsapevole nella complessità delle scienze pedagogiche.
Alessandro Mariani, professore ordinario di pedagogia generale e sociale presso l’Università
degli studi di Firenze, sostiene - attraverso un attento studio dell’opera di Derrida, di Foucault e altri
pensatori già evidenziato in testi precedenti come La decostruzione e il discorso pedagogico.
Saggio su Derrida (2000) e Foucault: per una genealogia dell'educazione. Modello teorico e
dispositivi di governo (2000) - la necessità di sviluppare una ‘pedagogia critica’ che possa fornire
gli strumenti utili per svelare ciò che opera in modo sotterraneo all’interno delle categorie educative
classiche. In questa direzione la decostruzione può fornire un modello pedagogico per leggere la
tradizione in modo non ingenuo permettendo di operare in senso pratico sui concetti astratti.
Il merito più significativo della decostruzione – secondo Mariani – risiede nel sottolineare la
necessità di un pensiero che sia costantemente pratico e teorico mettendo in discussione ogni
dualismo rigido e agendo in modo critico sulle stesse categorie che vengono utilizzate da chi
interpreta. La decostruzione propone e rilancia in ambito educativo l’idea di una pedagogia critica
che metta sempre in discussione i propri strumenti ermeneutici: “una lectio, quella del
decostruzionismo, che ha lasciato un terreno interessante e utilissimo per studiare le teorie/prassi
efficaci in pedagogia, oltre l’evidenza e la datità, per dissotterrare le ragioni sepolte di teorie e di
pratiche con una lettura ermeneutica-critica, per far emergere e spostare i condizionamenti, i vincoli
e le ipoteche” (ivi p. 14).
Mariani afferma che la decostruzione analizza il costante intreccio tra testo ed esperienza
problematizzando ogni forma di dualismo che tende a separare nettamente il teorico dall’empirico
senza riconoscere il rapporto costitutivo tra i due aspetti. L’eredità più significativa della
decostruzione risiede nel mostrare come ogni sapere teorico sia, per costituzione, anche pratico e
debba tendere a superare le ideologie che lo attraversano grazie a una costante contaminazione dei
propri oggetti disciplinari.
Il compito della decostruzione in pedagogia risiede nel dare impulso alla filosofia
dell’educazione come continuo esercizio di critica della pedagogia generale. In questa direzione la
filosofia dell’educazione, attraverso gli stimoli della decostruzione, può essere utile per
riorganizzare le strutture epistemologiche e gli oggetti del sapere pedagogico: “la filosofia
dell’educazione assume il ruolo fondamentale di ‘animatore’ e quello specifico di ‘riorganizzatore’
della pedagogia generale, per comprenderla en profondeur, nel suo linguaggio epistemologico, nelle
sue strutture di rigore, nelle sue scelte di senso, nei suoi dispositivi discorsivi interni” (ivi, p. 50).
Mariani individua nell’esperienza del ’68 in Europa un momento di rottura dei saperi
tradizionali che ha, inevitabilmente, coinvolto anche la tradizione pedagogica. La ‘rivoluzione
copernicana’ che ha investito la società ha portato a scardinare le istituzioni e i poteri classici. Il ’68
è stato l’orizzonte culturale dal quale si è sviluppata la decostruzione intesa, non solamente come
teoria filosofica, ma come sapere pratico-teorico che affronta i problemi dell’educazione e i rapporti
politici e sociali con le istituzioni. La necessità di ripensare la soggettività, la valorizzazione dell’età
infantile, l’importanza della questione etica nella relazione educativa – sottolinea Mariani –
diventano i temi significativi sui quali concentrare la riflessione pedagogica.
L’impianto della decostruzione suggerisce di ripensare l’idea di soggetto che è alla base di
molte pratiche educative. Il merito della pedagogia decostruzionista è di avviare una critica vigile
nei confronti delle visioni unificanti e universalizzanti della soggettività che tendono a concepire
l’essere umano come un insieme di concetti prestabiliti e immobili ispirati a ideologie di stampo
metafisico. Al contrario lo sforzo educativo che Mariani propone si basa su una continua
responsabilità nei confronti dell’altro che deve essere inteso come una persona singolare,
irriducibile e rispettata nelle proprie differenze.
In questa direzione le riflessioni di Derrida sulla differenza, sull’alterità e sulla
responsabilità possono produrre significativi effetti anche in ambito pedagogico evitando ogni
forma di riduzionismo sull’idea di uomo: “la filosofia decostruzionista offre un’interpretazione
attiva, una resistenza della pedagogia umanista di fronte ad una pedagogia basata sul soggetto
sovrano, per così chiamare le forme predominanti di pedagogia che esistono oggi sulla base della
tradizione culturale/filosofica occidentale e che strutturano le nostre istituzioni educative, insieme
alle teorie e alle pratiche pedagogiche” (ivi, p. 62). Mariani riprende la critica di Derrida nei
confronti dell’idea di soggettività di stampo cartesiano che pensa l’uomo come fondamento
conoscitivo della realtà. La pedagogia critica rifiuta l’idea di soggetto inteso come fondo
conoscitivo sempre presente, disponibile, autocentrato e propone un ripensamento dell’idea di uomo
nei contesti educativi, sulla base delle categorie di alterità e differenza.
