Capitolo Decimo. ................................. La proprietà privata e l’espropriazione per pubblica utilità Sezione Prima Diritto di proprietà 1. Il diritto di proprietà ed i suoi limiti di natura pubblicistica Il diritto di proprietà, riconosciuto dall’art. 42 Cost., è un diritto assoluto che consiste nel potere di usare, fruire e disporre di una cosa nei limiti fissati dalla legge. L’art. 42 in esame, nel riconoscere la proprietà, specifica che essa può essere pubblica o privata e che la legge ordinaria ne specifica i modi di acquisto, di godimento ed i limiti, al fine di assicurarne la funzione sociale. In concreto, le norme che regolano la proprietà nel senso indicato dalla Costituzione si possono distinguere in tre gruppi a seconda che impongano: — limiti negativi (cioè obblighi di non facere); — obblighi positivi (di facere); — la privazione del diritto per il titolare (con l’espropriazione del bene). Limiti negativi sono imposti: a) nell’interesse della proprietà pubblica: ad esempio, il divieto di svolgere sul fondo limitrofo al bene demaniale attività nocive per la funzione pubblica cui è destinato il bene; b) nell’interesse del regime idro-geologico ed agricolo; c) nell’interesse della difesa militare: come nel caso delle servitù militari; d) per esigenze urbanistiche: sono i vincoli finalizzati alla tutela del territorio ed hanno lo scopo di garantire l’ordinato assetto territorio ed assumono un notevole rilievo giuridico-sociale. La legge e gli atti amministrativi possono, però, anche imporre obblighi positivi, cioè di facere. Ciò può avvenire: a) nell’interesse del demanio. Tra di essi: — l’obbligo dei proprietari frontisti di costruire e mantenere in buono stato i muri di sponda e gli argini dei canali demaniali (artt. 76 ss. c.nav.); — l’obbligo dei proprietari frontisti di costruire e mantenere in buono stato le ripe delle strade pubbliche; b) nell’interesse dell’agricoltura: — l’art. 838 c.c. (è un onere per il proprietario conservare e coltivare il fondo); — gli obblighi di bonifica posti a carico dei proprietari agricoli, la cui inosservanza può dar luogo all’espropriazione. Quanto agli atti privativi del diritto, questi vengono generalmente indicati anche come atti di espropriazione in senso ampio o atti ablativi, in quanto la P.A. ha il potere di privare i proprietari del proprio diritto. 246 Capitolo Decimo Gli atti di privazione del diritto possono, a loro volta, essere distinti in varie categorie: — atti di trasferimento coattivo del diritto di proprietà, che rientrano fra gli atti ablativi ai quali è dedicata la Sezione Seconda di questo Capitolo; — atti di attribuzione coattiva del diritto d’uso; — atti che privano parzialmente del godimento dei beni; — atti che sacrificano diritti sui beni. 2. Gli atti di attribuzione coattiva di diritti d’uso Rientrano in questa categoria quegli atti che trasferiscono coattivamente solo il diritto di uso e di godimento su un determinato bene, lasciandone la proprietà ai titolari. Essi sono: — requisizione in uso (la P.A. utilizza i beni immobili e le aziende per il tempo necessario pagando il prezzo d’uso e restituendoli quando viene meno la necessità); — occupazione temporanea (artt. 49-50 D.P.R. 327/2001); — occupazione per ricerche archeologiche. 3. I provvedimenti che privano parzialmente del godimento dei beni Tali provvedimenti espropriano, anziché la proprietà, le servitù esistenti a favore di un fondo ovvero costituiscono su di un fondo delle servitù, delle limitazioni o dei diritti di uso pubblico. Si ricordano le servitù di elettrodotto; le servitù di passaggio e di appoggio di fili telegrafici e di cassette postali. 4. Gli atti necessitati che sacrificano diritti su beni Tali atti sono consentiti solo in particolari situazioni di necessità o di urgenza e sono disposti con ordinanza. Le ordinanze necessitate, tuttavia, si differenziano da quelle di necessità ed urgenza perché hanno contenuto predeterminato e breve efficacia, se non successivamente seguite dai provvedimenti corrispondenti, dei quali costituiscono ipotesi di veloce applicazione. Gli istituti sono: — l’occupazione di urgenza. Nella versione originaria del Testo Unico espropriazioni (D.P.R. 327/2001) sembrava escluso in linea di principio l’antico istituto dell’occupazione d’urgenza preordinata all’espropriazione del bene; tale forma di occupazione viene invece riproposta