Zafón: «Io cantastorie dell`era digitale

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L’ECO DI BERGAMO
DOMENICA 11 MARZO 2012
Cultura
A
Firenze, sotto il Vasari
forse tracce di Leonardo
Secondo gli esperti i «saggi» prelevati a Palazzo
Vecchio a Firenze confermano che sotto il Vasari
c’è traccia di un altro affresco, forse proprio quello di Leonardo della «Battaglia di Anghiari».
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a
Zafón: «Io cantastorie dell’era digitale»
Scrittore molto popolare, sempre nella top ten: ha venduto più di 27 milioni di copie nel mondo
Per raccontare usa qualsiasi tipo di libro: poco importa che siano letti su carta o su uno schermo
FRANCESCO MANNONI
bile a quella del Conte di Montecristo. E torna anche il misterioso «Cimitero dei libri dimenticati», speranza dell’uomo e del
mondo.
Con Il prigioniero del cielo ha
rivelato tutti i misteri dei suoi
personaggi?
«Nella trilogia –spiega Zafón
–, con Il prigioniero del cielo metto a posto tutta una serie di tessere del grande puzzle che sono
stati gli altri libri e trovo un’ulteriore chiarificazione che prepara la strada al gran finale che sarà
nel quarto. È la natura del gioco,
il cuore del mistero. Questo romanzo è un po’ più leggero de Il
gioco dell’angelo, ma il quarto
sarà una chiusura con un bel botto».
Zafón si immedesima molto
nei suoi personaggi:
«Nei miei libri c’è tandi me – racconta –
Ne «Il to
e io in un certo senso
prigioniero sono in tutti i miei
perché lo
del cielo» personaggi,
scrittore impersona il
il male mondo che descrive.
da L’ombra
ha il volto Partendo
del vento, mi ritrovo
del fascismo molto in Fermìn Romero De Torres e
m’intriga il funzionamento del
cervello di questo personaggio
un po’ esagerato e demoniaco,
ma il suo senso dell’umorismo e
la sua visione delle cose sono
parte di me. Però anche in Daniel che ha un carattere più sfumato e innocente c’è molto di
me».
Lo scrittore non ama prendere posizioni né politiche né religiose. «La neutralità – sottolinea
– è una partita aperta e miei lettori possono trarne le conclusioni che vogliono: non mi sento un
predicatore, non tengo sermoni
né discorsi politici e non voglio
spiegare niente a nessuno. Piuttosto invito i miei lettori ad acquisire vari punti di vista, senza
dare mai indicazioni precise su
buoni e cattivi, anche perché non
a «Mi considero un cantastorie e, per raccontare, uso i
libri, che per me non sono solo
un pacco di carta. Al posto della
carta ci può essere anche uno
schermo e non cambia nulla.
Quello che cambia, anche nell’industria dell’editoria, è la distribuzione».
Alto e massiccio, baffi e pizzetto neri, ampia stempiatura e
occhiali con la montatura color
salmone, il quarantottenne spagnolo (ma da tempo vive a Los
Angeles), Carlos Ruiz Zafón, hidalgo della letteratura mondiale, che dei suoi libri tradotti in 45
lingue ha venduto oltre 27 milioni di copie, nella saletta di un lussuoso albergo milanese, racconta il mestiere di scrittore e i suoi
romanzi e, in particolare, Il prigioniero del
cielo (Mondadori, 340
pagine, 21 euro), terzo
tomo di quella che è
stata definita la «tetralogia catalana».
Dopo L’ombra del
vento e Il gioco dell’Angelo, Barcellona è ancora il fondale in cui si
incrociano diversi destini e drammi universali e il male ha il volto di un fascismo fatto
di torture e avidità sconfinate.
Zafón, ex pubblicitario ed ex sceneggiatore, anche in questa vicenda anima personaggi che i
lettori hanno già imparato ad
amare: i due librai Sempere, padre e figlio, e l’aiutante commesso, il ciarliero e pungente Fermìn
Romero De Torres, oltre al tormentato scrittore David Martin,
chiave di volta di una storia piena di intrighi, calunnie, sdegni,
dolori, tesori, ostruzionismi e
perversioni. In questo tomo l’autore mette in risalto il passato di
Fermìn, prigioniero in un tetro
carcere di Barcellona, ricattato
da un feroce direttore, Mauricio
Valls, e protagonista di una rocambolesca evasione paragona-
credo sia così interessante».
Zafón è uno scrittore schivo e
un po’ appartato, che non fa molte presentazioni. «Se si vuole conoscere uno scrittore – dice –
l’ultimo posto per capire veramente chi è sono le feste, i cocktail e le presentazioni. L’anima
vera dello scrittore uno la può incontrare nel suo lavoro, perché
per conoscerla bisogna entrare
nel suo mondo. In questo gli
scrittori mettono la loro intelligenza e, anche se a volte scrivono di pianeti lontani, alieni e mostri, c’è sempre un’attinenza, un
processo emotivo, un mondo che
loro hanno percepito e riversato
nella scrittura».
