Consegna delle tessere ai Soci Si informano i Soci che le tessere associative potranno essere ritirate dalla fine di novembre, in occasione dei concerti in Conservatorio, dietro presentazione della ricevuta rilasciata all’atto dell’iscrizione. Società del Quartetto di Milano, via Durini 24 - 20122 Milano tel. 02.795.393 – fax 02.7601.4281 www.quartettomilano.it – e-mail: [email protected] Murray Perahia costretto ad annullare il concerto. Alfred Brendel si rende disponibile per un recital. Murray Perahia, ospite affezionato della nostra Società, ci ha comunicato di aver dovuto annullare tutti gli appuntamenti della sua tournée autunnale europea per ragioni di salute, e di rinviare dunque alla prossima stagione il suo concerto previsto per martedì 30 novembre. Murray Perahia non può essere “sostituito”. Ed infatti non è una sostituzione il recital che un altro beniamino del pubblico del Quartetto, Alfred Brendel, con grande disponibilità ed amicizia, ci offrirà quella sera, prolungando la sua lunga tournée europea che si sarebbe dovuta concludere a Lucerna il 28 novembre. Avremo così un’occasione d’ascolto speciale, non infrequente nella lunga storia del Quartetto: il grande interprete in duo con il figlio Adrian nel concerto del 9 novembre e poi in un recital solistico il 30 novembre. Una opportunità – già realizzata come “evento particolare” in altre capitali della musica - che il pianista ci offre dimostrandoci solidale simpatia. Martedì 30 novembre Sala Verdi del Conservatorio, ore 20.30 MOZART - Fantasia in do minore K 396 (completata da Stadler) - Sonata in si bemolle maggiore K 281 - Sonata in mi bemolle maggiore K 282 SCHUBERT - Drei Klavierstücke D 946 BEETHOVEN - Sonata n. 30 in mi maggiore op. 109 pianoforte Alain Damiens clarinetto Sala Verdi del Conservatorio Martedì 23 novembre 2004, ore 20.30 S TA G I O N E 2 0 0 4 • 2 0 0 5 Maurizio Pollini 7 Consiglieri di turno Dott. Maria Majno Prof. Alberto Conti Prof. Avv. Guido Rossi Sponsor istituzionali Con il patrocinio e il sostegno di Con il sostegno di FONDAZIONE CARIPLO Per assicurare agli artisti la migliore accoglienza e concentrazione e al pubblico il clima più favorevole all’ascolto, si prega di: • spegnere i telefoni cellulari e altri apparecchi con dispositivi acustici; • limitare qualsiasi rumore, anche involontario (fruscio di programmi, tosse ...); • non lasciare la sala prima del congedo dell’artista. Si ricorda inoltre che registrazioni e fotografie non sono consentite. Maurizio Pollini pianoforte con la partecipazione di Alain Damiens clarinetto Pierre Boulez (Montbrison, Loire 1925) “Dialogue de l’ombre double” per clarinetto e nastro magnetico Ingegnere del suono: Franck Rossi (IRCAM, Parigi) Alban Berg (Vienna 1885 – 1935) Quattro pezzi per clarinetto e pianoforte op. 5 Karlheinz Stockhausen (Colonia 1928) Klavierstück VII Klavierstück IX Intervallo Ludwig van Beethoven (Bonn 1770 – Vienna 1827) Sonata n. 29 in si bemolle maggiore op. 106 “Hammerklavier” Pierre Boulez “Dialogue de l’ombre double” per clarinetto e nastro magnetico Sigle initial Strophe I Transition I à II Strophe II Transition II à III Strophe III Transition III à IV Strophe IV Transition IV à V Strophe V Transition V à VI Strophe VI Sigle final Il 26 marzo del 2005, cioè fra cinque mesi, Pierre Boulez compirà ottant’anni. Sembra incredibile. Certamente a chi lo ha visto, in questa sala, un paio di settimane fa, dirigere con la consueta forza e dinamica il suo Ensemble InterContemporain in un impegnativo programma di musiche d’avanguardia dedicato alla memoria del suo amico Luciano Berio. E anche a chi ha avuto la fortuna di ascoltarlo, in tempi recenti, in altri centri di eccellenza (Salisburgo, Parigi, Berlino, New York…) nella sua veste di direttore delle orchestre più prestigiose (Wiener, Berliner…) nel repertorio di tradizione (Mahler, Bruckner, Debussy…). Però, a ben vedere, ci si domanda come abbia