con il D.Lgs. 302/2002, per cui il T.U. la disciplina nuovamente nel nuovo art. 22bis. Essa è prevista per consentire l’avvio dei lavori aventi carattere di particolare urgenza limitatamente «alla particolare natura delle opere»; — la requisizione di urgenza. Può essere attuata solo in caso di grave necessità pubblica. È prevista dall’art. 7 della legge sul contenzioso amministrativo (L. 20-3-1865, n. 2248) ed è di competenza di tutte quelle autorità (Prefetto, Sindaco) che, in base ad altre norme, possono disporre di urgenza della proprietà privata. La proprietà privata e l’espropriazione per pubblica utilità 247 Può essere adottata per qualsiasi ragione urgente di interesse pubblico, sia con riguardo a beni mobili che a beni immobili (nell’ultimo caso si parla di «requisizione in uso»). La giurisprudenza l’ha ritenuta ammissibile per procurare alloggi a persone sfrattate in pieno inverno per motivi di sicurezza; — gli ordini di distruzione di beni e provvedimenti similari. Sono provvedimenti che comportano la perdita della proprietà, adottati a fini preventivi e cautelari. Si ricordi che l’indennizzo che talora è concesso non rappresenta una controprestazione, bensì un ristoro per il sacrificio imposto nell’interesse generale. Si pensi, ad esempio, all’ordine di abbattimento di animali infetti, alla distruzione di sostanze alimentari nocive etc. Sezione Seconda L’espropriazione per pubblica utilità 1. Il potere ablatorio Il potere ablatorio è quel potere attraverso il quale la pubblica amministrazione, per un vantaggio della collettività, sacrifica un interesse ad un bene della vita di un privato cittadino (GIANNINI). Le forme e l’intensità del sacrificio imposto variano in relazione ai diversi provvedimenti: esso può consistere nella semplice limitazione di una facoltà (es.: divieto di transitare su di una strada), nell’imposizione di un obbligo (es.: servizio militare) o, ancora, nell’estinzione di un diritto del privato (es.: espropriazione). Da ciò si desume che trattasi di una categoria eterogenea sia sotto il profilo funzionale che strutturale. A livello funzionale, i provvedimenti ablatori (o ablativi) hanno tutti sempre un effetto privativo di una facoltà o diritto facente capo al destinatario del provvedimento, insito nel concetto stesso di ablazione; alcuni di essi, poi, possono anche avere un effetto acquisitivo di una facoltà o diritto a favore di un beneficiario (espropriante). Dal punto di vista strutturale, fra le varie classificazioni possibili, la dottrina prevalente utilizza quella basata sulla natura della situazione soggettiva sacrificata. ➤➤ Personali • incidono su diritto personale (es.: ordini di polizia) ➤➤ Obbligatori • incidono su rapporti di obbligazione (es.: imposizioni tributarie) • riserva di legge ➤➤ Reali • incidono su diritti reali (es.: espropriazione) • obbligo di indennizzo • motivi di interesse generale Classificazione 2. I provvedimenti ablatori reali: principi generali L’art. 42, comma 3, Cost. afferma che «La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale». Tale disposizione normativa è stata interpretata dalla dottrina e dalla Corte costituzionale come relativa all’intera categoria dei provvedimenti ablatori reali e non alla sola espropriazione. 248 Capitolo Decimo Dalla citata norma si possono, pertanto, ricavare i seguenti presupposti di tali provvedimenti: a) il principio della riserva di legge, in quanto solo una legge può riconoscere alla P.A., caso per caso, il potere di sottrarre il bene al privato, fissando limiti, oggetto e condizioni dell’atto ablativo; b) l’obbligo di indennizzo, in quanto in tutte le ipotesi di appropriazione di un bene o di una facoltà da parte dell’amministrazione è dovuta al proprietario un’indennità, che si configura quale presupposto di legittimità dell’atto ablativo (ma non nei casi di provvedimenti similari alle ablazioni); c) la necessità di motivi di interesse generale, cioè pubblico, a fondamento dell’atto ablativo. 