Matrimonio e comunione dei beni: necessario il consenso del

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Matrimonio e comunione dei beni: necessario il consenso
del coniuge per la vendita
Author : redazione_bat
Date : 30 mar 2016
In mancanza di diversa convenzione stipulata dai coniugi, il regime patrimoniale legale della famiglia è
quello della comunione dei beni (art. 159 c.c.). La comunione tra i coniugi è stabilita per legge come
regime primario di regolazione dei loro rapporti, perché rispondente ai principi di solidarietà e
uguaglianza che caratterizzano il matrimonio. Questo sistema consente di riequilibrare le risorse di
ciascun coniuge, a prescindere dal fatto che la contribuzione all’interno della famiglia avvenga con il
lavoro casalingo o con reddito lavorativo. A questo tipo di regime si può derogare scegliendo la
separazione dei beni che può essere fatta nell’atto di matrimonio o successivamente mediante atto
pubblico. La comunione nel matrimonio fa sì che cadano in proprietà indivisa al 50% tra i coniugi gli
acquisti (anche compiuti separatamente) e una serie di diritti anche obbligatori.
In base a quanto stabilito dall’art. 177 c.c. tutti gli acquisti effettuati dai coniugi durante il matrimonio
cadono in comunione immediata anche se compiuti separatamente e anche se il bene è formalmente
intestato a uno solo dei coniugi. Ciò avviene sempre a meno che non si tratti di acquisto effettuato con il
prezzo del trasferimento di beni personali a condizione che sia espressamente dichiarata nell’atto di
acquisto la provenienza personale del denaro e all’atto partecipi l’atro coniuge.
Pertanto, entrano a far parte della comunione legale immediata: gli acquisti e l’azienda coniugale, ossia
l’azienda gestita da entrambi i coniugi costituita dopo il matrimonio
Orbene, i beni in comunione possono essere usati e amministrati disgiuntamente da ciascuno dei due
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coniugi senza bisogno del consenso dell’altro. Al contrario, gli atti di straordinaria amministrazione
richiedono il consenso di entrambi: un tipico esempio è la vendita.
In tal situazione, i coniugi devono stipulare congiuntamente gli atti di straordinaria amministrazione;
tuttavia, un coniuge può stipulare singolarmente uno dei suddetti atti se ha il consenso dell’altro coniuge.
Premesso quanto innanzi esposto, cosa accade se il coniuge vende un bene in comunione senza il
consenso dell’altro coniuge?
Nel caso di beni mobili, la vendita è pienamente valida ed efficace. Tuttavia, il coniuge “estromesso”
dalla scelta può tutelarsi chiedendo all’altro che ricostituisca la comunione nello stato in cui era prima del
compimento dell’atto, ad esempio, obbligandolo a riacquistare lo stesso bene o uno equivalente; oppure,
se ciò non è possibile, imponendogli di pagare, in favore della comunione, l’equivalente del bene
secondo i valori correnti all’epoca della ricostituzione. (In tal senso Cass. Civ. n. 4033/03).
In tale situazione, il terzo acquirente che ha comprato il bene dal coniuge senza autorizzazione, non
subisce alcun pregiudizio e non può essere obbligato a restituire il bene.
Nel caso di beni immobili o mobili registrati, ai sensi dell'art. 184 cod.civ. gli atti compiuti da un
coniuge senza il necessario consenso dell'altro coniuge e da questo non convalidati sono annullabili.
In particolare, il coniuge che non ha prestato il proprio consenso può rivolgersi al giudice per chiedere
l’annullamento dell’atto di compravendita entro il termine categorico di un anno che decorre: dalla
trascrizione dell’atto; o, se l’atto non è stato mai trascritto, da quando egli ne ha avuto conoscenza; o,
infine, dallo scioglimento della comunione se l’atto non è stato trascritto e non ne è venuto a conoscenza.
A differenza di quanto accade con i beni mobili, qui l’annullamento dell’atto travolge anche i diritti del
terzo acquirente, il quale sarà tenuto a restituire il bene (difatti l’annullamento ha “efficacia retroattiva”).
Per cui, il coniuge che ha venduto il bene senza autorizzazione, dovrà anche restituire al terzo il prezzo da
questi pagato, posto l’obbligo per il terzo di restituzione.
A tal proposito, nel caso in esame, il terzo potrebbe altresì chiedere un ulteriore risarcimento del danno se
dimostra che, dall’operazione, ha subìto una perdita economica.
Inoltre, giova ricordare che, in giurisprudenza è stato osservato che il coniuge che abbia alienato il bene
immobile in comunione senza il necessario consenso dell'altro, è obbligato a corrispondere a
quest'ultimo la metà del prezzo ricavato, indipendentemente dal fatto che questi (l'alienante) abbia poi
reimpiegato i denari per acquisire un nuovo immobile in capo alla comunione (Cass. Civ., Sez. II,
23199/12).
Alla luce di tutto quanto innanzi esposto si evidenzia dunque l’importanza del consenso del coniuge per il
trasferimento dei beni rientranti nella comunione legale.
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Avv. Maurizio Tarantino
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