fatto, in così poco tempo (è sulla breccia dal 1945), a occuparsi di tante cose e a un livello così elevato. Sappiamo della sua infaticabile attività di organizzatore, non solo dell’Ensemble ma anche del prestigioso IRCAM, l’istituto di sperimentazione acustica al Centre Pompidou di Parigi. Ininterrotta la sua produzione teorica, con saggi e pubblicazioni che hanno definito la storia della musica nel Novecento. Mentre l’intensa attività direttoriale ha solo rallentato, ma certo non fermato la creazione di nuove composizioni musicali, al solito originali e dirompenti. Saranno i suoi giovanili studi di matematica che gli hanno consentito di organizzare così bene il suo tempo. Mentre il suo maestro musicale, il mistico cattolico così attento alle cose orientali Olivier Messiaen, gli ha di sicuro instillato l’interesse per l’irrazionale e per l’analogico (inteso come opposto di digitale, di numerico). Il tutto a spiegare i suoi interessi di compositore per la linea d’ombra che divide il suono degli strumenti tradizionali da quello delle sorgenti nuove, ossia dall’elettroacustica, dove deliberatamente non si capisce quale sia quello “normale” e quale l’“artificiale”, quale il “vero” e quale il “falso”. È questo il filo rosso che lega il suo non breve catalogo di composizioni originali, compreso il pezzo che ascolteremo in apertura del programma di stasera. Il titolo viene dal lavoro teatrale Le Soulier de satin (1924) di Paul Claudel in cui è prevista una scena intitolata “L’ Ombre double” dove viene affidato un ruolo autonomo alle ombre di un uomo e di una donna proiettate sullo sfondo. Il pezzo di Boulez fa di un clarinetto il protagonista reale (“clarinette première”) mentre un sistema elettronico genera il protagonista virtuale, cioè l’ombra (“clarinette double”). Il clarinetto vero sta al centro, il clarinetto registrato (ovvero le casse acustiche) stanno in periferia, così da creare un vero dialogo (e il suo doppio: un vero contrasto) nello spazio con (possibilmente) il pubblico a filtrarne il contenuto. Il dialogo nasce come conseguenza dell’omogeneità timbrica fra il suono del clarinetto dal vivo e quello riprodotto della sua registrazione. Il contrasto nasce dal fatto che il clarinetto “vero” è fermo al centro, mentre quello “falso” si distribuisce sulle diverse sorgenti sonore poste in periferia. L’ effetto cresce perché il suono originale è stato elaborato elettronicamente, in modo da scavare a fondo nella struttura del suono e di amplificare l’idea stessa della composizione, al di là delle possibilità fisiche dello strumento originale. Finisce che il suono “vero” è quello riprodotto e quello dello strumento “vero” non è altro che una sorgente primaria, un’ombra piatta in una struttura spaziale. Ne esce un inviluppo di onde sonore assai suggestivo, che lascia intendere una inafferrabile complessità costruttiva. Invece il meccanismo generativo è molto semplice. Lo si legge nella descrizione dei 13 segmenti in cui Dialogue de l’ombre double si articola. Sigle initial serve da preparazione a una serie di sei strofe concatenate affidate al clarinetto “vero”. Fra una strofa e l’altra, a mo’ di ritornello sempre diverso, sono intercalate cinque transizioni costruite con suono riprodotto. Chiude Sigle final, in correlazione con initial. Inutile dire che il materiale elettronico è stato elaborato all’IRCAM a cura di Andrew Gerzso. Il pezzo è stato eseguito per la prima volta a Firenze il 28 ottobre 1985, come omaggio all’amico Luciano Berio in occasione del suo sessantesimo compleanno. Alban Berg Quattro pezzi op. 5 per clarinetto e pianoforte Allegro Adagio Vivace Adagio Sono entrambi reali i due strumenti che dialogano nell’op. 5 di Alban Berg e anche il loro rapporto dialettico si mantiene entro i binari della tradizione. Lo dimostra innanzitutto l’architettura che, al di là del titolo fuorviante, conserva la logica della sonata classica, in quattro