3. L’espropriazione per pubblica utilità L’espropriazione per pubblica utilità è il tipico provvedimento reale. In base all’art. 834 c.c., essa si può definire come quell’istituto di diritto pubblico in base al quale un soggetto, previa corresponsione di una giusta indennità, può essere privato, in tutto o in parte, di uno o più beni immobili di sua proprietà per una causa di pubblico interesse legalmente dichiarata. L’art. 42, comma 3, Cost. costituisce il referente normativo principale sia per tutti gli atti ablativi reali in genere, e dell’espropriazione in particolare, che per il cd. potere conformativo della P.A., ossia il potere di connotare giuridicamente in senso limitativo il diritto di proprietà, onde contemperare l’interesse privatistico del proprietario con quello della collettività. Alla copiosa produzione normativa che ha costituito, dalla L. 2359/1865 in poi, il quadro della disciplina della materia, si è finalmente sovrapposto il Testo unico espropriazioni, emanato con D.P.R. 327/2001, successivamente modificato con il D.Lgs. 302/2002. Si tratta, in sostanza, di un «Codice delle espropriazioni» che assembla e coordina in un unico sistema le procedure espropriative, sostituendole con un modello unico di procedimento espropriativo valevole per tutti gli interventi di esproprio. Dottrina Diverse teorie, in dottrina, sono state formulate per individuare il fondamento specifico dell’espropriazione. Oggi, più o meno unanimemente, si rinviene tale fondamento in un conflitto d’interessi. In altri termini nel conflitto fra l’interesse del privato alla prima estrinsecazione del diritto di proprietà (o altro diritto reale) e quello pubblico diretto al soddisfacimento di una finalità di pubblico interesse, il primo dovrà necessariamente cedere al secondo, affievolendo ad interesse legittimo. Quanto alla natura giuridica dell’espropriazione, varie sono le posizioni delineatesi in dottrina. Per alcuni autori, l’espropriazione concretizzerebbe una particolare figura di obbligazione ex lege facente capo al proprietario e, più precisamente, sarebbe da considerare come un tipo di obbligazione propter rem, cioè inerente al bene, e non al proprietario. Per la dottrina dominante, invece, l’espropriazione è da inquadrare nella categoria dei trasferimenti coattivi, avvicinandosi, sotto alcuni aspetti, all’istituto della cd. «vendita forzata». L’espropriazione crea un vero e proprio rapporto di diritto pubblico (il rapporto espropriativo) i cui elementi sono: le parti, l’oggetto, l’indennizzo. Quanto alle parti del rapporto, ai sensi dell’art. 3 D.P.R. 327/2001, i soggetti che intervengono nella procedura espropriativa sono: — l’espropriato, ossia il soggetto, pubblico o privato, titolare del diritto espropriato; La proprietà privata e l’espropriazione per pubblica utilità 249 — l’autorità espropriante, che è l’autorità amministrativa titolare del potere di espropriare e che cura il relativo procedimento, ovvero il soggetto privato al quale sia stato attribuito tale potere in base ad una norma; — il beneficiario dell’espropriazione, ossia il soggetto, pubblico o privato, a favore del quale è emesso il decreto di esproprio; — il promotore dell’espropriazione, che è il soggetto, pubblico o privato, che richiede l’espropriazione. Relativamente all’oggetto, l’espropriazione può avere ad oggetto un diritto di proprietà o altro diritto reale, compresi i diritti reali di godimento. Non sono espropriabili: gli edifici aperti al culto, se non per gravi ragioni e previo accordo con la competente autorità ecclesiastica; i beni demaniali; i beni patrimoniali indisponibili; le sedi di rappresentanze diplomatiche di Stati esteri. 4. L’indennizzo A)Generalità Questo elemento dell’espropriazione è tutelato direttamente dalla Costituzione e si pone, come nota la dottrina dominante, in relazione al provvedimento espropriativo come presupposto di legittimità di esso. L’indennità di espropriazione non è un «prezzo» perché l’espropriazione non deve essere assimilata ad una vendita forzata, ed il relativo importo non corrisponde necessariamente al valore di mercato del bene espropriato. Il fondamento politico dell’obbligo di indennizzo va, invece, ricercato nell’esigenza di ripartire tra tutta la collettività il sacrificio imposto al singolo soggetto che subisce l’espropriazione. L’indennizzo deve essere: — unico: cioè pagato solo al proprietario o all’enfiteuta se il fondo è gravato da enfiteusi. Nel caso in cui si espropri, invece, solamente un diritto reale altrui, l’indennizzo va pagato al titolare di tale diritto; — giusto, secondo il dettato dell’art. 834 c.c. (termine non riportato nell’art. 42 della Costituzione), in conformità ad una esigenza di giustizia sostanziale. Qualunque sia la natura dell’indennizzo, infatti, non vi è