Mariani si sofferma sull’analisi degli effetti che la decostruzione ha provocato in ambito
pedagogico all’interno di tre aree geo-politiche e linguistiche: la Francia e l’area francofona, gli
Stati Uniti e l’Italia. La Francia rappresenta il luogo sorgivo dell’opera di Derrida e mette in
evidenza il contesto nel quale si è sviluppato il suo sapere attraverso un confronto con lo
strutturalismo e l’ermeneutica. Gli Stati Uniti costituiscono l’area forse più ricettiva e anche
deformante della decostruzione che influenza molti studi e ricerche, in particolare, in ambito di
critica letteraria. L’Italia diventa, nell’interpretazione di Mariani, il luogo dove mettere in pratica la
fecondità delle categorie decostruttive, soprattutto nella pratica educativa, anche a partire dal
crescente interesse che i pedagogisti hanno dimostrato per questi studi dopo gli anni ottanta.
Partendo proprio dalle riflessioni di pedagogisti contemporanei italiani come Cambi, Isidori, Massa,
è possibile – sottolinea Mariani – mostrare e tentare di decostruire le antinomie classiche della
pedagogia: teoria/prassi, educazione/istruzione, fini/mezzi, maestro/scolaro, autorità/libertà,
unità/differenza. Non si tratta di rovesciare o annullare queste categorie, bensì di attualizzare e
rendere vivi questi concetti all’interno della pratica educativa.
Il volume propone un confronto serrato con alcuni temi centrali della pedagogia
contemporanea affermando l’importanza e il ruolo della filosofia dell’educazione all’interno del
vasto orizzonte delle ricerche pedagogiche. Una filosofia dell’educazione che non deve riproporre
ideologie e dogmatismi, ma deve imporsi attraverso le categorie decostruttive come esercizio di
critica e di indagine della ricerca pedagogica. Senza voler in nessun modo sminuire l’originalità e la
complessità della riflessione di Mariani sulla possibilità di una pedagogia critica che parta dalle
categorie decostruttive, è possibile – a mio avviso - mostrare alcuni elementi problematici che
emergono nel testo: per esempio l’idea che la decostruzione possa agire come un modello teorico
regolativo per la pedagogia.
Mariani, pur affermando che la decostruzione non può essere considerata un metodo stabile
ed evidente da utilizzare in modo ripetitivo e acritico, sostiene che il decostruzionismo possa essere
un modello teorico sul quale costruire una filosofia dell’educazione: “possiamo affermare con
convinzione […] che il decostruzionismo può essere considerato, come mostreremo nelle prossime
pagine, un autentico e originale modello di filosofia dell’educazione” (ivi p. 51). È significativo il
fatto che Mariani usi il termine ‘decostruzionismo’ come sinonimo di ‘decostruzione’ in quanto il
primo termine connota più le idee che in ambito letterario e culturale si rifanno al pensiero di
Derrida e da cui a più riprese egli ha preso le distanze, più che il pensiero vero e proprio del filosofo
francese.
Il rischio di interpretare la decostruzione come un modello risiede nel trasformarla in un
ideale regolativo e in un dispositivo che sembra agire dall’esterno della tradizione filosofica o
pedagogica classica con la pretesa di superarla attraverso un gesto che appare molto poco
derridiano. Il decostruzionismo posto come modello tende a irrigidirsi in alcuni termini come la
differenza, l’altro, il nascosto senza operare praticamente all’interno dei testi della tradizione. Il
pericolo che può emergere non è tanto il misconoscimento del pensiero di Derrida a favore di
alcune sue interpretazioni non letterali, quanto la possibilità di mescolare tra loro pensieri differenti
come quelli di Derrida, Foucault, Rorty o Adorno non evidenziando le possibilità specifiche che la
decostruzione assume in ambito educativo.
La forza e il contributo della decostruzione in campo filosofico è di operare un paziente
lavoro interno ai testi e ai problemi classici della tradizione interrogando e confrontandosi
costantemente con i pensatori classici come Husserl, Heidegger, Hegel o Nietzsche. Per questa
ragione il lavoro di Mariani, senz’altro utile per riflettere in modo critico attraverso le categorie
decostruttive su temi pedagogici, non sembra però percorrere completamente, almeno in questo
volume, la direzione più interessante che l’opera di Derrida indica: operare all’interno della
tradizione pedagogica dialogando e interrogando gli autori classici che la compongono da Rousseau
a Gentile o Dewey.