biblioteca / schede di lettura / / / / mondoperaio 8/2009 La sinistra senza pensiero >>>> Corrado Ocone S alvatore Biasco, autore di questolibro non di circostanza sul destinodella sinistra, è, come molti di noi, profondamente insoddisfatto di ciò che è oggi il Partito Democratico. E lo è per gli stessi motivi per i quali lo è chi scrive. Un partito è fatto di un’identità definita, ovvero di una comunanza di visioneideale o di interessi, che genera unitarietà di intenti e spirito di appartenenza. E’ da questa visione che discende poi, quasi naturalmente, tutto il resto, a cominciare dalle strategie e dai programmipolitici sino alle tattiche e alle concrete azioni quotidiane. Un partito nasce per dare sostanza e forza ad una visione che già esiste, oppure sulla scommessa che ne esista una che aspettasolo di essere portata alla luce e organizzata. Non dandosi dall’inizio il primo caso, si può dire, a due anni dalla nascita del partito, che non si sia verificata nemmeno la seconda situazione: nonostante le dichiarazioni di intenti dei dirigenti e l’ottimismo della volontà di molti aderenti. Biasco ci ricorda, giustamente, che non c’è, nè può esserci, “egemonia politica senza egemonia culturale: rinunciare a una sintesi culturale in nome di una pluralità informe e sbiadita di suggestioni vuol dire condannarsi a un empirismo oscillante e all’assenza di identificazione e prestigio nella società”. E ciò è di grave conseguenza se solo si pensi al fatto che, come ci ha dimostrato con solidi argomenti nel suo ultimo libro Biagio De Giovanni, la destra una sintesi culturale e un gramsciano “blocco sociale” di riferimento, anche a dispetto di ciò che può a prima vista apparire, in questi ultimi anni è riuscita comunque a crearlo e consolidarlo. Biasco, da profondo conoscitore delle dinamiche economiche e sociali italiane, nelle pagine di questo libro dà la sua risposta al problema della identità o identificazione della sinistra. E’ una risposta, la sua che, pur non potendosi ripercorrere in questa sede i densi passaggi delle argomentazioni, si pone in antitesi al lavoro che in tal senso ha compiuto (direi senza molto successo) un Michele Salvati. Per Biasco, voglio dire, ciò che dovrebbe risultare palesemente chiaro a tutti è che, contrariamente a quanto sostiene Salvati, il liberalismo non può proporsi come il principio ispiratore e unificante di un moderno partito di centrosinistra che voglia governare l’Italia. “E’ ovvio che l’apparato liberale vada recuperato e tenuto dentro una cultura di sinistra, ma questa non potrà accettare che il legame sociale venga solo dal basso a partire da individui separati, o essere a suo agio con l’esasperazione delle soggettività e le deboli connessioni che essa crea”. In effetti, Biasco non è a perfetto agio con la cultura liberale, di cui pure accetta molte istanze, in quanto la collega, a mio modo di vedere ingiustamente, con l’individualismo. Se da un lato egli apprezza l’accettazione di istanze liberali (anche soggettivistiche come quelle connesse ai diritti umani e alle libertà civili) all’interno di un orizzonte socialdemocratico (a cui si sente più familiarmente vicino), dall’altro teme che l’accettazione integrale del liberalismo possa portare all’accettazione conformistica e consumistica di un individualismo di massa basato sull’egoismo sociale e sulla soddisfazione di bisogni indotti. Compie però, a mio avviso, un errore fondamentale: così giudicando aderisce a quella vulgata, essa sì indotta, che ha offerto alla società italiana, dopo il crollo delle ideologie, una interessata interpretazione del liberalismo come dell’ideologia del farsi i propri comodi. Bisogna avere invece il coraggio finalmente di dire che l’individualismo metodologico che ha avuto corso nel nostro dibattito culturale e pubblico degli ultimi anni è metafisico e ideologico: una voluta regressione politica e filosofica (qualcuno avrebbe detto una “sovrastruttura ideologica”) al pensiero e alla prassi politica degli albori sei-settecenteschi della modernità. La critica dell’individualismo, a cui Biasco tanto tiene, è, come ogni critica dell’esistente, profondamente e coerentemente liberale. Biasco ha ragione da vendere nel considerare l’individuo, se ho capito bene, come una astrazione sociale, ed a insistere sul fatto che la totalità sociale non è la mera somma dei suoi aggregati individuali. Ma ciò è perfettamente conforme con una prospettiva, quella liberale, che, almeno da Tocqueville in poi, non ha a suo centro teorico l’individuo inteso come una monade isolata, ma ha come fari intellettuali le idee (faccio solo degli esempi) di limite, antagonismo regolato, pluralismo conflittuale, spirito critico. E’ in quest’ottica che il liberalismo si incontra teoricamente con quel socialismo umanitario e liberale che Marx apostrofò ingiustamente come utopistico, ma solo per vincere la sua battaglia culturale (si pensi solo un attimo alla modernità di un Proudhon). Un socialismo che ha accompagnato la storia italiana, da posizioni di minoranza, anche nel periodo di trionfo a sinistra del marxismo e della socialdemocrazia. A quest’ultima, il socialismo liberale è legato da una condivisione sostanziale di pratiche e politiche, anche se, rispetto ad essa, ha una visione più ampia e meno economicisticamente ossificata del conflitto sociale. Una visione che, a mio avviso, la rende più adatta ad affrontare con armi teoriche le problematiche che si presentano in un mondo globalizzato in cui il lavoro industrializzato ha perso la sua centralità. Come dicevo prima, il 1 biblioteca / schede di lettura / / / / mondoperaio 8/2009 volume di Biasco non è di circostanza: è pieno di analisi precise e dettagliate su varie questioni politiche. La cifra complessiva che le informa può essere così riassunta: da un punto di vista teorico, l’autore critica il “pensiero unico” dominante, ma questa critica non ha nulla a che vedere con i velleitarismi della cosiddetta sinistra radicale o antagonista. Senza alcun timore di urtare sensibilità acquisite e solidificatesi negli ultimi tempi, Biasco non esita a dare dignità ad un’espressione screditata e bandita dal dibattito pubblico come “ingegneria sociale”, confidando nelle virtù politiche insostituibili di uno Stato non solo regolatore ma programmatore della vita economica (“programmazione” è un’altra parola riabilitata). E’ difficile seguire da questa parte il suo discorso, anche per una questione teorica di fondo: se astrazione sociale è l’individuo, ugualmente un’astrazione è lo Stato. La realtà (non solo politica) è fatta di rapporti di forza che vanno moderati da più autorità, pubbliche e private, che devono limitarsi a vicenda: lo Stato non è un’entità super partes a cui può essere dato potere estremo; è anch’esso, come ben sapeva Marx, il risultato di rapporti di dominio ben determinati. Sacrosanta è invece la critica di Biasco al genericismo politico dei nostri anni e l’insistenza sulla necessità di istituire un rapporto dialettico fra l’analisi dei cosiddetti intellettuali e la sintesi politica. Si deve trattare, beninteso, di intellettuali seri e non autoridottisi a inessenziali contributori del genericismo imperante. In conclusione può dirsi senza difficoltà che questo di Biasco è un libro pensato per individui pensanti, proprio come pensante a suo dire deve essere la sinistra di cui si prospetta e ci si augura la nascita. Salvatore Biasco, Per una sinistra pensante. Costruire la cultura politica che non c’è, i libri di Reset, Marsilio, Venezia 2009, pagine 157, euro 12,00 2