dubbio che attraverso la sua previsione si sia voluta attuare una sorta di ripristino (almeno parziale) dell’equilibrio patrimoniale alterato a danno del privato sia pure per motivi legittimi rappresentati dal raggiungimento di una finalità pubblicistica. Pertanto, l’indennizzo deve essere serio, congruo (cioè non simbolico, né aleatorio) ed adeguato. B)Il criterio di computo dell’indennizzo La disciplina in materia di quantificazione dell’indennizzo ha conosciuto una evoluzione complessa e articolata. In una prima fase, i criteri previsti dal D.P.R. 327/2000 per stabilire il quantum dell’indennizzo erano così fissati: — per le aree edificabili, quello della semi-somma del valore venale e del reddito netto rivalutato e moltiplicato per dieci, diminuita del quaranta per cento in caso di rifiuto, non addebitabile alla P.A., di cessione volontaria del bene (art. 37); — per le aree non edificabili, il criterio del valore agricolo, per le aree coltivate, mentre, per le aree non coltivate, l’indennizzo viene rapportato al valore agricolo medio corrispondente al 250 Capitolo Decimo tipo di coltura prevalentemente praticata nella zona e ai manufatti edilizi legalmente realizzati (art. 40); — per le aree legittimamente edificate, quello del valore venale del bene (art. 38); — per le aree destinate ad opere private di pubblica utilità, quello del valore venale del bene, tranne nelle ipotesi di opere che rientrino nell’ambito della edilizia residenziale pubblica, convenzionata e agevolata (art. 36). Il sistema di calcolo dell’indennizzo, come fissato dal legislatore del 2001, è stato successivamente modificato a seguito delle due sentenze della Corte costituzionale del 24-10-2007, nn. 348 e 349, che hanno interpretato le norme dell’ordinamento interno alla luce dei fondamentali principi europei: in particolare, la Corte ha affermato l’illegittimità di un ristoro economico che non corrisponde al valore reale del bene (in questa ottica, è stato dichiarato incostituzionale l’art. 37, commi 1 e 2, del D.P.R. 327/2001, in quanto violativo del detto principio). Il legislatore ha dovuto prendere atto di queste fondamentali pronunce e, con la L. 244/2007 (Legge finanziaria per il 2008), ha introdotto un nuovo sistema di calcolo per le aree edificabili. All’art. 37 del T.U. espropriazioni, i commi 1 e 2 sono stati sostituiti dai seguenti: «1. L’indennità di espropriazione di un’area edificabile è determinata nella misura pari al valore venale del bene. Quando l’espropriazione è finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale, l’indennità è ridotta del 25 per cento. 2. Nei casi in cui è stato concluso l’accordo di cessione, o quando esso non è stato concluso per fatto non imputabile all’espropriato ovvero perché a questi è stata offerta un’indennità provvisoria che, attualizzata, risulta inferiore agli otto decimi di quella determinata in via definitiva, l’indennità è aumentata del 10 per cento». Per le altre categorie di aree, rimane in vigore la disciplina del T.U.: — per le aree legittimamente edificate, come già prevedeva la L. 2359/1865, l’indennità è determinata nella misura pari al valore venale. Si calcola il solo valore dell’area di sedime se la costruzione è abusiva (art. 38); — per le aree non edificabili, attenendosi ai criteri previgenti e cioè quelli previsti dalla L. 865/1971, il Testo unico prevede che l’indennità è determinata in base al criterio del valore agricolo, tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e del valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati. Se l’area non è effettivamente coltivata, l’indennità è commisurata al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura prevalente nella zona ed al valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati (art. 40). Con riferimento a tale ultimo profilo, la Corte costituzionale, con sentenza n. 181 del 10-6-2011, ha dichiarato l’illegittimità del criterio del valore agricolo medio (ex art. 40 T.U. espropriazioni) per commisurare l’indennità dei suoli gricoli o non edificabili. Anche per questi ultimi, infatti, è necessario che l’indennizzo si ponga in rapporto ragionevole con il valore del bene. 5. Le competenze in materia di espropriazione: il principio di simmetria Il Testo unico espropriazioni (D.P.R. 327/2001) stabilisce, come regola generale, che l’autorità competente alla realizzazione di un’opera pubblica o di pubblica utilità provvede all’emanazione degli atti del procedimento espropriativo (art. 6). La proprietà privata e l’espropriazione per pubblica utilità 251 Il principio di simmetria (o di concentrazione) tra competenza alla realizzazione dell’opera e titolarità del potere ablatorio ha la funzione di agevolare la semplificazione burocratica e il coordinamento delle pubbliche amministrazioni, finalità di semplificazione ed efficienza a cui espressamente si ispira l’ articolato (art. 2). 