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Pubblicato il 13 Settembre 2011
Un Peter Pan cresciuto ha concluso la rassegna Teatro nei cortili 2011
E se tornassimo all'Isola che non c'è?
Servizio di Sergio Stancanelli
VERONA - L’ultimo spettacolo dell’estate 2011 nel chiostro santa Maria in organo per la rassegna
“Teatro nei cortili” dell’Assessorato alla cultura del Comune, reca un titolo che non mi è nuovo ma
che non so dove ripescare. Intanto mi ricorda quel giorno che da un palco del teatro Nuovo vidi in
platea Milva e, sceso ad omaggiarla, appresi che Marco Tutino stava scrivendo per lei un’opera
ispirata alla commedia fiabesca “Peter Pan, or the boy who wouldn‘t grow up” di James M. Barrie,
opera per modo di dire alla cui prima comunque poi assistetti. Poi mi ricorda la rivista di musica
leggera che si intitola “L’isola che non c’è” su cui mio figlio Ronny recensisce (o recensiva, ora lavora
per “Late for the sky”) le esibizioni dei cantautori alle quali assiste. Miriam, che va a teatro una sera sì
e l’altra no perché deve anche riposare, e che questa sera viene con me perché ieri la prevista serata
nell’Arsenale è saltata in quanto la mia richiesta di accredito, come riferisco in altra parte del foglio,
non ha avuto riscontro - e lei si è rifiutata di accedervi pagandoci i biglietti - , dice che esiste un film di animazione prodotto
dalla Walt Disney e distribuito da Buena vista home entertainment che lei ha visto e che le è piaciuto molto, si chiama
“Ritorno all’isola che non c’è” ed è il sequel del celebre “Le avventure di Peter Pan” del 1953. Io controllo sul Morandini e non
risulta, controllo nel mio schedario e il risultato è identico. A questo punto la mia amica mi informa che il titolo è preceduto
dalle generalità del protagonista, per ciò non lo trovavo, è stato girato nel 2002 da Donovan Cook e Robin Budd in occasione
del centenario dalla prima apparizione del personaggio, ed è una coproduzione Usa-Canada-Australia. Il Morandini ne critica
la colonna sonora inferiore a quella del ’53. Per completare la panoramica aggiungo che il primo “Peter Pan”
cinematografico, con attori veri, è dell’americano Herbert Brenon nel ’24, e l’ultimo di Paul J. Hogan, parimenti americano, del
2003.
Dopo aver visto lo spettacolo, Miriam confermerà che secondo lei è proprio da quel film che proviene il soggetto, di cui è
autrice Sara Callisto, anche regista: un nome per altro a me incognito. Ben noto mi è invece il nome della compagnia, la
“Tabula rasa”, che ho recensito più volte, anche recentemente. Ad ogni buon conto ritengo prudente chiedere l’accredito.
Nella mia agenda è segnata col nome di Giancarlo Dalla Mura regista. Non è questo il caso, evidentemente. V’è annotato
anche, con i numeri di telefonia sia fissa che mobile, il nome di un attore, Solimano Pontarollo, recentemente adattatore e
regista del musical rock “Hamlet” la cui recensione a mia firma è testé comparsa su “gli Amici”. Mi rivolgo a lui. Sì, dice, ci
penso io, questa sera non lavoro ma sarò presente, le farò trovare due biglietti al botteghino, le riservo anche due posti. No,
non ha ancora visto la mia recensione all’opera rock. Ora, dice, accendo il computer e vado a leggermela. L’aspetto questa
sera per conoscerci di persona. Anch’io vado a rileggermela, e penso che tutti gli artefici di quel lavoro saranno assai contenti
di quanto ho scritto.
La sera, dieci minuti prima dell’orario d’inizio, siamo dinanzi al banco biglietteria del Chiostro dove stazionano una mezza
dozzina di persone della Compagnia fra cui una anziana signora che si ricorda di me all””Hamlet” e che si qualifica madre
del Pontarollo, il quale ha lasciato istruzioni ma non è ancor giunto. Aspetto dieci minuti, intanto mi leggo il programma di
sala, la platea è al buio e non si può leggervi alcunché. I nostri posti sulla sinistra in prima fila comportano le luci di due
riflettori dritte negli occhi: ci spostiamo in terza e proviamo a sederci qua e là fino a che i due riflettori non vengono ad essere
occultati dalle teste di alcuni spettatori.