tempi. Il primo è una forma sonata in miniatura in cui si possono riconoscere esposizione, elaborazione, ripresa. Il secondo è un momento di riflessione drammatica (e non lirica). Il terzo è una specie di Scherzo, il finale si avvicina al rondò. Tutti i pezzi hanno durata minima, solo il finale risulta un po’ più lungo, per una manciata di secondi. Tanto che l’op. 5 di Berg è uno dei primi esempi di musi- ca aforistica di stile “novecento viennese” portato poi alle conseguenze estreme da Anton Webern. Ma ciò porta anche a un senso di frammentazione e di gelo timbrico lontanissimo, per esempio, dal sinuoso procedere della contemporanea Rhapsodie di Debussy. Lo stesso maestro Schönberg rimase freddo ricevendo la partitura dei Quattro pezzi, che pure gli era stata dedicata. Lo sforzo creativo per questa “musica fatta di nulla” (l’espressione, ammirata, è di T. W. Adorno) fu tuttavia per il ventottenne Berg un severo esercizio di depurazione e di riduzione all’essenziale di ogni parametro musicale. I risultati ultimi si vedranno nell’asciutta narrazione delle grandi opere della maturità, teatrali e da concerto. Completati nella primavera del 1913, i Quattro pezzi furono eseguiti per la prima volta solo nel 1919. Karlheinz Stockhausen Klavierstück VII Klavierstück IX Anche Karlheinz Stockhausen si avvicina alla soglia degli ottant’anni. Con un piglio che ci appare diverso da quello di Boulez, forse solo perché non fa parte del grande circo direttoriale e forse perché è rimasto lontano da Milano per tanti anni, dopo le clamorose incursioni negli anni Sessanta, Settanta, Ottanta. È anche vero che da alcuni mesi è in corso un suo revival in Italia, con punte importanti in Emilia e una recente manifestazione nel nostro Duomo. Da qualche decennio, poi, Stockhausen punta molto sul teatro e sulla rappresentazione, meno sul concerto e sui pezzi individuali, e ciò gli ha tolto un po’ di visibilità negli appuntamenti tradizionali dell’avanguardia e delle associazioni concertistiche, la nostra compresa. Ringraziamo dunque di cuore Maurizio Pollini per aver inserito in questo programma due pezzi che perfettamente illustrano i primi passi di un autore che comunque ha contribuito a indirizzare la storia della musica nel Novecento. I suoi undici Klavierstücke, composti fra 1952 e 1956, con parziali revisioni nel 1961, ci rimandano all’immagine che di Stockhausen ci è più familiare: il più giovane fra gli iconoclasti della nuova avanguardia post-weberniana degli anni Cinquanta, il più provocatorio e determinato, ferrato nella tecnica, assertivo nella dialettica, presente in ogni area della sperimentazione, pioniere dell’elettroacustica e chi più ne ha più ne metta. Credeva profondamente nella struttura e nella musica assoluta, nel valore individuale del timbro e nella necessità di regolare tutto. Nascono in questa logica di ricomposizione dei materiali musicali sulle ceneri del passato appunto i Klavierstücke, così intitolati proprio per segnalare il dialogo/contrasto con un genere cardinale nella letteratura pianistica tedesca. Sono pezzi con durate e strutture variabili, comunque contraddittorie anche se ovviamente connes- se. Ne ascolteremo due fra i più rappresentativi, oltre che famosi. In Klavierstück VII (1954) si noti l’attenzione con cui sono disposti i singoli punti sonori nel firmamento timbrico del pianoforte, e come le apparenti distanze sia tuttavia capaci di generare risonanze e simpatie di vibrazioni. Del celeberrimo Klavierstück IX (1954/1961) si osservi come il muro verticale di ossessive ribattiture accordali venga prima interrotto e quindi progressivamente scalfito dai flebili segmenti orizzontali, fino a tutto frantumare, a trasformare le concrezioni stellari in più soffici galassie, a cavare le energie nascoste nei buchi neri (per usare le metafore cosmiche cui ci abituerà lo stesso Stockhausen, dagli anni Ottanta in poi). Ludwig van Beethoven Sonata