6. La procedura di espropriazione in base al Testo Unico La finalità che permea il D.P.R. 327/2001 è quella di fornire un unico e chiaro modello di procedura espropriativa; da tale scopo discende l’opportunità di articolare il procedimento in fasi. In base all’art. 8 del Testo Unico le fasi in cui deve essere suddiviso il procedimento di esproprio sono quattro: l’apposizione al bene del vincolo preordinato all’esproprio, la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, la determinazione dell’indennità di esproprio e il decreto di esproprio. In particolare: — l’apposizione al bene del vincolo preordinato all’esproprio: si perfeziona quando acquista efficacia l’atto di approvazione del piano urbanistico generale, o di una sua variante, che preveda l’esecuzione dell’opera pubblica o di pubblica utilità (art. 9, comma 1, D.P.R. 327/2001). Il vincolo preordinato all’esproprio ha durata di cinque anni, entro i quali deve esser emanato il provvedimento che comporta la pubblica utilità dell’opera, pena la decadenza del vincolo; — la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera consegue (implicitamente) ai provvedimenti elencati nell’art. 12 D.P.R. 327/2001 (approvazione piano particolareggiato, piano di lottizzazione) per le opere conformi alle previsioni dello strumento urbanistico, altrimenti (artt. 18-19 D.P.R. 327/2001) discende (esplicitamente) dall’approvazione del progetto dell’opera da realizzare. Il provvedimento che dispone la pubblica utilità dell’opera può essere emanato fino a quando non è decaduto il vincolo preordinato all’esproprio; — la determinazione dell’indennità di esproprio (provvisoria e definitiva), che potrà essere accettata dall’espropriato, ovvero, rifiutata, con conseguente deposito della somma, da parte della P.A., presso la Cassa Depositi e Prestiti; — il decreto di esproprio, che interviene successivamente al pagamento dell’indennità provvisoria accettata o al deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti ovvero di quella definitiva non accettata. Col decreto di esproprio, da emanarsi entro il termine di scadenza dell’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, l’autorità espropriante dispone il passaggio della proprietà del bene; la sua esecuzione si attua a mezzo di immissione verbalizzata nel possesso dei beni, che deve intervenire nel termine perentorio di due anni dal decreto. Ai sensi dell’art. 21bis della L. 241/1990, il provvedimento ablatorio acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso. La cessione volontaria del bene La cessione volontaria di un immobile costituisce un contratto ad oggetto pubblico (C.d.S., sez. IV, 19-2-2007, n. 874) che, ove concluso, definisce il procedimento espropriativo in maniera non autoritativa, bensì con l’acquisizione del bene sulla scorta di un accordo col privato. Il vantaggio per l’espropriante è dato dalla possibilità di una più celere definizione della procedura, potendo omettere la determinazione dell’indennità definitiva e procedere all’immediata immissione in possesso, nonché evitare rallentamenti cagionati da possibili contenziosi (CARINGELLA). L’art. 20, comma 9, D.P.R. 327/2001 dispone che «il beneficiario dell’esproprio ed il proprietario stipulano l’atto di cessione del bene qualora sia stata condivisa la determinazione della indennità di espropriazione e sia stata depositata la documentazione attestante la piena e libera proprietà del bene». 