CINEMA E FILOSOFIA LA GRANDE SCOMMESSA regia di Adam McKay Soggetto: Michael Lewis; sceneggiatura: Adam McKay, Charles Randolph; fotografia: Barry Ackroyd; musiche originali: Nicholas Britell; scenografia: Clayton Hartley, Linda Sutton; costumi: Susan Matheson; montaggio: Hank Corwin; interpreti principali: Christian Bale (Michael Burry), Steve Carell (Mark Baum), Ryan Gosling (Jared Vennett), Brad Pitt (Ben Rickert), Melissa Leo (Georgia Hale), Finn Wittrock (Jamie Shipley), Hamish Linklater (Porter Collins), Rafe Spall (Danny Moses), Marisa Tomei (Cynthia Baum), Margot Robbie (se stessa), Anthony Bourdain (se stesso), Selena Gomez (se stessa). produzione: Plan B Entertainmment, Regency Enterprises; origine: USA anno: 2015 distribuzione: Universal Pictures; durata: 130 minuti. Come l’indebitamento consiste nell’anticipare risorse proveniente dal futuro, quindi incerte, così le risorse destinate alle attività finanziarie vengono aumentate attraverso, per così dire, un loro sdoppiamento. Queste sono infatti rappresentate da “titoli” che ne costituiscono un “rispecchiamento” analogo a quello di Alice nel paese delle meraviglie, dove l’immagine tende a prendere il posto della realtà e viceversa. La realtà si confonde con la sua proiezione in un magico gioco di specchi. Diversamente dalla produzione reale in cui vi è, appunto, un’attività produttiva e lavorativa di trasformazione, la finanza mette in moto una dinamica di comparazione, d’imitazione e di duplicazione di se stessa. Lo “sdoppiamento” comporta dunque una distorsione della realtà e la “finanziarizzazione” che ne risulta cessa di svolgere un ruolo subalterno all’economia per assumerne uno di orientamento e di guida. In sintesi, la finanza si rivolge a “rappresentazioni” di oggetti trasformati in “titoli”, non ricchezze ma indici di ricchezze, e come tale ha un contenuto specificamente declinabile nel futuro: da un lato è uno specchio (speculum, speculazione) e dall’altra è un’anticipazione, una promessa, una ricchezza che verrà. La finanza è dunque un azzardo, una scommessa sul futuro, che, però, ha via via accresciuto la sua influenza sulla vita di miliardi di persone. (G. Ruffolo , S. Sylos Labini, Il film della crisi, Einaudi, Torino, 2012) 283. Precursori. Io saluto tutti i segni di un’età più virile e guerriera che è al suo principio e che riporterà in onore prima di tutto la virtù del prode! Poiché essa dovrà aprire la strada a un’epoca ancora più eccelsa e raccogliere l’energia di cui quella avrà un giorno bisogno – quell’età che porta l’eroismo nella conoscenza e muove guerre per amore delle idee e delle loro conseguenze. A ciò occorrono per ora molti valorosi precursori, i quali non possono scaturire dal nulla – e tantomeno dalla sabbia e dal limo della civiltà attuale e dalla educazione metropolitana; uomini che sappiano essere silenziosi, solitari, risoluti, paghi e costanti in una invisibile operosità; uomini che con interiore inclinazione cerchino in tutte le cose quello che in esse deve essere superato […] Perché – credete a me! – il segreto per raccogliere dall’esistenza la fecondità più grande e il diletto più grande, si esprime così: vivere pericolosamente! Costruite le vostre città sul Vesuvio! Spedite le vostre navi in mari inesplorati! Vivete in guerra con i vostri simili e con voi stessi! Siate predatori e conquistatori finchè non potrete essere dominatori e padroni, voi uomini della conoscenza! Passerà presto il tempo in cui potevate contentarvi di vivere rimpiattati come timidi cervi nei boschi! Finalmente la conoscenza tenderà la mano verso ciò che le è dovuto – vorrà signoreggiare e possedere, e voi con essa! (F. Nietzsche, La gaia scienza, Adelphi, Milano, 2008) [233] Parliamo adesso secondo i lumi naturali. Se c'è un Dio, egli è infinitamente incomprensibile, poiché, non avendo né parti né limiti, non ha nessun rapporto con noi. Noi siamo dunque incapaci di conoscere tanto ciò ch'esso sia quanto se egli sia. [...]