n. 29 in si bemolle maggiore op. 106 “Hammerklavier” Allegro Scherzo Adagio sostenuto Largo – Allegro risoluto (Fuga a tre voci con alcune licenze) Curiosamente la più vasta e complessa sonata beethoveniana per pianoforte è l’unica a portare l’indicazione autografa “für das Hammerklavier”, per pianoforte a martelli. Perché Beethoven abbia scritto questa precisazione non si sa. Certo è che non fu per evitare esecuzioni sul clavicembalo, fisicamente impossibili. Forse Beethoven, notoriamente distratto e disordinato, non si pose neppure il problema. O forse volle sottolineare il fatto che con questa sonata non ci si potevano permettere licenze di sorta, tipo trascrizioni o adattamenti. “Hammerklavier” è comunque rimasto popolare sottotitolo di questa sonata grandiosa, estenuante sia per l’esecutore che per l’ascoltatore. Terminata fra il novembre del 1817 e il marzo del 1819, nello stesso tempo di Nona sinfonia e Missa solemnis, è la terz’ultima sonata per pianoforte scritta da Beethoven. Il processo di superamento della forma musicale intesa come logica di architetture prestabilite arriva al culmine proprio in questo lavoro, che non ha riscontri precedenti, che ha il respiro di una sinfonia per grande orchestra e che tuttavia si mantiene splendidamente pianistica. Il primo movimento è un “Allegro” in cui la tradizionale logica della forma sonata è solo accennata e presto travolta dalle esigenze espressive dell’artista. Ancora una volta i temi fondamentali sono due: il primo, esposto subito, è una cellula ritmica elementare sostenuta da accordi a piene mani; l’altro è un fragile elemento melodico. Finita la breve esposizione, si innesta immediato uno sviluppo che procede per pagine e pagine seguendo piste incredibilmente complesse, placandosi alla fine solo quando le possibilità di elaborazione del materiale sono finite. Lo “Scherzo” che segue è breve, ma fulminante. Serve per staccare di netto il primo dal terzo movimento, che è un immenso “Adagio sostenuto”. Descrivere a parole questo “Adagio” di regola porta fuori strada. Non ci si proverà nemmeno, perché queste pagine si possono, anzi si devono conquistare individualmente, con un enorme sforzo di concentrazione e senza pretendere di capire tutto subito. Parafrasando un principio Zen, solo quando la concentrazione sarà assoluta il grande “Adagio” si rivelerà in tutta la sua luce. Dopo un movimento di simile respiro, Beethoven si rese conto di non poter inserire un “Finale” di tipo tradizionale. Pertanto scrisse un breve collegamento (“Largo”) dalla presa assoluta e, dopo una allucinante catena di trilli in tutti i registri del pianoforte, attacca una spettacolare “Fuga a tre voci con alcune licenze”. La tensione spasmodica accumulata nell’ “Adagio” non poteva essere scaricata che attraverso un’operazione artistica di portata eccezionale: l’Antico (la Fuga) che si unisce al Nuovo (la Forma sonata) per arrivare a un sintesi risolutiva. Enzo Beacco Maurizio Pollini pianoforte Maurizio Pollini, nato a Milano nel 1942, ha studiato con Carlo Lonati e Carlo Vidusso. Nel 1960 ha vinto il primo premio al Concorso Internazionale F. Chopin di Varsavia. Da allora è protagonista in tutti i maggiori centri musicali in Europa, America e Giappone. Ha suonato con i più celebri direttori d’orchestra quali Abbado, Böhm, Boulez, Celibidache, Chailly, Karajan, Mehta, Muti e Sawallisch e con tutte le più importanti orchestre del mondo. Nel 1995 ha inaugurato il festival che Tokyo ha dedicato a Pierre Boulez; nello stesso anno e nel 1999 il Festival di Salisburgo gli ha affidato l’ideazione di cicli di concerti con programmi che rispecchiano i suoi molteplici interessi musicali, dai capolavori della polifonia a prime esecuzioni appositamente commissionate a compositori contemporanei. Un analogo “progetto”, ampliato a una trentina di concerti, è stato realizzato alla Carnegie Hall di New York nelle stagioni 1999-2001. Ha