252 Capitolo Decimo Presupposto fondamentale della cessione volontaria è, dunque, l’accettazione, irrevocabile ed incondizionata, da parte dell’espropriando dell’indennità provvisoria offertagli. In tal caso, l’ente espropriante potrà immettersi nel possesso del bene ed il privato ricevere un acconto dell’80% dell’indennità, oltre gli interessi legali dalla data di effettiva immissione. Quanto al giudice competente a conoscere di eventuali controversie relative ad una cessione volontaria, la giurisprudenza amministrativa, aderendo alla posizione della Corte di Cassazione (Cass., SS.UU., 24-4-2007, n. 9845), ha chiarito che rientrano nella giurisdizione dell’A.G.O. le controversie in materia di cessione volontaria del bene assoggettato a procedura espropriativa (muovendoci nell’ambito dell’esercizio di un’attività iure privatorum) (ex multis cfr. T.A.R. Campania Salerno, 28-2-2014, n. 504). Dalla cessione va tenuto distinto il mero accordo amichevole sull’ammontare della indennità di esproprio, dal momento che è sempre necessario il completamento del procedimento espropriativo al fine del passaggio della proprietà del bene dall’espropriato all’espropriante. Quando, infatti, nel corso di un procedimento di espropriazione per pubblica utilità, intervenga un accordo tra il proprietario del bene ad esso assoggettato e l’espropriante sull’ammontare della indennità, tale accordo viene a caducarsi ed a perdere di efficacia ove il procedimento non si concluda con il negozio di cessione o con il decreto di esproprio (C.d.S., sez. IV, 4-2-2014, n. 6245). 7. Giurisdizione in materia di espropriazione L’art. 53 D.P.R. 327/2001 rimanda al Codice del processo amministrativo la specifica definizione della tutela giurisdizionale, esperibile in materia, innanzi al G.A. L’art. 133 c.p.a., infatti, delinea l’ambito della giurisdizione, rispettivamente, del G.A. e del G.O., prevedendo che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere delle amministrazioni pubbliche; resta ferma la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza di atti di natura espropriativa o ablativa. Con riferimento alla locuzione «comportamenti» originariamente contenuta anche nell’art. 53 del Testo unico, vi è da menzionare la sentenza della Corte costituzionale n. 191/2006. Nell’interpretazione della Corte, «nelle ipotesi in cui i «comportamenti» causativi di danno ingiusto — e cioè, nella specie, la realizzazione dell’opera — costituiscono esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi (dichiarazione di pubblica utilità e/o di indifferibilità e urgenza) e sono quindi riconducibili all’esercizio del pubblico potere dell’amministrazione, la norma si sottrae alla censura di illegittimità costituzionale, costituendo anche tali «comportamenti» esercizio, ancorché viziato da illegittimità, della funzione pubblica della pubblica amministrazione». Secondo i giudici della Consulta, quindi, «deve ritenersi conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie relative a «comportamenti» (di impossessamento del bene altrui) collegati all’esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, laddove deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima la devoluzione alla giurisdizione esclusiva di «comportamenti» posti in essere in carenza di potere ovvero in via di mero fatto». Oggi, il detto orientamento giurisprudenziale è stato recepito nella formulazione dell’art. 133 c.p.a. La proprietà privata e l’espropriazione per pubblica utilità 253 8. La retrocessione Gli articoli 46-48 del Testo unico espropriazioni disciplinano l’istituto della retrocessione (ovvero la restituzione totale o parziale) dei beni espropriati, già contemplata dalla L. 2359/1865 (artt. 60-63). In particolare: — la retrocessione è totale se l’opera pubblica o di pubblica utilità non è stata realizzata o cominciata entro il termine di dieci anni, decorrente dalla data in cui è stato eseguito il decreto di esproprio, ovvero se risulta anche in epoca anteriore l’impossibilità della sua esecuzione; in tal caso l’espropriato può chiedere che sia accertata la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità e che siano disposti la restituzione del bene espropriato e il pagamento di una somma a titolo di indennità; — la retrocessione è parziale se è stata realizzata l’opera pubblica o di pubblica utilità ma parte del bene non è stata utilizzata. Di questa parte l’espropriato che ne era proprietario può chiedere la restituzione. Il corrispettivo di retrocessione viene calcolato, a norma dell’art. 48, sulla base dei criteri applicabili per la determinazione dell’indennità d’esproprio, con riferimento al momento in cui deve avvenire il ritrasferimento del bene all’ex proprietario. Giurisprudenza La giurisprudenza ritiene che le controversie aventi ad oggetto la retrocessione parziale di un bene