. Ma da quale parte inclineremo? La ragione qui non può determinare nulla: a separarci da ciò che cerchiamo c'è di mezzo un caos infinito. Si gioca una partita, all'estremità di questa infinita distanza, e in essa riuscirà testa o croce. Su quale delle due scommetterete? Secondo ragione, non potete dire né l'uno né l'altro; secondo ragione, non potete escludere nessuno dei due casi. Non imputate dunque di errore quelli che hanno compiuto una scelta; perché voi non ne sapete nulla. «No; ma io li biasimo di aver fatto, non quella scelta, ma una scelta: perché, anche se tanto colui che sceglie croce quanto l'altro incorrano in un errore analogo, quel che conta è che tutti e due sono in errore; il partito giusto è di non scommettere affatto». - Sì; ma è necessario scommettere; ciò non è affatto facoltativo, voi siete imbarcato. Quale dei due prenderete dunque? Vediamo. Poiché scegliere bisogna, vediamo ciò che vi interessa di meno. Voi avete due cose da perdere: il vero e il bene; e due cose da impegnare nel gioco: la vostra ragione e la vostra volontà, la vostra conoscenza e la vostra beatitudine; e la vostra natura ha due cose da fuggire: l'errore e la miseria. La vostra ragione non riceve maggior danno scegliendo l'uno che scegliendo l'altro, perché bisogna scegliere necessariamente. Ecco un punto liquidato. Ma la vostra beatitudine? Pesiamo il guadagno e la perdita, dando a croce il senso che Dio esiste. Valutiamo questi due casi: se guadagnate, voi guadagnate tutto; se perdete, non perdete niente. Scommettete dunque che egli esiste, senza esitare. — «E magnifico! Sì, bisogna scommettere; ma io arrischio forse troppo». — Vediamo. Poiché vi è uguale probabilità di guadagno e di perdita, se voi non aveste a guadagnare che due vite contro una, potreste già scommettere; ma se ce ne fossero da guadagnare tre, bisognerebbe giocare (poiché siete nella necessità di giocare), e sareste imprudente, dal momento che siete forzato a giocare, a non arrischiare la vostra vita per guadagnarne tre in un gioco ove uguale è la probabilità di perdita o di guadagno. Ma c'è addirittura una eternità di vita e di felicità. E, così stando le cose, quando ci fosse un'infinità di probabilità di cui anche una sola fosse a vostro favore, voi avreste ancora motivo di scommettere uno per avere due; e agireste con cattivo criterio, essendo obbligato a giocare, se rifiutaste di giocare una vita contro tre in un gioco in cui su un'infinità di probabilità, ce n'è una per voi, se poi ci fosse da guadagnare un'infinità di vita infinitamente felice. Ma qui c'è proprio un'infinità di vita infinitamente felice da guadagnare, una probabilità di guadagno contro un numero finito di probabilità di perdita, e ciò che voi giocate è finito: ciò toglie ogni incertezza al gioco: dovunque sia l'infinito, e non vi sia infinità di rischi di perdita contro il caso di guadagno, non c'è da stare a contrappesare, bisogna impegnare tutto. E così, quando si è forzati a giocare, bisogna proprio aver rinunciato alla ragione per voler tener in serbo la vita anziché rischiarla per il guadagno infinito, così facile a venire quanto la perdita del nulla. [...] Ogni giocatore arrischia con certezza per vincere con incertezza; e tuttavia egli rischia di sicuro il finito per guadagnare senza sicurezza il finito, e ciò senza peccare contro la ragione. [...] E così la nostra posizione ha in sé una forza infinita quando c'è il finito da arrischiare ad un gioco in cui ci sono uguali probabilità di guadagno e di perdita, e l'infinito da guadagnare. (B. Pascal, Pensieri, BUR, Milano, 1999) E’ impossibile l’atto per la cui produzione non ci sarà mai una potenza piena. Poiché la potenza piena è quella nella quale concorrono tutte le condizioni che si richiedono per produrre l’atto, se non ci sarà mai la potenza piena, mancherà sempre qualcuna delle condizioni senza le quali l’atto non può prodursi: sicché questo atto non potrà mai prodursi, cioè sarà un atto impossibile. L’atto che non è impossibile, è possibile. Perciò ogni atto possibile deve verificarsi ogni tanto: se non si verificasse mai, mai concorrerebbero tutte le condizioni che si richiedono alla produzione di esso e sarebbe quindi, per definizione, un atto impossibile, il che è contro l’ipotesi. (T. Hobbes, De corpore in Opere, UTET, Torino, 2013)