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La sinistra
senza pensiero
>>>> Corrado Ocone
S
alvatore Biasco, autore di questolibro non di
circostanza sul destinodella sinistra, è, come molti
di noi, profondamente insoddisfatto di ciò che è
oggi il Partito Democratico. E lo è per gli stessi
motivi per i quali lo è chi scrive.
Un partito è fatto di un’identità definita, ovvero di
una comunanza di visioneideale o di interessi, che
genera unitarietà di intenti e spirito di
appartenenza.
E’ da questa visione che discende poi, quasi
naturalmente, tutto il resto, a cominciare dalle
strategie e dai programmipolitici sino alle tattiche
e alle concrete azioni quotidiane. Un partito nasce
per dare sostanza e forza ad una visione che già
esiste, oppure sulla scommessa che ne esista
una che aspettasolo di essere portata alla luce e
organizzata.
Non dandosi dall’inizio il primo caso, si può dire, a
due anni dalla nascita del partito, che non si sia
verificata nemmeno la seconda situazione:
nonostante le dichiarazioni di intenti dei dirigenti e
l’ottimismo della volontà di molti aderenti. Biasco
ci ricorda, giustamente, che non c’è, nè può
esserci, “egemonia politica senza egemonia
culturale: rinunciare a una sintesi culturale in
nome di una pluralità informe e sbiadita di
suggestioni vuol dire condannarsi a un empirismo
oscillante e all’assenza di identificazione e
prestigio nella società”. E ciò è di grave
conseguenza se solo si pensi al fatto che, come ci
ha dimostrato con solidi argomenti nel suo ultimo
libro Biagio De Giovanni, la destra una sintesi
culturale e un gramsciano “blocco sociale” di
riferimento, anche a dispetto di ciò che può a
prima vista apparire, in questi ultimi anni è riuscita
comunque a crearlo e consolidarlo.
Biasco, da profondo conoscitore delle dinamiche
economiche e sociali italiane, nelle pagine di
questo libro dà la sua risposta al problema della
identità o identificazione della sinistra. E’ una
risposta, la sua che, pur non potendosi
ripercorrere in questa sede i densi passaggi delle
argomentazioni, si pone in antitesi al lavoro che in
tal senso ha compiuto (direi senza molto
successo) un Michele Salvati. Per Biasco, voglio
dire, ciò che dovrebbe risultare palesemente
chiaro a tutti è che, contrariamente a quanto
sostiene Salvati, il liberalismo non può proporsi
come il principio ispiratore e unificante di un
moderno partito di centrosinistra che voglia
governare l’Italia. “E’ ovvio che l’apparato liberale
vada recuperato e tenuto dentro una cultura di
sinistra, ma questa non potrà accettare che il
legame sociale venga solo dal basso a partire da
individui separati, o essere a suo agio con
l’esasperazione delle soggettività e le deboli
connessioni che essa crea”. In effetti, Biasco non
è a perfetto agio con la cultura liberale, di cui pure
accetta molte istanze, in quanto la collega, a mio
modo
di
vedere
ingiustamente,
con
l’individualismo.