inoltre ideato ed eseguito serie di concerti a Parigi (Cité de la musique) e Tokyo, nel 2002, e al Parco della Musica di Roma nel 2003. Nell’estate 2004 è stato “Artiste Etoile” al Festival Internazionale di Lucerna dove si è esibito in recital e in concerto diretto da Claudio Abbado e Pierre Boulez. Il suo repertorio si estende da Bach ai contemporanei e include l’integrale delle Sonate di Beethoven, eseguita a Berlino, Monaco, Milano, New York, Londra, Vienna e Parigi. Le sue registrazioni, che hanno meritato numerosi riconoscimenti internazionali, comprendono i capolavori del repertorio classico e romantico, tutte le composizioni per pianoforte di Schönberg, oltre a opere di Berg, Webern, Nono, Manzoni, Boulez e Stockhausen, testimoniando così il suo grande interesse per la musica del nostro secolo. Nel 1987, in occasione dell’esecuzione dei Concerti di Beethoven a New York, i Wiener Philharmoniker gli hanno consegnato l’“Ehrenring” (anello d’onore). Nel 1995 ha ricevuto il “Goldenes Ehrenzeichen” della città di Salisburgo, nel 1996 a Monaco di Baviera il premio “Ernst von Siemens”, nel 1999 a Venezia il premio “Una vita per la musica – Arthur Rubinstein” e nel 2000 il premio “Arturo Benedetti Michelangeli” del Festival di Bergamo e Brescia. Maurizio Pollini è stato ospite della nostra Società nel 1959, 1967, 1970, nel 1986 per un concerto al Teatro alla Scala in memoria di Paolo Borciani, e nel 2000 per il ciclo “Grandi Pianisti alla Scala”. Alain Damiens clarinetto Dopo aver meritato il primo premio in clarinetto e musica da camera al Conservatorio di Parigi, Alain Damiens ha fatto parte dell’ensemble “Pupitre 14”. Primo clarinetto dell’Orchestra Filarmonica di Strasburgo e docente fino al 1975 al Conservatorio di Parigi, nel 1976 è entrato a far parte dell’Ensemble InterContemporain. Ha collaborato alla creazione di molte opere contemporanee tra le quali alcune composizioni di Philippe Fénelon e Dialogue de l’ombre double di Pierre Boulez, eseguito per la prima volta a Firenze nell’ottobre 1985 in occasione dei sessantesimo compleanno di Luciano Berio. Nel 1972 ha eseguito in prima mondiale il Concerto per clarinetto di Elliot Carter scritto per i vent’anni dell’Ensemble InterContemporain. Tra i classici della seconda metà del Novecento, Alain Damiens ha una speciale predilezione per le opere di Pierre Boulez, Franco Donatoni, Olivier Messiaen e Karlheinz Stockhausen con il quale ha lavorato a stretto contatto per la creazione di In Freundschaft. Alain Damiens tiene regolarmente masterclass in Francia e in tutto il mondo (Centre Acanthes, Conservatorio di Lione, The International Clarinet Encounters, Bartók Academy in Ungheria, Kusatsu Academy in Giappone, The Serena in Cile, Jerusalem Music Center in Israele e in Norvegia). Tra le sue numerose registrazioni ricordiamo Quatuor pour la fin du temps di Messiaen, Dialogue de l’ombre double di Boulez, Sequenza IX di Berio, un disco dedicato a Brahms, “American Clarinet” che comprende New York Counterpoint di Steve Reich e molte opere di giovani compositori. È per la prima volta ospite della nostra Società. Prossimo concerto: martedì 30 novembre 2004, ore 20.30 Alfred Brendel pianoforte Non serve molto, questa volta, per presentare il prossimo concerto. Conosciamo ormai benissimo Alfred Brendel e ci limitiamo a porgergli un doppio ringraziamento. Per aver accettato di tornare da noi con così breve preavviso e cambiando i suoi calendari artistici, e per essere tornato con un programma che ha da sempre nel cuore: il classicismo viennese, dal giovane Mozart ai lavori estremi di Beethoven e Schubert. Programma (Discografia minima) W. A. Mozart Fantasia in do minore K 396 Sonata in si bemolle maggiore K 281 Sonata in mi bemolle maggiore K 282 (Gieseking, EMI 653-763 688-2) F. Schubert Drei Klavierstücke D 946 (Brendel, Ph 422 075-2) L. van Beethoven Sonata n. 30 in mi maggiore op. 109 (Brendel, Ph 446 909-2)