All’afflusso di più o meno pubblico sovrintendono sempre ragioni misteriose: questa sera siamo una trentina. Son già quasi
le nove e un quarto, esattamente le 21.14, quando, in maniera inusitata, lo spettacolo ha inizio: una coppia di giovani s’alzano
dalle poltroncine e s’appartano nello spazio che sulla destra intercorre fra la platea e il porticato del chiostro e prendono a
parlare fra loro. A voce bassissima. Non è che non si capisca quel che dicono: non si sente proprio. C’è caso che dipenda
dalla mia età, e chiedo a Miriam che di anni ne ha venti in meno. Non sento niente, mi risponde. In quell’istante una voce
sonora proveniente dalla nostra destra grida VOCE! Ma i due non alzano il volume né pur d’un mezzo decibel. A questo punto,
dico: Per me, quando vuoi possiamo andare. Non si può, obietta Miriam. Sì che si può, dico: nessuno ha il diritto di
pretendere che si passi una serata qui senza capire che cosa accade. Si capisce, dice lei: è la storia di Peter Pan. Sì, ma io
non vengo qui per sentirmi raccontare la storia di Peter Pan, bensì per constatare in qual modo viene raccontata.
Una signora s’è alzata e s’è avviata all’uscita. Seguìta da una coppia di anziani. Dietro di noi una ragazza dice: Ma non
potevano microfonarli? Microfonare tutti gli attori costa un sacco, le obietta la sua vicina. Ma che senso ha se non si capisce
niente? Tanto vale che fàcciano a meno di fare lo spettacolo. Intanto sono entrati in scena altri attori. I nuovi arrivati parlano a
voce alta ma tutt’insieme, è un gran vocìo, non c’è controllo del volume, non c’è alternarsi delle battute, non c’è chiarezza di
dizione. Peccato, la regia avrebbe lavorato bene, piena di idee e di trovate, la scenografia è ricchissima, i costumi sono
splendidi. Anche la musica, di cui parleremo a parte, è congeniale, e bella anche. La caratterizzazione dei personaggi è
perfetta. Ma per capire quel che dicono occorre una tensione continua. A teatro si va per rilassarsi, non per stressarsi.
Alle 21.49, esattamente dopo 35 minuti di spettacolo, si ha l’intervallo, preannunciato per la durata di 15 minuti. Andiamo a
prenderci un caffè forte nel “Sunset boulevard café nasa s.a.s.” (se il simpatico e gentile titolare non si decide a semplificargli
il nome, finirò per cambiare bar) e quando rientriamo alle 22.01 la seconda parte dello spettacolo è già iniziata. Non ne
riferisco la trama, chiaramente esposta sul programma di sala (dove trovano posto un’espressione grossolana, una
punteggiatura carente, e un accento grave anziché acuto - un altro lo si riscontra nelle Note di regia, dove inoltre po’,
troncamento di poco, reca l’accento anziché l’apostrofo -) salvo il finale, taciuto per serbar la sorpresa. Applausi, chiamate, e
alle 22.46 ci avviamo all’uscita. Col Pontarollo ci si incontrerà di persona un’altra volta, presumo. Intanto lo ringrazio. E gli ho
già indirizzato la richiesta di qualche foto di scena e di qualche notizia sulle musiche, non menzionate sul programma. Dal
quale invece stralcio che i costumi sono di un’altra Pontarollo, Imperia questa, nonché di Alessandra Adami, anche
pluriattrice. Anonime invece, o meglio della comunità, le ricche scene con sovrabbondanza d’oggetti. Da non credere, c’è
anche un tecnico dell’audio, che se la memoria non mi inganna nei miei primi contatti telefonici con la Compagnia anni
addietro s’occupava dei rapporti con la stampa (ed era abbastanza irreperibile). Infine, gli attori, almeno i più importanti, che
caratterialmente e gestualmente sarebbero bravi se la regia gli facesse presente che bisogna farsi sentire e capire dagli
spettatori. Direi anzi che questa è in assoluto la cosa più importante in qualsiasi esibizione che non sia di mimi (o corale). Il
protagonista principale, di professione avvocato, già Peter Pan da ragazzo, è Stefano Spiller; la moglie che lo pianta in asso è
Alice Moresco; il capitano Uncino , Campanellino, Spugna, e Peter ragazzo, sono Laura Dal Bianco, Elena Modugno, Enrico
Lorenzato e Alessandra Marognoli.
Andato in scena mercoledì 24 agosto, lo spettacolo verrà replicato per altre cinque sere. La mia richiesta preventiva di
ricevere per illustrare la recensione alcune fotografie (la scenografia in platea, quella sul palcoscenico, e una scena con gli
attori), e notizie essenziali sulle musiche (autore, titoli, esecuzione), nonostante anche un successivo sollecito, a tutt’oggi non
ha avuto esito: pertanto passo il mio pezzo incompiuto così com’è.