espropriato rientrino nella giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto la stessa presuppone pur sempre la previa adozione, da parte della P.A., di un provvedimento dichiarativo della inservibilità del bene espropriato di cui si chiede la restituzione (C.d.S., sez. IV, 21-1-2014, n. 269). Il diritto alla retrocessione parziale, infatti, sorge in genere solo se ed in quanto la P.A., con valutazione discrezionale — al cospetto della quale la posizione del privato è qualificabile come di interesse legittimo — abbia dichiarato che un determinato fondo non serve più all’opera pubblica (T.A.R. Marche, sez. I, 9-3-2012, n. 181). In caso di retrocessione totale del bene, il diritto alla restituzione del bene è, invece, azionabile dinanzi al giudice ordinario (Cass., SS.UU., 5-6-2008, n. 14826; C.d.S., sez. IV, 10-3-2014, n. 1010). 9. L’acquisizione provvedimentale: acquisto della proprietà a seguito di utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico Il problema della occupazione illegittima di un’area da parte della P.A. con irreversibile trasformazione della stessa è stato affrontato in più occasioni sia dalla giurisprudenza che dal legislatore: attualmente tale questione rinviene una disciplina positiva nell’art. 42bis, D.P.R. 327/2001, introdotto dal D.L. 6-7-2011, n. 98, conv. in L. 15-7-2011, n. 111. Le ipotesi in cui l’amministrazione realizzava un’opera pubblica su un suolo illegittimamente occupato erano, in genere, ricondotte alle due figure, di origine pretoria, dell’occupazione appriopriativa e dell’occupazione usurpativa. Tali figure erano rispettivamente caratterizzate dalla irreversibile trasformazione del fondo in assenza di decreto di esproprio e dalla trasformazione in assenza, originaria o sopravvenuta, di dichiarazione di pubblica utilità. 254 Capitolo Decimo Con l’approvazione del Testo Unico delle espropriazioni, il legislatore ha disciplinato l’ipotesi dell’utilizzazione di un immobile sine titulo per scopi di interesse pubblico, e precisamente di un bene «modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità» (art. 43 D.P.R. 327/2001). In particolare, l’art. 43 in questione attribuisce alla pubblica amministrazione «il potere discrezionale di acquisire in sanatoria, con atto ablativo formale, la proprietà delle aree occupate nell’interesse pubblico in carenza di titolo» (GAROFOLI). Con l’atto di acquisizione del bene, che viene trascritto nei registri immobiliari, al patrimonio indisponibile della P.A. viene, nella sostanza, «legalizzata l’espropriazione sostanziale effettuata in mancanza di un titolo ablativo» (GAROFOLI), fermo restando il diritto del proprietario al risarcimento del danno. Elementi indispensabili per l’applicazione dell’art. 43 D.P.R., pertanto, sono (GAROFOLI): — l’assenza, ab origine o a seguito di annullamento, di un valido ed efficace titolo (provvedimento di esproprio o dichiarazione di pubblica utilità); — l’utilizzazione di un bene immobile per finalità di pubblico interesse; — la modifica del bene, non essendo più necessaria la sua irreversibile trasformazione. Con sentenza n. 293 dell’8 ottobre 2010, la Corte costituzionale ha, tuttavia, dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 43 citato. Secondo i giudici della Consulta, infatti, tale articolo appare connotato da un eccesso di delega, ponendosi, pertanto, in contrasto con l’art. 76 Cost. La lacuna venutasi a creare per effetto della pronuncia della Consulta è stata colmata proprio mediante l’introduzione di un nuovo articolo, il 42bis, nel T.U. del 2001. Il legislatore ha previsto, infatti, che il bene, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può essere acquisito, non retroattivamente, al patrimonio indisponibile dell’autorità che lo utilizza, previa valutazione degli interessi in conflitto e dietro corresponsione al proprietario di un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale subìto. Quest’ultimo viene forfettariamente determinato dal legislatore nella misura del dieci per cento del valore del bene. L’istituto si applica quando sia stato annullato il precedente atto da cui era sorto il vincolo preordinato all’esproprio ovvero l’atto che aveva dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio, nonché durante la pendenza di un giudizio per l’annullamento dei menzionati atti, ma a condizione che l’amministrazione, che ha adottato il precedente