Se da un lato egli apprezza l’accettazione di
istanze liberali (anche soggettivistiche come
quelle connesse ai diritti umani e alle libertà civili)
all’interno di un orizzonte socialdemocratico (a cui
si sente più familiarmente vicino), dall’altro teme
che l’accettazione integrale del liberalismo possa
portare
all’accettazione
conformistica
e
consumistica di un individualismo di massa
basato sull’egoismo sociale e sulla soddisfazione
di bisogni indotti. Compie però, a mio avviso, un
errore fondamentale: così giudicando aderisce a
quella vulgata, essa sì indotta, che ha offerto alla
società italiana, dopo il crollo delle ideologie, una
interessata interpretazione del liberalismo come
dell’ideologia del farsi i propri comodi. Bisogna
avere invece il coraggio finalmente di dire che
l’individualismo metodologico che ha avuto corso
nel nostro dibattito culturale e pubblico degli ultimi
anni è metafisico e ideologico: una voluta
regressione politica e filosofica (qualcuno avrebbe
detto una “sovrastruttura ideologica”) al pensiero
e alla prassi politica degli albori sei-settecenteschi
della modernità. La critica dell’individualismo, a
cui Biasco tanto tiene, è, come ogni critica
dell’esistente, profondamente e coerentemente
liberale. Biasco ha ragione da vendere nel
considerare l’individuo, se ho capito bene, come
una astrazione sociale, ed a insistere sul fatto che
la totalità sociale non è la mera somma dei suoi
aggregati individuali. Ma ciò è perfettamente
conforme con una prospettiva, quella liberale,
che, almeno da Tocqueville in poi, non ha a suo
centro teorico l’individuo inteso come una monade
isolata, ma ha come fari intellettuali le idee (faccio
solo degli esempi) di limite, antagonismo regolato,
pluralismo conflittuale, spirito critico. E’ in
quest’ottica che il liberalismo si incontra
teoricamente con quel socialismo umanitario e
liberale che Marx apostrofò ingiustamente come
utopistico, ma solo per vincere la sua battaglia
culturale (si pensi solo un attimo alla modernità di
un Proudhon).
Un
socialismo che ha
accompagnato la storia italiana, da posizioni di
minoranza, anche nel periodo di trionfo a sinistra
del marxismo e della socialdemocrazia. A
quest’ultima, il socialismo liberale è legato da una
condivisione sostanziale di pratiche e politiche,
anche se, rispetto ad essa, ha una visione più
ampia e meno economicisticamente ossificata del
conflitto sociale. Una visione che, a mio avviso, la
rende più adatta ad affrontare con armi teoriche le
problematiche che si presentano in un mondo
globalizzato in cui il lavoro industrializzato ha
perso la sua centralità. Come dicevo prima, il
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volume di Biasco non è di circostanza: è pieno di
analisi precise e dettagliate su varie questioni
politiche. La cifra complessiva che le informa può
essere così riassunta: da un punto di vista teorico,
l’autore critica il “pensiero unico” dominante, ma
questa critica non ha nulla a che vedere con i
velleitarismi della cosiddetta sinistra radicale o
antagonista. Senza alcun timore di urtare
sensibilità acquisite e solidificatesi negli ultimi
tempi, Biasco non esita a dare dignità ad
un’espressione screditata e bandita dal dibattito
pubblico come “ingegneria sociale”, confidando
nelle virtù politiche insostituibili di uno Stato non
solo regolatore ma programmatore della vita
economica (“programmazione” è un’altra parola
riabilitata). E’ difficile seguire da questa parte il
suo discorso, anche per una questione teorica di
fondo: se astrazione sociale è l’individuo,
ugualmente un’astrazione è lo Stato. La realtà
(non solo politica) è fatta di rapporti di forza che
vanno moderati da più autorità, pubbliche e
private, che devono limitarsi a vicenda: lo Stato
non è un’entità super partes a cui può essere dato
potere estremo; è anch’esso, come ben sapeva
Marx, il risultato di rapporti di dominio ben
determinati. Sacrosanta è invece la critica di
Biasco al genericismo politico dei nostri anni e
l’insistenza sulla necessità di istituire un rapporto
dialettico fra l’analisi dei cosiddetti intellettuali e la
sintesi politica. Si deve trattare, beninteso, di
intellettuali seri e non autoridottisi a inessenziali
contributori del genericismo imperante. In
conclusione può dirsi senza difficoltà che questo
di Biasco è un libro pensato per individui pensanti,
proprio come pensante a suo dire deve essere la
sinistra di cui si prospetta e ci si augura la nascita.
Salvatore Biasco, Per una sinistra pensante.
Costruire la cultura politica che non c’è, i libri
di Reset, Marsilio, Venezia 2009, pagine 157,
euro 12,00
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