Nel panorama generale della
crisi, lo scrittore vede un cambiamento radicale: «La crisi attuale
riguarda la struttura stessa della
società, non è solo finanziaria, ha
a che vedere con la fine di un sistema. Sicuramente i libri sopravviveranno perché sono l’incarnazione della nostra mente e
ci permettono di far lavorare il
cervello. Posso apparire pessimista, ma non lo sono: ho molta fede nel futuro». ■
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Definizioni letterarie
A
Feuilleton o testi esotici?
«Non credo alle etichette»
A
La copertina del libro di Carlos
Ruiz Zafón «Il prigioniero del cielo» (Mondadori). In alto, l’autore
re storie dai contenuti drammatici
esposti con una scrittura semplice,
lineare. Questo ha portato molti critici a definirlo uno scrittore di letteratura popolare. «La disputa sul romanzo popolare è una cosa che a me
interessa fino ad un certo punto» dice Zafón. «Quando lavoro voglio solo scrivere, non mi interessa sapere
come il romanzo sarà etichettato.
Scrivo da oltre vent’anni e tutti i
miei romanzi di successo sono diventati letteratura popolare. Invece, quelli che hanno avuto minore
fortuna improvvisamente sono diventati "letterari", o "esotici". Che
scrittore sono quindi? Fanno venire dei dubbi anche a me».
Che il feuilleton non sia mai scomparso dalla scena letteraria, nonostante la spietata concorrenza dei
tanti serial televisivi che hanno cercato di succhiarne la linfa strategica
per imporre un diverso ritmo narrativo, ne abbiamo avuto conferma
nel 2001 quando «L’ombra del vento» spopolò in tutto il mondo. Successo confermato nel 2008 dalla seconda puntata della storia, «Il gioco
dell’angelo», venduto anch’esso in
milioni di copie. A meno di quattro
anni di distanza (un’attesa resa meno ansiosa da altri bellissimi romanzi come «Marina», «Il Palazzo della
mezzanotte», «Le luci di settembre» e «Il principe della nebbia») è
arrivata in libreria la terza tappa
della saga dello scrittore spagnolo
Carlos Ruiz Zafón «Il prigioniero del
cielo» che, riportando sulla scena i
campioni di tante avventure vissute senza eroismo se non quello d’una lealtà irriducibile, conferma il suo
talento nel congegnare e racconta-
Stefano Tomelleri FOTO YURI COLLEONI
mato che «nella nostra epoca il e uguaglianza) della triade defirisentimento caratterizza sem- nita dalla Rivoluzione francese.
pre più diffusamente non solo i Se le gerarchie sociali, intese in
rapporti tra i singoli, ma anche senso tradizionale, implicano dei
quelli tra i gruppi sorapporti di subordinaciali; diviene il motivo
zione, la fraternità
conduttore delle relaa immaginare
Tomelleri: porta
zioni tra medici e pauna diversa organizzienti, tra elettori e
serve uno zazione, basata sulla
politici, tra categorie
responsabilità persoprofessionali». Vi è il stile diverso nale. Abbiamo avuto
rischio che la conflita livello un precedente storico
tualità sfoci, come in
questo senso: l’ideapersonale in
passato, nell’elezione
le del welfare state che
di «capri espiatori» su
e globale ha orientato nella secui si sfogherebbero
conda metà del Novele frustrazioni collettive; per pre- cento la politica di molti Paesi
venire questo esito, secondo To- nasceva anche dalla volontà dei
melleri, occorrerebbe riscoprire singoli cittadini di “rendersi uti«il valore della fraternità, che ha li alla società”». ■
avuto una fortuna molto inferio- Giulio Brotti
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re rispetto agli altri due (libertà
F. MAN.
a
«Ci sono troppi conflitti
riscopriamo la fraternità»
a Nella visione aristocratica
di Nietzsche, il «ressentiment» sarebbe un tratto psicologico caratteristico degli uomini deboli, «animali da gregge».
Animali, cioè, che non potendo
competere con «i grandi uccelli
rapaci» li accuserebbero di essere malvagi, come se l’asimmetria
della situazione non dipendesse
dalle rispettive nature.
Secondo Max Scheler, invece,
il risentimento costituirebbe la
tonalità di fondo della società
borghese, in cui il principio formale dell’uguaglianza dei diritti
si accompagna a «grandi differenze di potere di fatto». Stefano
Tomelleri, docente di Sociologia
generale all’Università di Bergamo e autore de La società del risentimento (Meltemi, pagine 168,
euro 16), propone da parte sua
un’interpretazione ancora diversa, vedendo in questo affetto
«una chiave di lettura per comprendere le trasformazioni in atto nella società contempora-
nea». Tomelleri ha approfondito il concetto nella conferenza
che ha tenuto venerdì sera nella
Sala Alabastro del Centro Congressi Giovanni XXIII, nel quinto incontro della serie «La Chiesa nel mondo. I cristiani nella
globalizzazione», promosso dall’Ufficio diocesano per la pastorale della cultura e dalla Fondazione Bernareggi. Richiamandosi pur con qualche annotazione
critica alle tesi dell’antropologo
René Girard, il relatore ha affer-