atto impugnato, lo ritiri. Considerato che il provvedimento di acquisizione comporta il passaggio del diritto di proprietà del bene (sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute ovvero del loro deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti S.p.A.), il legislatore ha espressamente richiesto che lo stesso: — rechi l’indicazione delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell’area e se possibile la data dalla quale essa ha avuto inizio; — sia specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati; — evidenzi l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione. La proprietà privata e l’espropriazione per pubblica utilità 255 Tale provvedimento, inoltre, deve essere notificato al proprietario del bene e deve essere trascritto presso la Conservatoria dei registri immobiliari a cura dell’amministrazione procedente e trasmesso in copia all’ufficio competente all’aggiornamento degli elenchi degli atti da cui deriva la dichiarazione di pubblica utilità ovvero con cui è disposta l’espropriazione. La stessa autorità procedente, poi, deve trasmettere una copia integrale del provvedimento di acquisizione, entro 30 giorni, alla Corte dei conti. Giurisprudenza L’art. 42bis T.U. espropriazioni conferisce alle amministrazioni «una (mera) facoltà aggiuntiva, della quale possono avvalersi, a loro insindacabile scelta. Essa riposa nella possibilità di evitare la restituzione del bene immobile illegittimamente occupato e trasformato, mercè il pagamento di un indennizzo (ex aliis: “l’art. 42bis del T.U. Espropriazione per pubblica utilità — d.P.R. n. 327 del 2001 —, come introdotto dal D.L. n. 98 del 2011, rubricato “Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico”, ha reintrodotto il potere discrezionale già disciplinato dall’art. 43 del T.U. Espropriazioni per pubblica utilità dichiarato incostituzionale. Ed infatti, l’Amministrazione competente, valutate le circostanze e comparati gli interessi in conflitto, può decidere se demolire in tutto o in parte l’opera, sostenendone le relative spese, e restituire l’area al proprietario, oppure se disporre l’acquisizione, sì da evitare che venga demolito, paradossalmente, quanto altrimenti risulterebbe meritevole di essere ricostruito.” Consiglio di Stato Sez. VI, sent. n. 6351 del 1-12-2011)» (così C.d.S., sez. IV, 29-1-2015, n. 437). Nella medesima pronuncia si legge che «la norma in questione si applichi ai processi in corso, ed anche ove essi concernano procedure espropriative pregresse. Posto che la detta disposizione prevede l’eccezionale facoltà per le Amministrazioni di evitare di subire una statuizione reipersecutoria trattenendo la disponibilità del compendio immobiliare trasformato, in una ottica collaborativa tra le Amministrazioni coinvolte, suonerebbe persino paradossale che le stesse si “rimpallino” la facoltà di procedere all’acquisizione “sanante” (tutte le amministrazioni coinvolte, infatti, dovrebbero avere un identico interesse, e semmai la problematica potrebbe porsi laddove due o più di esse manifestino valutazioni divergenti in ordine alla opportunità — o meno — di acquisire il compendio immobiliare illegittimamente trasformato). È appena il caso di sottolineare, infatti, che ove l’Amministrazione competente a disporre l’acquisizione ex art. 42bis del TU Espropriazione dovesse esprimere l’intenzione di non accedere a tale “rimedio” ciò non farebbe venire meno l’obbligo risarcitorio incombente sulla (diversa,eventualmente) Amministrazione tenuta a risarcire il danno» (sul punto, cfr. anche Cass. SS.UU., 19-1-2015, n. 735). Ma anche il «nuovo» art. 42bis non ha mancato di suscitare reazioni in merito alla sua legittimità costituzionale. Il punto della situazione è tuttavia stato fornito dalla Corte costituzionale che, con la sentenza n. 71 del 30 aprile 2015, ha «salvato» la disposizione in questione. Il ragionamento seguito dal Giudice delle Leggi, in sintesi, è il seguente: l’art. 42bis ha sì reintrodotto la possibilità per la P.A. di evitare la restituzione al privato del bene utilizzato sine titulo per scopi di interesse pubblico; tuttavia l’acquisizione medesima avviene esclusivamente allorché rappresenti l’extrema ratio per la soddisfazione di «attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico». Solo in tale prospettiva ermeneutica, l’art. 42bis può essere ritenuto conforme alla Costituzione.